Riprendo l'auto dopo giorni. Vado alla Ford e, a parte l'enorme interesse che suscita l'Ammiraglia, non mi possono aiutare. Devo sottolineare come, ad eccezione dell'amico Sikh, al momento la sensazione è che non ci sia la diffusa, a volte esagerata per i miei occhi occidentali, disponibilità incondizionata trovata in Iran e Pakistan in cui immediatamente quasi tutti interrompevano qualunque cosa stessero facendo e, se non potevano risolvere il problema, coinvolgevano altri. Qui alla Ford ad esempio, non pensano nemmeno a provare a fare qualche telefonata, semplicemente non hanno ciò che cerco e la questione finisce lì. Però è ancora troppo presto per trarre conclusioni e soprattutto sono in una città, cosa da non sottovalutare.
Mr.Sandhu mi ha invitato a visitare il villaggio dove vive la sua famiglia, non lui, da varie generazioni. È il Punjab rurale e chiaramente accetto. Inizialmente ci fermiamo in un negozio di dolciumi dove mi cita i nomi di ogni specialità. Di una, già assaggiata in Pakistan, ne prendo un po' ed ovviamente mi viene offerta. Ieri Mr. Sandhu, dopo essersi reso conto durante una discussione del fatto che sui Sikh ne sapevo un po' e mi interessava saperne di più, mi ha regalato un libro sul Punjab e le sue tradizioni, in inglese ovviamente. A pochi chilometri da Amritsar, dopo esserci prima fermati in aperta campagna dove mi mostra i suoi terreni, iniziamo il giro. Il concetto di nucleo familiare è quello nostro di un secolo fa e comprende anche figli e nipoti dei fratelli e delle sorelle dei propri nonni. Entriamo in una fattoria isolata fuori dal villaggio che era quella dei nonni. In questa stagione ci si riposa, si comincerà a lavorare seriamente la terra in Aprile. C'è un gran silenzio a cui mi sto sfortunatamente disabituando. Si sentono solo gli strepiti di molti pappagalli che svolazzano sopra di noi.
Qui iniziamo anche la sequenza di tazze di tè e dolcetti fatti in casa che assolutamente è impossibile rifiutare. L'Italia delle campagne di 100 anni fa non era molto diversa, a parte i pappagalli. Hanno anche un trattore. L'acqua arriva da pozzi profondi più di cento metri ed adesso le pompe sono elettriche. Passiamo accanto a delle case che, sempre comunque all'interno di grandi spazi cintati, sono lussuose. Indago. Sono comunque contadini, anche se ricchi, che si sono fatti costruire le case da architetti. Avevo pensato a gente di città che, come da noi, possiede case dove passare il fine settimana, ma qui questo fenomeno è totalmente assente. Per costruire una casa non occorre alcun permesso e non ci sono vincoli, basta possedere il terreno e ci fai sopra quello che credi.
Ci spostiamo al villaggio che ha circa 3000 abitanti. In cielo decine di aquiloni oggi possono librarsi altissimi in una fuga concessa, ma controllata da ragazzi che abilmente ne muovono avanti e indietro il filo. Lo spettacolo non è però fotograficamente interessante proprio per le elevatissime quote e le conseguenti minime dimensioni.
Incitato a provare prendo in mano la sottile, ma robusta lenza ed immediatamente sento uno strattonare deciso in cerca di fuga. Questa sensazione tattile dimenticata mi catapulta a quasi cinquant'anni fa quando, su un piccolissimo canotto in cui a malapena entravo io e qualche secchio con le esche, ero solito allontanarmi nell'assolato pomeriggio estivo di lunghe giornate di mare dagli scogli di Acicastello per pescare con la lenza a mano. Gli strattoni degli ingannati pesci mi gridavano la stessa richiesta di libertà. Con quello stesso canotto, senza dire niente a nessuno, un giorno mi misi in solitario viaggio sospinto da due striminziti remi verso i Faraglioni di Acitrezza che in lontananza già da parecchio tempo mi avevano fatto sognare l'impresa. Qui adesso, questo ritrovato sperduto ricordo mi dice che in fondo non sono cresciuto per niente e che la vita in mezzo non mi ha cambiato se non nell'aspetto. Allora l'avventura finì ad un passo dalla meta quando spaventato dal sole ormai basso più che dai sicuri scapaccioni, tentai un ritorno reso impossibile dal vento contrario che respingeva la mia prima Ammiraglia. Mi vennero a recuperare in macchina, non ho ricordo delle punizioni che certamente ricevetti, ma solo dell'iniziale euforia. Spero che i cinquant'anni trascorsi mi servano almeno nel riuscire a tornare indietro da solo.
Un po' tutti conoscono Mr. Sandhu e ci salutano prima toccando il nostro ginocchio, cosa che li costringe ad un inchino, poi a mani giunte ed infine con una stretta di mano, ma quest'ultima più che altro a me che la offro. È la maniera locale di mostrare rispetto. Mr. Sandhu non tocca il ginocchio a nessuno, anche tra i Sikh le differenze esistono. I nuclei familiari che, tra mille selfie e foto con me al centro, riesco anch'io a fotografare comprendono un arco di età che va dai 2 fino almeno agli 80 anni. Il mio viaggio in solitaria penso che qui sia impensabile, oltre la fantascienza e Mr. Sandhu non si stanca di raccontarlo a tutti. Più che una celebrità mi sento come un animale esotico in esposizione.
Molti possiedono mucche, cosa impossibile per un hindu, e la mattina alle quattro in moto vanno a vendere il latte in città. Fotografando una macchina che trita manualmente il foraggio mi sento parte di un'altra epoca.
In una casa mi mostrano orgogliosi una piccionaia. Questi volatili vengono allevati al solo scopo di farli gareggiare e le scommesse al riguardo sono cospicue. Vengono rilasciati contemporaneamente e vince quello che per ultimo ritorna a terra. Pare che i migliori restino in volo ininterrottamente per oltre 12 ore.
Tornati all'ufficio pranzo insieme agli altri e trovo ad aspettarmi il foglio dell'assicurazione. Ho una ulteriore conferma del fatto che non pagherò nulla in autostrada. Mr. Sandhu mi mostra l'ennesimo regalo, un lungo tessuto di cotone che mi fasciano sulla testa. Risate e selfie a raffica. Devo dire che portato sempre mi annullerebbe il problema della calvizie, ci farò un pensierino. I Sikh si preparano il turbante ogni mattina da soli mettendoci dai 2 ai 5 minuti.
Saluto tutti e lascio un po' a malincuore, ma con l'augurio reciproco di rivederci, questa persona che non poteva farmi iniziare meglio il lungo, spero, viaggio in India e Nepal. Data l'immensità, al momento è come se avessi solo dato uno sguardo fugace attraverso lo spiraglio di un grande ed intarsiato massiccio portone.
La giornata si conclude con un po' di wildlife dalla finestra dell'hotel.
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gianlucavasta
Jun 02, 2020
-------------------------------------------- Giorno 66 – 13 Gen 2020
Piove a dirotto e tuona. Vado all'ufficio di Mr.Sandhu che mi ha organizzato un incontro con il suo amico della Oriental Insurance che mi fa una assicurazione per l'Ammiraglia per sei mesi valida anche in Nepal. Costo circa 50 euro. Domani ho il documento. Apprendo che dal 15 Gennaio sulle autostrade non si potrà più pagare in contanti, ma occorre ottenere ed installare un Telepass, ci mancava pure questa. Mr.Sandhu cercherà di aiutarmi anche in questo. All'hotel mi dicono però che gli stranieri possono circolare liberamente senza pagare nulla. Devo ancora avere conferma.
Non ho la minima intenzione di avventurarmi nel diluvio e resto in stanza uscendo solo per cenare con della carne di pollo. Sono giorni che mangio vegetariano. Ieri perfino il McDonald nella zona del Tempio aveva solo hamburger vegetariani.
I negozi sono oltretutto quasi tutti chiusi perché oggi in Punjab è la festa degli aquiloni. Nei giorni scorsi ne ho visti parecchi che si libravano altissimi rendendo impossibile vederne sia il filo, sia tantomeno il luogo da cui erano controllati. Dei puntini morbidamente svolazzanti come dotati di vita propria. Oggi con questo diluvio chiaramente non ce ne sono, forse domani.
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gianlucavasta
Jun 02, 2020
-------------------------------------------- Giorno 65 – 12 Gen 2020
Verso le dieci e mezza vado da un rivenditore di parti auto aperto anche oggi che è domenica e faccio vedere il mio filtro dell'aria. Niente, mi dice di provare a Delhi. Per i cerchioni ci sarebbero anche, ma di alluminio e non mi fido, potrei spaccarli ed allora sì che sarebbero dolori.
Nuovamente al Golden Temple.
A piedi si percorre una bella strada piena di negozi e bei palazzi, gremita ogni giorno di fedeli.
Nel tempio tutti senza distinzione devono entrare a piedi nudi, senza calze, e con il capo coperto. Già a varie centinaia di metri dall'ingresso si è assediati da chi vuole vendere degli scarni e plasticosi fazzolettini arancione da mettere a mo' di bandana, ma basta coprirsi il capo con qualunque cappello o cappuccio.
Sul lungo percorso di avvicinamento si possono incontrare alcuni guardiani Sikh del tempio che controllano che le persone non abbiano atteggiamenti ed abbigliamento sconveniente. Con scimitarre o lance sono riconoscibilissimi perché vestiti di blu, notevolmente fotogenici e serissimi. All'interno del tempio, in cui non è possibile fare riprese video, li ho visti più volte chiedere di vedere cosa si è appena registrato con gli smartphone. Ieri una ragazza ha dovuto cancellare un selfie in cui si era fotografata a capo scoperto.
Prima del tempio la folla si accalca in un altro dei luoghi famosi di Amristar che aspettavo di vedere. Il Jallianwala Bagh è un ampio spazio, chiuso completamente dai muri in mattoni delle case circostanti e con solo un piccolissimo accesso largo non più di un metro e mezzo. Fu il teatro di una delle pagine più buie della storia militare Inglese risalente al periodo in cui Gandhi sollevò la nazione contro l'occupazione, unico esempio nella storia di lotta vinta senza utilizzare la violenza oltretutto contro una delle più forti potenze mondiali. L'episodio è stato ottimamente ricostruito da R.Attenborough nel film Gandhi. Su una folla totalmente inerme che protestava pacificamente, fu ordinato di aprire il fuoco e, senza alcuna via di fuga, furono massacrate 1500 persone comprese donne e bambini. A suo tempo sollevò lo sdegno dell'opinione pubblica mondiale. Il parco, in questo momento, è un enorme cantiere. Sono visibili i muri in cui si vedono i fori provocati dai colpi sparati ad altezza d'uomo ed un monumento che dovrebbe rappresentare proprio una pallottola. Il flusso di visitatori, peraltro poco contriti e molto alla ricerca di selfies, non ha pause.
Proprio sotto le mura del tempio oggi è organizzato un punto per la donazione del sangue. I volontari sono distesi su tavolacci e le sacche che si riempiono sono poggiate su semplici bilance da cucina che ne registrano la quantità.
Consegno scarpe e calze ricevendo un prezioso numeretto in acciaio ed entro nel tempio. La folla è impressionante.
L'enorme vasca quadrata ha grandi gradini che portano all'acqua coloro che vogliono bagnarsi in queste acque credute curative ed è circondata da un grande colonnato e da un ampio percorso. Prima di entrare tutti devono mettere i piedi dentro una piccola vasca con l'acqua alta pochi centimetri. Sulle scale, in marmo come tutto il complesso, delle fitte griglie in plastica dura, utili per evitare fatali scivolate, sono l'unica cosa che da veramente fastidio ai piedi nudi.
Nella vasca nuotano, a pochi centimetri dai devoti immersi, grossi e colorati pesci. Nonostante i cartelli più d'avviso che di divieto, ieri ho visto un Sikh che dopo l'abluzione ne ha mandato giù un bel sorso.
Fuori dal quadrato, ma dentro il complesso, è allestita e permanente la mensa comune in cui chiunque, anche io, si può sfamare gratuitamente. Le dimensioni e quello che vi si svolge costituiscono uno spettacolo che non esito a definire più interessante del tempio stesso. Si stima che siano serviti 100.000, sì ho scritto bene, pasti al giorno e vedendola di persona non faccio fatica a crederci. La mensa è il luogo dove i Sikh mettono in pratica i principi di uguaglianza, mangiando tutti insieme in terra in lunghe file in cui il ricco è al fianco del povero, e di condivisione, donando denaro a degli sportelli e soprattutto partecipando tutti insieme, a centinaia dandosi il cambio, al lavaggio in lunghe vasche in cui altri volontari scaricano senza sosta i piatti d'acciaio sporchi.
Con delle lunghe catene umane i vassoi sporchi vengono portati dal punto raccolta al lavaggio.
I saloni dove si mangia sono grandissimi. Ne ho visto riempirsi uno che conteneva almeno 6-700 persone in una decina di minuti. Appena ci si siede passano vari addetti che versano nei vari scomparti il mangiare. Al riempimento la sala è chiusa ed i commensali devono mangiare celermente e poi portare i vassoi al punto raccolta. In poco tempo la sala è di nuovo libera e pronta per un altro turno.
In altre zone viene distribuito il tè e le ciotole, sempre d'acciaio, sono pulite anche con la sabbia.
Mi aggiro per molto tempo nelle cucine tra schizzi d'acqua ed un fragore assordante di stoviglie che riesce a coprire il canto sacro diffuso dagli altoparlanti, una musica piacevole suonata dal vivo che accompagna costantemente la visita fin dalle lontane strade d'ingresso.
Mentre faccio scatti che presentano non poche difficoltà di vario genere, qualcuno mi offre da mangiare e qualcun altro mi invita ad unirmi al lavaggio comunitario, offerta che devo declinare perché dovrei essere abbigliato in un altro modo.
Lasciata la Guru-Ka-Langar, questo è il nome della mensa, arrivo all'inizio della passerella che conduce al tempio centrale in cui non è possibile scattare foto. Anche oggi rinuncio a questo bagno di folla in cui nessuno dei variopinti turbanti sarebbe in grado, se accidentalmente divelto, di toccare terra.
Stavolta le foto sono quantomeno corrette nel formato e mi avvio a concludere la giornata scrivendo di questi primi approcci all'India.
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gianlucavasta
Jun 02, 2020
-------------------------------------------- Giorno 64 – 11 Gen 2020
Dopo una notte passata letteralmente al gelo chiedo di cambiare stanza e ne prendo una con finestra da cui entra il sole. È affacciata sullo strombazzamento costante, ma tanto sono settimane ormai che, per vari motivi, posso dormire solo con i tappi. Tre euro circa in più a notte.
Mentre rivado all'ufficio BSNL mi si attiva la sim, ma ormai sono arrivato. Sono tutti riuniti perché la figlia di uno di loro si sposa e Mr. Sandu è impegnato in un discorso celebrativo a cui tutti assistono in silenzio. Mi fa mettere accanto a sé e comincia a raccontare di me, del mio viaggio e di come ieri l'ufficio mi abbia aiutato. Sono un po' in imbarazzo dato che c'è anche l'applauso finale di benvenuto in India. Con una distribuzione di buoni dolcetti portati dal padre che sta per lasciare la figlia nelle mani di un altro uomo, l'assemblea si scioglie.
Qui ad Amristar c'è il luogo più sacro dei Sick, il Golden Temple.
Lunga visita ad un luogo incredibile e primo vero approccio con una delle mille sfaccettature dell'India. Non racconto qui nulla per un semplice motivo. Tornato in hotel e scaricate le foto mi rendo conto, purtroppo colpevolmente in ritardo, che al Centro Nikon di Lahore mi hanno cambiato il formato di scatto da NEF a JPG. Tutte le numerose foto sono da cestinare. Non ho un calendario, ma almeno due mesi di Santi li recito. Domani ci ritorno e ne vale la pena, ma certo è stato un bel colpo.
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gianlucavasta
Jun 02, 2020
-------------------------------------------- Giorno 63 – 10 Gen 2020
Modifico la mappa fino ad avere il percorso tutto visibile e mi viene spontaneo un “cavolo”. A vederla da casa senza il tracciato della strada fatta non mi faceva lo stesso effetto. Ci sono, e con l'Ammiraglia.
Al Wagah border tra Pakistan ed India c'è un grande anfiteatro in cui ogni sera agghindati militari delle due nazioni fanno a gara ad attirare l'attenzione dei turisti durante la parata che precede la chiusura della frontiera. Dato che per me, ed anche per qualcuno di molto più importante, tutto è relativo, non sono fondamentalista in nulla e quindi nemmeno nella mia allergia verso tutto ciò che è militare. Sarebbe anche interessante, ma al momento non rientra nei miei piani e nemmeno nei miei orari.
Arrivo prima dell'apertura e devo aspettare un po', ma non ce ne sarebbe bisogno perché questo è il primo confine in cui non c'è nessuno. Qualcuno a piedi e soprattutto nessun camion. Tra le due nazioni da sempre non corre buon sangue ed il grosso problema dei confini nel Kashmir e Jammu annulla totalmente gli scambi. Velocemente completo l'iter pakistano. Mentre mi avvio verso i cancelli che mi faranno passare in India, viene verso l'auto un doganiere che, con espressione seria ma alla stesso tempo serena, mi dice qualcosa in un inglese che non comprendo. Penso di aver dimenticato qualcosa oppure che ho un ultimo controllo da superare, ma dopo vari tentativi capisco finalmente e con mia enorme sorpresa che mi sta dicendo di essere dispiaciuto del fatto che sto lasciando il suo paese. Sono veramente colpito. Non potevo avere migliore commiato da un difficile, ma affascinante Pakistan. Gli dico che probabilmente ripasserò ad Aprile o Maggio se il viaggio non si dovesse interrompere prima e ne è sinceramente rallegrato.
Un militare pakistano apre e richiude un pesante cancello dietro l'Ammiraglia, mentre contemporaneamente uno indiano con un cappello da ranger mi spalanca la porta di un nuovo pianeta. Quei pochi centimetri, come mi rendo conto quasi subito, segnano mille differenze ma anche molte similitudini. Innanzitutto rivedo le donne, ma non è da dimenticare che anche in India hanno i loro bei problemi. Su una scala un addetto sta spolverando le pale di un grande ventilatore. I grandi saloni in cui ci sono sportelli e non uffici danno una immagine di cura ed attenzione. Per la prima volta controllano anche il numero sul motore. Fortunatamente all'interno dell'Ammiraglia sbirciano solo e chiedono di spiegare il contenuto di qualche borsa, si vede che nemmeno a loro va di farmi scaricare l'auto per controlli più seri. In poco tempo entro in India.
Amritsar è una piccola città di più di un milione di abitanti. In questo paese, che è un vero continente, il concetto di grandezza è molto diverso dal mio. Dopo aver scaricato qualcosa nella gelida stanza dell'Hotel presa a 12 euro e che sembra accettabile e fornita di acqua calda, sono già in cerca di una sim e so che non sarà semplice. Ho letto che le compagnie telefoniche hanno diffusione limitata ad alcune regioni ed in altre lavorano in roaming, ma in questo campo le novità sono quasi giornaliere e mi consigliano la Jio che sembra abbia diffusione in tutta l'India. Dopo aver fatto almeno un paio di chilometri a piedi seguendo varie indicazioni sempre errate, fermo un tuk-tuk. Qui i tuk-tuk sono più grandi e moltissimi sono ricavati da un'Ape con una grossa scritta Piaggio dietro. Ci sono anche quelli trainati da moto, ma le novità sono quelli a pedale e soprattutto quelli elettrici. Il traffico è comunque caotico, i clacson sono potenti e sembra non esserci mai una pausa negli strombazzamenti. Il ragazzo mi dice di sapere dove portarmi ed inizia da un ufficio della BSNL, unica compagnia telefonica statale che è consigliata dalla Lonely Planet. Qui conosco Mr. Sandhu. Questo signore Sikh con turbante in testa sembra l'incarnazione dei dettami di uguaglianza, condivisione ed altruismo del Sikhismo ed Amritsar è la loro città più importante. È evidente che è un riferimento ed una guida per tutti gli altri nell'ufficio. Mr. Sandhu, che va ad aggiungersi alla lista delle persone splendide conosciute, mi offre un tè e verifica che abbia tutti i documenti necessari compresa foto tessera. Come indirizzo do quello dell'Hotel a cui telefona per la necessaria verifica. La burocrazia è ferrea e complessa, ma dopo un'oretta anche di piacevole conversazione, ci siamo. Mi spiega la procedura per l'attivazione da fare dopo aver avuto accesso al segnale. Circa 22 euro per avere per un anno 2Gb al giorno. Ha anche un amico che può farmi l'assicurazione temporanea per l'Ammiraglia, ma oggi è venerdì e deve passare il fine settimana. Il ragazzo olandese non ha fatto l'assicurazione nemmeno in India dove è obbligatoria, ma io se riesco preferirei farla anche se sono consapevole che in caso di incidente sarei sempre dalla parte del torto ed avrei comunque problemi nonostante l'assicurazione. Foto varie e mi chiede di registrare anche un video in cui ringrazio tutto l'ufficio per l'aiuto ricevuto.
È ancora presto e mi metto comunque alla ricerca di una compagnia assicurativa che mi hanno indicato all'Hotel ed ho cercato in rete. Sempre a piedi per rendermi anche conto di dove sono, cosa che al momento mi sfugge. Tutto troverò tranne che gli uffici indicati su Google.
Passo per una zona poco illuminata ed abbastanza sporca e dopo aver già visto le attese mucche tranquillamente in giro per le strade mi blocco per qualcosa di inaspettato. Cinghiali. Si aggirano grufolando nel fango e nell'immondizia.
Ne vedrò almeno una quindicina assuefatti al caos ed alla gente.
Sento dei canti. Un grande tempio indù non segnalato sulla guida, lo Sri-Durgiana-Temple. Entro lasciando le scarpe agli addetti. Totalmente impreparato fotograficamente ho il primo approccio con la tradizione hindu
In un grande spazio quadrato che rappresenta la perfezione, il tempio principale che al momento posso solo ipotizzare dedicato a Ganesh con la testa di elefante, è al centro di una vasca d'acqua ed è raggiungibile tramite una passerella. Una ritmata preghiera a cui farei bene ad unirmi visto che il Dio incarna la buona sorte è, non so perché, ripresa da telecamere.
Un piccolo corteo fa intanto un giro del quadrato, cantando ed accompagnando un'immagine.
Sono stanco, torno in hotel.
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gianlucavasta
Jun 02, 2020
-------------------------------------------- Giorno 62 – 9 Gen 2020
Con l'intento principale di fare qualche chilometro con il nuovo filtro, vado ai Giardini Shalimar. In una Lahore che non ha più segreti riesco a muovermi bene evitando ed aggirando le zone e le strade che so intasate. I giardini sono una delle ultime attrattive che mi manca di vedere. Posso dire di conoscere Lahore meglio di Londra o Parigi e di tante altre città anche italiane.
Sui giardini non c'è molto da sottolineare. Simili nella struttura ad altri luoghi visitati sono ormai immersi nel tessuto urbano e ne costituiscono un'oasi in cui passeggiare tra i molti scoiattoli. La caratteristica più interessante sono le immense fontane, purtroppo asciutte, che sono collegate tra loro da una rete di canali che sfruttano le diversità di livello dei vari grandi giardini. Con queste in funzione lo spettacolo sarebbe grandioso.
Al centro Nikon finalmente lascio la D810 che riprenderò con il sensore pulito nel pomeriggio. Ad un incrocio fotografo come prova uno dei travestiti di cui parlavo giorni fa. Forse è solo un espediente per ottenere denaro, ma certamente è qualcosa di totalmente inaspettato anche se non siamo nella penisola arabica.
Faccio solo una piccolissima considerazione su questa curiosità e sul Pakistan. Io ho girato esattamente come farei in Italia ed ho incontrato solo gentilezza e disponibilità all'aiuto. Mi sono posto una domanda, relativamente al soggetto in foto: se fosse ad un incrocio in Italia sarebbe tranquillo e non importunato come vedo qui nel pericoloso e fondamentalista Pakistan?
Due pulcette e ciuffi di capelli in stanza e nella doccia non sono nulla anche se alla lunga stressano e le macchie su lenzuola ed asciugamani comunque quasi sempre puliti sono più un problema psicologico.
L'avere dinanzi agli occhi fiumi di immondizia che scorrono in cui escrementi che non ho comunque visto sarebbero la componente meno preoccupante, invece che leggere sul giornale diligentemente gettato nella differenziata di lontani oceani di plastica e continuare a vivere nello stesso modo sfoggiando sempre nuovi piccoli ormai inutili business ecologici spesso solo diversamente inquinanti, per come la vedo io sono lo stesso identico problema e non certo un miglioramento.
Amir mi controlla il motore, riregistra le punterie e verifica l'assenza di perdite. Finalmente capisco che il pistone è sempre quello mio che è stato sistemato. Il filtro dell'aria può andare, ma devo comunque cercare quello corretto. Lo saluto e lo ringrazio e gli do appuntamento per Aprile o Maggio.
Faccio lavare per bene l'Ammiraglia esternamente e sotto e mentalmente riconsidero la sua situazione.
Il motore è sempre quello originale, anche se ringiovanito da un lifting, ed è una cosa che mi fa piacere. Il filtro dell'aria è arrangiato, ma sembra efficiente. I pneumatici sono nuovi. Il clacson è adesso un doppia tromba pakistano installato per poter competere su strada. Il guidatore è anch'esso originale e senza lifting.
Devo dire che tutto sommato dopo due mesi dalla partenza posso essere soddisfatto di come domani entrerò, cosa che anche i fatti hanno dimostrato essere assolutamente non scontata, nel primo dei due paesi che dall'inizio considero meta principe di questo viaggio, l'India.
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gianlucavasta
Jun 02, 2020
-------------------------------------------- Giorno 61 – 8 Gen 2020
Amir mi ha chiamato per dirmi che all'officina ci sarà questa sera. Abbandono volentieri i quartieri alti non perché siano alti, ma per gli atteggiamenti osservati. Stanza all'hotel dove per una settimana ho atteso la guarigione dell'Ammiraglia. Vado al Centro Nikon. Un black-out non permette al laboratorio di pulirmi subito il sensore, non c'è verso. Relativamente vicina c'è l'Anglicana Chiesa della Resurrezione che è più una curiosità ed in cui trovo un po' di Natale.
Black-out infinito, desisto. All'officina mi hanno trovato un filtro simile, ma che comunque non entra. Dopo averlo rigirato tra le mani lo acquisto lo stesso dato che costa solo 3 euro e mezzo e, sotto sguardi interrogativi, comincio a modificarlo con la pinza. Dopo una buona mezzora di lavoro riesco nell'intento di farlo entrare dove non voleva. Ho un filtro nuovo non perfetto, ma abbastanza efficace. Si è fatto buio e non ho voglia di mettermi in giro per provarlo un po' più a lungo. Vedremo domani. Amir mi comunica che ci sarà domattina.
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gianlucavasta
Jun 02, 2020
-------------------------------------------- Giorno 60 – 7 Gen 2020
Sono in viaggio già alle 7 e mezza per cercare di evitare il caos ed immettermi subito in autostrada. Ho tanti chilometri da fare e potrei essere costretto a delle soste impreviste a causa del filtro, spero non del motore. Tempo pessimo, piove e poche centinaia di metri più in alto ha nevicato. La Karakoram Hwy deve aspettare. Gomme nuove e cerchioni storti non vanno molto d'accordo, ma dopo un paio di centinaia di chilometri iniziano a fare conoscenza e le vibrazioni calano sensibilmente. Comunque questo non mi ferma, nemmeno se le ruote diventassero quadrate e dovessi guidare con il Parkinson. A Lilla, dato che il filtro dell'aria sembra aver deciso di non ostacolare i miei piani, esco per una visita per cui all'andata non avevo avuto tempo. Percorro 25 chilometri su una piacevolissima strada di campagna, dissestata il giusto, che attraversa solo due piccolissimi villaggi mentre per il resto le abitazioni sono gradevolmente disseminate tra i campi in cui ferve l'attività.
Sono i primi chilometri, escludendo autostrade e scortato Belucistan, in cui guido rilassato godendomi anche le scene che mi si pongono dinanzi. Su un camion stanno coprendo per il trasporto il motivo della mia deviazione, grossi blocchi di sale che brillano al sole. La pioggia me la sono lasciata alle spalle insieme alle alture.
A Khewra c'è la seconda miniera di sale più grande al mondo aperta ed attiva da secoli. Il commercio del sale estratto risale all'era Mughal quindi al sedicesimo secolo, ma per la scoperta del giacimento tocca riandare ad Alessandro Magno. Miniera tuttora attiva.
Il giro all'interno costa ben 20 dollari per gli stranieri e si svolge al settimo dei 16 livelli esistenti. Oggi non è in funzione il trenino perché ci sono pochi turisti, tutti pakistani ovviamente tranne me. Mi accompagna una guida anche se ho ripetuto più volte che non capisco l'inglese, unica arma efficace per far desistere i più insistenti, ma qui sembra che occorra essere comunque accompagnati. Prima di arrivare al sale si attraversa un interessante spesso strato di roccia multicolore.
Anche se qui non lo dicono, ma ad una mia domanda la guida conferma, se andate all'erboristeria all'angolo e chiedete una confezione di Himalayan salt vi daranno un sale quasi sempre rosa che proviene da questa miniera e che con l'Himalaya ha pochissimo a che vedere. Sale Pakistano o Sale di Khewra lo comprereste? Il colore ne determina la qualità, dal migliore rosa al bianco, al rosso. I tunnel e le grotte in cui si è completamente all'interno del visivamente vellutato sale, che viene lasciato per il 50 per cento a sorreggere le volte, sono splendidi.
Varie caverne sono ricolme dell'acqua piovana che filtra dalla montagna e viene poi pompata artificialmente all'esterno. Per attrarre l'occhio dei turisti hanno costruito delle strutture francamente senza senso illuminate oltretutto con luci multicolori che mi aumentano significativamente la difficoltà fotografica. Visivamente comunque l'effetto dei mattoni di sale traslucidi retroilluminati è notevole. La moschea costruita dai minatori 55 anni fa è l'unica piccola costruzione che merita una citazione.
Gli ultimi 200 chilometri mi riportano a Lahore in cui per riabbassare il budget e provare un'altra sistemazione, ho prenotato in un B&B a 13 euro. Passo dall'officina, anche se il meccanico non c'è, per cercare aiuto per il filtro. Lascio quello vecchio a chi domani proverà a trovarlo a Lahore. In un ricco quartiere con tanto di controlli di polizia all'ingresso ed in cui c'è solo qualche tuk-tuk fermo all'angolo come fosse un taxi, scortato da un domestico tuttofare che chiama “il cinese” il padrone che sento solo tramite WhatsApp, entro in una ricca villa con un enorme cancello che si richiude alle spalle dell'Ammiraglia. La sistemazione sarebbe anche buona e certamente più pulita di vari hotel, ma scopro che non c'è l'acqua calda. Farfugliamenti vari del cinese, incavolatura mia più per la manfrina che per la mancanza, e resto comunque una notte solo perché è tardi e non ho voglia di rimettermi in moto. Freddo intenso in stanza, niente riscaldamento ma questo era ovvio. Esco per comprare da mangiare. Gran negozio con clienti bene e commessi male che obbediscono ad ordini impartiti con decisione e portano la spesa direttamente all'auto dell'elegante avventore. Detto per inciso a Lahore ho visto auto che nella targa sotto i numeri riportavano la scritta “Avvocato” ed una con “Avvocato della Corte Suprema” che mi facevano venire voglia di un'aggiunta adeguata con il pennarello indelebile. Un quartiere di sgradevole gente con la puzza sotto al naso.
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gianlucavasta
Jun 02, 2020
-------------------------------- Giorni 58 e 59 – 5 e 6 Gen 2020
Non vado a Peshawar, nelle cui vicinanze c'è un villaggio interdetto agli stranieri che potrei provare a raggiungere comunque, perché ho necessità di uscire dalle città. Da Islamabad parte una autostrada che nelle intenzioni quando completata dovrebbe sostituire la mitica Karakoram Highway. La costruzione è diretta e probabilmente anche finanziata dalla Cina e stavolta ne sono certo perché è scritto a chiare lettere e vedo anche occhi a mandorla che osservano, sotto caschetti protettivi, operai pakistani sotto Pakol. Al momento è completata e transitabile solo fino a Mansehra, ma già sui cartelli sono riportate località più lontane. Solo il vedere qualche altura alberata, pur con una notevole presenza di fabbricati, mi rasserena. Uscendo però sulla vera Karakoram Hwy il traffico torna ad essere il solito e qui in più la strada è stretta e spesso dissestata con un'alta presenza di camion per superare i quali tutti, anch'io, si buttano sull'altra corsia anche in curve cieche ed anche con mezzi che procedono in senso contrario. Si strombazza e si rallenta cercando di non fare dei frontali. Non ho ancora probabilmente detto che qui in Pakistan nessuno guarda il cellulare durante la guida, è umanamente impossibile. Lo estraggono solo se totalmente fermi ed imbottigliati.
Quando poi si attraversano grossi centri come Mansehra ci si può mettere un'ora per percorrere 4 o 5 chilometri. Le idee che avevo sulla strada da percorrere sono totalmente irrealizzabili. Torno indietro fino ad Abbottabad per un hotel che sembra migliore degli ultimi e costa infatti di più. Devo infilarmi in un vicolo strettissimo in cui rompo il vetro dello specchietto e tocco sotto un paio di volte tanto è dissestata quella che non chiamerei strada. Basta! Caccio un urlo liberatorio e ne esco mandando a quel paese l'Hotel. Sulla strada ce ne sono tantissimi ed al primo che mi sembra buono sento quanto mi chiedono. La stanza è la migliore ad oggi dell'intero viaggio ed ho il riscaldamento. 6000 rupie che riesco a portare a 5500, ma non meno. 33 euro. Il doppio di quello di Islamabad, ma ne ho bisogno. Mi accompagnano da un vetraio che mi fa un non rifinito specchietto nuovo che riattacco con il mio silicone. Almeno questa l'ho risolta a razzo. Una doccia come si deve ed esco.
Grandi negozi luccicanti e piccole rivendite sono ammassati e si succedono senza alcun ordine. I vuoti che ogni tanto si aprono hanno la funzione di discarica. Occorre fare lo slalom tra le auto parcheggiate ovunque, quelle che sono in movimento e gli scoli giganteschi dell'acqua che dall'odore sembrano anche fogne. E comunque il tutto non ha affatto un aspetto deprimente da cui vorresti fuggire. Di certo però non mangerei nei localini pie dan l'eau.
Anche qui, come già successo ad Islamabad più volte e mi ero dimenticato di scriverne, noto in strada che chiede denaro un travestito. Con il velo, truccato e vestito da donna. Non che della questione mi importi qualcosa, visto che in questo campo come in altri penso che la libertà di ognuno debba essere legata solo al consenso del partner ed alla sua capacità di esprimerlo, ma è rilevante perché sono in un paese musulmano. Non ne so altro e non ho indagato. In India mi sembra di aver letto che la comunità omosessuale ha ottenuto da poco una specie di status di casta, ma lì è questione comunque difficile, ma ben diversa.
Mi fermo a prendere due porzioni di ceci bolliti insaporiti con creme e spezie varie ed un ragazzo, saputo che sono italiano, mi porta al negozio del fratello che commercia con l'Italia ed è già venuto tre volte a Prato. Commercio di Kashmir e tessuti. Con Mr. Muhammad Asghar e l'amico Mr. Syed Jamal Shah che mi va di citare, parliamo ininterrottamente per un'ora e mezza.
Una discussione aperta che spazia dal Pakistan, per il quale esprimo sia lodi che dure critiche che condividono apprezzando la mia franchezza, alla politica internazionale ed all'economia mondiale. Con le dovute anche rilevanti differenze, le idee, le preoccupazioni, le critiche, le aspirazioni, ciò che passa per la mente alle genti del mondo che non hanno la preoccupazione giornaliera di come sfamarsi o di come primeggiare o di come affossare altri simili, ha il comune denominatore della serenità globale del vivere. Poi è ovvio che del passaggio dalle parole alle scelte quotidiane non posso saperne nulla, ma in testa quelle idee ci sono ed è certamente difficile agire poi ignorandole consapevolmente.
Mi sto rilassando e mi sto staccando per un po' dallo scoprire e dal fotografare per prepararmi al nuovo inizio che sarà l'ingresso in India.
Decido di restare ancora una notte.
Mi alzo e con calma mi metto in movimento. Stamattina piove abbondantemente. Non è la stagione adatta a questi luoghi. Torno a Mansehra dove decido di fermarmi da un fornito gommista. Ad Islamabad, sull'asciutto, in due frenate non al limite ho slittato sull'asfalto. Ho già percorso 16000 chilometri e l'enorme esperienza accumulata in Australia riguardo all'usura dei pneumatici sulle sterrate mi aveva già fatto pensare che era ora di un cambio gomme. Potrei andare ancora avanti, ma in questa stagione e nei luoghi in cui mi recherò prima di fiondarmi nell'India del Sud preferisco non correre rischi. Cambio tutte le quattro ruote ed almeno le posteriori sono certo che le rivenderanno come usate. 115 euro tutto. Cinesi, nuove, non rigommate, non invernali che mi dicono di poter usare per 65000 chilometri su asfalto. Probabilmente vero solo se fossi disposto anche ad andare con le slick come le formula 1. Non hanno alcun macchinario, nemmeno l'avvitatore a pistola.
Riparto e l'Ammiraglia sobbalza ed oscilla anche alla bassissima velocità del traffico che mi fa impiegare quasi un'ora per tornare da quello che non era un gommista, ma un semplice rivenditore di pneumatici. Dal gommista mi ci accompagnano. Intanto due ruote sono montate male e qui, con le macchine, le rimontano correttamente. Passando all'equilibratura vedo che i cerchioni sono ben storti. Già in Italia avevo preso i migliori, ma non perfetti, tra quelli dell'Ammiraglia e di un'altra auto identica che posseggo. Per dare un'aggiustata serve parecchio piombo. Mi dicono, ignorando oltretutto quali percorsi accidentati ho fatto, che in Pakistan un cerchione dura mediamente un anno e mi raccontano di turisti in Toyota con due cerchioni distrutti. Qui cerchioni per l'Ammiraglia nemmeno l'ombra, si vedrà. Intanto non sobbalzo più, ma è già quasi buio e non riesco ad andare sull'autostrada per provare a velocità più elevate. Nuovamente filtro intasato e problemi mentre torno. Stavolta faccio dei piccoli buchi all'interno del filtro che non dovrebbero comunque far entrare granché di sporco, ma permettere un migliore passaggio d'aria. Il risultato c'è, ma sarà da vedere per quanto ci andrò avanti. Prima di attivarmi per una spedizione dall'Italia che penso di poter organizzare da solo devo essere in India e provare se trovo qualcosa. Il motore invece va benissimo e non ho alcun problema. Inizia a scendere una neve fortunatamente annacquata. The winter is coming. Ho fatto bene a cambiare le gomme. Ad Abbottabad gli enormi scoli dell'acqua sono straripati in vari punti e per strada si vedono scorrere fiumi di immondizia.
Mi metto in camera a scrivere e non esco più.
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gianlucavasta
Jun 02, 2020
-------------------------------------------- Giorno 57 – 4 Gen 2020
Anche questa notte dormirò qui. Da un meccanico mi viene detto dove a Rawalpindi posso trovare il filtro dell'aria. Ci devo provare. Quando ci arrivo, a non più di 10 chilometri, ritrovo il solito Pakistan ed i soliti tuk-tuk in numero però comunque decisamente inferiore. Niente da fare. Non ne trovo di adattabili. Durante questa giornata passata interamente in coda all'interno del solito traffico infernale, in uno dei laboratori in cui artigianalmente vengono prodotte le decorazioni per i camion, ne compro una piccola per l'Ammiraglia, un uccello in latta smaltata. Noto spuntare dalle case dei piccoli templi che con l'Islam c'entrano poco. Sono degli antichi templi indù che adesso, assolutamente non segnalati e con le case che li hanno soffocati e che vedo hanno anche utilizzato gli spazi un tempo sacri, sono assolutamente inaccessibili. Un pezzo di storia che nuova storia ha divelto. Un ragazzino in alto con un aquilone mi fa fare l'unica foto di oggi.
Tornando all'hotel l'Ammiraglia fa fatica e procede facendo dei saltelli dovuti certamente alla carburazione. Tolgo il filtro dell'aria ed i problemi scompaiono confermando i miei sospetti. Ho percorso circa 600 chilometri da quando lo sporco vecchio filtro è stato riposizionato e già è intasato. Ho un bel problema. Forse ho sbagliato a non passare subito in India. Lo faccio pulire con l'aria compressa e lo rimetto e non ho più i problemi di prima, ma ci faccio solo pochi chilometri. Vedremo domani. Questa nuova incognita mi getta in uno stato d'animo pessimo e la calca di gente smette di essere interessante. A quasi due mesi dalla partenza, ormai lontano da sereni luoghi isolati da attraversare sull'Ammiraglia in perfetta efficienza, ho un forte calo di motivazioni nonostante la positiva soluzione del grave guasto e l'enormemente meno grave problema del filtro mi appare insormontabile e foriero di guai e soprattutto stress. Devo fermarmi per un po', ma non qui in Pakistan. Ad aggravare lo stato d'animo le notizie internazionali che arrivano mi confermano solo che l'idiozia è la principale caratteristica degli umani, soprattutto di quelli che vogliono a tutti i costi avere una ribalta da cui esibire il proprio essere superiori. Potrei avere la strada tagliata per un ancora lontano ed incerto ritorno. Se non potessi ripassare dall'Iran, magari potrei affrontare l'Afghanistan che è qui a poca distanza, comunque è ancora troppo presto sempre se questa storia durerà veramente molto a lungo.
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gianlucavasta
Jun 02, 2020
-------------------------------------------- Giorno 56 – 3 Gen 2020
Carico tutto in macchina. Dopo aver ieri costatato che l'Ammiraglia al momento non ha ricadute immediate, voglio arrivare ad Islamabad e sull'autostrada viaggiare per circa 400 chilometri a velocità costante. Una sorta di primo rodaggio. Come previsto la posizione in cui è stato messo il tubicino della sonda del livello olio non permette alcuna verifica. Rivado all'officina e stavolta, con calma ed impiegando più tempo lo rimettono penso correttamente, ma lo saprò solo domani.
A 150 chilometri da Islamabad ha termine l'immensa nebbiosa pianura coltivata e si incontrano un paio di basse cime con delle salite non ripidissime, ma sensibili, che l'Ammiraglia sembra superare con una agilità che non ricordavo. Ho deciso di restare in Pakistan almeno fino a martedì prossimo quando Amir sarà tornato e potrà dare un'ultima controllata prima di passare in India. L'assenza di problemi e di rilevanti incontri mi permette di parlare di guida ed hotel in modo più dettagliato.
Retaggio inglese è la guida a sinistra. Per me non è una novità, ma è in assoluto la prima volta con un'auto a guida a sinistra. È molto meno problematico e non ho avuto esitazioni già dai primi chilometri all'ingresso in Pakistan. Il motivo è semplice, i comandi non sono invertiti. In altre occasioni, per giorni, ogni volta che dovevo mettere la freccia azionavo i tergicristalli.
Gli hotel lasciano parecchio a desiderare e sono piuttosto cari. Il problema primario è la pulizia e, perché sia chiara questa indicazione, specifico che io sono un acerrimo contestatore della paranoia italiana al riguardo che, esattamente come l'utilizzo spropositato di antibiotici, fa rapidamente evolvere generazioni più agguerrite di germi e contemporaneamente abbassare le difese immunitarie. Quindi, quando dico che il livello di pulizia è basso intendo che la maggior parte delle persone che conosco non ci entrerebbe nemmeno. Lenzuola ed asciugamani sono piccoli, spesso accettabilmente puliti, ma sempre indelebilmente macchiati da precedenti innumerevoli usi e con vari piccoli buchi. L'acqua calda è sempre presente almeno al livello degli alberghi che scelgo che è comunque basso. A volte ci sono dei black-out elettrici che però non dipendono dagli hotel. Il livello dei pasti ordinati è sempre stato più che buono, mentre le colazioni se comprese nel prezzo sono scarsissime. Il riscaldamento normalmente non c'è o si paga a parte e consiste quasi sempre in una semplice piccola stufa elettrica od a gas. Arredamenti e bagni quasi sempre vecchi e malandati. Rivalutandolo adesso, l'Hotel Bloom di Quetta aveva un ottimo rapporto qualità-prezzo. Gli hotel che scelgo si aggirano sui 20 euro a notte e, per avere dei comfort diciamo discreti dovrei salire ad almeno 40 o 50 a notte, mentre per standard prossimi a quelli occidentali occorrono più di 100 euro a notte. Io parlo di cifre per un singolo, se cambia qualcosa per una coppia non saprei. Le stanze singole comunque esistono raramente e ho quasi sempre matrimoniali.
L'ingresso ad Islamabad è totalmente differente da quello nelle altre città. Anche in periferia ci sono costruzioni gradevoli basse e molte ville con il filo spinato sugli alti muri di delimitazione mi fanno pensare alle metropoli sudamericane. Efficienti vigili con il cappello dirigono un traffico di sole auto ben incolonnate e qualche moto. La cosa che immediatamente si nota è la totale assenza dei tuk-tuk che da soli costituiscono almeno l'80% della caoticità. È un altro Pakistan.
Vado al centro Nikon per far pulire il sensore della Nikon D810 e mi dicono che dovrebbero mandarla a Lahor. Sul sito Nikon non risultava ci fosse un centro a Lahore. Devo rinunciare per adesso.
La città è divisa in settori numerati ed in ognuno sono presenti un po' tutti i servizi principali e le abitazioni. Non c'è un ben definito centro quindi. Rawalpindi è una differente città ormai fusa completamente con Islamabad, ma per il momento non ne so nulla.
Dov'è il centro Nikon è un settore a nord ipermoderno ed iperricco ed ipercaro e nei locali che non sfigurerebbero nelle più belle capitali europee molte ragazze in giro da sole hanno i capelli curati e scoperti. Chi vi si aggira è abbigliato elegantemente ed io sono l'unico a portare il Pakol, il cappello Afghano dei Pashtun diffusissimo ovunque. Settori poco interessanti. Un bar frequentato da tanta bella gente in ghingheri si chiama Cannoli. Entro e quelli in vendita non sono nemmeno un lontano ricordo. Gli faccio vedere in foto dei veri cannoli, ma è evidente che non sanno nulla del nome che hanno dato al locale e nemmeno sembrano granché interessati. Business, business, business non c'è altro nella testa. Addio Pakistan.
Nel settore dove ho invece l'albergo la situazione è più o meno simile a quella ormai familiare, al netto però del caos che qui è inesistente ed ho la possibilità di aggirarmi concentrando l'attenzione sulle varie attività. In un ristorante due giovani mi chiedono il link alle foto e ci chiacchiero un po'. Uno, come molti altri incontrati, mi dice di avere il fratello in Italia ad Aosta. Il gestore di una rosticceria in cui sono cotti alla brace dei polli mi invita ad assaggiarli decantandone la bontà ed effettivamente sono squisiti. Ci tornerò domani. Non mi fa pagare nulla e stiamo a chiacchierare per un bel po' seduti ad un tavolo. Una persona deliziosa che, come molti altri, è felice di vedere europei che tranquillamente si aggirano visitando il suo malamente conosciuto paese. Spessissimo vengo fermato solo perché vogliono farsi un selfie con me, come se fossi una celebrità.
L'altra faccia però è sempre presente a ricordarmi che questo resta un paese per pochi se lo si vuole visitare senza restare in qualche torre d'avorio di un costosissimo hotel. Sotto le lenzuola sento dei pizzichi e comincio a grattarmi. Non vedo nulla, ma scendo in auto a prendere il potente anti-insetti da giungla che mi servirà più avanti e ne spruzzo un bel po' direttamente sotto le coltri comunque già umide per il freddo. Tranquillamente adesso posso scrivere e dormire senza più molestie.
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gianlucavasta
Jun 02, 2020
-------------------------------------------- Giorno 55 – 2 Gen 2020
Metto un po' in sesto l'interno della macchina. Apro il cofano. Il livello dell'acqua è molto sopra il massimo, ne ha messa troppa. Tento di estrarre l'asta per il controllo del livello olio e mi resta in mano anche il tubicino in cui è inserita. Cominciamo bene. È un bel problema perché dal buco l'olio uscirebbe a schizzi. All'officina un amico di Amir fa intervenire un altro meccanico. lo mettono a posto con del silicone, non devo toccarlo fino a domani, ma la posizione in cui sta non mi convince.
Vado finalmente fuori città, non ne potevo più anche se Lahore è interessantissima. Faccio un po' di autostrada a 100km/h e l'Ammiraglia la sento nettamente più elastica nella resa e silenziosa. A 60km c'è Hiran Minar, una grande vasca d'acqua in cui si può navigare affittando un pedalò o fare un breve giro in barca a motore che ha senso solo per chi probabilmente non ha alcuna esperienza di mare. Al centro un bel padiglione. Il tutto fu edificato più di 400 anni fa in memoria di un cervo. Con intorno un grezzo ed invernale piccolo spoglio parco è meta di gita, come tutti i luoghi simili, per i pakistani in cerca di tregua dal caos onnipresente di qualunque agglomerato urbano. Non irrinunciabile. Per i locali il prezzo dell'ingresso è come all'incirca ovunque di 20 rupie, mentre gli stranieri pagano praticamente sempre 500 rupie, all'incirca 3 euro e mezzo non proprio una sciocchezza visto che occorre pagare quasi ovunque.
Tutto intorno il panorama è arricchito da decine di ciminiere fumanti che sfornano continuamente mattoni. Mi ci fermo davanti per delle foto e vengo immediatamente invitato a visitarne una. La cottura avviene in due grandi spazi, usati alternativamente, in cui il calore viene convogliato. Mentre uno si riempie con i mattoni crudi portati a dorso d'asino, l'altro viene svuotato a mano dopo la cottura.
La temperatura dell'acqua effettivamente sale oltre i livelli abituali, ma non al punto da impensierire. La prima prova seria del nuovo corso dell'Ammiraglia non ha evidenziato problemi.
Torno in hotel e con un tuk-tuk mi reco al Santuario di Data Ganj Bakhsh, un poeta Sufi dell'anno mille molto famoso e venerato. Il sufismo ed i Sufi, per dirla in poche parole, sono il lato mistico dell'Islam aggiungerei Sunnita, ed i seguaci ricercano l'Assoluto, Dio, Allah, in se stessi perché questi è l'uno e qualsiasi essere non è che un suo riflesso.
Penso di assistere solo a dei canti sacri di devozione, i Qawwali, che mettono in comunicazione con Dio, ed invece mi ritrovo con centinaia di fedeli a condividere gomito a gomito riti in cui non mi perdo d'animo solo perché allenato da anni di feste di S.Agata.
Approfitto per esortare chi legge a programmare un viaggetto a Catania in occasione di questa festa che non ha eguali in Italia ed in Europa leggevo che forse solo la Semana Santa di Siviglia può reggere il confronto. In ogni caso a due passi c'è la possibilità di assistere a qualcosa di unico che difficilmente si dimenticherà. Basta andare dal 3 al 5 Febbraio giorni finali della festa, farsi consigliare sui migliori passaggi da vedere e buttarsi nella folla senza paura. Sono date fisse non importa che giorno della settimana siano. La festa in realtà inizia un mese prima, ma i due ultimi giorni sono il clou. Non ve ne pentirete, garantisco personalmente.
All'esterno i controlli sono severissimi e non si possono introdurre borse o macchine fotografiche, io riesco ad intrufolare la Leica, comunque sono ammessi i cellulari e con questi è possibile fare foto e filmati.
Solo un paio di descrizioni necessarie per capire meglio il video. La tomba del poeta è letteralmente assalita solo per un tocco con la mano o un selfie molto poco mistico. Uno della confraternita mi nota e mi fa andare avanti per poter vedere la tomba e chiaramente fare una donazione. La sosta alle finestrelle che si affacciano sull'area della tomba, in cui vedo dei privilegiati probabilmente paganti, è solo di qualche secondo. Un morto, coperto da un telo e fiori, su un letto di metallo portato a braccia viene introdotto per avere la benedizione del santo ed anche a lui sono concessi solo pochi secondi. Durante il Qawwali di un ragazzo con una voce abbastanza coinvolgente, altri della confraternita preparano sacchetti di dolciumi che verranno poi distribuiti gratuitamente insieme a tanto altro cibo. Scendo al piano inferiore dove ai lavatoi si ammassano i fedeli scalzi per una indispensabile lavata di piedi. Il pavimento è pieno di resti di cibo di vario genere e lo sento appiccicoso sotto le calze che certamente non potrò riutilizzare prima di una seria disincrostata. Nella stessa grande sala si distribuisce cibo che cerco di ottenere anch'io spingendo a tutta forza in mezzo ad una marea ondeggiante e sempre in procinto di rovinare per terra. Ognuno ha in mano un sacchetto di plastica che viene afferrato, riempito del cibo in quel momento disponibile e restituito. C'è una inutile fila, ma è più un assalto all'arma bianca in ordine sparso. Quando conquisto la prima linea, con in una mano il sacchetto e nell'altra il cellulare, quello che doveva essere riso è finito ed iniziano a riempire i sacchetti con qualcosa di liquido che non so cosa sia e che mi fa rinunciare alla lotta.
Esausto mi infilo in un tuk-tuk e, arrivato in stanza, crollo sfinito senza la forza di scrivere nulla.
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gianlucavasta
Jun 02, 2020
-------------------------------------------- Giorno 54 – 1 Gen 2020
Mi sveglio più tardi del solito. Ieri sera ho lavorato fino a tarda notte poco disturbato dai pochissimi botti, quasi nulla. Dal meccanico non c'è né lui né la macchina. La sta provando. L'Ammiraglia anche nel 2020 vuole avere un ruolo nella mia vita. Sono abbastanza in tensione, non si sa quando Amir tornerà e magari sta anche girando per qualcosa di ancora non del tutto sistemato. Me ne vado o mi prende l'ansia. Un tuk-tuk per gli Shalimar Gardens in cui non arriverò mai. In una strada mai percorsa fino ad oggi veniamo fermati ad un grande posto di blocco militare. Dopo i controlli mi dicono che io sono a posto, ma il mio autista no e non capisco perché e nemmeno cosa vogliono che faccia, ma alla fine mi dicono di risalire nel tuk-tuk a cui non permettono il passaggio e ci ordinano di tornare indietro. Imposizione veramente assurda visto che siamo in piena città e ci sono migliaia di altre strade, ma potrei non essere a conoscenza di qualcosa. Comunque dopo essere tornato indietro il mio autista, che ha cercato invano di spiegarmi la questione in punjabi o in urdu non saprei, si avvia ovviamente comunque verso la mia meta su una delle mille parallele in cui non ci sono posti di blocco. Veramente senza senso tutta la faccenda e siamo stati fermi almeno dieci minuti davanti a serissimi ed inflessibili militari. Mah.
Telefonata del meccanico. Immediato dietrofront. L'Ammiraglia è pronta e ci salgo per un emozionante giro di verifica in cui Amir mi invita a velocizzare la mia tesa, delicata e preoccupata guida. Ho paura che qualcosa mi si rompa tra le mani. Tutto bene, ma so benissimo che c'è bisogno di ben altri test. Ha cambiato il filtro dell'olio e mi dice di aver bisogno di tre ore per trovare quello dell'aria. Non riesco a restare distaccato e ad utilizzare questo tempo per riprendere l'esplorazione interrotta, quindi semplicemente vado in hotel ed aspetto lì. Puntuale mi porta l'auto. Non capisco se non ha trovato il filtro e ci vuole troppo tempo per averlo oppure se è troppo caro, probabilmente entrambe le cose. In ogni caso ha pulito con la benzina quello vecchio e mi dice che per adesso va benissimo ed in India probabilmente lo trovo più facilmente ed a prezzo più basso. Non ci credo molto, ma c'è poco da fare. Non averne portati con me è stata una vera enorme fesseria, ho pensato a tante cose e non a questi. Mi consiglia di stare attento alla temperatura dell'acqua, credo di capire che il pistone nuovo avrà più attrito, e di fermarmi se va oltre il livello di guardia.
Non ci sarà fino a martedì prossimo perché domani va con la moglie a Multan, si è sposato da solo un mese e penso che questi giorni siano la luna di miele. Incredibile, come il mio meccanico italiano che al momento è in Cile. Casuale prova dell'abisso economico che separa due mondi pur quando i costumi sono identici. In ogni caso l'assenza mi preoccupa. Dopo pochi minuti che è andato via, primo problema. Un faro non ha più il vetro. Riparto per l'officina. Mi dice che è caduto da solo ed è andato in mille pezzi e ci può stare perché è successo anche a me più di una volta con fari vecchi, ma poteva dirmelo. Aveva parlato di luci e non avevo capito, ma poteva mostrarmi il faro. Ho il ricambio e me lo monta. Mi tengo il faro senza vetro che all'occorrenza potrebbe fare comodo visto che adesso non ho più quel pezzo. Mi faccio un altro giro di prova, ma ormai è buio e torno in hotel. Domani farò un test più serio, ma ancora non abbandonerò Lahore.
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gianlucavasta
Jun 02, 2020
-------------------------------------------- Giorno 53 – 31 Dic 2019
Stamattina effettivamente trovo Amir già al lavoro.
Giornata ancora più fredda e nebbiosa. Parto per un lunghissimo giro in tuk-tuk. A 30 chilometri c'è Bahria Town in cui è stata ricostruita la Tour Eiffel. Non so se in scala 1 a 1, ma di certo è gigantesca con tanto di ascensore centrale. Non mi posso avvicinare perché è tutto transennato. Questa sera qui sarà festeggiato in pompa magna il nuovo anno con profusione di fuochi d'artificio. Resto il tempo di qualche scatto a questa autentica stranezza.
La cosa interessante è invece il luogo. Ci sono varie Town come questa nella periferia di Lahore, una specie di urbanizzazione come Milano due o tre. Hanno gli ingressi controllati ed il livello dei palazzi, dei negozi e dei locali è sensibilmente più alto che in città. Anche qui i benestanti preferiscono mantenere le distanze da ciò che li rende tali.
Un lunghissimo assiderato trasferimento in tuk-tuk di una sessantina di chilometri mi porta all'altro capo della città per un complesso di tombe del 1600 di cui il mio autista, che per oggi ho monopolizzato, non conosce minimamente l'esistenza.
L'enorme Caravanserraglio di Akbar con le sue ben 180 stanze disposte a formare un quadrato intorno ad un immenso splendido cortile con secolari contorti fotogenici alberi, è il punto d'ingresso per il Mausoleo di Jehangir.
Il luogo è pieno di vispi scoiattoli ed uno si sta deliziando con un chupa-chupa abbandonato da qualche bambino.
Un altro bel giardino ben tenuto fa arrivare ad una costruzione al cui interno c'è la lineare tomba in gradevole marmo intarsiato.
All'estremità opposta del caravanserraglio la Tomba del fratellastro Asif Khan è in pessimo stato di conservazione e solo qualche frammento di colorata decorazione ne fa comprendere la passata bellezza.
Ad un centinaio di metri, passando per un mercato affollato di gente ed animali, la Tomba di Nur Jahan dello stesso periodo è in ristrutturazione ed i confini cintati del sito sono assediati dalle case del quartiere.
Tornando all'hotel faccio un salto dall'Ammiraglia che, ripulita e con il motore già parzialmente montato, mi fa sperare in un 2020 ancora alla sua guida. Ma mi impongo, ed a ragione visto il livello dei problemi, di non credere nella resurrezione nemmeno ai primi incerti passi dell'ancora ipoteticamente rinnovato veicolo, ma solo dopo almeno duemila chilometri percorsi senza ricadute dal mio Lazzaro.
Del capodanno mi interessa solo che Amir sarà al lavoro.
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gianlucavasta
Jun 02, 2020
-------------------------------------------- Giorno 52 – 30 Dic 2019
Di Amir e della sua rassicurante certezza nessuna traccia. Sta lavorando per me, almeno spero. Il conducente del tuk-tuk di oggi non sa nemmeno dell'esistenza della Moschea di Wazir Khan mio punto di partenza nell'esplorazione di oggi. Non si fida delle mie indicazioni e dopo avermi erroneamente portato alla moschea vista ieri chiede ad un poliziotto e finalmente si convince che la strada che gli dicevo di seguire è corretta. Deve lasciarmi distante dall'ingresso perché non può entrare nella città vecchia in cui si trova la moschea.
Qualunque bazar, casba, suk io abbia visto fino ad oggi non può minimamente essere paragonato al luogo in cui entro ed in cui immediatamente mi perdo. Innanzitutto è una piccola cittadina e puoi percorrere decine di chilometri senza mai ripassare per lo stesso luogo, sempre ammettendo che arrivandoci da un altro lato uno sia in grado di riconoscere di esserci già stato. In molti vicoli, sempre gremitissimi di negozi di ogni specie, due moto fanno fatica a passare. Entrato da uno degli ingressi a nord, dopo qualche centinaio di metri trovo tutto sbarrato e non so più dove andare per proseguire, chiedo e mi viene indicata una scala che mi fa scendere di un livello. Ero quindi entrato da una strada che dopo poco, con l'abbassarsi del terreno, si era trasformata senza darne avviso in alcun modo, in un primo piano senza più sbocchi. In un turbinio di voci, odori, alimenti, oggetti, fuochi, grida, colori, animali, moto, carretti a mano e soprattutto gente, faccio fatica a mantenermi lucido e solo grazie alla mappa ed al gps arrivo alla prima moschea di oggi annegata in questo putrido ed umido inebriante ammasso liquido. Immagino con un brivido cosa possa diventare questo luogo con temperature intorno ai quaranta gradi. La moschea di Wazir Khan ed il suo cortile, da affrontare anche qui con le sole calze, sono un'oasi di relativa pace incastonata tra cadenti ammassate costruzioni. Un ragazzo approfitta delle fontanelle per un gelido shampoo. Nell'area di preghiera qualcuno dorme per terra avvolto in un sacco.
La gente è sempre cordialissima e, a dispetto delle negative impressioni che il luogo certamente può dare, dopo un po' cammino tenendo senza paura la grossa macchina fotografica in mano. Alcuni mi chiedono di far loro una foto. Ogni tanto qualche cadente elegante palazzo in cotto apre uno squarcio su uno dei mille passati di questo luogo. L'elettrificazione, enormemente più recente della pianificazione urbana, non ha trovato spazio che in strada precariamente ed inestricabilmente appesa.
Alla Moschea Sunehri, più piccola ed ancor più confusa in questo labirinto, per la prima volta in vita mia vedo un muezzin, non affacciato dall'alto di un minareto ma al caldo. Davanti ad un microfono diffonde una preghiera che si disperde confusa tra i vocianti vicoletti.
Esco da questo luogo al limitare del parco visitato ieri ed alcuni cocchieri a riposo in questo lunedì privo di gitanti si prestano ad una foto.
Di Amir nessuna traccia. A sera viene a trovarmi in hotel per farmi vedere il pistone nuovo e la testata levigata e priva di imperfezioni. A questo punto pare abbia tutto per rimettere in sesto l'Ammiraglia. Resto comunque devoto a San Tommaso.
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gianlucavasta
Jun 02, 2020
-------------------------------------------- Giorno 51 – 29 Dic 2019
Domenica. Qui è tutto aperto sempre e comunque, probabilmente sono solo gli uffici a chiudere. A piedi mi dirigo verso l'officina. I contrasti esasperati di questo luogo sono ciò che più colpisce il mio sguardo straniero. Questi cassonetti non distanti dall'hotel in cui vedrò sempre qualcuno frugare, sono svuotati ogni mattina ed anche l'area intorno è ripulita, ma ogni sera tornano ad essere sommersi da una inarrestabile puntuale marea.
Mi dicono che Amir è in giro per il pistone. Mi devo dare una svegliata, tanto non cambia nulla. Una delle più affollate città del mondo con più di 11 milioni di abitanti è a mia disposizione e non ho al momento problemi di tempo. Inizio con la Moschea Badshahi. Il tempo resta sempre nebbioso e freddo. Nei tuk-tuk le porte del guidatore non esistono e quindi non ti salvi dall'aria gelida che ti colpisce in pieno e ti avvolge.
Davanti alla moschea giovani di tutte le età giocano a cricket, sport nazionale retaggio inglese. Il Pakistan ha una delle squadre più forti al mondo.
Devo fare un lunghissimo giro perché alla moschea si accede dal Forte di Lahore ed incrocio casualmente la bottega di un serissimo barbiere senza bottega.
Occorre entrare dal Parco Iqbal che oggi è preso letteralmente d'assalto. Si accede da tornelli presidiati in cui vengono controllati gli zaini e si è perquisiti. C'è anche una piccola tenda in cui controllare le donne. È la prassi. In tutta la città può capitare di dover passare sotto un metal detector anche solo per entrare in un negozio. Ai due ingressi di un grande sottopassaggio stradale, ad esempio, sono stato sondato da poliziotti tramite un metal detector portatile. Il Parco è così esteso che ci sono un trenino e vari piccoli pulmini disponibili a pagamento. Per i romantici anche carrozze trainate da cavalli. I venditori ambulanti di cibarie ed i molti chioschi oggi incasseranno cifre consistenti.
Il Forte è grandissimo e contiene vari ampi padiglioni che incorniciano enormi cortili rettangolari con fontane asciutte al centro. Caratteristica comune di quasi tutto ciò che è visitabile a Lahore è lo stato di semiabbandono. A volte si notano cenni di ristrutturazioni assolutamente inadeguate nel numero e nella portata. L'effetto però, al netto della massa di gente che si aggira per lo più con l'aria da scampagnata, è affascinante e si riescono a percepire gli echi dei tramontati fasti.
All'ingresso della Moschea Badshahi migliaia di scarpe vengono incessantemente scambiate con talloncini numerati unica certezza di un ritrovamento altrimenti impossibile.
Non si possono indossare calzature in tutta l'area della moschea, compreso il gigantesco cortile. Quasi metà dei presenti ha i piedi scalzi, ma non sembra soffrire il contatto con il gelido antico usurato cotto. Qualche solitario seme tostato sfuggito alle fauci di un distratto visitatore mi fa fare un sobbalzo quando finisce sotto la pianta del mio inutilmente calzato piede. Per il resto il cortile sembra fortunatamente ben spazzato e privo di altri piccoli divertimenti per fachiri.
Ci sono varie coppie di sposi con relativa massa di parenti che si contendono le zone più fotogeniche e stavolta nel caos non arricchisco la serie delle foto di sposalizio.
In un'ala della moschea, in un lungo corridoio affacciato sulla folla con decine di fontanelle allineate in attesa di devoti piedi, il lavatoio è probabilmente il luogo meno frequentato e più mistico in questa mondana domenica alla moschea, forse ancor più del pur silenzioso e contrito scorrere di fedeli, a cui mi unisco, davanti alle non certe, ma solo attribuite reliquie di Mohammed Iqbal.
Stanco del bagno di folla mi riaffido ad un gelido tuk-tuk e la mente non più distratta resta bloccata sulle sofferenze dell'Ammiraglia. Trovo Amir che mi fa vedere in foto il pistone nuovo o costruito per me, non ho ancora ben capito, oltre a delle scanalature in un cilindro che costituiscono un altro problema non indifferente da risolvere. Ma come sempre non c'è mai nessun accenno di dubbio nel suo assicurarmi che si può riparare.
Approfitto per prelevare dall'auto alcune capsule di caffè che qui, a soli 180 metri di altezza sul livello del mare, ormai lontane dai turgidi trascorsi d'alta quota sembrano gli attrezzi di Siffredi dopo una dura giornata di lavoro.
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gianlucavasta
Jun 02, 2020
-------------------------------------------- Giorno 50 – 28 Dic 2019
Mi sveglio tardi, resto in hotel in attesa di Amir. Di girare non mi va per niente e poi chissà quanti giorni dovrò stare a Lahore. Ho tempo. Dopo aver vanamente atteso l'arrivo di Amir, nel pomeriggio vado personalmente all'officina. Io la chiamo officina, ma in realtà è qualcosa di completamente diverso. C'è un piccolo rivenditore di accessori auto che mette a disposizione di almeno cinque meccanici, che li condividono, i suoi attrezzi. Le auto da riparare sono posizionate sul piazzale davanti, poggiate all'occorrenza su bassi supporti che le tengono sollevate inclinandole dove necessario. Non esistono elevatori meccanici e credo di non averne visto nemmeno uno nelle migliaia di meccanici osservati al limitare di qualunque centro abitato già a partire dall'est Turchia. Al massimo hanno delle profonde buche sopra le quali viene posizionata l'auto, esattamente come ricordo da noi molti decenni fa. Perciò i clienti arrivano ed un meccanico libero si occupa del guasto. Chiaramente non è una costante e ci sono anche molti meccanici che possono permettersi attrezzi ed officina propri.
Notizie che mi preoccupano sempre di più. Non si trovano pistoni della misura giusta. Avevo purtroppo ragione ad essere dubbioso. Amir continua però a dire che può fare la riparazione. Chiaramente adesso non si parla più di rifare il motore, ma di sostituire l'unico pistone rotto. Mi dice che lo stanno facendo fare apposta e che stasera lo avrà. Mentre parliamo un tizio ben vestito parla al telefono e contemporaneamente spolvera l'Ammiraglia per leggere marca e modello. Si avvicina e tramite uno dei presenti che si sta incaricando di tradurre in Inglese per me quello che dice Amir, mi informa che sarebbe interessato all'acquisto. Mi metto a ridere incredulo e gli dico che non ho affatto intenzione di venderla. Riflettendoci poi, mi dico che forse questo è al momento l'indizio più rassicurante sull'effettiva possibilità di rimetterla in circolazione.
Un altro giorno si avvia alla fine. Vedremo se domani la situazione cambierà nuovamente, come fino adesso è successo, in conseguenza di nuovi sviluppi della trama.
Ero assolutamente cosciente del fatto che avrei avuto questo tipo di problematiche ed adesso sto realmente mettendo a dura prova le convinzioni, che mi hanno indotto a partire, sulla possibilità di un'auto come l'Ammiraglia di poter essere rimessa in sesto in qualche modo. Certo avrei preferito iniziare con qualcosa di meno grave.
Faccio un giro più per noia che per l'effettiva necessità di trovare un cambia valute. A parte una vicina piccola interessante strada disastrata e sporchissima dove si ammassano negozietti di ogni genere accanto alla quale c'è il meccanico, al di là di un grande vialone nel cui spartitraffico è posizionata una schiera di pannelli luminosi che instancabilmente trasmettono pubblicità, è un susseguirsi di tristi luccicanti lussuosissimi hotel, mall, ristoranti e grandi negozi di marche anche occidentali. Ci passeggio in mezzo come farei in qualunque altro luogo simile, tristemente e disperatamente curioso di trovare qualcosa di interessante. Entro perfino in una pizzeria a due piani super moderna con decine di camerieri in divisa ed ordino una pizza al bbq solo per eliminare almeno per stasera il problema cena e non essere costretto a mangiare in camera il comunque ottimo pasto che ordino all'hotel. Fortunatamente ho ancora da pubblicare e scrivere degli ultimi giorni passati nella serena esplorazione delle nascoste parti certamente migliori ed immensamente più importanti e vere di questo mondo sconosciuto.
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gianlucavasta
Jun 02, 2020
-------------------------------------------- Giorno 49 – 27 Dic 2019
Vado innanzitutto dal meccanico e trovo già il motore totalmente smontato e lo spettacolo dell'Ammiraglia così profanata mi rattrista enormemente. Il danno è il peggiore possibile. Un pistone ha la fascia di guarnizione rotta ed è anche scheggiato e danneggiato. Si parla quindi di necessità del nuovo e non più di riparabile. Diciamo che devo praticamente rifare il motore. Ero preparato mentalmente a questa possibilità. Continuano a ripetermi che è possibile trovare i pistoni nuovi ed altro, ma sarò tranquillo solo dopo che li abbiano trovati, che l'Ammiraglia riprenda a cantare e che continui a farlo per qualche migliaio di chilometri. Purtroppo non ho con me l'albero a camme che avevo trovato in Germania, ma non acquistato, e che sarebbe meglio sostituire. Peccato, ma vediamo prima se trovano i pezzi. Mi riparlano di soldi, non capisco bene, ma è ovvio che la cifra sarà eventualmente diversa dai 250 euro prospettati. Continuano a parlare di 5 giorni per fare tutto. Sarà.
Mi devo recare all'ufficio governativo dove estendere il visto che mi scade il 31 Dicembre. Non distante. Vado a piedi per cominciare a prendere confidenza con il luogo in cui passerò certamente vari giorni. Ad ogni passo farei mille foto e mille domande, ma non ho lo stato d'animo adatto. Solo un venditore di “calia e simenza“ che viene tostata nella sabbia incandescente, con il suo richiamo alla natia Sicilia, mi fa estrarre la Leica per uno scatto veloce.
Mentre passo davanti alla banca in cui so di dover pagare la quota ancora ignota necessaria per ottenere l'estensione, il mondo che al mio sguardo estraneo sembra una totale analogica disorganizzazione mi chiama richiamato proprio dalla mia estraneità. Un addetto davanti alla banca ha i moduli da compilare per il potenziale pagamento e mi aiuterebbe se già sapessi la cifra necessaria. Mi viene in mente il primo incerto e preoccupato approccio con la linea aerea interna in Tanzania in cui la gestione dei voli avveniva solo con il cartaceo e che dopo vari cambi aereo coordinati al secondo e fatti direttamente sulla pista con tanto di velocissimi e perfetti trasferimenti di bagagli, godette della mia incondizionata fiducia che non risultò mai malriposta.
All'ufficio per stranieri ho la buona notizia che, a differenza di quanto mi era stato detto dall'agenzia pakistana di Gilgit, la data di fine validità del visto si riferisce all'ingresso nel paese e quindi ho a disposizione più di un mese ancora dato che il mio ha una durata di 45 giorni. Ho tempo. A sufficienza. Un po' rinfrancato osservo questo pianeta sconosciuto con maggiore attenzione mentre torno in albergo.
Una adorabile gatta, nel caos, nella polvere e nella precaria pulizia della strada, non cede a quanto gli sta intorno e, dopo aver coscienziosamente fatto una piccola buca per i suoi escrementi, la ricopre con cura nascondendoli alla vista ma soprattutto all'olfatto dei rivali nel territorio. Seppur con immensa difficoltà, i gatti sopravvivono certamente meglio dei cani probabilmente tollerati per via della loro funzione derattizzante.
Nel pomeriggio torno dal meccanico. Non hanno trovato i pistoni in due posti, ma stanno cercando da un rivenditore che asseriscono abbia accesso a qualunque cosa si trovi in Pakistan ed ai miei dubbi risponde facendomi vedere una suzuki giapponese che hanno riparato, ma è molto più recente ed il marchio qui è comune e quindi la cosa non mi tranquillizza per niente. Torno in hotel ed a sera Amir, il meccanico, mi viene a trovare e l'unica cosa che mi sembra di capire è che hanno trovato i pistoni e domani pomeriggio mi viene a prendere per portarmi in officina. Ma ci crederò solo quando sarò di nuovo alla guida. Intanto è passato un giorno.
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gianlucavasta
Jun 02, 2020
-------------------------------------------- Giorno 48 – 26 Dic 2019
Santo Stefano in una città considerata sacra dai pakistani credenti, come ho appreso durante una sosta ieri dall'unico che parlava perfettamente inglese dei molti che mi si sono avvicinati durante una sosta. Pare che dal nord in molti si muovano alla volta di Multan per visitare i suoi luoghi sacri. Dopo un veloce check all'Ammiraglia, mentre sto per lasciare l'hotel per un giro in città, mi fermano alla reception e mi dicono che posso uscire, ma solo accompagnato da uno della loro sicurezza. La mia reazione è solo di rabbia e chiedo loro perché ieri sera non mi abbiano informato. Furibondo decido su due piedi di lasciare l'hotel e Multan alla volta di Lahore, non ne posso più di scorte. Con l'Ammiraglia faccio comunque un giro in città. La situazione caotica sulle strade non è razionalmente compatibile con un semplice parcheggio e seguente visita dei luoghi che avevo in mente e che, almeno dall'esterno, non mi sembrano granché. Mi dirigo verso l'autostrada e fortunatamente, capirete tra poco perché, rinuncio anche a tornare indietro per una visita ad un mausoleo 130km a sud saltato ieri per mancanza di tempo. La nebbia è ancor più densa e compatta di ieri.
Faccio il pieno e noto che l'Ammiraglia non regge il minimo ed appena si abbassano i giri del motore si spegne. Strano, ormai ho fatto vari chilometri ed il motore non è più freddo. In autostrada sento che la già poca potenza dei vecchi 1100cc è sensibilmente più bassa del solito. Mi fermo e per tenere il motore accesso devo aprire abbondantemente l'aria. Qualcosa non va di sicuro. Tolgo il tappo del filtro dell'aria e vedo olio dappertutto. Ci siamo. Ecco il primo problema serio. Contatto il mio meccanico tramite Whatsapp. Sta in Cile in viaggio di nozze e mi consiglia intanto di staccare il condotto che va dal tappo dell'olio al filtro dell'aria per non continuare a mandare olio nel carburatore. Mi dice le possibili cause e nessuna è di semplice riparazione. Mi mancano duecento chilometri a Lahore e devo assolutamente arrivarci. L'Ammiraglia non si è mai fermata per strada nemmeno con le fasce rotte e, aggiungendo ogni tanto olio che adesso si sparge sull'asfalto senza fare altri ulteriori danni, entro in città. Con l'aria completamente aperta per non far spegnere continuamente il motore nel traffico mi reco all'Hotel 12J. Pur con una situazione totalmente diversa dalle altre città pakistane, vedo per la prima volta semafori e vigili, ci metto più di un'ora. Niente camere libere. Un gentile tizio che parla inglese e si trova lì per delle foto alle camere da inserire sul suo sito in cui è possibile prenotare online, mi accompagna a piedi ad un hotel vicino anch'esso gestito da lui e mi assicura che è buono e mi farà avere un buon prezzo. Non mi piacciono né le camere né il buon prezzo. Mentre torniamo, in un altro anonimo hotel dei tanti in zona mi fermo io autonomamente ed il prezzo è da furto rispetto alla qualità delle camere. Mi rassegno a ripartire con l'Ammiraglia, ma prima su booking online ne voglio vedere altri. Scopro così che il 12J, nel cui parcheggio sto facendo la ricerca, ha su booking 3 camere libere. Alt! Torno alla reception e mi dicono che non è possibile e mi invitano ad andare avanti nella prenotazione che sarà certamente bloccata successivamente. Completo la prenotazione che in più è non rimborsabile. Ed adesso come la mettiamo? Faccio vedere la conferma. Vanno in crisi. Telefonata al proprietario e dopo gran confabulare e controlli online viene fuori la camera. Miracoli del web. Pure ad un prezzo per qui più che buono di 17 euro circa. Ho finalmente un punto di riferimento. Scarico l'auto per adesso dei soli bagagli, come sempre. Meccanici? Uno a duecento metri. Vado. Capisce al volo di che si tratta. Ok, possibile. Mi chiedono 250 euro per l'intervento. No problem, ma so benissimo che se non aprono il motore la fattibilità ed il costo sono solo dialettica. Scarico tutto il possibile nella camera che fortunatamente è ampia perché da tre posti. L'Ammiraglia stanotte non l'avrò sotto la finestra.
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gianlucavasta
Jun 02, 2020
-------------------------------------------- Giorno 47 – 25 Dic 2019
In un anonimo e qui sconosciuto giorno di Natale mi separo dai casuali compagni di viaggio. L'hotel ha comunicato di noi alla polizia che, prima dice di aspettare per scortarci per i non più di 5 chilometri che mancano alla città, poi cambia razionalmente idea. Siamo finalmente liberi. I Bulgari hanno trovato su internet dei rivenditori di ricambi auto e si avviano per primi. Gli olandesi non hanno programmi ed io decido di dirigermi verso Multan. Dopo poco, per la prima volta da solo in Pakistan, imbocco la principale modernissima e recente arteria autostradale del paese che qualche ideogramma che vedo mi fa supporre costruita con il supporto cinese. I rapporti tra i due confinanti paesi devono essere al momento ottimi. La ragazza con gli occhi a mandorla, entrata con me dall'Iran, non aveva avuto necessità di visto.
A velocità di crociera viaggio a circa cinque metri d'altezza rispetto alla campagna circostante. Un terrapieno, interrotto da piccoli sottopassaggi che mettono in comunicazione i due lati altrimenti irrimediabilmente separati, è la base per otto vuote ampie corsie, quattro per ogni verso di marcia compresa quella d'emergenza. Le nuove, poco fantasiose, tutte assolutamente identiche e già completate aree di servizio sono ancora chiuse e solo in un paio ci sono dei furgoni per un veloce pasto, la moschea aperta ed i bagni. Per il rifornimento occorre uscire ai caselli e poi rientrare. I biglietti all'ingresso e la riscossione del pedaggio non sono compito di freddi marchingegni che ti salutano con un metallico e chissà perché solo femminile “Arrivederci”, ma affidati a sorridenti addetti che calorosamente mi augurano buona permanenza in Pakistan ed a volte mi intrattengono in lunghi tentativi di dialogo. Pochissimi conoscono l'inglese.
Costi non paragonabili a quelli italiani, ma nemmeno indifferenti. Per 400 chilometri pago un totale poco superiore ai 10 euro. In ogni caso mi è ormai evidente che i prezzi degli hotel sono mediamente alti, la benzina è poco sotto l'euro al litro e l'economico Iran è ormai un ricordo.
La giornata è padanamente nebbiosa, situazione che resterà pressoché invariata.
Dopo queste necessarie e relativamente interessanti informazioni, veniamo a ciò che invece noto quasi subito ed è totalmente inaspettato ed incredibilmente fruttuoso.
A ridosso della ininterrotta alta rete metallica che corre parallela all'autostrada e che separa due mondi e due tempi lontanissimi tra loro, come impresso su una infinita pellicola, scorre e mi si apre senza veli o interferenze dovute alla mia stessa presenza indagatrice il Pakistan rurale al quale certamente non avrei possibilità di accesso alcuno nemmeno rimanendo qui per mesi. Mi è regalato uno sguardo sopraelevato, privilegiato e soprattutto spesso nascosto nella sua vera portata ai soggetti, che mi fa entrare, grazie ai mezzi fotografici che ho con me, totalmente dentro la vita quotidiana dei campi e delle case dei contadini e delle loro famiglie. Un Pakistan che penso precluso anche agli stessi pakistani dei centri abitati. Dopo un inizio scoraggiante in un paio di piccolissimi villaggi dove la vita si svolge tra i rifiuti, scopro la pulizia oltre che la serenità della campagna i cui sparsi, ma non isolati, occupanti vivono apparentemente in pace con il mondo e con se stessi una certamente povera e dignitosa vita. Una delle poche costanti moralmente negative è la visione del lavoro che è quasi solo femminile con poche eccezioni. A volte gli uomini, che qualche volta controllano e sovraintendono, hanno in mano delle robuste verghe che mi fanno pensare a sferzate di incitamento che spero siano solo nella mia fantasia.
La descrizione delle singole foto della lunga sequenza che segue la lascio ad un lettore che spero attento ai mille particolari più o meno evidenti che evito di sottolineare in modo che ognuno possa coglierne di suoi. Unica nota la riservo alla foto dei bambini che giocano “outside the wall” i quali alla vista del lungo teleobiettivo che fuoriesce dal finestrino, dopo che ho fatto solo un paio di scatti, scappano precipitosamente quasi tutti verso le case alle loro spalle. Una reazione totalmente inaspettata che mi sorprende immensamente e mi fa riflettere, assolutamente identica a quella dei tanti uccelli che casualmente incontro, inconsapevoli del mondo al di fuori delle loro istintive necessità.
Alla fine di questa intensa giornata che da sola, almeno per me, costituirebbe motivo di visita del Pakistan, mi avvio verso l'hotel che dopo una ricerca su internet mi ha convinto maggiormente. Il traffico continua ad essere totalmente incontrollato ed incontrollabile, solo impercettibilmente meno infernale che a Quetta.
All'arrivo un'amara sorpresa, anche a Multan e nel sud del libero e sicuro Punjab in cui sono adesso, solo pochi hotel possono accogliere stranieri. Vengo indirizzato quindi verso il Bling Hotel in cui accetto forzatamente una camera a circa 32 euro a notte. Vorrei rimanerci comunque due notti per visitare la città e qualcosa nei dintorni. Mi dicono che con il buio non posso uscire, ma questo non è un problema.
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gianlucavasta
Jun 02, 2020
-------------------------------------------- Giorno 46 – 24 Dic 2019
Finalmente arriva quello che dovrebbe essere l'ultimo giorno con i Levies.
Io e la coppia Bulgara dopo poco ci uniamo ad un'altra coppia olandese conosciuta ieri agli uffici per il NOC con un bel Toyota sei cilindri in cui dormono anche. Ovviamente il Toyota è privo di elettronica. Questi sono viaggi che sarebbe abbastanza folle affrontare con auto recenti che vengono vendute ormai pubblicizzandone i gadget e non i motori. Non hanno lasciato a casa il loro grosso cane che ogni tanto sporge la testa fuori anche lui incuriosito. Nei paesi islamici i cani, ormai popolarmente visti come impuri, non hanno certamente vita facile. Per qualunque razza alcune centinaia di chilometri possono segnare una casuale immensa differenza di vita.
Fortunatamente i cambi ed i controlli sono adesso di gran lunga inferiori e questo mi costringe però a scattare prevalentemente al volo ed alla cieca mentre procedo. Lo spettacolo che si rappresenta lungo le strade è sempre vario, per me inconsueto ed affascinante.
L'unica auto della carovana che è dotata di elettronica, quella dei Bulgari, comincia ad avere problemi. Dapprima pensano che al rifornimento abbiano loro messo benzina al posto del diesel e vengono quindi trainati dal Toyota, ma poi fortunatamente questa ipotesi viene scartata e si rimettono in marcia. Anche la batteria non ce la fa e si deve far ripartire l'auto collegando a quella del Toyota. Con lo scandinavo commentiamo che la sua e la mia continuerebbero ad andare all'occorrenza anche senza batteria. Alla fine sembra “solo” un problema di filtri aria e carburante che però tende a far arrestare l'auto in attesa di soccorsi e ne fa abbassare notevolmente la potenza. L'olandese è evidentemente esperto e sostituisce ad un certo punto il filtro aria con un pezzo di t-shirt per impedire che l'elettronica non permetta di procedere.
Al confine tra Belucistan e Sindh i Levies ci lasciano nelle mani della normale polizia pakistana. Si è fatto buio ed i cambi scorta, mentre ci avviciniamo a Sukkur, diventano frequenti e sono effettuati al volo senza fermare la colonna. La precedente rallenta e seguiamo la nuova che si è già avviata. A non più di 10 chilometri da Sukkur, in uno strombazzante traffico già intenso e caotico, ci perdiamo la scorta. Ci sono auto private che hanno delle piccole luci lampeggianti rosso-blu come quelle della polizia e clacson che ricordano la sirena. Il bulgaro ad un cambio si mette a seguirne una, ma è evidente che non si tratta della nostra scorta anche perché procede a 100 km/h quando al massimo andavamo a 70. Questo scambio è potuto accadere perché a volte le auto della scorta sono delle normalissime vetture private. Dopo un po' lo sorpasso e lo blocco. Anche gli olandesi si erano accorti dell'errore, ma era meglio restare insieme e quindi come me non si sono fermati. Ormai è buio e dopo aver atteso invano per una decina di minuti l'arrivo della smarrita scorta decidiamo di procedere verso un hotel in mappa a pochi chilometri. Domani si vedrà.
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gianlucavasta
May 31, 2020
-------------------------------------------- Giorno 45 – 23 Dic 2019
Verso le 11 veniamo prelevati dai Levies e scortati all'ufficio per ottenere il NOC, il permesso per il Belucistan che ancora non so assolutamente a che serve visto che non ti puoi muovere senza scorta anche possedendolo. Forse per il ritorno. Sono arrivati tutti in moto e quindi io ed i due bulgari dobbiamo stiparci all'interno di un Tuk-Tuk, dei risciò a motore chiusi a tre ruote poco più piccoli di un'ape Piaggio. Giá provati in Cambogia sono divertenti e sgusciano dappertutto. Sono il principale mezzo di trasporto nelle città.
La situazione agli uffici è interessante. Grandi archivi pieni di incartamenti. Ci sono i computer, ma ancora funziona tutto con il cartaceo. Per il permesso non c'è stato alcun passaggio telematico di alcun tipo. Accanto alle scrivanie hanno stufe a gas ormai annerite e deformate dall'uso e soprattutto pentole e grossi fornelli da campeggio con cui prepararsi thè e qualunque altra cosa, comodo. Qui incontro altri viaggiatori.
La gerarchia è evidente e ferrea. Dopo un paio di giri, alla fine siamo condotti da un serissimo mega direttore galattico con enorme scrivania, abbigliamento occidentale e piccola schiera di ossequianti segretari. Con lui restiamo solo per il tempo di una sua firma, ma è chiaramente il passaggio chiave. Nel suo ufficio la stufa è nuova e non ci sono fornelli.
Chi non ha l'auto viene poi condotto alla biglietteria della stazione per prendere il treno. Riesco a rubare una foto ad uno sciuscià a cui permettono di sedersi per terra vicino alla camionetta in cui siamo stipati in 10, solo perché la ragazza cinese vuole farsi lucidare le scarpe.
Chiedo di essere portato ad acquistare una sim e mi scortano fin dentro un ufficio della compagnia telefonica Kong che dovrebbe essere la migliore e con connessione ovunque. Ci sono sei sportelli ed almeno 50 persone in attesa. Mi fanno passare avanti a tutti. La febbre per i cellulari non ha confini. 30 Gb per un mese a circa 10 euro.
Sono ormai le tre ed è ovvio che la prigionia non è finita. Altra notte in hotel, si parte domani mattina scortati. Io ho beccato il fine settimana, ma comunque per arrivare dal confine iraniano ed essere poi fuori dal Belucistan liberi di muoversi occorre calcolare almeno quattro giorni. Enjoy.
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gianlucavasta
May 31, 2020
--------------------------------- Giorni 43 e 44 – 21 e 22 Dic 2019
La temperatura notturna è sotto lo zero, l'acqua bollente e la stufa a gas che fortunatamente non puzza sono una benedizione. Colazioni, pranzi e cene mi vengono serviti in camera ed a volte li consumo al sole in giardino. Un giardiniere anziano in turbante elimina qualche coraggiosa erbaccia che si ostina a crescere in questo ormai iniziato inverno e, mentre mangio, mi fa sentire un aristocratico inglese di un secolo fa. Letto decente. Niente di lussuoso né di paragonabile agli hotel iraniani, ma c'è l'indispensabile per il comfort e sufficiente pulizia al costo non alto di circa 17 euro a notte chiaramente pasti esclusi. Passo due giorni prevalentemente a scrivere ed a leggere. Qualche blackout elettrico interrompe ogni tanto le comunicazioni. Del terremoto nel nord qui non c'è stata nessuna percezione. Sono sereno e parzialmente rilassato mentre i due bulgari, soprattutto la moglie, passano almeno il primo giorno visibilmente alterati. Non nego che rimarrei ancora e non è detto che non debba farlo per forza. Penso di andare direttamente a Multan invece che a Sukkur, per essere già più a nord, ma fino a lunedì, in questo mondo di poche certezze che non mi disturba, non saprò nulla di preciso e quindi è inutile fare programmi, solo liquide ipotesi.
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gianlucavasta
May 31, 2020
-------------------------------------------- Giorno 42 – 20 Dic 2019
L'espresso che riesco a prepararmi perfino in questa posticcia inospitale diroccata replica di occidente mi rinfranca come mai prima e mi mette perfino di buon umore. Tutti provati dalla nottata ripartiamo per gli ultimi 350 chilometri.
La colonna si è arricchita dell'auto dei bulgari e della bicicletta del serbo che intende arrivare a giugno in Giappone per le olimpiadi. Ovviamente la bicicletta viene caricata ed intasa il già precario spazio dei mezzi dei Levies che spesso sono dei pick-up malamente riparati dal vento in cui le ragazze ed il serbo soffrono il freddo.
L'Ammiraglia è la mia oasi. La giornata è oggi piacevolmente soleggiata. Non oso immaginare le temperature estive.
La velocità e le continue interruzioni restano immutate con l'aggiunta di soste per il tè.
Avvicinandosi a Quetta i villaggi migliorano nell'aspetto. Le pompe di benzina moderne sono pochissime ed alcune sono in fase di installazione, molti vendono carburante lungo la strada nelle taniche, io ho le scorte iraniane. Con il sole gli incredibili addobbi dei camion pakistani famosi in tutto il mondo brillano coloratissimi. Sul retro hanno spesso anche il ritratto del conducente.
Check Point e caserme non hanno mai fine. Studenti escono da scuola. Compro e mangio due uova sode da un ambulante ad una sosta. Belle panciute ciminiere sfornano mattoni in cotto. Un solitario negozio è affiancato da una moschea Dogvilliana che sembra disegnata in terra da Von Trier.
Arriviamo a Quetta con il buio, in alcuni tratti siamo andati a 50 orari e sono sfinito. Prima della città apprendo che all'hotel prenotato per ieri, a cui comunque volevo andare per cercare di non perdere la cifra pagata, non possono accompagnarmi perché solo tre hotel di Quetta sono abilitati ad accogliere stranieri. Fortunatamente non ho avuto al momento prelievi sulla carta di credito. Ci porteranno all'Hotel Bloom Star. Bloom… ed immediatamente le mente mi porta a Leopold, Joyce ed all'Ulisse letto molti anni fa e certamente il testo più complesso mai affrontato. Sulla camionetta dei Levies le ragazze ed il serbo sono stipati al punto che l'unico soldato deve tenere in mano il recipiente metallico con un fuoco di legna acceso dentro che poco può contro il freddo ormai intenso della notte.
Da qui in poi non riesco più a fare foto perché devo restar loro incollato a meno di un metro. Appena lo spazio tra noi si allarga di pochi centimetri vi si infilano tutti i veicoli e pedoni circostanti senza alcuna paura di scontrarsi con me o tra loro. L'ingresso a Quetta è una vera e propria odissea e per la prima volta nella mia vita mi chiedo se sarò in grado di affrontare, al timone di quella che mai come ora a ragione chiamo Ammiraglia, il mare in tempesta in cui sono. Migliaia di individui, risciò a motore, moto, biciclette, auto e camion si contendono in un caos senza eguali una piccola strada ai cui lati scintillano botteghe di ogni sorta. L'aria è gioiosa e festante. Le donne a volte solo con gli occhi scoperti hanno, a differenza dell'Iran, vestiti colorati. Il poliziotto con la mano cerca inutilmente di far allontanare tutti quelli che si avvicinano strombazzando a meno di dieci centimetri e penso che è un bene non ci siano ancora veicoli volanti perché almeno da quella direzione sono certo che non arriverà nulla.
Incatenato all'auto dei Levies tra questi impazziti flutti cerco di mantenere la calma per poter almeno ascoltare, senza il filtro cerato e rassicurante dei finestrini che ho parzialmente abbassato, il richiamo pericoloso delle circostanti mille sirene che vorrebbero distrarmi dall'attenzione al mantenimento della rotta. I miei occhi devono restare incollati sull'assenza della targa della mia scorta.
Dopo mezzora di questo procedere ci fermiamo in mezzo al mare formando un piccolo scoglio con i veicoli per poter parlare tra noi. Si va direttamente all'hotel Bloom senza passare dalla stazione di polizia. Il parcheggio privato ci si apre come un porto sicuro che si richiude dietro di noi. Spero vivamente che non sia così sempre in Pakistan ed India.
Pessime notizie. Domani è sabato e fino a lunedì non possiamo avere il NOC, il permesso per stare in Belucistan indispensabile per andar via da Quetta. Nessuna alternativa. Lo stesso dicasi per l'acquisto di una sim che è possibile per noi stranieri solo in grossi centri anch'essi chiusi. Non è finita qui. Con o senza NOC non possiamo comunque mettere nemmeno il naso fuori dall'hotel e mi sarà negato pure il recarmi ad un ristorante di fronte ed a non più di cinque metri dall'ingresso del parcheggio. Io mi rassegno anche perché ho molto da scrivere e lavorare e soprattutto devo fare una sosta che probabilmente non mi sarei concesso volutamente, le ragazze ed il serbo riescono a farsi portare alla stazione di polizia per non pagare le stanze, mentre la coppia bulgara non accetta la situazione, ha un visto che scade il 28 e deve anche riprendere quello iraniano dato che il Pakistan è il punto di arrivo del loro viaggio. Non ottengono ovviamente nulla e si rassegnano anche loro a questa per me confortevole prigionia. Non erano preparati a tutto ciò, è evidente, fanno dei paragoni improponibili con l'Iran. Come dico loro l'Iran, pur con le sue notevoli differenti peculiarità, è ancora fondamentalmente Europa mentre qui ha inizio la vera Asia. La mia amata Penelope dalla nostra Itaca mi fa giustamente osservare che in Iran c'era lo Scià che era legatissimo all'occidente ed è rimasta qualche traccia di questo legame. Devo però chiarire per l'Iran che quanto affermo credo sia quasi impossibile da percepire se scaricati da un volo senza un lento spostamento di terra verso l'est.
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gianlucavasta
May 31, 2020
-------------------------------------------- Giorno 41 – 19 Dic 2019
Al confine di Taftan scopro finalmente che Hamid dovrebbe essere un funzionario della dogana avendo qui anche un ufficio. Il condizionale che uso si può capire solo con una esperienza diretta di luoghi e situazioni simili ed in caso contrario risultare totalmente incomprensibile.
Hamid è di enorme aiuto e si occupa di ogni documento e per tutti i suoi servigi non spendo una lira come per la cena di ieri, anzi ho risparmiato con la benzina che non ho pagato. Quindi non posso che unirmi al coro e consigliare anche ad altri di contattarlo se si passa di qua. A me e Silvia si unisce anche un'altra giovanissima ragazza cinese arrivata al confine autonomamente ed Hamid si occupa anche di lei. Avendo l'auto io devo passare attraverso altri uffici e mi separo da loro due. Purtroppo l'aiuto di Hamid termina con il lato iraniano.
PAKISTAN
Le formalità in Pakistan non sono così complesse come mi aspettavo e c'è sempre qualcuno che via via ti dice dove andare. Nei primi ampi saloni, ai banchi di funzionari che espletano varie formalità, sono fianco a fianco con un'umanità in transito che già ora mi permette di capire quale taglio netto ci sia con tutto ciò che si trova ad ovest di questo confine.
Vengo poi preso in carico da quello che dovrebbe essere un poliziotto, senza alcuna divisa e ne vedrò altri persino in abiti tradizionali, che facendomi da staffetta in moto mi porta finalmente oltre la dogana alla stazione di polizia dove ritrovo le ragazze,
e da qui a piedi vengo portato ad un ultimo ufficio per i timbri sul Carnet de Passage.
Queste informazioni le scrivo dettagliatamente perché online di questa frontiera c'è pochissimo, quasi nulla, e molti viaggiatori non vi accennano nemmeno. Chiaramente qui tutto è allo stato liquido e domani potrebbe avere una forma totalmente diversa, questo è sempre e comunque da tener presente.
Per fare una foto al cortile della stazione di polizia metto i piedi dentro un piccolo spazio delimitato da file di sassi ed immediatamente mi dicono di uscirne, è la loro moschea. Quello spazio è sacro ed io con le scarpe lo sto profanando.
Apprendo che è impossibile proseguire senza scorta e che ne organizzeranno per noi una domani mattina, quella di oggi è partita stamattina verso le 9 o le 10 con una coppia di bulgari in auto ed un serbo in bicicletta. Comincio a fare un po' di teatro a cui mi ero preparato. Faccio vedere la carissima, 50 euro a notte, prenotazione di un hotel a Quetta città in cui si arriva con la scorta e parlando con vari funzionari, cercando di capire dall'atteggiamento quali sono i più alti in grado, alla fine riesco ad ottenere che si parta subito… quasi subito. Si va, anche le ragazze sono contente e mi metto tranquillo e concentrato per una lunga veloce guida anche notturna. Dopo un chilometro sosta all'adiacente viaggio di Taftan per il rifornimento. Io non ho problemi.
L'impatto con il Belucistan è duro. Siamo a due passi dall'Afghanistan e qui le etnie si mischiano, ma la curiosità delle mille profonde evidenti differenze con l'Iran sono quasi annullate dal vedere la totale indifferenza verso una vita immersa in una gigantesca umida pattumiera in cui nuotano o volano rifiuti, che qui sarebbero assolutamente superflui, comunque arrivati al seguito di un ipotetico progresso che, solo, non conosce confini e non necessita di visti.
Mi ritornano in mente, e chissà quante altre volte accadrà, i due giovani pastori solitari e sperduti con il pranzo in due fazzoletti intrecciati invece che in una comoda e facilmente reperibile e sostituibile busta di plastica.
Finalmente si parte. La sequenza di cambi di auto, a cui io non sono fortunatamente costretto per via dell'Ammiraglia, e di checkpoint è impressionante. Per i primi 100 chilometri facciamo una sosta mediamente ogni 7 od 8, estenuante. In mezzo si viaggia a non oltre 60 o 70 chilometri orari e l'Ammiraglia soffre per motivi totalmente diversi da quelli attesi. Ai checkpoint, su quaderni approntati in maniera sempre diversa, occorre ogni volta scrivere nome, cognome, numero di passaporto, nazionalità, date di scadenza e validità del visto, e così via. Va peggio dove invece a scrivere è un qualche poliziotto o militare che capisce a stento cosa gli diciamo ed ha difficoltà con i caratteri latini. Fortunatamente, nonostante la grigia giornata annuvolata, il paesaggio di questo deserto mi distoglie dalla monotonia e lentezza dello spezzettato procedere. In alcuni tratti particolarmente ventosi e pianeggianti, da basse dune a volte di tipo sahariano la sabbia si solleva e ricopre tratti di asfalto.
Si è fatto buio e la velocità delle scorte rallenta ulteriormente. Abbiamo percorso solo 250 chilometri dei 650 totali. Andiamo così piano che guidando ho potuto tranquillamente mangiare con un cucchiaio e senza problemi una scatola di fagioli della mia dispensa italiana accompagnandola con del pane arabo iraniano. Non si è versata nemmeno una goccia e non è caduto nessun fagiolo. Metto addirittura la lampada frontale e leggo qualcosa sempre mentre guido tenendo d'occhio l'auto dei Levies, così si chiama la polizia che ci scorta, davanti a me. Questo può forse dare il senso della situazione. Ormai è buio da un pezzo e nemmeno la lettura riesce a tenermi sveglio e distogliermi dalla noia non più mitigata dal panorama che è diventato oscuro. Mi monta la rabbia. Mi fermo a lato strada ed aspetto a vedere che succede. Tornano indietro a cercarmi dopo un po'. Gli spiego che non posso guidare a quella velocità ridicola di notte perché sono stanco e mi addormento. Ok, andremo più veloci… a parole. Nessun sensibile cambiamento. Veramente furibondo e senza problemi a tenere gli occhi aperti, li sorpasso. Immediatamente li distacco anche se non posso andare oltre i 90 chilometri orari per via dei numerosi camion e della strada stretta e spesso dissestata. Li rivedo dopo una quindicina di minuti nello specchietto. Hanno acceso le luci rosse e blu rotanti e mi stanno venendo a riprendere. Mi preparo a ricevere una bella strigliata. Invece mi si mettono dietro, mi segnalano con i fari che ci sono e non mi superano. Mi fanno continuare davanti. Più che aver capito, sanno cosa succederà dopo poco. Questo procedere finalmente adeguato al lungo percorso viene infatti interrotto dopo pochi chilometri. Mi superano e ci fermiamo in uno dei pochi villaggi di media grandezza che si trova all'incirca a metà strada, Dalbandin. C'è un hotel e capisco che non hanno affatto intenzione di andare oltre per oggi. Faccio abbastanza casino spiegando dell'hotel prenotato, dei soldi che perderò, del fatto che alla partenza avevano detto che saremmo arrivati a Quetta. Fanno arrivare da un checkpoint più avanti un più alto in grado, mi dicono di aspettare dieci minuti e che dopo potremo continuare. Balle. Quando arriva non fa altro che ribadirmi comunque gentilmente che non c'è nulla da fare e mi spiega che è pericoloso continuare di notte anche se è molto vago nello spiegare perché. Stavolta non ottengo nulla. Oltretutto fermi qui ci sono anche la coppia di bulgari ed il ciclista serbo partiti da Taftan svariate ore prima.
Le ragazze sono costrette a prendere comunque una stanza perché alla richiesta di mettere la tenda nel parcheggio dell'hotel, chiuso da un robusto cancello, viene loro detto che lì non possono garantire della loro sicurezza. In quella che prendo io scelgo di dormire sì sul letto, ma con il mio sacco a pelo. In bagno lo sciacquone non funziona, lo apro per controllare e dopo un po' mi rendo conto che non ci sono proprio i tubi che portano l'acqua. Una piccola brocca da riempire ad un rubinetto vicino è il vero scarico. Mi farò portare un secchio più grande. Il lavandino non ha scarico e l'acqua viene deposta in terra da un tubo e scorre per qualche metro fino ad un buco che la smista chissà dove. Ovviamente non avrebbe senso che ci fossero acqua calda e riscaldamento. Un divano sfondato completa l'arredamento. La stanza e l'hotel sono una scenografia, dei vecchi e sbiaditi pannelli posticci in cui è solo malamente disegnato lo sconosciuto occidente che arriva in questi luoghi che oltrepassano anche il concetto di frontiera. Sarebbe molto meglio stare sotto una tenda con il deserto come sala da bagno. Nei centri abitati incontrati ho visto la stessa situazione. Dove le costruzioni erano ancora quelle tradizionali di questi luoghi, in mattoni cotti o crudi fatti di terra ed acqua, l'insieme aveva un aspetto gradevole e soprattutto relativamente pulito nonostante l'immensa povertà del vivere. Dove invece c'era una rappresentazione di luoghi così lontani dal quotidiano da non essere per nulla noti, con costruzioni in mattoni di cemento e negozi pieni di coloratissima ma povera mercanzia, e quindi una disponibilità economica certamente superiore, l'unica cosa che risaltava era il degrado. Qui, nonostante gli spazi immensi e vuoti a disposizione, non ho per nulla notato nemmeno la comune pratica del seppellimento dei rifiuti appena fuori dai luoghi abitati, semplicemente il problema sembra non esistere esattamente come non esisteva molti decenni fa nell'assenza di materiali che non fossero organici.
Anche se ancora non ne ho esperienza sono certo che questo non è il Pakistan, queste sono zone presenti quasi ovunque sul pianeta, zone oltre le frontiere e che non necessariamente devono trovarsi isolate geograficamente. La purezza del desertico ed immacolato immenso nord Belucistan non fa che amplificare le sensazioni negative dei vari concentramenti umani.
Sono un tipo abbastanza freddo da non cadere nella trappola della mitizzazione romantica del mio viaggiare, ma se vi chiederete e mi chiederete se tutto ciò intacchi il mio interesse per questi luoghi risponderò che anzi lo amplifica, se vi chiederete e mi chiederete se tutto ciò possa aumentare, come qualcuno ha scritto, la contentezza per una nascita in luoghi in cui questi mondi sono colpevolmente e volontariamente ignorati risponderò che non provo alcun piacere per una vincita al lotto totalmente indipendente dalla mia volontà che anzi dovrebbe essere fonte di maggiore ed invece totalmente inesistente responsabilità ed infine se vi chiederete e mi chiederete se tutto ciò mi faccia attenuare le critiche feroci che spesso faccio al mondo decadente in cui vivo vi risponderò che le accentua perché vedo ed ho sempre visto le sue responsabilità secolari e cito ciò che ho imparato in giovane età da chi è stato per la mia crescita mentale più importante dei miei stessi genitori, “anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti” che vale anche per gli stessi che qui cercano di dare come tutti un senso al vivere e che non mi sogno assolutamente di vedere solo dalla parte di vittime.
Rivedo spesso sul computer, e mi dispiace di non riuscire ancora e chissà fino a quando ad inserire altri filmati, il saluto che casualmente ho registrato di uno dei due pastori già citati e che certamente sto mitizzando al di là del reale a causa dei pochissimi minuti trascorsi con loro. Quello che importa però non è la possibile diversa realtà, ma quanto ne ho ricavato. È stato un saluto finale secco, netto ed immediatamente, di scatto si è girato verso la vallata ed il gregge. Il saluto di chi vuole evitare qualunque cosa possa distoglierlo dal suo mondo, qualcosa di pericoloso che possa attivare in lui pensieri ed azioni e speranze e miti che lo potrebbero distruggere. Una difesa dalla conoscenza e dalla consapevolezza al di fuori dell'immediato e del presente. Altro di cui comunque sa, altro che lo ha portato a possedere un comodo cellulare, altro che certamente è allettante, altro a cui consapevolmente non riuscirebbe a rinunciare.
Spesso ho pensato che il vero problema dell'uomo è proprio la consapevolezza di sé cioè quanto di più esaltato ed esaltante abbiamo di diverso ed unico. Penso spesso romanticamente che gli animali abbiano consapevolmente rinunciato alla consapevolezza per non modificare lo stato metafisico dell'universo. Se la leonessa acquisisse consapevolezza inizierebbe ad uccidere più gazzelle possibile quando in forze per non rischiare di morire di fame in caso di malesseri che le impedissero di cibarsi in futuro e poi probabilmente passerebbe allo scambio per potersi ogni tanto gratificare con della buona carne di canguro portata da oltre oceano. La singola gazzella da parte sua non riuscirebbe ad accettare il suo ruolo di food e cercherebbe magari di organizzarsi con altre per non rischiare giorno dopo giorno di essere uccisa e poi, come potrebbe da essere pacifico accettare un atto che immediatamente moralmente definirebbe e percepirebbe violento e crudele? Il corpo umano, se ne escludiamo la limitata durata, è un altro esempio di stato metafisico. Ogni singola cellula assume un ruolo ben definito ed indispensabile al benessere dell'universo corpo e siamo noi che moralmente diamo più importanza a questa o quella specializzazione cellulare. In realtà abbiamo bisogno che tutte le nostre cellule continuino indisturbate ed inconsapevoli a fare il proprio lavoro che siano le esaltanti e celebrate cerebrali o le poco appariscenti dei tessuti gluteali. Anche qui romanticamente ho sempre interpretato come una presa di coscienza del sé lo svilupparsi di una cellula tumorale, una cellula che non accetta più il proprio ruolo e cerca di sopravanzare in importanza qualunque altra.
Se ho ragione allora l'uomo non è in grado di cogliere alcunché della metafisicità dell'universo e “…gli esseri umani sono un'infezione estesa, un cancro per questo pianeta…” .
I dinosauri hanno dominato il pianeta per 160 milioni di anni e ce lo hanno lasciato senza modificarne il corso, noi in 2 milioni di anni probabilmente non abbiamo ormai più la possibilità di salvarlo da noi stessi. E questa la chiamiamo intelligenza.
Ancora un lungo trasferimento e nei prossimi giorni saranno molti. L'abitudine all'Iran ormai mi fa notare meno particolari e mentalmente sono proiettato già verso il Belucistan. Non so quanto riuscirò a vedere in Pakistan anche perché sono sempre più orientato al non richiedere proroghe del visto e quindi dovrò entrare in India entro il 31 Dicembre. Che possibilità avrò di muovermi in autonomia? Potrò prenotare gli hotel giorno per giorno? Sim card? Connessione? Sicurezza? Ho letto qui e là di varie altre esperienze recenti e sono gli unici dati al momento in mio possesso. Non ho alcun aiuto stavolta dalla Lonely Planet che non pubblica un volume sul Pakistan da più di 15 anni. Ho trovato usata online l'ultima edizione in inglese per avere dettagli sul cosa vedere, ma sui consigli pratici è totalmente inutile. Parla ancora di cabine telefoniche ad esempio. Negli ultimi 50 anni la velocità dei cambiamenti, già acceleratisi notevolmente in occidente dall'avvento dell'industrializzazione, è esponenzialmente aumentata al punto che in soli tre quattro anni ciò che è all'avanguardia diventa irrimediabilmente obsoleto. Ovviamente il tutto è assolutamente voluto e perseguito ed all'ormai insufficiente avanzata tecnologica si è voluto unire una criminale “avanzata” della gestione dell'economia globale. L'occidente, che aveva comunque già acquisito con l'industrializzazione dei cromosomi che con difficoltà riescono a mitigare gli effetti dirompenti di questa decadente inarrestabile ed illusoria avanzata, con sempre più difficoltà rallenta soltanto la conseguente ovvia caduta in povertà di ampie fasce sociali. Nei paesi diciamo del terzo e quarto mondo che non hanno avuto il tempo di sviluppare alcun parziale antidoto, questi nefasti e nefandi effetti possono essere a volte rallentati solo tramite disastri ambientali. Mi fermo.
Una policroma area montuosa fortunatamente mi distoglie da questi poco allegri pensieri.
A Zahedan incontro Mr. Abdul Hamid Hassanzehi, the King of the Border. Ho avuto il contatto dal ragazzo olandese. Su WhatsApp mi manda una sfilza lunghissima di articoli e scritti di viaggiatori in cui viene citato e ringraziato e mi esorta a fare altrettanto. La prima informazione utile è quella di una stazione di rifornimento che scoprirò essere di un suo parente, in cui ai turisti stranieri viene fatto gratuitamente il pieno. Io riempio così anche e per la prima volta le mie due taniche di benzina da venti litri. In Pakistan i costi si rialzano e poi per l'incognita Belucistan preferisco avere scorte abbondanti di carburante, acqua e cibo.
Mi propone degli hotel a basso costo, ma io ho già prenotato. All'incontro è con lui Silvia, una giovanissima ragazza spagnola in viaggio già da 16 mesi in autostop e già da 2 mesi e mezzo in Iran, che oggi è stata scambiata per una spia ed ha passato 5 ore alla stazione di polizia dell'aeroporto di Zahedan in cui casualmente si trovava per accompagnare un amico. La polizia l'ha affidata ad Hamid che la accompagnerà alla frontiera con il Pakistan per la continuazione del suo viaggio che, mi dice, durerà ancora almeno un anno.
Veniamo invitati a cena fuori città sotto una ampia tenda tipica del Belucistan in cui ci si riscalda ad un indispensabile fuoco che dovrebbe poi servire per cuocere della carne.
Dopo un paio d'ore però, quando capisco che i tempi sono biblici e non riuscirei ad essere in Hotel prima di mezzanotte, insisto molto, scusandomi e facendo presente che dovrò guidare domani a lungo, e mi faccio riportare in Hotel. Silvia che oltretutto è anche vegetariana è perfettamente d'accordo.
Ci diamo appuntamento per l'indomani.
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gianlucavasta
May 31, 2020
-------------------------------------------- Giorno 39 – 17 Dic 2019
Piove a dirotto. Sono ormai agli sgoccioli con l'Iran. Avevo già pensato di restare in città per iniziare a fare un po' di training autogeno ed organizzarmi per confine e soprattutto Belucistan con tutte le sue incognite, e la situazione atmosferica non mi fa cambiare idea. Con l'Ammiraglia devo letteralmente guadare fiumi in piena alla faccia degli scoli giganteschi dell'acqua ai lati delle strade. A Kerman la frontiera è già percepibile, un'aria trasandata trasuda un po' ovunque. Il bazar è un poco interessante grande mercato con qualche angolo godibile. Un'oretta e torno in camera.
A questo punto posso ritenere concluso il capitolo Iran.
Domani sarà l'ultima notte in questo splendido paese e la passerò a Zahedan che, a 100 chilometri dal confine con il Pakistan, è l'ultimo centro di qualche rilievo in cui però non ho nulla da visitare. L'indomani mattina affronterò confine e Belucistan fino a Quetta in cui ho già prenotato uno dei carissimi alberghi che accettano stranieri. Dato che Quetta è ancora in Belucistan ci sono delle restrizioni. Successivamente mi sposterò a Sukkur, finalmente fuori da questa problematica regione a ridosso dell'Afghanistan sulle rotte di droga ed armi. Ma questo è solo il mio programma e potrei essere costretto a modificarlo per varie ragioni anche perdendo i soldi delle prenotazioni degli hotel.
Anticipo tutto ciò perché lo scrivere, da domani e per almeno tre giorni, sarà l'ultimo dei miei pensieri. Oltretutto il Pakistan lo considero al momento solo un passaggio obbligato di una decina di giorni e non certo per mio disinteresse, ma per problemi legati alle stagioni da passare in India e Nepal.
Spero che l'Ammiraglia non mi abbandoni proprio adesso, cosa che costituirebbe un enorme problema.
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gianlucavasta
May 31, 2020
-------------------------------------------- Giorno 38 – 16 Dic 2019
L'Hotel è un po' come una casa colonica. Grandi corridoi, pareti chiare e le donne delle cucine con il grembiule bianco ed il fazzoletto nero in testa sembrano delle monache. Comunque l'ho scelto per via dei soli 11 euro al giorno in previsione, dopo il confine, di un consistente aumento delle spese.
Controllo dell'Ammiraglia. Panico… contenuto. Il tappo dell'acqua non c'è più. O non l'ho rimesso sbadatamente al precedente rabbocco o è saltato via per la pressione e la temperatura. Spero sia la prima ipotesi perché la seconda non è una cosa risolvibile. Comunque è uno di quei piccoli problemi che ti possono creare grandi casini in viaggio. Il tappo della tanica d'olio comprata qui in Iran si adatta, anche se la filettatura è completamente diversa ed è di plastica morbida che non reggerebbe a lungo, ma in ogni caso per ora non ho altro. Comincio a girare per officine e negozi di ricambi, nulla anche se quando capiscono il problema cercano qualcosa che vada bene in tutti i modi. Comincio a fare incetta di tappi dell'olio perché se non trovo nulla avrò bisogno di sostituirli ogni volta che ne salta via uno. Cerco anche tra le taniche per l'acqua e per la benzina che vedo in vendita e che hanno robusti tappi, ma le misure non combaciano. Prima di partire comunque per la meta di oggi e verificare così la tenuta dei tappi che ho, provo un'ultima volta in un negozio che a fianco ha meccanici ed officine varie. Quando riesco a farmi capire, almeno 15 persone si radunano e cominciano a portare tappi di tutti i tipi presi un po' ovunque. Niente, non ne va bene uno, sono rassegnato. Poi un ragazzo si fa largo tra la piccola folla, che nel frattempo fa commenti sul motore dell'Ammiraglia, esibendo un grosso tappo che ha anche una valvolina di sicurezza ed è proprio un tappo da radiatore. Ci va a pennello ed ha la stessa filettatura, robustissimo e certamente migliore dell'originale. È andata. Stava aspettando chissà da quanto tempo, perso tra vari rottami in una delle officine che ho accanto, che qualcuno lo prendesse a bordo e lo scarrozzasse in giro per il mondo. Ringraziamenti e saluti prendono almeno 10 minuti. Non pago nulla.
Nuovamente tranquillo mi dirigo verso i Kalut a circa 130-140 chilometri. Affronto grosse salite fino a quasi 2700 metri e per precauzione controllo il nuovo tappo. Perfetto, nessun cedimento.
Entro nel Dasht-e Lut, l'altro grande deserto iraniano.
All'oasi di Shafiabad un enorme caravanserraglio è restaurato solo all'esterno ed è poco interessante, lo è di più l'oasi in cui mi aggiro mentre dei ragazzini in divisa escono da scuola.
Dietro un rialzo del terreno, tra le fitte palme, un improvviso salto nel tempo mi disorienta. Uno spettacolo a cui, qui in mezzo al deserto, non ero minimamente preparato. Dal terreno sgorga un piccolo ruscello di acqua limpidissima che scorre tra sabbia e sassi. Con uno strumento che non appartiene al tempo in cui sono stato catapultato, faccio qualche fugace scatto.
Una ragazza con un chador blu scuro ed una cesta piena di panni si accovaccia sulla riva ed inizia a lavarli. Non vuole che la fotografi. Il luogo è suo e glielo lascio volentieri, ne ho usufruito a sufficienza. Sulle palme, decine e decine di piccoli uccelli cantano evidentemente soddisfatti di trovarsi qui. La mia prima vera cattura di avifauna ho il piacere di farla qui a Shafiabad che forse non a caso racchiude 'fiaba' e mi da l'occasione di scrivere della passione, che non approvo, degli iraniani di tenere piccole gabbie di uccellini canterini. Ne ho viste ovunque, anche negli hotel, ed in qualche bazar a volte si trovano decine di negozi che ne vendono.
Alla vicina oasi di Dehseif l'ennesima affascinante fortezza di sabbia tra le palme.
In una delle stradine un anziano accanto ad un recinto con cammelli acconsente ad una foto.
Sulla mappa, a pochi chilometri, ho un'indicazione di Kalut in mezzo al deserto a circa un chilometro dalla strada asfaltata. Seguo le impronte di altre auto e mi inoltro nella sabbia che sembra compatta. Sembra. Mi insabbio 4 volte.
Ogni volta, appena mi rendo conto di non potermi più muovere, non insisto per non scavare buche profonde con le ruote e con una eccezionale comodissima mini pala smontabile libero un lato delle ruote e proseguo. Arrivo alla fine del percorso e sono tra centinaia di monticelli di sabbia alti fino a tre quattro metri ricoperti di vegetazione. Seppur particolari non hanno nulla di eccezionale e penso che queste famose formazioni di sabbia e roccia, i Kalut, non sono poi niente di che. Uscito dalle sabbie ritorno a Shafiabad e mi informo. Quelli che ho visto sono mini Kalut, per quelli veri devo proseguire per altri 30 chilometri. Quando i mini Kalut hanno termine si attraversa una zona totalmente piatta e senza alcun tipo di vegetazione. All'orizzonte pian piano mentre avanzo si delineano delle stravaganti forme e mi ritrovo in un paesaggio che di terrestre ha poco. Sono attorniato da formazioni gigantesche alte decine di metri. Un posto difficilmente paragonabile ad altri.
In totale solitudine mi addentro per qualche chilometro tra i Kalut su una strada stavolta realmente compatta, fino ad un canyon gigantesco con un fiume di nera sabbia che scorre all'interno. Lasciata l'Ammiraglia in alto, scendo a farmi dominare da pareti di roccia instabile tra le quali mi vedrei bene a saltellare protetto da una tuta da astronauta.
Il sole oggi è coperto e non so decidere se l'assenza di forti contrasti accentui o meno lo straniamento. Resto almeno un'ora a camminare in questo scenario. Si affonda spesso ed ho le scarpe piene di sabbia. Vado via a malincuore, la strada del ritorno è lunga e la luce sta diminuendo. Proseguo però ancora per una ventina di chilometri perché ho letto di altre formazioni singolari. La strada diventa quasi impraticabile per chilometri con tratti totalmente distrutti che occorre superare procedendo a passo d'uomo. Fortunatamente l'unica cosa di cui sono fornito in abbondanza è la tigna e, nonostante le difficoltà e la giornata che volge al termine, proseguo. Il luogo in cui arrivo è forse ancor più improbabile del precedente qui in mezzo ad uno dei deserti più aridi al mondo con temperature che d'estate possono arrivare ai 65 gradi centigradi. Uno specchio d'acqua verde azzurro in cui sono immerse altre spettacolari formazioni rocciose.
Un fotografo ed un cameraman sono all'opera per un matrimonio e così ne approfitto come già successo in Turchia. Magari sarà una costante del viaggio, chissà?
Sulla strada del ritorno, ormai con poca luce, uno spaurito lupo del deserto mi attraversa la strada e prima che sia troppo lontano riesco a fotografarlo alla meglio. Una interessantissima e ricca giornata non poteva concludersi meglio.
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gianlucavasta
May 31, 2020
-------------------------------------------- Giorno 37 – 15 Dic 2019
Una lunga tappa di trasferimento di quasi 600 chilometri mi porta a Kerman. Fra quattro giorni lascerò l'Iran. I pensieri saltano senza alcun ordine tra i ricordi e le incognite dell'imminente brusca cancellazione della quotidianità iraniana. Per quasi 400 chilometri la strada, pur inserita in un territorio che parla di spazi vuoti ed incontaminati, è una sequenza ininterrotta di Tir sospinti da carburante bruciato in scuri e densi sbuffi. La poco piacevole guida mi fa anche notare più del solito la quantità di immondizia ai lati della strada e riaffiorano le iniziali paure per questo viaggio in luoghi che saranno via via sempre più antropizzati. Una splendida volpe è stata colpita a morte nel tentativo di attraversare questo fiume in piena. Mi fermo e la sposto fuori dalla strada. È rigida. Mi rimanda alla strage giornaliera di wallabies in Australia. Non è una buona giornata. Fortunatamente, dopo il bivio per Bandar Abbas i camion quasi scompaiono e capisco di aver guidato su una delle arterie dirette al Golfo Persico da cui l'Iran ha accesso al mondo.
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gianlucavasta
May 31, 2020
-------------------------------------------- Giorno 36 – 14 Dic 2019
L'arrivo a Persepoli avviene su un lungo e largo rettilineo ai cui lati sono parcheggiati bardati cammelli che tristemente, a dispetto degli sgargianti pon-pon che indossano, aspettano le terga di qualche turista.
L'immenso parcheggio fa intuire come in alta stagione ci sarebbe da sgomitare. Il flusso è comunque certamente ininterrotto durante tutto l'anno ed anche oggi c'è un po' di gente.
Non molto è ancora in piedi o è ricostruito, ma è più che sufficiente per avere un'idea della magnificenza perduta.
Isolandosi un po' dai pochi altri che gironzolano è persino possibile percepire la meraviglia degli illustri visitatori che qui venivano ricevuti dai vari sovrani achemenidi a partire da Dario il Grande. Gli splendidi giganteschi bassorilievi sono la cosa probabilmente più interessante insieme alle tombe di Artaserse II e III che dominano il sito archeologico.
Alla più lontana tomba di Artaserse III non va nessuno e quindi vado a dare conforto a questo sovrano tristemente solitario e nel percorso piacevolmente sogno di vederlo redivivo giustiziare il titolare dell'unico ristoro presente nel sito che a tutto volume diffonde musica. Note che fortunatamente non giungono alla distante tomba. Mentre, solitario, assaporo il tempo che separa il mio plebeo oggi dal regale passato, su una delle pareti rocciose laterali un lucertolone policromo di 30-40 centimetri appostato immobile al sole mi conferma che la più grande magnificenza umana è per me meno interessante della più piccola espressione della natura. Abbandono mentalmente Artasese III alla sua solitudine secolare e mi dedico al rettile.
Dopo una visita di cortesia anche ad Artasese II, mi avvio lentamente verso l'uscita.
Persepoli è assolutamente imprescindibile.
Nelle immediate vicinanze, a Naqsh-e Rostam, quattro tombe tra cui quella di Dario il Grande sono altamente scenografiche ed egualmente imperdibili. Uno dei pregevoli bassorilievi sottostanti racconta anche che ogni tanto pure i romani perdevano.
Il vicino piccolo sito di Naqsh-e Rajab non può invece certamente competere con i primi due, ma la veloce visita permette comunque di ammirare altri pregevoli bassorilievi storicamente interessanti.
Tornando a Shiraz un'auto mi si affianca a pochi centimetri nonostante abbia spazio per passare, sto quasi per mandarlo a quel paese quando mi accorgo che vuole solo salutarmi e darmi il benvenuto in Iran. Succederà altre due volte fortunatamente mentre sono fermo in fila al semaforo, ed un paio di ragazzi si mettono anche a disposizione per qualunque tipo di necessità. Dopo quasi un mese di Iran ormai mi muovo con disinvoltura ed ogni tanto dimentico che sia io, ma ancor più l'Ammiraglia siamo fonte costante di interesse.
Ieri avevo saltato la visita al Giardino di Nazar ed oggi arrivo dopo la chiusura, pazienza. Mi butto nel bazar. Con mia grande sorpresa, visto che sulla Lonely Planet ne parla poco, mi ritrovo in un mercato magnifico all'interno di alcune strutture meravigliosamente eleganti.
Il Bazar-e Vakil ha una struttura unica, un lunghissimo corridoio con ai due lati i negozi chiuso da alte splendide volte in mattoncini.
Un paio di caravanserragli anch'essi finemente ristrutturati sono splendidi luoghi dove fare delle soste.
Non grande ed affascinante quanto quello di Tabriz ad oggi è però l'unico che possa reggere il confronto.
Aggirandomi poi per la città posso constatare che Shiraz è una città elegante e moderna che il costante flusso turistico non ha indurito come invece nell'aggressiva Isfahan. Venendo qui e dovendo dedicare una giornata a Persepoli probabilmente meriterebbe un giorno di permanenza in più rispetto alle altre città. Io però non posso.
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gianlucavasta
May 31, 2020
-------------------------------------------- Giorno 35 – 13 Dic 2019
Piove. Persepoli aspetterà domani. Resto in città e penso di spostarmi con i taxi. Mentre faccio colazione la pioggia aumenta di intensità. Oggi è venerdì e non c'è traffico. Prendo l'Ammiraglia.
Al Giardino e Padiglione Naranjestan mi sento a casa. Come in Sicilia gli alberi di arance amare sono elementi decorativi. Naranje è quasi identico allo spagnolo naranja termine usato dialettalmente anche in Sicilia. Altri rimandi al mediterraneo. In questa giornata grigia e piovosa faccio fotograficamente quello che posso.
Accanto, gli appartamenti privati dello Zinat ol-Molk con una magnifica sala degli specchi si affacciano su un altro piccolo giardino di arance.
Incontro un giovanissimo insegnante di Inglese appassionato di fotografia con cui chiacchiero piacevolmente. Ha delle belle foto e, per fargli vedere le mie ed il viaggio, lo faccio iscrivere a Juza. Forse è il primo iraniano.
Mi sposto poi alla vicina Moschea di Nasir-al-Molk dove la sala di preghiera invernale è famosa per le vetrate colorate, ma anche qui l'assenza di sole e riflessi ne diminuisce notevolmente il fascino.
Un altro gruppo di ragazzi mi avvicina e vuole vedere le mie foto. Anche loro vengono indirizzati su Juza.
Poco soddisfatto delle foto odierne, dopo una breve pausa ed un salto alle belle mura della Fortezza di Karim Khan,
con il buio ritorno sia al Giardino Naranjestan che allo Zinat ol-Molk per una sessione in notturna. Si ricordano di me e non devo ripagare i biglietti d'ingresso che comunque ovunque costituiscono una spesa di una certa entità, per l'Iran, variando tra i 3 e 5 euro.
Ho con me un normale tripode, ma sto sempre utilizzando un comodissimo Gorillapod montato direttamente senza alcuna testa. Con questo trabiccolo, nelle primissime foto notturne ad Amasya in Turchia ero riuscito, non senza apprensione, ad aggrappare saldamente la macchina all'esterno di una ringhiera di ferro sospendendola sul fiume.
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gianlucavasta
May 31, 2020
-------------------------------------------- Giorno 34 – 12 Dic 2019
Faccio tardissimo perché a colazione parlo a lungo con un ragazzo olandese. È con i genitori su una grossa jeep adatta a lunghi viaggi. Dato che mi servono informazioni per il Belucistan gli chiedo se stanno viaggiando solo in Iran oppure hanno intenzione di proseguire per il Pakistan. Vengo così a sapere che i genitori sono con lui solo da qualche settimana per visitare l'Iran e che lui è quasi alla fine del suo viaggio in solitaria durato due anni. Ha attraversato il confine da un paio di settimane, è stato nove mesi in Nepal ed in India ed in precedenza in centro Asia.
La situazione in Belucistan è al momento tranquilla ed ha fatto la traversata da Quetta al confine senza scorta. Io dovrò fare il tragitto inverso e comunque sempre in un'unica tappa. Mi faccio dare il numero WhatsApp e certamente gli chiederò mille altre cose appena mi verranno in mente. È lui stesso a mettersi a disposizione per informazioni. In ogni caso questo fondamentale incontro mi tranquillizza e soprattutto tranquillizza casa ed è arrivato al momento giusto.
Un po' più sollevato mi godo il lungo altalenante tragitto fino a Shiraz. Mi allontano dai deserti e devo valicare un paio di catene montuose a 2600 metri. Sulla strada acquisto un Setar fatto a mano da un tizio che con l'auto, in cui è seduta la moglie, a lato strada ne ha in mano un paio per attirare clienti. È una piccola chitarra tradizionale con manico molto lungo che da qualche secolo ha quattro corde (tar) al posto delle originarie tre (se). A Pasargade faccio una piccola deviazione più che altro per non dover ritornare qui uno dei prossimi giorni. Delle rovine di questa città di realmente percepibile c'è solo la poco fotogenica tomba del suo fondatore Ciro il Grande, il resto è più da intuire.
Proprio accanto alla tomba, ma fuori dal sito archeologico, nell'odierno cimitero vedo una folla di persone. Mi avvicino, anzi vado proprio in mezzo. Sembra un funerale. La vedova in lamentazione ha davanti un tumulo di terra di ovvia natura sopra al quale è stato disteso un tappeto per accogliere una cesta di frutta ed un vassoio di biscotti. In testa una grande foto del defunto. Le tombe intorno sono di marmo e dalle nostre si differenziano solo per i caratteri incisi e le dimensioni, qui sono piuttosto piccole. Anche il comportamento dei partecipanti è in tutto simile. Via via che ci si allontana dal fulcro della cerimonia diminuisce il coinvolgimento emotivo che si diluisce in vari capannelli dove si chiacchiera a volte allegramente. Alcuni si accorgono di me e mi avvicinano. Apprendo che è la cerimonia a 30 giorni dal decesso. Non ci posso credere, un trigesimo. Iraniani, Italiani una faccia, una razza. D'altronde, se qualcuno degli anziani lo vedessi seduto in un bar del sud Italia gli rivolgerei la parola in dialetto.
Superata Persepoli, a cui dedicherò una giornata, mi accoglie Shiraz, una città assolutamente europea. Luci, palazzi, addobbi, negozi, se non sapessi dove sono non mi farebbero affatto pensare all'Iran. La vicinanza di uno dei siti archeologici più famosi e visitati al mondo ne è certamente la causa.
La strada che mi porta all'Hotel è chiusa per lavori e sono costretto a fare un lunghissimo giro nel classico traffico totalmente bloccato del pomeriggio. Ci sono solo sensi unici, cosa mai vista nelle altre città. Un vigile sta facendo una multa ad un'auto in doppia fila. Mi infilo in un vicolo laterale che sulla mappa mi sembra una scorciatoia. Errore madornale. All'interno delle arterie principali c'è una enorme labirintica casba con passaggi così stretti che devo chiudere gli specchietti. Devo anche tornare indietro con una retromarcia da infarto quando mi infilo in un vicolo che si restringe al punto che per passare l'Ammiraglia dovrebbe essere un motorino. Dopo una mezzora buona riesco finalmente ad arrivare nuovamente ad una delle arterie che circondano questi antichi quartieri, solo che sbuco, nell'incredulità dei presenti, sul marciapiede fortunatamente abbastanza largo e sono costretto a far scansare i pedoni ed evitare le mercanzie davanti ai negozi. Un cordolo in cemento non mi permette di passare sulla strada. Sono prigioniero. Fortunatamente il cordolo dopo qualche decina di metri si interrompe per un breve ma sufficiente tratto e, dopo aver fatto spostare l'auto lì parcheggiata, finalmente sono di nuovo libero.
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gianlucavasta
May 31, 2020
-------------------------------------------- Giorno 33 – 11 Dic 2019
Nonostante ci siano altre cose che meriterebbero una visita, oggi scelgo di prendere l'Ammiraglia. Non voglio andarmene senza uno sguardo alle Torri del Silenzio in una delle città più importanti dello zoroastrismo. A poca distanza e purtroppo ormai raggiunte dalla città, su due alture gemelle, ne visito due. Sono semplicemente delle grandi basse costruzioni circolari in cui i corpi dei defunti venivano lasciati per essere scarnificati dagli avvoltoi e le ossa purificate dal sole e successivamente lasciate a polverizzarsi. Gli umori corporei non dovevano contaminare la terra. Oggi non sarebbe nemmeno più possibile visto che gli avvoltoi si sono praticamente estinti a causa di pesticidi arrivati a loro tramite cadaveri di animali ed apprenderlo come sempre mi rimanda immediatamente a Mr.Smith con la cui analisi dell'uomo sono profondamente d'accordo.
Alla biglietteria l'addetto mi chiede come fanno tutti la nazionalità e, dopo la solita limitata e limitante domanda sull'essere di Roma o di Milano, se ne viene fuori con un inaspettato I like Sicily. Quando gli dico che sono siciliano viene fuori a stringermi la mano e chiacchierare un po'. Conosce la Sicilia per averne visto su internet, gli piacerebbe venire in Italia, ma la situazione economica degli iraniani, dice, difficilmente permette di viaggiare. Mi tocca nel vivo di uno dei pensieri che sempre mi accompagna in viaggi come questo, la quasi totalità delle persone che incontro non può permettersi quello che faccio io ed aggiungerei anche che me lo posso permettere anche in parte perché i quattro quinti del mondo non può. È un fardello per me pesante da portare. Non riesco a rispondergli se non augurandogli che in futuro possa avere questa possibilità.
Con un sapore amaro in bocca mi arrampico sulla meno restaurata Torre del Silenzio per qualche scatto sull'altra cercando di escludere la città.
Il silenzio non c'è ormai da molti anni ed accanto c'è il cimitero che viene usato oggi chiudendo però i cadaveri in contenitori di cemento per impedire almeno sacrileghe inquinanti fuoriuscite.
Provo se altre due torri non segnalate a poca distanza, ma che ho sulla mappa, siano in posizione migliore. Una è all'interno di una zona militare e lo scopro solo perché fortunatamente traduco il cartello di divieto che avrei potuto facilmente superare. La vedo a distanza ed è quasi interamente crollata. L'altra ha accanto delle fabbriche.
È ancora presto. Yazd è una città molto tranquilla e rilassata ed il suo traffico è totalmente differente da quello di tutte le altre al momento attraversate, ordinato e scorrevole. Ieri ho visto anche un vigile che agevolava l'attraversamento di gruppi di studenti in uscita dalle scuole. Sarebbe un buon posto dove fermarmi a riposare qualche giorno, ma il visto non me lo permette.
Esco di città e verso sud arrivo a Sar Yazd. Il paese mi dice poco e mentre lo percorro per arrivare ad un segnalato castello che non si vede affatto, penso che Maps.me stavolta abbia toppato. Entro in una sterrata tra le case sempre meno convinto. Alla fine della via, finite le case, nei campi arati, la bassa e grande fortezza di sabbia è come un'apparizione. Non percepibile fino a 50 metri dall'ingresso sembra un luogo appena uscito dalla penna di uno scrittore con tanto di bandiera sventolante da un pennone.
Resto in questo luogo fatato fino alla calda luce del tramonto. All'interno i fortissimi chiaro scuri degli angusti passaggi, dovuti alla giornata sfolgorante di oggi, mi costringono a visioni fotografiche più che a foto descrittive. Era un deposito fortificato che all'occorrenza doveva proteggere genti, ma soprattutto merci e vitali granaglie.
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gianlucavasta
May 31, 2020
-------------------------------------------- Giorno 32 – 10 Dic 2019
Come una affascinante non appariscente donna che piccoli difetti serenamente mostrati salvano dalla perfezione di un'algida bellezza, così Yazd mi appare.
Ad eccezione di qualche moderno complesso periferico, Yazd è una città bassa. Chiusa ad ovest da alte montagne, al limitare di due deserti Kavir e Lut, con un chiaro color ocra cerca di confondersi tra le sabbie appiattendosi a non creare intralcio al più piccolo refolo di vento che intercetta con una foresta di meravigliosi badgir. Queste torri del vento che dominano la città, frutto del genio sviluppatosi nei 5000 anni di una delle città più antiche della terra per difendersi da un clima estivo torrido, catturano ed incanalano verso il basso ogni minimo spostamento d'aria per rinfrescarla a contatto con vasche di acqua fresca.
In questa stagione non posso fortunatamente apprezzarne l'efficacia, ma solo ammirarne la bellezza.
Il portale della Moschea Jameh ed i due ravvicinati minareti hanno un'altezza inusuale ed una sequenza ininterrotta di scritte arricchisce la bellezza delle decorazioni.
Mentre mi aggiro tra i romantici vicoli della città vecchia riflettendo sul fatto che anche da qui passò Marco Polo, vedo un cantiere con decine di operai in una grande casa in ristrutturazione.
Chiedo di poter accedere alle terrazze e tra le sabbiose macerie e gli impasti di terra e paglia pronti all'uso mi affaccio su uno skyline dal fascino difficilmente eguagliabile. Volentieri faccio la foto richiestami da un gruppo di muratori che orgogliosamente mi mostra le bellezze della propria città.
Resto quassù almeno mezzora conscio che nessun altro luogo mi potrebbe consentire una visione migliore.
Mi sposto nei pressi del bazar, piuttosto piccolo e poco degno di nota se non per la sua autenticità, per l'unicità della facciata a tre piani della Moschea di Amir Chakhmaq e mi chiedo se anche questo Chak abbia un qualche legame linguistico con quelli ieri citati.
Proprio accanto, un antico serbatoio d'acqua sormontato da ben cinque badgir, ha l'ingresso su un vicoletto. Ha perso la preziosa funzione antica ed è la sede di un Zurkhaneh, una palestra tradizionale, dove assisto all'interessantissima sessione di allenamento. Il ritmo che cadenza i tempi degli sforzi e dei movimenti qui è dato da canti e percussioni dal vivo di un ragazzo appollaiato in un palchetto che ricorda il box di un dj.
L'antico sito a cupola in mattoncini di fango, la musica e le incitazioni del maestro creano un'atmosfera indimenticabile ed avvolgente. Gli attrezzi usati come pesi sono assolutamente unici nel loro genere e già da soli costituirebbero un'attrazione.
Mentre mi riavvio verso l'Hotel che, dopo l'alto costo di Khur (27euro) dovuto alle poche alternative della bassa stagione, mi riporta in linea con il budget (17euro), noto che all'ingresso di molti negozietti è inchiodato a terra un ferro di cavallo simbolo evidentemente senza confini. Un altro dei molti piccoli particolari che costantemente mi fanno percepire in Iran, a dispetto della geografia ma forse in accordo con la storia, un'aria mediterranea.
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gianlucavasta
May 31, 2020
-------------------------------------------- Giorno 31 – 09 Dic 2019
Abbandono Khur dove sono stato benissimo, ma non abbandonerò i deserti. Ho dovuto compiere una scelta a causa dell'avvicinarsi della scadenza della permanenza in Iran e della necessità di non allontanarmi troppo, in questi ultimi giorni, dall'area centrale con Teheran velocemente raggiungibile. Una importante vicenda italica lasciata in sospeso spero si concluda senza complicazioni e prima dell'attraversamento della frontiera pakistana vero punto di non ritorno e primo serio percorso, quello in Belucistan, che realmente mi preoccupa.
Immerso in questi pensieri, con una strada d'acciaio che bianca brilla e mi acceca nel sole sfolgorante di questa mattina, taglio il deserto come burro. Non andrò alle interessantissime isole di Qeshm e Hormuz nel Golfo Persico.
Quando mi immetto in una trafficata arteria non sono più accompagnato dall'isolamento e così, solo, cerco conforto nella musica.
La segnalata Kharanaq sulla via per Yazd non ha veramente nulla di interessante. Faccio una deviazione per un altro dei siti zoroastriani più importanti. I templi del fuoco sono luoghi spesso scelti in base ad un qualche particolare aspetto naturale ed un tempo erano accessibili con difficoltà. Andarci era un vero pellegrinaggio. A pochi chilometri dall'arrivo, subito oltre un'ultima deviazione dopo una curva della strada, non riesco a trattenere un'esclamazione di stupore. Eppure ne ho visti tanti di luoghi simili in questi giorni. Una immensa distesa desertica parzialmente sabbiosa è delimitata da scure frastagliate cime. In mezzo alcuni isolati promontori si ergono come appena fuoriusciti dalla sabbia ed in attesa che la natura lentamente li riduca in polvere.
Ciak Ciak è simile ad un nido d'aquila, sospeso a metà di una parete verticale in una grande nicchia naturale da cui domina tutta la spianata. Non ci sono auto e mi sembra non ci sia nessuno né nessuno ho incontrato sulla strada. Vari scuri uccelli volteggiano e mi fanno preparare il teleobiettivo. Convinto di essere solo mi attardo e non inizio a scattare.
Nel ventoso silenzio appaiono sulla scala che porta al tempio un ragazzo ed un mulo. Con un grosso fazzoletto avvolto in testa mi saluta. È afgano e con il mulo porta su la terra che gli serve per una ristrutturazione.
Il tempio è circondato da varie costruzioni poco gradevoli alla vista che certamente brulicano di souvenir in alta stagione. Un lieve rumore di motore annuncia l'arrivo di un'altra auto che scorgo in lontananza. Mi affretto e mi carico anche del teleobiettivo anche se gli uccelli sono nel frattempo scomparsi e non ritorneranno. 230 alti gradini mi attendono. Ci sono un altro paio di operai al lavoro e persino il custode del tempio che fa pagare il biglietto e mi offre un immancabile ben accetto cay come ricompensa per la fatica della salita.
In un Tempio del fuoco normalmente non c'è nulla di eclatante da vedere. Acqua, terra, aria e fuoco devono però essere sempre presenti. Aria e terra non sono mai un problema visti i luoghi scelti, un fuoco è tenuto sempre acceso e l'acqua qui scorre incessantemente fuoriuscendo dalla roccia ed inondando la piccola grotta.
Ciak Ciak è un nome onomatopeico che deriva dal suono delle gocce che cadono. Ora, non sarò certo io il primo a sottolineare quanto sto per dirvi, ma non l'ho comunque letto da nessuna parte. L'importante dio della pioggia dei Maya si chiama proprio Chak (le differenze di scrittura nel riportare questi nomi in caratteri latini sono assolutamente insignificanti e prive di alcun valore scientifico dipendendo da fattori assolutamente casuali ed infatti gli stessi nomi si possono trovare scritti in vari modi) e l'invocazione della pioggia era proprio un continuo ripetere Chak Chak. Anche lì il nome deriva dal rumore delle gocce che cadono. Incredibile. Casuale? Non è nemmeno probabilmente possibile stabilire con certezza quale dei due nomi sia precedente perché tutto ciò che riguarda lo zoroastrismo è cronologicamente incerto e sparso in almeno tre millenni fino anche ad un paio di secoli fa.
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gianlucavasta
May 31, 2020
-------------------------------------------- Giorno 30 – 08 Dic 2019
Un mese. Lo scorrere del tempo mi è dato prevalentemente dallo svuotarsi dei blister delle pillole della pressione. La percezione è varia. Mi sembra pochissimo, ma già molto del vissuto è svanito o si confonde di date e luoghi. Rivivrà solo grazie allo scritto. Nella grande rotatoria ad uno degli ingressi di Khur, due grandi costruzioni coniche un tempo proteggevano l'acqua piovana che veniva qui incanalata, adesso fanno comprendere ai turisti quale sia il vero tesoro di questi luoghi. Come quasi in tutti i villaggi e le città anche qui ci sono strade in cui campeggiano i volti di militari caduti. Non ho chiesto, ma è facile intuire che sono il prezzo altissimo pagato dall'Iran nella lunga guerra degli anni ottanta con l'Iraq.
Il cielo oggi è grigio e fittamente annuvolato.
Mi dirigo stavolta a sud verso Bayazeh. Al centro di un rettilineo di vari chilometri in cui potrei con ampio anticipo vedere chi volesse attentare al mio isolamento, un centinaio di cammelli pascola sparso su un'ampia superficie. Alcuni sono vicini alla strada, altri lontani da distinguersi a stento.
In seguito saprò che tutti hanno comunque un padrone da cui tornano la sera. Sebbene liberi di scappare, restano. In un'oasi abbandonata ed ormai cadente mi aggiro con difficoltà vanamente cercando prospettive interessanti. Solo qualche palma sembra non risentire della evidente scomparsa dell'acqua, probabile vero motivo dell'abbandono.
A Bayazeh uno storico grande castello di sabbia, il Narin ghale, le cui mura alcuni operai arrampicati su traballanti impalcature sono impegnati a restaurare, è accessibile a pagamento.
L'interno è un meraviglioso dedalo di passaggi, scale e spiazzi non ancora completamente riportati ai fasti di un tempo e questa incompiutezza aggiunge altro fascino a questo luogo in cui le basse volte mi costringono ad un costante inchino alla bellezza.
Il resto di Bayazeh è un susseguirsi di cadenti fiabeschi tristi sabbiosi scorci.
Nei pressi di Khur c'è un grande lago prosciugato che a tratti ricorda un salar. Nel bianco sale che sembra neve passano lentamente altri cammelli e lo spettacolo, nel cielo scuro della fine di un altro oggi, è certamente inusuale.
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gianlucavasta
May 31, 2020
-------------------------------------------- Giorno 29 – 07 Dic 2019
Credo di essere l'unico ospite dell'Hotel. A colazione per la prima volta mi portano la Tahin, la crema di sesamo vista preparare nei bazar, che zuccherata diventa veramente squisita. Ne mangio una bella quantità, speriamo non mi crei problemi. Mi dirigo a nord e poco dopo imbocco la strada che porta alle oasi di Mesr e Farahzad. Il traffico scompare. In questa stagione priva di turisti passa un'auto ogni mezzora. Mi fermo spesso ed a lungo ad assaporare sensazioni a cui mi sono riabituato in questo inizio di viaggio, ma che mai riescono a portarmi all'assuefazione. La musica, che mi serve anche per estraniarmi dai rumori del traffico, qui tace. Ultime note stonate che ancora mi legano al resto mondo sono il lungo nastro del buon asfalto che vedo davanti a me e la non buona, ma presente, connessione telefonica.
Una sterrata sulla destra è un richiamo irresistibile. Maps.me mi indica ad una cinquantina di chilometri un'oasi, ma la meta per me conta poco o nulla. Vado. Il deserto adesso mi avvolge totalmente. Dopo una ventina di chilometri di buon sterrato interrotto ogni tanto da segnalati pericolosi sprofondamenti del terreno provocati da un'acqua ora assente, mi fermo a lungo accanto a delle basse antiche costruzioni. Nel piatto Dasht-e Kavir vedevo qualcosa davanti a me, senza all'inizio capire cosa fosse, da almeno cinque chilometri. Ci sono sempre almeno due costruzioni, una è la casa che ha un unico piccolo ambiente, ma l'altra cela l'indispensabile riserva d'acqua proveniente da un pozzo o da una sorgente. Alcuni grossi libri su uno scaffale, delle stuoie per terra e resti di un recente fuoco nel minuscolo caminetto sono segnali di una frequentazione saltuaria. Il telefono vanamente cerca un contatto, per chilometri tutto intorno nessuno potrebbe celarsi alla mia vista, un soffice tiepido vento lentamente corre ed innervosito sibila scontrandosi con l'inaspettata costruzione, unico suono percettibile che con le sue variazioni mi suggerisce lo scorrere del tempo.
Devo continuare.
La strada adesso è sassosa e dura e l'Ammiraglia viene prepotentemente scossa. Ad una quindicina di chilometri dalla sconosciuta meta devo entrare ed uscire continuamente dal letto asciutto di un fiume stagionale e più volte devo scendere a scegliere il passaggio migliore o togliere qualcuno dei pietroni che adesso sono diventati strada. Mi lascio lentamente alle spalle un chilometro dopo l'altro ed i continui pensieri di abbandono, e finalmente ne esco. Il premio finale è la minuscola incantevole oasi di Arousan.
C'è solo un uomo e mi spiega di non vivere lì. Mi chiarisce, stupito, che la strada che ho fatto io non la fa nessuno perché è troppo dissestata, l'Ammiraglia ha dimostrato una volta di più di essere inarrestabile. Una grande vasca raccoglie ed incanala le acque della indispensabile sorgente. Palme ovunque.
Molte antiche costruzioni di fango sono in rovina.
Qualche abitazione è in buone condizioni, evidentemente utilizzata regolarmente.
A gesti mi faccio indicare la direzione migliore da prendere per tornare indietro.
Altri dieci, forse quindici chilometri, ed arrivo ad un'altra oasi, Kuzeh Gaz. Non regge il confronto. Ci sono solo tre muratori che stanno ristrutturando quello che diventerà un alloggio per turisti. Li trovo in pausa pranzo e mi offrono l'immancabile cay che volentieri accetto ed anche da mangiare che ringraziando rifiuto. Loro dormono lì e di giorno lavorano. Non c'è nessun altro nell'oasi. Chiedo anche a loro della strada per tornare nel mondo. Non è semplice perché partono varie sterrate. Alla fine capisco che devo tornare indietro nuovamente verso Arousan e prendere una deviazione. Maps.me mi indicava già esattamente il percorso, ero io che avevo frainteso le spiegazioni e pensavo ci fosse una sterrata completamente diversa che la mappa non mi segnalava. La strada è la stessa dell'andata, solo che c'è una deviazione che salta completamente il durissimo tratto che intercetta il fiume, deviazione che non avevo preso venendo perché più lunga.
Google Maps non contiene queste sterrate e quindi non riesco ad inserirle sulla mappa online del viaggio.
Riguadagnato il morbido asfalto riprendo l'intento originario ed arrivo a Mesr e Farahsad. Piene di Guest House al momento vuote sono visivamente graziose, ma le potrei apprezzare solo non avendo visto Arousan.
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gianlucavasta
May 31, 2020
-------------------------------------------- Giorno 28 – 06 Dic 2019
Ai lati della strada ad est di Esfahan pian piano le pietre diminuiscono di dimensione e la sabbia diventa sempre più percettibile. Anarak è un coreografico villaggio che si incontra in corrispondenza di alcune rocciose alture.
Dopo una lunga salita e l'ennesima piccola catena di vette scalata e superata, si apre dinanzi a me l'immenso Dasht-e Kavir, il Deserto del Kavir.
Il cristallino si rilassa, i battiti rallentano e la musica si alza. La mente non più impegnata nello svelare il nuovo, celato da ostacoli qui inesistenti, vaga libera e senza scopo alcuno mi trascina nel passato, nel futuro e nell'utopia. È un deserto piatto che, sia visivamente sia tramite l'altimetro, percepisco come una immensa conca un tempo certamente piena d'acqua. Mai però, nonostante le dimensioni, si ha un orizzonte vuoto a 360 gradi. Sempre, una qualche lontana catena montuosa crea un confine che mi impedisce di vedermi al centro dell'infinito.
La strada, insieme alla regolare sequenza di pali elettrici che la scortano, si annulla nella prospettiva e nella foschia della distanza. Enormi e veloci Tir si muovono tremolanti, piccoli e lenti dove il mio occhio non vede che deserto.
Un paio di antiche abitazioni abbandonate sono scavate nella sabbia e coperte da bassi tetti a volta, efficaci difese dalle temperature che qui d'estate possono arrivare ai 50 gradi.
Vista l'ora non tarda, a pochi chilometri da Khur dove alloggerò, decido di iniziare già oggi l'esplorazione del deserto e lascio la strada principale. Alla bellezza del paesaggio si aggiungono adesso un piccolo nastro d'asfalto che non distrae e il quasi inesistente incrocio di altri mezzi. Varie sorgenti hanno permesso la vita in questo deserto. Mentre il sole sta per nascondersi, velocemente visito le oasi di Aroosan
e di Garmeth.
Arrivo all'hotel di Khur e subito vado nel piccolo centro di questa cittadina di 6000 abitanti, l'insediamento più grande del Dasht-e Kavir. Devo trovare da mangiare. In hotel c'è il ristorante ma voglio vedere che aria tira nel deserto. In un negozio scopro prezzi sensibilmente più bassi che altrove. Chiedo se c'è un ristorante aperto o un posto dove poter mangiare. Un cliente, dopo che il proprietario ha cercato inutilmente di spiegarmi in farsi dove andare, mi dice di seguirlo con l'auto e mi ci porta. È un ragazzo di non più di trent'anni di una gentilezza e cortesia disarmanti. Oggi è venerdì e molte attività sono chiuse come il ristorante in cui mi ha portato. Mi dice di seguirlo ancora. Altro buco nell'acqua. Si mette al telefono e continuiamo. Terza tappa, sempre chiuso. Gli dico che ha già fatto troppo e che posso comunque mangiare in Hotel e mi fa capire che il proprietario di quest'ultimo locale davanti al quale siamo fermi sta arrivando. Gli ha spiegato al telefono la questione. Incredibile. Passa qualche minuto ed intanto con molta difficoltà e con il traduttore facciamo due… diciamo una chiacchiera. Di inglese non sa nemmeno una parola. Gli dico che posso aspettare da solo per liberarlo… non se ne parla. Arriva in pantofole il proprietario che mi dice di potermi preparare solo kebab (che qui ricordo sono degli spiedini di carne cotti alla brace) e pane arabo, niente riso. Va più che bene oltretutto costeranno una sciocchezza, un euro l'uno. Mentre prepara la brace, vedendo che è aperto, cominciano ad arrivare altri clienti. Qui si conoscono tutti e ci facciamo grandi risate perché a causa mia adesso deve sfamare anche gli altri. Non li manda via anche se si vede che gli va poco di lavorare in quella che per lui è domenica. A me regala anche una bottiglietta di latte alla menta che assaggio poi in hotel e richiudo non pensando di riaprirla nuovamente. Sono a 400 chilometri da Isfahan, ma sembrano 400 anni luce.
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gianlucavasta
May 31, 2020
-------------------------------------------- Giorno 27 – 05 Dic 2019
A colazione scambio opinioni ed informazioni con un tedesco che è partito ad Ottobre e sarà in viaggio per due anni… in bicicletta. Prende però anche bus ed aerei sempre portandosi dietro la bici. Si imbarcherà a Bandar Abbas per Dubai e da lì volerà in India. Ha provato ad estendere il suo visto iraniano di 30 giorni come il mio e, a conferma delle informazioni che avevo, non c'è riuscito. Questi incontri mi fanno sentire meno solo e sono tutt'altro che rari, purtroppo non mi sembra di aver mai incontrato altri italiani in viaggi di questo tipo, in fondo siamo dei provinciali.
Mi ci vuole una boccata d'aria. Duecento chilometri ad ovest di Isfahan mi portano all'interno dei Monti Zagros. Nuovamente oltre i 2000 metri con punte di 2500. L'innevamento qui è massiccio e sono presenti piccoli ghiacciai inusuali a queste latitudini. Riassaporo il piacere della guida rilassante e rilassata, mi basta poco per andare in astinenza. Splendidi panorami e soprattutto, durante le soste od anche solo ai semafori, gli incontri tornano ad essere non più macchiati da interessi. Non è però una zona isolata e villaggi e cittadine sono frequenti, c'è sempre movimento sulle strade. Alcuni uomini sono abbigliati con larghissimi pantaloni completamente diversi però dai modelli turchi, ed un cappello rigido come una bombetta senza falda. In questa regione convivono delle etnie nomadi. L'Iraq non è molto distante ed in tempi in cui i confini politici non erano un problema certamente il territorio ricco di pascoli in cui sono ha attirato varie genti. A Chelgerd un anziano, che mi dice di essere di etnia Bakhtiari, si presta serenamente all'obiettivo della macchina fotografica.
Le donne sono quasi tutte in chador e questo annulla qualunque differenziazione di etnia e stato sociale, un po' come una divisa da college.
Il paesino in cui vorrei arrivare è ormai isolato dalla neve, me lo aspettavo e l'avevo messo in conto. Non importa. Arrivo proprio nel punto in cui la strada diventa sterrata e la neve abbastanza alta ne blocca l'imbocco. Forse con un fuoristrada, ma non ne sarei così sicuro. Non ci sono segni di pneumatici a farmi capire che qualcuno passa. Un gruppo di ragazzi sta per tornare a casa dopo essersi divertito sulla neve di questa valletta con una grossa camera d'aria, ricordo per me di altri tempi, che trasportano sull'auto. Mi chiedono se sono su Instagram, che è proprio una fissa internazionale dei giovani, e vogliono farsi una foto con me.
Un rilassante lungo ritorno mentre le ombre si allungano mi riporta nel traffico.
Sulla strada incontro pure Messala che con i cerchioni minaccia i raggi delle ruote di qualunque Ben Hur gli si accosti.
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gianlucavasta
May 30, 2020
-------------------------------------------- Giorno 26 – 04 Dic 2019
È tardi e decido di prendere l'Ammiraglia per il giro di alcuni interessanti ponti sul grande fiume Zayandeh che attraversa Isfahan.
Il ponte Shahrestan è il più antico essendo stato edificato tra il terzo ed il sesto secolo dopo cristo.
Per arrivarci passo attraverso l'International Exhibition Centre in cui c'è una esposizione di migliaia di tappeti persiani, probabilmente provenienti da tutto il paese, che vengono proposti ed acquistati dagli operatori del settore. Anche se è evidente che non è un commercio al dettaglio, se fossi interessato e ne capissi un po' certamente potrei fare qualche ottimo affare. Il ponte di Khaju è considerato il più bello e sulle rive ai suoi lati bei parchi curatissimi ospitano gruppi distesi sull'erba a consumare il pranzo. Ci ritornerò all'imbrunire per una foto.
Breve giro nel quartiere Jolfa, elegante e raffinato con locali molto in o fighetti scegliete voi che potrebbero trovarsi ovunque nel mondo. Certamente un luogo piacevole in cui fare due passi che ti fa quasi dimenticare di essere in Iran. Sono qui però per la Chiesa di Vank o Chiesa di San Giuseppe di Arimatea, cattolica armena. La struttura è abbastanza simile alle tre viste appena entrato in Iran. Qui ovviamente non c'è il valore aggiunto del luogo selvaggio e solitario, ma un interno riccamente affrescato ed interessanti particolari esterni ne fanno un luogo sicuramente da visitare.
Isfahan è una città gradevole e molto più ordinata delle precedenti viste. I negozi sono a volte organizzati come all'interno di un bazar cioè raggruppati per tipologia. Ad esempio vicino all'Hotel ce ne sono decine e decine che vendono elettrodomestici, uno dietro l'altro. Sono presenti prodotti di tutte le marche esattamente come da noi e sempre alla faccia dell'embargo che mi sa essere l'embargo per i grulli. Serve solo a contenere la vendita del petrolio iraniano sul mercato internazionale. Il resto sono solo chiacchiere.
Approfitto del poco di oggi per informare di qualcosa che ho appurato già da vari giorni, ma aspettavo il momento per scriverne. Internet non è adesso bloccato, è stato ripristinato anche sulle sim e quindi sui cellulari. Per un paio di giorni ho creduto fosse ancora bloccato perché è il mio cellulare che non è in qualche modo compatibile e posso solo utilizzare WhatsApp. Mettendo la sim su quello australiano funziona tutto bene, ma non posso abilitare l'Hotspot. Comunque senza la VPN entrare su siti esterni all'Iran risulta lento probabilmente perché occorre passare dei filtri. Con la VPN invece si viaggia più veloci e questo in una situazione normale sarebbe ben strano. Quando però si tratta di upload di filmati la velocità si abbassa comunque a livelli da rendere di fatto impossibile l'azione.
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gianlucavasta
May 30, 2020
-------------------------------------------- Giorno 25 – 03 Dic 2019
Poco più di 200 chilometri mi portano ad Isfahan o Esfahan. Non esiste viaggio in Iran che non comprenda questa grande città di quasi 2 milioni di abitanti. Per strada il solito caos a cui ormai sono abituato. Arrivo abbastanza presto e posso subito iniziare l'esplorazione. Prima tappa una delle piazze più grandi del mondo in cui si affacciano due moschee tra le più fotografate dell'Iran, presenti su qualunque dépliant turistico. Scrivere di oggi non sarà semplice perché certamente in contrasto con quanto potete leggere di Isfahan o vi verrà raccontato da chi c'è stato. Sia l'Hotel, altra casa tradizionale con giardino interno, che l'antico quartiere labirintico in cui si trova, sebbene ricordino Kashan non sono minimamente all'altezza. In strada noto immediatamente che le reazioni e le interazioni provocate dal mio passaggio sono completamente cambiate. Innanzitutto non c'è alcuno stupore, ma soprattutto immediatamente pensano a me come fonte di reddito. Quasi banale nella sua ovvietà.
Tutti gli ingressi alla piazza sono bloccati da stretti paletti che fortunatamente impediscono l'ingresso alle auto. In più punti c'è polizia turistica. Turisti. Onnipresenti giapponesi, ma anche europei ed anche parecchi iraniani. La piazza è in effetti gigantesca tanto che i portali e le cupole delle due moschee, che nelle intenzioni doveva esaltare e presentare agli stranieri, visivamente si perdono ed al mio occhio risultano sminuite.
La prima che visito è la Moschea dello Sceicco Lotfollah. Prezzo d'ingresso 5 euro al posto dei classici 3 finora pagati, la legge della domanda e dell'offerta non ha confini. Quando rivengo fuori ripasso dalla biglietteria e gli dico chiaramente che per quello che c'è da vedere il biglietto è caro. Parlando dell'interno, la bellezza della cupola con il blu intenso delle famose maioliche di Isfahan, il corridoio identicamente colorato che dalla facciata sulla piazza porta al vero ingresso della moschea che è rivolta verso La Mecca sono mirabili, ma non mi fanno scattare nulla, nemmeno la macchina fotografica. Vengo fuori in due minuti.
Vado alla più grande e famosa Moschea dello Shah o Scià. Nel breve tragitto lungo la piazza continuo ad essere cortesemente fermato da varie persone che, inizialmente si presentano come le decine incontrate da quando sono in Iran, ma alla fine finiscono sempre con l'invitarmi nel loro negozio o in quello dell'amico per cui lavorano. Inizio a dire che non capisco e parlo nemmeno l'inglese oltre che il farsi. Questa famosissima moschea è quantomeno molto grande, dotata di minareti e di varie ampie sale ai lati sormontate da volte pregevoli ma, parlando sempre degli interni rigorosamente blu, qui capisco perché la precedente non mi ha colpito e perché fondamentalmente anche in questa non trovo nulla di entusiasmante. Le belle maioliche blu che ricoprono assolutamente tutto e che ne costituiscono l'attrattiva principale, mi danno una sensazione di piatto, identico, ripetitivo, ed annullano qualunque tridimensionalità, persino delle interessanti volte degli ambienti limitrofi allo spiazzo centrale. Le decorazioni delle ceramiche sono anch'esse abbastanza ripetitive e l'occhio vi si perde non sapendo alla fine dove concentrare lo sguardo. Lo Scià Abbas I che volle queste moschee e la piazza, per quello che vedo, doveva essere una persona piuttosto banale. La magnificenza che voleva manifestare è espressa solo ed esclusivamente dalle dimensioni, come se bastasse ingigantire a dismisura qualcosa, qualunque cosa, per renderla unica e superiore. Da questo discorso toglierei solo i due portali esterni che, comunque blu, si fanno ammirare anche per l'elaborata semiluna della volta aggraziata da piccole nicchie che comunque non sono assolutamente una caratteristica presente solo in queste moschee, ma anzi costituiscono la normalità.
Questa gigantesca monotonia risulta anche dalla ripetitività architettonica di tutta la piazza con i suoi chiamiamoli portici al primo livello intasati di negozi e bancarelle e le arcate del secondo livello che formano una sequenza dimensionalmente impressionante, ma in cui anche qui l'occhio si perde non notando alla fine nulla.
Unica struttura per me veramente interessante è il poco celebrato Palazzo di Ali Qapu con la sua immensa terrazza e le originali sottili altissime colonne che ne sostengono il tetto e ne fanno un'oasi visiva in questo deserto di monotonia.
Mi infilo nel Bazar dall'ingresso sulla piazza. Non vorrei dilungarmi e cerco di essere sintetico. Molto grande, ma non come quello di Tabriz che resta per me un riferimento ineguagliato sotto tutti i punti di vista, e con solo qualche corridoio elegantemente curato. Molti caravanserragli, alcuni godibili. Anche qui però, e forse con maggiore forza rispetto a quello di Istanbul, si respira un'aria avvelenata dal turistico. La sezione dedicata ai gioielli è probabilmente il luogo più brutto, meno interessante e visivamente più freddo dell'intero bazar, sormontato da un secondo livello che si affaccia sui negozi sottostanti protetto da una orripilante ringhiera cromata su cui si aprono anonime porte di freddi uffici. Solo in un lungo corridoio all'estremità opposta rispetto alla piazza, accanto all'altra moschea famosa di Isfahan, quella di Jameh, ritrovo un clima vero di Bazar.
Tutto quello che sto scrivendo e scriverò mi rendo però conto che probabilmente non è percepibile se non in parte da chi arriva qui in volo con ancora il carico emozionale e visivo dell'occidente che facilita certamente l'apprezzamento e la meraviglia.
Entro nel cortile della Moschea di Jameh, è già buio ed echeggia il richiamo dei muezzin. Mi chiedo se vedrò in questo viaggio da qualche parte un vero muezzin affacciato dalla cima di un minareto, dato che ormai ovunque ci sono altoparlanti. Quindi cambierei lo scritto precedente in un, … è già buio e dagli altoparlanti arriva il richiamo forse registrato dei muezzin…, che risponde meglio alla realtà anche se è meno romantico. Un magnifico cortile, l'illuminazione notturna e soprattutto l'andirivieni dei fedeli mi riappacificano con Isfahan.
Entro anche in una sala spoglia e piccola gremita di fedeli che pregano e resto finché non iniziano a sfollare.
Isfahan è il primo luogo in Iran in cui vedo mendicanti sdraiati per terra, il primo in cui vengo fermato al solo scopo di chiedere denaro, il primo in cui un'auto si ferma mentre sto per attraversare sulle strisce, il primo in cui un paio di motociclisti hanno il casco (non vi venisse in mente di aprire fabbriche di caschi in Iran), il primo in cui assisto ad un litigio nel traffico causato dal traffico, il primo in cui noto sguardi che non mi osservano, ma mi indagano, il primo in cui vedo, e questo è veramente comico qui, tre adolescenti pseudo rapper con pantaloni larghissimi cadenti e cappellino portato con la visiera di lato, il primo in cui mi sento veramente un infedele anche se con il termine non intendo nulla di religioso, il primo in cui vedo la decadenza dell'Iran, il primo in cui vedo la sconfitta di questo mondo non certo conseguenza di embarghi o di possibili future ignobili bombe profumate di petrolio camuffato da nucleare.
Quello che segue devo necessariamente inserirlo per aver parlato di decadenza, ma è assolutamente possibile evitare la lettura e continuare a seguire il viaggio. Uno scritto non semplice, ma tratta di una componente fondamentale del mio viaggio che ogni tanto potrà risaltare fuori. Ho cercato di condensare concetti difficili da condensare e cercato di spiegare con precisione quelli che potrebbero essere fraintesi. Scrivere praticamente all'impronta giorno per giorno del viaggio ha le sue difficoltà, ma scrivere di concetti come i seguenti in poco tempo è, almeno per me, veramente complesso ed ho paura di generare equivoci per carenza di chiarezza e scarsità di spiegazioni. Beh, buona lettura.
In questo viaggio ho eletto a compagno ideale Renè Guènon di cui dirò solo che definirlo filosofo od orientalista lo farebbe di certo rigirare nella tomba. Chi volesse approfondire, oggigiorno ha i mezzi per farlo. Guènon è per me una scoperta recente, che mi ha consentito di inquadrare meglio pensieri già miei. Già agli inizi del novecento vedeva, insieme a molti altri, la decadenza del nostro mondo occidentale e soprattutto del pensiero occidentale con l'allontanamento sempre più radicale dall'originario ripudiato pensiero orientale. Se lo vedeva lui in quell'epoca non vedo perché non possa dichiararlo io oggi, l'occidente in cui vivo è un mondo in decadenza. Guènon, nei possibili sviluppi del suo futuro, il nostro presente, aveva però previsto l'impossibilità del prosperare del pensiero decadente occidentale seguita da un riavvicinamento naturale all'oriente. Quello che invece è successo, e penso di saperne la ragione, ma questo aprirebbe altri discorsi che per ora taccio, è che la forza pressoché esclusivamente economica dell'occidente potesse arrivare a rendere concreto un inconsapevole edipico patricidio sostituendosi al pensiero orientale nella familiarità quotidiana dello stesso oriente.
È fondamentale però spiegare cosa intendo per decadenza perché si potrebbe facilmente pensare che mi riferisca ad una morale. No, anzi è proprio la morale ad essere decadenza.
La contrapposizione di fondo è tra morale e metafisica.
Quando assistiamo alla caccia di una leonessa ed alla conseguente fredda uccisione di una gazzella e siamo rattristati se non orripilati dalla crudeltà della scena, stiamo seguendo una morale. Se percepiamo invece tale evento come solo una dell'infinità di manifestazioni di un sistema che tiene in perfetto equilibrio l'intero universo, allora stiamo in un pensiero metafisico in cui leonessa e gazzella hanno la stessa identica importanza, nessuna, e quindi non c'è alcuna superiorità di alcun genere tra i due soggetti, anzi non ha nemmeno senso il concetto di superiorità. Se in questa situazione interveniamo ad esempio per salvare la gazzella, stiamo percorrendo una strada dettata da una delle infinite morali possibili che prima o poi condurrà alla fine dell'equilibrio e del tutto. C'è un unico pensiero metafisico che comprende tutto, mentre le morali possibili sono infinite e una qualunque di esse porta alla decadenza ed alla distruzione del tutto. Una semplice frase che a volte ho sentito o letto potrebbe riassumere: “La natura (nel senso dell'universale, del tutto) non ha morale.”
Vi pregherei di non confondere quindi questo concetto di decadenza con le invettive del primo Imam o qualsivoglia religioso o guru o matto che blatera di immoralità dell'occidente o del mondo perché queste invettive e denunce sono solo tentativi di sostituire una morale con un'altra, tentativi che sono sempre stati la causa di qualunque conflitto in qualunque era. Parlare di moralità ed immoralità è esattamente la stessa cosa. Per decadenza è quindi da intendersi l'allontanamento da una visione globale metafisica dell'universo per chiudersi sempre più nella specificità e nell'interesse privato, un privato che può via via restringersi fino a contenere solo noi stessi.
Questo scritto difficile che mi ha annullato la mattinata di viaggio e la sera, è probabilmente ancor più difficile da leggere. Sarebbe molto più semplice per un indù, se di un secolo fa ancora meglio, perché la tradizione indù da cui più o meno ha origine tutto, e qui non sono solo io a parlare, è l'unica realmente metafisica ed il concetto di illuminazione di cui tanto si parla in occidente ha senso solo in un contesto metafisico o se vogliamo può intendersi come il raggiungimento di un vero pensiero metafisico. Se poi l'uomo sia in grado di arrivarci, e questo lo aggiungo io, è un altro paio di maniche ed anche qui devo per forza fermarmi e non sviluppare.
Era necessario che ne parlassi adesso, non poteva essere più breve, non sarà una costante, ma è una delle principali sfaccettature di questo viaggio e non posso ignorarlo. C'è ancora qualcosa in oriente, se mai c'è stato, che possa rivitalizzare l'occidente? Si può ancora guardare alle nostre origini per recuperare quanto disperso e volutamente dimenticato? Io penso di no, ma due pastori nel nulla qualcosa mi hanno lasciato. Comunque non sono qui a cercare, sono qui a vedere cosa vorrà mettersi sulla mia strada mentre mi approprio del mio mondo.
Come dico sempre in questi casi non mi interessa convincere nessuno, mi interessa solo far sapere che qualcuno può pensarla così, sbagliato o corretto che sia, mi interessa stimolare una eventuale riflessione od approfondimento anche se dovesse condurre ad altre diverse od opposte conclusioni.
Un bianco sole padano cerca inutilmente di bucare le compatte nuvole. A destra alte montagne delimitano la piatta distesa del Deserto del Kavir che si perde all'orizzonte alla mia sinistra. Al momento non mi entusiasma, è una distesa di infiniti bassi cumuli pietrosi su cui attecchisce solo una spinosa, spoglia e dura vegetazione che il vento a volte riesce ad estirpare e far correre sull'asfalto giocandoci come un bambino che si diverte a far rotolare un vecchio copertone con piccole frequenti incerte spinte.
Visivamente sembra una discarica di materiali da costruzione ormai non più riciclabili che la grigia mattina non aiuta certo ad apprezzare.
Una sessantina di chilometri a sud di Zanjan, a Natanz, una moschea ed un mausoleo esternamente pregevoli sono però addossati ad altre costruzioni che impediscono di coglierne la maestosità. La moschea è chiusa, ma lo si scopre solo dopo aver già pagato i tre euro di un inutile biglietto d'ingresso che permette di vedere solo uno spoglio ed anonimo cortile interno. La giornata continua ad essere grigia.
Altra meta ad una trentina di chilometri. Una strada si incunea tra franose bucherellate rocce di arenaria che avrebbero bisogno di qualche altro milione di anni per consolidarsi e sale fino a 2250 metri. Un enorme monumento ai caduti ha come tetto un vero caccia militare e si trova all'ingresso di un cimitero di guerra. Lo fotograferanno certamente tutti coloro che passano di qua, non io. Per varie centinaia di metri dopo il monumento, ai lati della strada sono posizionate grandi foto dei militari caduti che sembrano un drappello d'onore schierato per l'arrivo dei visitatori. Abbastanza macabro.
C'è un piccolo casello in cui devo pagare 3 euro, che sembrano una cifra standard per qualunque attrattiva, per poter percorrere gli ultimi chilometri fino a Abyaneh. Ci sono due strade possibili e quella che prendo inizialmente mi conduce alla parte alta del paese. Mi rendo conto delle caratteristiche del luogo in cui sono alla vista delle prime argillose rosse magnifiche case addossate le une alle altre. Immediatamente capisco che per una visione panoramica devo spostarmi in basso. Senza nemmeno parcheggiare torno indietro per imboccare l'altra strada d'ingresso. Mi devo però allontanare a piedi dal paese di almeno mezzo chilometro ed arrampicarmi su delle collinette per poter finalmente avere la visuale d'insieme che cercavo.
Le antichissime case, alcune ristrutturate altre abbandonate a volte diroccate, sono costruite con mattoni ricavati dalla rossa terra del luogo e l'intonaco, anche qui come a Kashan, è rinforzato dalla paglia. Gli abitanti, pochissimi, parlano ancora il medio persiano lingua scomparsa da secoli.
Alcune anziane, anche in questa stagione priva di turisti, sono abbigliate con colori sgargianti e stancamente vendono piccoli souvenir fatti in casa con pezzetti di stoffa e semi essiccati legati da sottili cordicelle.
Mi piacerebbe comprare un ricordo, ma in nessuno dei due piccoli negozietti per turisti stoicamente aperti hanno qualcosa con su scritto il nome del paese. Incredibile. Vedo delle spille con delle scritte assurde per questo luogo: Adidas, Nike, ecc. Ce n'è persino una con la scritta Juventus, non ci posso credere. Mi alienerò certo una parte di lettori, ma solo ad uno juventino potrebbe venire in mente di comprare una spilla con il logo della propria squadra qui, in Iran, a 2200 metri, ad Abyaneh. La scoperta mi mette di buon umore. Comunque per par condicio dico anche che non ho rovistato volutamente nel mucchio alla ricerca dei colori di altre squadre italiane per la fondata paura di trovarcene anche una nerazzurra che mi avrebbe fatto sparire il sorriso dalle labbra.
Mi aggiro tra i vicoli in totale solitudine. Gli scorci fotogenici sono decine, ma mi limito solo a qualche scatto.
Il silenzio è interrotto solo da qualche miagolio o da soffocati lontani rumori dei lavori di qualche ristrutturazione. C'è abbastanza freddo. Resto a girovagare per più di un'ora. Si è fatto tardi. Devo rientrare.
L'ultima foto l'ho scattata per poter parlare degli onnipresenti Zamyad rigorosamente blu. Se mai verrete in Iran, qualunque tipo di viaggio farete, non potrete non notare questi robusti ed indistruttibili pickup. Sono migliaia, ovunque, adibiti a carro attrezzi, trasporto frigo, autocisterna e mille altre funzioni oltre che a quella semplice di trasporto furgonato o meno. Sembra siano ancora prodotti e si basano su un vecchissimo modello di Nissan. Il prezzo dovrebbe essere sotto i 10000 euro e, spartani e certamente senza elettronica sarebbero un ottimo mezzo da attrezzare per andarsene in giro per il mondo. L'idea mi alletta, ma non ditelo all'Ammiraglia.
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gianlucavasta
May 30, 2020
-------------------------------------------- Giorno 23 – 01 Dic 2019
Faccio colazione nella splendida cornice del giardino interno fotografato ieri sera. I vicoli di questa casba color sabbia sono delimitati da alte mura anonime che dovevano impedire ai passanti anche solo di immaginare le meraviglie celate all'interno. L'intonaco brilla, colpito dalla luce del sole, di mille pagliuzze che, mischiate nell'impasto fangoso, ne aumentano la compattezza. Anche sui muri visibilmente recentemente restaurati è stato adoperato lo stesso antico composto.
Mi avvio verso alcune case tradizionali così ricche ed ampie da essere diventate uno dei motivi per cui venire a Kashan. Tre sono visitabili e, a parte una completamente in ristrutturazione quindi poco godibile, sono un incanto di stucchi, vetrate, decorazioni, giardini e fontane.
Anche un vecchio Hammam è imperdibile e, sul suo tetto, artistiche cupolette che convogliano in basso la luce solare rimandano a Gaudì.
Devo poi attendere la comoda riapertura del Bazar alle cinque del pomeriggio. Concedendo all'estetica solo un ampio e finemente decorato caravanserraglio e poco altro, questo mercato è comunque godibile ed offre insoliti sguardi sul quotidiano vivere di Kashan.
Quasi tutte le donne che girano per il bazar hanno il chador, strano perché in giro sono molte sì, ma non con una percentuale così alta. Ipotizzo che, essendo il Bazar molto popolare, sia frequentato solo dai ceti sociali più bassi in cui, e questa è una regola universale, la bigotteria ha facile presa.
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gianlucavasta
May 30, 2020
-------------------------------------------- Giorno 22 – 30 Nov 2019
L'autostrada verso Teheran è parecchio trafficata. Interrompo il lungo trasferimento a sud di oggi entrando a Qazvin. Nel traffico caotico a cui sono ormai assuefatto mi fermo ad un autoricambi. L'Ammiraglia si è già bevuti 5 litri di olio, cosa assolutamente normale. Ne ho altri 5, ma ne voglio comunque avere due confezioni con me. Il titolare due mesi fa era in Italia a Nettuno ed andava a Roma da lì con il treno. All'incirca in quel periodo sono stato ad Anzio, a due passi. Incredibile che mi sia fermato proprio qui. Ognuno di noi traccia con i suoi spostamenti su questo pianeta una linea immaginaria che ha un inizio ed una fine. Alcune, per vari motivi, restano confinate, chiuse e si avvitano continuamente su se stesse, altre vogliono scrivere libere su tutta la superficie disponibile. Dei miliardi di incroci e sfioramenti che le nostre linee hanno con quelle di altri, di quanti acquisiamo conoscenza? Una percentuale quasi nulla. La mia linea e quella di questo tizio si sono sfiorate una volta ed incrociate un'altra, ma sono gli unici contatti che abbiamo mai avuto? Quante linee tra quelle che incrocerò in questo viaggio ho già incrociato o nuovamente incrocerò in futuro e continueranno a restare anonime? Discorsi inutili, forse. Torno al viaggio, 4 litri di olio lubrificante guarda un po' che mi fanno scrivere.
Sono a Qazvin non per l'olio, ma per il Caravanserraglio di Sa'd-al Saltaneh.
Un gioiello. La raffinatezza degli allestimenti dei vari negozi ed atelier di artisti, inseriti in questa magnifica cornice in cotto che ricorda il Bazar di Tabriz, è tale da farmi perdere la percezione dell'Iran.
Una ragazza che passeggia con la madre torna indietro pochi secondi dopo l'incrocio delle nostre linee e mi chiede di dove sono in un inglese perfetto e fluente ben oltre le mie capacità. Si stupisce della mia presenza perché dice che in Europa l'Iran è percepito come insicuro. Penso che studi o lavori in Germania perché parla del suo ragazzo tedesco che ha paura a venire in Iran. Le rispondo che, per il momento, la mia percezione è di assoluta sicurezza ed è visibilmente compiaciuta. Lo stesso mi succede con la quasi totalità delle persone con cui parlo, mi chiedono cosa penso dell'Iran e sono molto contente dei miei apprezzamenti.
Prima di entrare nel caravanserraglio, in una grande piazza davanti alla Moschea di Nabi, un grande cartellone mostra un Imam ed accanto una frase che provo a tradurre.
Più o meno recita: “La preghiera dei venerdì è un supporto forte per il nostro movimento ed è un fattore decisivo e grande per l'avanzamento della rivoluzione islamica." In ogni caso, qualunque cosa se ne possa pensare, è il retro di quel cartellone che è veramente importante. Dietro c'è una pubblicità, di cosa non importa. C'è una pubblicità. Non devo aggiungere altro.
Mi rimetto in autostrada. Letture ed amici già venuti in Iran mi fanno saltare Teheran, non mi interessa. Il panorama cambia. Mentre la luce del giorno si affievolisce appaiono delle vere e proprie morbide dune di sabbia compattata ed ormai roccia. Sulla sinistra la distesa piatta e bianca del quasi prosciugato Lago Namak. Sono alle porte del Dasht-e Kavir, il Deserto del Kavir. Arrivo a Kashan che è ormai buio. L'Hotel è nell'antico labirintico quartiere centrale, una vera casba di vicoli in cui l'Ammiraglia passa a malapena, ma grazie a Maps.me non commetto errori. Il ragazzo che mi accoglie mi chiede se è stato complicato arrivare ed è molto stupito della mia risposta negativa.
Normalmente non parlo e non inserisco foto dei luoghi in cui dormo, ma questo fa eccezione perché è una delle case tradizionali appartenute a ricchi mercanti ed adesso, come altre, ristrutturata ed adibita ad Hotel.
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gianlucavasta
May 30, 2020
-------------------------------------------- Giorno 21 – 29 Nov 2019
Strade vuote, il venerdì è come la nostra domenica. Oggi vado ad est. Nuovamente salite, fino a 2400 metri. Quando ridiscendo però dall'altra parte della catena di montagne non c'è un'altra alta distesa. Una discesa velocissima mi porta in una profonda ed ampia valle a poco più di 300 metri sul livello del mare. Per la prima volta, da quando ho ufficialmente aperto questo viaggio, non sono su un altopiano. 2000 metri di dislivello in una manciata di chilometri, e dovrò farli in salita al ritorno.
Il verde ricompare nel panorama che ammiro. Prati, alberi da frutto, ulivi. Non si vedono più pastori, ma contadini che preparano i campi in attesa della primavera. Pochi chilometri, ma la quota ne fa un altro mondo. La mia meta è Masuleh, un villaggio. Maps.me mi da una breve strada sui monti per arrivarci. Alcuni ragazzi mi dicono che è impraticabile per la neve. L'alternativa è un lunghissimo giro di 200 chilometri, ma me ne bastano una decina per capire che non ha senso. La strada passa proprio in mezzo a continui paesetti disposti sulla riva del magro fiume che scorre nella valle. In ognuno ci sono almeno 3 o 4 dossi artificiali, un tormento. Farei tardissimo al punto da dover tornare indietro senza arrivare a Masuleh ed in più su strade per me poco interessanti. Decido di provare la strada tra le montagne e vedere dove arrivo. Piccola strada in una strettissima gola con salite dove occorre la prima. Qualche gruppo di case. Anziane donne con un semplice fazzoletto in testa, ampie gonne su spessi calzettoni e bastoni in mano fanno pascolare nei pochi spazi accessibili di questa scarpata chi una capra, chi una pecora importante domestica fonte alimentare. Galline ed oche scorrazzano in strada per nulla intimorite dal mio passaggio. Le oche protestano anzi con veemenza. Potrei essere ovunque. Scene come questa sono ancora possibili anche da noi. In un attimo arrivo in cima al muro di montagne innevate tra le quali giace Masuleh. Sull'assolato monte in cui mi trovo la neve è però assente. Quando Maps.me mi comunica che sono a 40 chilometri dalla meta ha inizio la sterrata. Ci sono lavori e fra qualche anno certamente la strada sarà interamente asfaltata. Nonostante sia evidente che non piove da molto tempo, il terreno smosso dagli incompleti e parziali spianamenti è ammorbidito dall'umidità delle notti. Non è fango, ma in pochi chilometri ho le ruote completamente avvolte in un argilloso guscio marrone che, colmandone le scolpiture, ne abbatte inesorabilmente l'indispensabile attrito che mi fa avanzare. Intervenendo regolarmente ad eliminare questo soffocamento potrei continuare anche perché le salite si sono addolcite, ma decido che va bene così. Mancano 35 chilometri ad una meta che non raggiungerò. Mi fermo un bel po' a godermi il panorama facendo riposare l'Ammiraglia.
Con calma inverto la rotta facendo manovra al riparo di un grosso masso, baluardo ultimo ad una catastrofica uscita di strada comunque improbabile. I 2000 metri di risalita sull'altro versante della florida valle li supero più facilmente di quanto mi aspettassi. Ho tempo di fare una puntata a sud di Zanjan.
A Soltaniyeh il Mausoleo di Oljeitu, ultima dimora di un sultano mongolo, ha una azzurra splendida cupola tra le più grandi al mondo. L'interno è totalmente invaso da impalcature, ma è la pregevolezza dell'architettura della costruzione che ne fa meta di visita.
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gianlucavasta
May 30, 2020
-------------------------------------------- Giorno 20 – 28 Nov 2019
Stanotte ha piovuto, poco. C'è freddo. Cielo bianco lattiginoso. Non si è ancora scaldato l'abitacolo che forti strappi mi portano oltre i duemila metri. Panorama spettacolare, ma non regge il confronto con ieri. Le dure salite non sono addolcite da sinuose curve che aumentando i chilometri ne facilitano l'ascesa. La vetta dei ripidi alti monti è raggiunta con strade maschie, dritte, che si impennano e costringono a velocità da funerale. I numerosi tir, che fanno la spola dalle miniere, procedono a passo d'uomo se carichi, sia in salita che in discesa. Spesso sono costretto ai 40 km/h della seconda ed in un caso devo ricorrere alla prima. Mi sembra di essere su una funicolare.
Poco prima del sito archeologico si raggiunge quota 2600 dove mi apro il passaggio tra le goccianti bianche basse nuvole poggiate a protezione dalla luce solare.
Le poche sparse rovine di Takht-e Soleyman, contenute da una crollante e parziale cinta muraria, non mi emozionano come invece l'arrivare fin qui. La conquista di Takht-e Soleyman ha certamente più sapore del premio finale.
All'interno, a parte alcuni bassi edifici dell'amministrazione che potevano essere costruiti da un'altra parte, la cosa certamente più interessante è un piccolo lago, profondo più di cento metri, di acqua sulfurea tiepida che sgorga ancor oggi dal fondo. L'acqua, continuamente rinnovata dalla sorgente perenne, viene incanalata e condotta chissà dove. Lo specchio d'acqua fu certamente il motivo della scelta del luogo.
Stavo per iniziare a scrivere qualcosa sullo Zoroastrismo originario che mi interessa perché unica dottrina, insieme alla tradizione indù, a contenere un concetto del male completamente indipendente dal bene. Poi mi sono fermato perché quello che chiamavo accenno stava necessariamente richiedendo un paio di pagine e non era ancora concluso. Questi argomenti che reputo fondamentali e portanti del mio viaggio, soprattutto in riferimento alla tradizione metafisica indù li inserirò dopo il viaggio nel libro o libri, dipende dalla durata, che certamente seguiranno.
Quindi solo accenni lampo. Fu proprio per il dualismo alla pari bene-male e per il vedere nella loro lotta la fonte di tutto che Nietzsche scelse il profeta Zarathustra come voce dei suoi concetti nel “Così parlò Zarathustra” che fu una mia lettura post adolescenziale… stavo già messo male.
Nel credo zoroastriano il bene è Ahura Mazda che viene adorato semplicemente con buoni pensieri, parole ed azioni, il male è Ahreman ovvero, non ridete, lo Spirito Maleodorante. Gli zoroastriani esistono tuttora anche se alcune comunità hanno modificato l'originale dottrina in vario modo. Centri principali sono Teheran, Mumbai e Londra. In India si chiamano “Parsi”. Zoroastriano era Freddy Mercury e lo è anche Zubin Mehta.
A proposito di Spirito Maleodorante nei prossimi giorni devo cercare una lavanderia.
Tornato a Zanjan vado al Museo Archeologico, chiuso. Sono invece aperti tutti i negozi, c'è una folla di gente in giro e le auto sono parcheggiate anche in terza fila. Una situazione che qui mi attirerebbe anche, ma non riesco a trovare posto e desisto. Tornando all'Hotel individuo, non certo con i cartelli, un lavaggio auto. L'Ammiraglia, con la pioggerella e le sterrate, è diventata letteralmente marrone e dal lunotto posteriore non vedo quasi più nulla. In Australia ho pagato ben 300 dollari per togliere la rossa terra dell'outback dall'auto, record difficilmente superabile, qui stabilisco il record opposto, 1 euro.
Spirito Maleodorante deve essere per il governo iraniano YouTube, e come dargli torto? È l'unico sito a cui continuo a non avere accesso nemmeno con la VPN, o meglio accedo ma non riesco a caricare i video. Peccato perché quello di ieri mi piace. Quando ne avrò la possibilità li inserirò. WhatsApp è stato ripristinato anche sulle sim che però continuano ad essere bloccate per qualunque altra cosa. Per pubblicare devo accedere ad un wifi ed usare la VPN.
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gianlucavasta
May 30, 2020
-------------------------------------------- Giorno 19 – 27 Nov 2019
Mi sveglio molto presto, l'aver scritto poco e lavorato una sola foto mi ha permesso di non fare tardi come al solito. Ogni tanto ne avrò bisogno. Il traffico inizia ad impazzire verso le dieci ed i negozi non aprono prima di quest'ora. Mi dirigo verso sud come ieri, ma su una strada diversa, per la prima volta una autostrada. Nessun biglietto d'ingresso, si paga all'uscita, o almeno pagano gli iraniani. Ben quattro dei cinque casellanti con cui ho a che fare, appena vedono che sono straniero, mi fanno proseguire con un sorriso. Se non fosse per l'unico che mi ha fatto pagare penserei a qualcosa di istituzionalizzato, invece evidentemente possono farlo ed è una cortesia verso di me. Uno mi saluta anche con un Welcome in Iran. Magari lo fanno anche con quelli che conoscono…
Sull'autostrada, a differenza delle brutte zone di ieri, non solo non c'è per niente traffico, ma attraverso un territorio senza industrie e pochi centri abitati. Oggi la guida ridiventa un piacere. Resto sempre sugli altipiani che sembrano non avere mai fine, mai sotto quota 1500 metri, spesso sopra 1800. La destinazione finale è Zanjan, ma prima ho intenzione di passare per uno dei più importanti centri spirituali dello zoroastrismo. Devo uscire dall'autostrada e proseguire su una secondaria. Inizialmente non capisco come mai Maps.me mi dia un tempo di percorrenza equivalente ad una velocità media di non più di 50km/h, poi mi rendo conto. La strada si innalza bruscamente.
Supero i 2000 metri e la neve imbianca tutto tranne la striscia d'asfalto che grigia la attraversa. Senza cime vicine più alte il panorama si estende vastissimo davanti a me, non piatto, frastagliato di rilievi che l'Ammiraglia fluidamente supera uno dopo l'altro zigzagando. Si oscilla placidamente, senza strappi, tra i 2200 ed i 2400 metri di quota. Il territorio è isolatissimo, un'auto o un camioncino ogni tanto, quasi nessuna costruzione. Purtroppo devo dire che l'indicatore più affidabile del livello di isolamento è la quantità di immondizia ai lati della strada. Qui è praticamente assente. La guida però non è rilassante come vorrei e devo anche spegnere la musica per concentrarmi di più. L'asfalto non è sempre in buone condizioni interrotto in molti tratti da duri e sassosi sterrati. Quando mancano ancora 80 chilometri alla meta il tempo di percorrenza stimato è di ben 2 ore.
Alla fine di una sassosa discesa, in un piccolo avvallamento, due ragazzi sono seduti in mezzo a molti cani a poca distanza dal loro gregge di pecore dalla lana scura. Mi fermo a chiedere. Si erano anche fatti capire senza, ma con il traduttore ho la conferma che la strada più avanti è bloccata e non posso arrivare a destinazione da qui. Le poche auto che passano sono di un villaggio poco oltre. Devo invertire la rotta, ma mi sta bene così. Questa strada in quota è meravigliosa e sono anzi contento di rifarla all'indietro. Mi tirano quasi fuori dall'auto, non posso andarmene, non più. Neve e freddo, ma i momenti che passo con loro mi scaldano più del fuoco su cui giace l'antica teiera in ghisa da cui mi versano il cay. Resto in maniche di camicia. Questi due giovanissimi pastori dell'Asia, certamente in questa stagione non erranti per dover ricondurre al riparo le greggi, parlano al cellulare mi sembra di capire dell'incontro con me. Hanno un loro mondo e non riesco a capire se sono interessati ad altro, al mio. Le domande sono quelle della cordialità. Altri spesso mettono la testa dentro l'auto per vedere cosa ho con me, pensando di chi sa che tesoro, loro no. C'è in tutto ciò un groviglio di mito e di moderno.
Faccio delle riprese poggiando il cellulare sull'auto e non pensandoci più e due scatti molto veloci in pochi secondi riponendo immediatamente la macchina fotografica in auto. Vorrei essere come un viaggiatore del tempo ed impormi di non modificare nulla che possa variare il futuro di questo luogo. Vorrei che tutto scorresse dopo di me, inconsapevole di me. Per ringraziarli del thè ho loro dato delle barrette di cereali che porto dall'Italia. Le aprono e con un gesto assolutamente naturale, che non palesa dubbi, affidano al vento l'incarto che si perde nella brughiera. Ho fallito.
Vorrebbero che restassi di più, ma devo andare. Mi offrono persino il loro pasto avvolto in due fazzoletti incrociati annodati, come era uso da noi molti decenni fa.
Non è solo il dolce sapore del thè ad accompagnarmi sulla silenziosa strada del ritorno. Ridiscendo a quote non innevate e mi dirigo verso Zanjan. Non ho il tempo di fare oggi il lungo giro a cui sono costretto dall'interrotta strada tra le vette. Rientrato nell'autostrada per i primi 50 chilometri guido incredulo tra formazioni rocciose multiformi e multicolori spettacolari. Non ne ho letto da nessuna parte e la scoperta amplifica le emozioni.
Sono sull'autostrada e tuttavia riesco a passare da un lato all'altro portando l'Ammiraglia su percorsi e sottopassi per greggi. Un villaggio di case di fango che sbordanti travi di legno compattano a sostegno di un tetto, è immerso in uno scenario lunare. Farebbe svenire un tour operator, ma nulla rimanda a contatti invasivi nonostante si trovi a ridosso dell'autostrada. La vita che vedo svolgersi, ad eccezione dei mezzi di trasporto, potrebbe essere la stessa di un secolo fa.
Nonostante non abbia concluso quanto programmato, oggi mi avvio verso una nuova mutevole casa provvisoria ben sazio di conoscenza, ma non di cibo. Non esco però, devo lavorare. Mi faccio dare del pane arabo e ceno con una scatoletta di tonno ed una di lenticchie della fornita dispensa che mi porto dietro. Li metto sulle mattonelle di pane che avvolgo e comodamente addento. Se qualcuno ne sarà sorpreso è solo perché mi immagina in vacanza.
“Non sono mai stato più lontano dallo stare….” …in vacanza.
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gianlucavasta
May 28, 2020
-------------------------------------------- Giorno 18 – 26 Nov 2019
Giornata persa e figlia femmina. Sarebbe nottata persa, ma mi serve così.
Vado a Maraqeh o Maragheh per cercare di vedere delle torri funerarie che la Lonely Planet cita soltanto senza dare indicazioni su come trovarle. Dovrebbero essere Zoroastriane e vado solo perché è un argomento che mi interessa particolarmente. Non le trovo. Inutile chiedere, nessuno mi sa dire nulla. Ci sono anche i resti di un importante osservatorio, ma il sito è in pessimo stato di conservazione, sembra abbandonato a se stesso e non c'è quasi nulla da vedere. Dopo aver fatto molti chilometri in una brutta zona ricca di industrie, chilometri oltretutto poco piacevoli e per niente rilassanti per via dei numerosi tir, torno indietro per Kandovan e come al solito arrivo poco dopo che il sole ha lasciato il luogo. Oggi non ci siamo proprio. Sarà che ho i nervi, sarà che sono stato in Cappadocia, ma Kandovan non mi colpisce. Per arrivarci sono salito a 2200 metri e si sente. Vado via dopo cinque minuti. Rivedendo però l'unica foto fatta, direi che vale la pena venirci se si è a Tabriz. Le formazioni rocciose scavate per farne abitazioni sono suggestive. Una visione panoramica del sito è però quasi impossibile per via di case moderne, pali, alberi, cavi, ripetitori, ed in basso negozietti turistici.
Sta facendo buio. Sono sulla grande superstrada che mi porta in centro, c'è moltissimo traffico. Faccio l'iraniano al volante, anche qualcosina peggio.
Quando sto per accendere le luci mi blocco un secondo, tutti i mezzi intorno a me hanno i fari spenti. Comincio a prestare attenzione alla cosa ed effettivamente nessuno, nemmeno i molti Tir ed autocarri, ha acceso le luci. Qualche giorno fa su una strada solitaria all'incirca alla stessa ora, dopo aver acceso le luci come d'abitudine, da una delle poche auto che mi venivano incontro mi hanno fatto dei segni veementi. Ho controllato se avessi inavvertitamente inserito gli abbaglianti e poi ho anche controllato a sera se avessi i fari alti. Nulla, ed avevo dimenticato l'episodio. Voleva certamente farmi capire di spegnere i fari.
È ormai quasi buio ed alcuni iniziano con le luci di posizione, mentre i primi fari accesi li vedo solo quando diventano indispensabili. Lo spettacolo del traffico caotico all'imbrunire senza luci è così lontano dalle mie, nostre abitudini che per la prima volta mi sento veramente estraneo a ciò che mi circonda. Incredibile, non c'erano riusciti la lingua, il cibo, il panorama, e mille altre caratteristiche certamente più significative. Non riesco nemmeno più a muovermi nel traffico come prima, come loro.
Quella che evidentemente è una norma del loro codice stradale non è del tutto sbagliata. Al crepuscolo si ha la visibilità peggiore della giornata, ed i fari accesi peggiorano effettivamente la situazione per quelli che incrociamo non essendo peraltro affato d'aiuto a noi. Succedeva lo stesso in Australia. Per avvistare meglio eventuali pericolosi attraversamenti di wallabies, non venivano accesi i fari fin quasi al buio completo.
Faccio il pieno per domani. La benzina la pago alla cifra massima cioè 30000 rial al litro, o 3000 toman che è un'altra unità di misura e qualche volta fa confondere. Parliamo di circa 30 centesimi che per me sono una manna, ma un mese fa costava 8 centesimi al litro ed ecco spiegate le veementi proteste. Un aumento del 400 per cento. Per fare rifornimento ognuno ha una tessera nella quale vengono registrati i litri di carburante acquistati perché un certo numero di litri al mese sono scontati a 15 centesimi. Per me straniero la tessera è quella del benzinaio ed il costo è quindi sempre quello massimo.
Sta facendo buio e devo tornare in Hotel per poter pagare online una prenotazione, richiesta all'agenzia, per i prossimi tre giorni. Questo problema di internet bloccato mi da sui nervi, ma oggi è giornata di nervi. Vorrei e dovrei arrivare prima della chiusura dell'agenzia in modo da avere conferma immediata. Ovviamente non accade ed anzi non riesco ad accedere ad internet nemmeno con il wifi. Poi fortunatamente la situazione si sblocca.
Comunque come dicevo, giornata persa e figlia femmina.
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gianlucavasta
May 28, 2020
-------------------------------------------- Giorno 17 – 25 Nov 2019
Mi sveglio ed apro le tende delle alte vetrate della mia stanza. Si affacciano su un incrocio trafficatissimo e stanotte ho dormito con i tappi, ma non è un problema. Disteso sul letto vedo perfettamente passanti e mezzi che si mischiano in un nuovo inizio di giornata come tanti. Oggi l'Ammiraglia resterà parcheggiata al coperto ed al caldo del parcheggio privato dell'Hotel.
Solo Bazar.
Ho con me la piccola tascabile ormai anziana, ma Leica e se gli scatti soffriranno della poca luce a disposizione, pazienza. La presenza di un qualunque obiettivo è sempre un elemento falsificante della realtà, farò il possibile per non influenzare il luogo a costo di non scattare per niente. Nel vecchio, sporco e poco appetibile zaino che uso in queste circostanze, zaino il cui interno però ho completamente imbottito, poca altra apparecchiatura invadente. Entro nella corrente di questo luogo millenario citato da Marco Polo, come mi suggerisce mia moglie, e mi lascio guidare dal caso. Mi aspetto molto dai suoi ben 24 caravanserragli, piazzette alberate, colori, profumi e rumori di cui ho letto e che sono una caratteristica comune di bazar e mercati non occidentali, ma quello che non mi aspetto è l'eleganza di questo luogo, un tripudio di cotto da far invidia ad un senese.
La ricchezza e la fastosità delle esposizioni non ha eguali nella mia esperienza. Le compravendite continue di ogni sorta di mercanzia nota od ignota non hanno sosta. Sono nel cuore pulsante di questa città, cuore giovane e forte privo di aritmie. Non c'è nemmeno l'ombra di un turista. Con il cappuccio sulla testa per il freddo che si insinua all'interno dei lunghi corridoi, vengo anche poco notato come estraneo. Faccio qualche rispettoso scatto, ma ce ne vorrebbero migliaia. Centinaia di carrelli trainati a mano si intersecano senza sosta, unico mezzo di trasporto possibile in questo labirinto, guidati velocemente nella folla al grido di Jalla! Jalla! Ogni tanto anche una moto cerca di aprirsi un varco. Ci sono centinaia di gatti, ovunque, che vengono tollerati anche quando si infilano dentro i negozi di alimenti in una ricerca, quasi sempre ripagata, di cibo. I restauri che vedo in alcune sezioni probabilmente non hanno mai fine. Molti negozianti hanno il tradizionale cappello di astracan azero, sento casualmente salutare con shalom e vedo vari carretti che trasportano zampe di maiale, sì avete letto bene, di maiale. In albergo mi diranno poi che ci sono anche cristiani. Magari quelli erano gli zamponi per Natale. L'islam in questo inizio di Iran è molto meno visibile che in Turchia. Non ho ancora sentito un solo muezzin nonostante abbia visto anche un paio di Imam aggirarsi tra la folla non interessati però alle mercanzie. Una piccola macina elettrica per il sesamo ne estrae un denso olio che viene immediatamente venduto.
Mi fermo ad osservare un forno a pozzo circolare sulle cui pareti viene attaccata la pasta distesa che in pochi secondi si cuoce.
Le molte piazzette alberate al centro dei caravanserragli sono un ottimo posto per sedersi a riposare continuando ad esplorare con lo sguardo questo mondo mai domo. Oppure si può scegliere una rilassante fumata di narghilè
e se siete degli integralisti potreste desiderarne uno a forma di Kalashnikov.
Ma queste sono solo briciole di questa intensa giornata.
L'atmosfera che si respira può rimandare solo, almeno nella mia esperienza, a quello di Istanbul comunque molto meno elegante ed interessante. Lì il luogo è intriso, in ogni sua espressione, della consapevolezza di un fascino internazionale da cui non è in grado di affrancarsi, qui c'è invece quella di una inestimabile perla che per svelarsi deve essere prima scoperta.
Se non siete mai andati ad Istanbul al Gran Bazar consiglio di farlo prima di decidere di venire a Tabriz, come in una degustazione di formaggi in cui è necessario iniziare da quello meno saporito.
Entro in un bel ristorante per una buona zuppa guarnita con chicchi di Barberry o Crespino, pianta di cui non conoscevo l'esistenza né tantomeno che fosse usata in cucina. Chiedo se posso restare un po' oltre il tempo del pasto e scrivo queste righe mentre sulla grande vetrata di fronte a me, che si affaccia su uno degli innumerevoli corridoi del Bazar, appaiono e scompaiono come dal finestrino di un treno vite, pensieri, problemi ed affari a me ignoti.
Prima dell'Hotel mi reco alla segnalata Moschea del Bazar che ha l'unica caratteristica interessante nella struttura anch'essa in mattoni di cotto. Mi siedo per un po' a leggere al caldo e nel silenzio appena macchiato dalle leggere voci di studenti che probabilmente declamano il corano e salutano con un cenno me, infedele.
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gianlucavasta
May 28, 2020
-------------------------------------------- Giorno 16 – 24 Nov 2019
Lascio Maku dopo tre giorni in cui ho iniziato a riprogrammare me stesso in funzione dell'Iran e mi dirigo a sud verso il cuore del paese. Un lungo giro mi porta sulle rive del Lago di Orumiyeh, un altro mare interno morente. Probabilmente destinato a scomparire tra deviazioni di affluenti e forte diminuzione delle precipitazioni, entrambe cause umane… cause umane.
Mi chiedo se mai qualcuno ha fatto una riflessione sull'aggettivo umano. Con una arroganza senza confini gli umani hanno dato all'aggettivo umano il significato di buono, compassionevole ecc. ecc. ecc. Tutte le accezioni positive possibili confluiscono nel significato che diamo a questa parola. Mi viene in mente solo la genialità del fantozziano “Ma come è umano lei…” che implicitamente denuncia quella che per me è una delle principali dimostrazioni della protervia dell'umanità. Forse esistono o sono esistite lingue in cui il termine che specifica la specie non sia anche investito di tutti i significati positivi possibili, lo spero. Dovrò indagare.
Meglio che torni al lago. In una giornata non limpida, con una luce che annulla colori e contorni, mi si presenta come una piatta distesa bianca senza confini dentro la quale vedo file di camion che ulteriormente la svuotano della sua ultima ricchezza, il sale.
Dietro una curva ho la visione improvvisa di un panorama quasi extraterrestre. Immediatamente imbocco una breve sterrata che intuisco mi condurrà in alto dove potrò averne una visuale sgombra. Dei giganteschi massi sono come appoggiati in attesa di qualcosa o qualcuno, solitari e frutto di chissà quali cataclismi contrastano con l'immobilità in cui sono immersi.
Un ponte consente di oltrepassare il lago senza costringere ad un lunghissimo aggiramento. Si paga un pedaggio. Proprio in mezzo aspettano alcuni venditori di sale probabilmente abusivi ed uno di loro mi regala un piccolo cristallo di quest'ultima ricchezza del Lago di Orumiyeh.
Mi dirigo verso la mia meta. Tabriz. Fino a questo momento ho rilevato qualcosa di totalmente inaspettato. Ci sono molti meno problemi negli spostamenti rispetto alla Turchia. Al momento non ho incontrato alcun posto di blocco militare e solo un paio di controlli della polizia. Non sono mai stato fermato. Non c'è nemmeno la paranoia dei limiti di velocità e per una buona ragione. Sulle strade ci sono migliaia di dossi artificiali, la maggior parte dei quali è così alta che devi per forza fermarti per poterli oltrepassare. Ovunque ci sia un incrocio, uno svincolo, un villaggio, una caserma, un posto di polizia, un qualunque motivo che comporti il dover procedere a velocità ridotta, ci sono i dossi. Dentro i paesi sono continui e si procede a singhiozzo accelerando e fermandosi davanti ad ognuno. A cosa servono le multe quindi? Se non rispetti i limiti rompi un asse. Molti poi nemmeno si vedono, ma dopo un po' capisci che ci sono sempre. Appena vedi un cartello di limite a 50 km/h sai che ti conviene rallentare. Semplice ed efficace. Non ci sono invece davanti alle strisce pedonali che francamente non capisco perché continuino a dipingere per terra dato che non sono rilevanti per nessuno, nemmeno per i pedoni.
Tabriz è una grande città ed il traffico inizia già ad una quindicina di chilometri dal centro. Ho letto che gli iraniani sono dei pessimi guidatori. Non sono completamente d'accordo. Forse l'unica cosa veramente negativa è la totale assenza del concetto di distanza di sicurezza. Nel traffico gli spostamenti di corsia repentini per sopravanzare gli altri sono esattamente come sul raccordo anulare, solo che qui lo fanno praticamente tutti e sono quindi continui incastri di auto che si rompono e si ricompongono senza sosta. Per guidare così devi essere sveglio e vigile. Un invito a nozze. Mi viene in mente mio padre che, quando ancora non ero in età da patente mi ripeteva spesso, “in una raggiante Catania”, che chi avesse imparato a guidare lì avrebbe potuto guidare in tutto il mondo. Chiaramente non significa che non farai mai incidenti. In ogni caso mi diverto e sorrido spesso vedendo le facce incredule ed interrogative di quelli che vedono un'auto sconosciuta guidata da uno straniero che si muove esattamente come loro.
Una breve uscita già nel buio della sera mi da una immagine positiva di Tabriz. Strade e vetrine moderne e luccicanti inframmezzate da ogni sorta di localini dove mangiare sono una piacevolissima cornice alla mia prima esplorazione. Sono stanco perché stanotte ho dormito poco per scrivere e pubblicare dopo qualche giorno di astinenza forzata, ma mi distacco comunque con difficoltà. Prima però entro in uno di questi minuscoli locali ed ordino degli spiedini di carne ed uno di pomodori che mi vengono cotti alla brace e serviti con ampie strisce di pane arabo. Si poggia tutto sul pane e lo si arrotola, mangiando poi comodamente con le mani. Delizioso.
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gianlucavasta
May 28, 2020
-------------------------------------------- Giorno 15 – 23 Nov 2019
Stamattina sono riuscito ad attivare sul computer la VPN sul wifi dell'hotel, mentre con il cellulare non è possibile. Aggiro quindi i blocchi e finalmente accedo a tutto. Sul sito dell'agenzia gli hotel di Tabriz non hanno più camere disponibili. Ok, non mi resta che telefonare e questo posso farlo anche in giro. Vado per la distante Kalisa Darreh Sham o Chiesa di Santo Stefano. Il sito è elegante e funzionale. Sulla ripida salita a piedi che porta alla chiesa ci sono dei bei terrazzamenti alberati ed in pietra con cascatelle d'acqua e persino un piccolo laghetto con pesci ed anatre.
La chiesa è certamente da vedere, ma ancora una volta è il percorso per arrivare che merita una descrizione. Provenendo da nord si costeggia la frontiera con l'Azerbaigian che segue il percorso del fiume Aras. Inizialmente il paesaggio è piatto e stavolta poco piacevole perché trasmette l'idea di abbandonato più che quella di desertico. Quando però il fiume si incunea nella valle omonima, il contrasto fra le selvagge aride pareti e l'acqua del fiume lascia senza parole. La Valle di Aras è un luogo da non perdere.
Sulla sponda opposta l'Azerbaigian ed una interminabile recinzione dove spesso si vedono postazioni militari ormai in disuso. Ho passato due gate vuoti e senza controllo militare, in un altro invece non mi fermano nemmeno. Sono a Jolfa, ma noto qualcosa di anomalo. Accosto e chiedo dove siamo. Azerbaigian. Cavolo, ho passato la frontiera senza accorgermene. Jolfa è una città a metà tra le due nazioni. Se guardate una mappa noterete che qui c'è un pezzetto di Azerbaigian staccato dal resto della nazione. In mezzo c'è l'Armenia. Fino a vent'anni fa qui si combatteva proprio tra Azerbaigian ed Armenia per il possesso di questo territorio. Dietro front. Nel frattempo ho telefonato all'agenzia e chiesto di prenotarmi tre notti a Tabriz. Adesso hanno anche il mio numero iraniano. Nel pomeriggio mi richiamano. Mi hanno trovato posto, hanno prima telefonato al mio hotel a Maku per accertarsi che anche stasera potessi accedere al web, mi telefonano poi dicendomi che mi hanno mandato una mail con il link per vedere l'hotel e quello per pagare online. Dopo aver saldato mi arriva mail di conferma e subito dopo mi telefonano nuovamente per confermare anche a voce. Perfetti. Mi saranno molto d'aiuto.
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gianlucavasta
May 28, 2020
-------------------------------------------- Giorno 14 – 22 Nov 2019
Maku è una piccola cittadina incastonata in uno scenario che farebbe andare in visibilio John Ford.
Mi dirigo verso la Cappella di Dzor Dzor. L'inizio del mio viaggio in questo paese islamico sarà dedicato ad alcune delle più belle chiese cattoliche armene. Si risale un costone di roccia e dalla cima, in lontananza, si scorge l'Ararat. Dal confine saranno almeno 25-30 chilometri ed ho un paio di tacche di segnale sul cellulare australiano in cui ho inserito la sim turca proprio per fare una prova. Purtroppo non aggancia la connessione dati. Pazienza. La cappella, detta anche della Vergine Maria, si trova in una posizione altamente scenografica, ma la luce è pessima e sono controsole.
In zona non ci sono quasi abitazioni, ho incontrato solo qualche contadino intento a preparare il terreno per la futura semina. Mentre ripercorro a ritroso la solitaria e panoramica strada sterrata che conduce alla chiesa, mi vengono lentamente incontro chiacchierando serenamente due donne del luogo, penso madre e figlia. Quando mi incrociano, dopo avermi salutato, mi fanno capire che possono prepararmi da mangiare e mi invitano a seguirle. Dire che l'offerta mi coglie totalmente impreparato è eufemistico, resto totalmente interdetto e non so che dire. Riesco solo ad affidarmi ad un istinto affinato in decenni di fredda vita occidentale che mi fa scattare un totalmente ingiustificato allarme interno: sai ancora troppo poco di questo mondo, non accettare. Continuando serenamente a chiacchierare proseguono verso la chiesa.
Sulla strada del ritorno, ritrovata la capacità di valutare senza preconcetti, mi pento di non aver accettato il loro invito. Sono qui per questo ed occasioni così non devo lasciarmele scappare. Me ne ricorderò.
Quando nuovamente mi trovo in posizione dominante su Maku e l'orizzonte aperto in direzione del confine, riprovo con la linea turca. Stavolta, dopo qualche minuto, il miracolo già visto varie volte in luoghi assolutamente sperduti nell'outback australiano, si ripete. Le due tacche di linea diventano 4G ed ho finalmente un internet non bloccato. Assolutamente incredibile. Posso comunicare con casa tramite chiamata WhatsApp. Sarà una lunga discussione tranquillizzante.
Il problema è soprattutto la ricerca degli hotel. In Iran, per via dell'embargo, non funziona nessuno dei classici siti di prenotazione come Booking ed inoltre le carte di credito non iraniane non possono essere usate. Io mi sono appoggiato al sito dell'agenzia iraniana 1stquest in cui è possibile prenotare e pagare online con qualunque carta di credito. L'agenzia la consiglio per qualunque tipo di viaggio in Iran. Con la situazione di questi giorni non riesco però né ad accedere al loro sito né a comunicare con WhatsApp o con la mail. Non resta che telefonare. Domani. Ho ancora altre due notti a Maku prenotate dalla Turchia.
Per gli aggiornamenti e per riparlare con casa, penso di tornare qui su domani e provare ad inserirli. Quando sarò andato via da Maku, se la situazione non cambierà, non potrò inventarmi più nulla.
Velocemente ridiscendo e mi sposto a sud-ovest per visitare la Qareh Kalisa o Chiesa di San Taddeo, letteralmente nel nulla. Per arrivarci, dopo esser sceso a 1000 metri, si risale velocemente ai 1800 di un ennesimo immenso altipiano deserto. Le chiese sono da visitare anche solo per godere dei luoghi e nel caso della Qareh Kalisa la strada per arrivarci può già essere lo scopo della visita.
Vado via. L'Ammiraglia avanza senza ostacoli scontrandosi continuamente con le scure macchie delle nuvole che si divertono ad interporsi tra lei e la fine dell'alta piana, come a suggerirle di restare.
All'hotel vedo tre grosse superaccessoriate jeep ed i proprietari chiaramente non iraniani. Sono dei tedeschi che stanno andando nei deserti del centro sud. Chiacchieriamo un po'. Dei luoghi intorno non sanno assolutamente nulla nonostante abbia l'impressione che almeno uno di loro non sia la prima volta che viene in Iran. Molti dei viaggi più o meno lunghi di cui ho letto avevano più la caratteristica di raid, come quelli di gruppo organizzati ad esempio verso la Mongolia. Non ne sono attratto. Mi sembrerebbe non di scoprire o capire, ma solo di utilizzare i luoghi attraversati per scopi che nulla hanno a che vedere con essi. Ma non voglio criticare troppo. Diciamo che la mia filosofia del viaggiare è molto diversa. Già il solo essere qui e conoscere chi non potrà mai fare altrettanto nella sua vita costituisce per me un enorme compromesso.
Mentre parliamo, ad un accenno sulla situazione di questi giorni, uno dei tedeschi dice che lui ha la connessione internet tramite il wifi dell'Hotel. Veloce verifica. Sì. Purtroppo però, dopo indagine accurata, la situazione è migliorata solo di poco. La sim irancell è sempre bloccata e con il wifi posso solo utilizzare qualche app, mentre Google, Youtube e vari motori di ricerca non si caricano. Posso ora parlare con casa dall'Hotel, ma per il resto ancora nulla o quasi.
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gianlucavasta
May 28, 2020
-------------------------------------------- Giorno 13 – 21 Nov 2019
Al confine regna il caos. Le auto sono inesistenti, siamo solo un paio, ma ci sono tir dappertutto ed in ordine sparso. Faccio una gran fatica anche solo a scorgere tra i tir le indicazioni per le auto ed un paio di volte devo tornare indietro ed aggirarne alcuni che bloccano completamente il passaggio. Anarchia totale. Un tizio che parla inglese mi istruisce ed aiuta sul da farsi. Chiederà 10 euro per il disturbo e mi propone di cambiare euro in rial. Rifiuto, ma per levarmelo di torno cambio fortunatamente solo 10 euro ad un cambio che è all'incirca quello visibile su internet e si rivelerà essere almeno la metà di quello reale. Occorre scendere dall'auto ed andare a degli uffici. Le abituali dogane dove accosti e dal finestrino porgi i documenti qui non sanno cosa siano. Da una parte mi timbrano l'uscita sul passaporto, da un'altra riempiono il Carnet de Passage sempre per l'uscita dalla Turchia. Ci sono due grandi cancelli paralleli distanti tra loro 30 centimetri al massimo, uno nero turco sempre aperto ed uno bianco iraniano sempre chiuso. Dopo qualche minuto due militari iraniani si accorgono che c'è qualcuno di inusuale e mi aprono.
IRAN
Il primo approccio informale con uno di questi lo racconto solo perché farà felici i miei nipoti. Da dove vieni? Italia. Che città? Roma. Ohhh, Franciesco Toti. Big, big. E va beh.
Mi portano a degli uffici dove sembra di essere alla stazione dei pullman con decine di persone con fagotti giganteschi che aspettano in file improbabili. Vengo preso in carico da uno che si dichiara funzionario del governo, mi fa vedere un tesserino scritto in farsi totalmente inutile per me, e parla abbastanza bene inglese. È lui che si occupa di tutto, io aspetto soltanto. Sono tranquillo solo perché la cosa è citata sulla Lonely Planet. In una pausa mi propone di cambiare euro. Anche qui cerco di tergiversare, ma poi capisco che non mi sta fregando perché mi spiega bene come stanno le cose. Il cambio fatto in Turchia, fortunatamente solo di 10 euro, corrisponde a quello bancario ed è esattamente la metà di quello diciamo libero. Verificherò solo in seguito che anche qui conviene cambiare solo un centinaio di euro per avere contante a sufficienza per un po'. Negli hotel ho poi avuto cambi fino al 30% migliori e nei bazar probabilmente si otterrebbe ancora di più, ma questa opzione mi è stata ampiamente sconsigliata da tante persone e non ho verificato. Da come facciamo lo scambio si capisce che non fa qualcosa di legalissimo, anche se tutti certamente ne sono a conoscenza. Ricevo un pacco di banconote di grosso taglio che ci vorrebbe una busta. Un funzionario viene a controllare il numero identificativo di carrozzeria e motore e mi chiede se ho alcool. Quando dico no… mi chiede perché? Ma che vuol dire perché? Senza aver dovuto nemmeno scaricare l'auto e senza dover fare una assicurazione per l'Ammiraglia perché in Iran vale la nostra carta verde, non so quanti lo sanno, dopo un'ora ho finito tutto. Il tizio, dicendomi che è per un'altra persona che effettivamente però ha provveduto ad un documento, si prende ben 35 euro per il disturbo e vi assicuro che vista la situazione sono ben spesi. Mi accompagna anche fuori dall'ultimo lontano cancello dove occorre consegnare un foglio rilasciato dai doganieri e mi consiglia di allontanarmi immediatamente da Bagarzan, città di confine, che dice piena di gente che cerca di fregare chi arriva. Comunque, avendo tre notti prenotate a Maku a 25 chilometri, seguo il consiglio. Anche perché mi occorrerà un po' di tempo per capire bene come muovermi. Intanto è andata via un'altra mezzora di fuso orario.
A Maku, mentre sono con lo sguardo all'insù per cercare l'insegna dell'Hotel che Maps.me mi dà a 50 metri dal luogo esatto, imprecisione fatale, con una delle ruote davanti finisco penzoloni dentro un canale di scolo. Non mi sono per nulla accorto, anche perché finora ero rimasto su grandi arterie, che ai lati delle strade ci sono enormi canali scoperti larghi anche fino a 70-80 centimetri ed altrettanto profondi. Un gran botto anche se procedevo a passo d'uomo. Non faccio in tempo a scendere dall'auto per capire cosa è successo che già si è fermato un tizio per soccorrermi. Capisce immediatamente il problema e ferma un'altra auto con due uomini ed in tre, mentre io metto la retromarcia, sollevano e liberano l'Ammiraglia. Non sono passati che 3 minuti. Chiedo dell'hotel ed un vecchietto che guardava la scena mi fa capire che mi ci porta. Libero un po' l'intasato sedile davanti e si siede scomodamente accanto a me indicandomi a gesti la direzione da prendere. All'hotel scende e ritorna indietro a piedi. Beh, a parte la frontiera che ovunque è un mondo a sé stante, gli iraniani mi si presentano esattamente come avevo letto di loro.
Fortunatamente l'Ammiraglia non è come una delle sculettanti plasticose siliconate sgallettate moderne, ma un bel duro blocco ferroso. Non ha fatto una piega, mi guarda solo un po' di traverso ed ha ragione.
All'hotel mi confermano che internet non va per niente. Non hanno nemmeno connessione telefonica per l'estero, ma mi indicano un coffee-tel per chiamare in Italia. Mentre vado mi fermo a comprare una sim Irancell al negozio a 20 metri. Una signora con un vistoso trucco, unghie finte da far invidia ad una Drag Queen e capelli curati che fuoriescono vezzosi dal velo, mi fa sedere ed attendere che sbrighi la pratica. Serve il passaporto e, alla fine, dopo avermi fatto firmare un foglio, tira fuori un tampone di inchiostro e devo lasciare l'impronta dell'indice accanto ad ognuna delle due firme. Poi mi indica dove vanamente provo a pulirmi. Mi aspetto quasi che adesso si passi al patto di sangue con la compagnia telefonica. Al momento posso solo chiamare in Iran, cosa che mi sarà utile e sono pronto per quando tornerà internet, se tornerà. Costo 5 euro.
Il coffee-tel è chiuso. Davanti ci sono madre e figlia con rigido abbigliamento ortodosso nero che copre tutto tranne il viso. Provo comunque a chiedere quando apre il posto, visto che le scritte sono per me incomprensibili. La ragazza, che conosce qualche parola di inglese, guarda la vetrina e mi informa, per nulla intimorita dallo sconosciuto uomo occidentale che le rivolge la parola, che non c'è alcun orario scritto. C'è invece un numero di telefono che digita sul mio cellulare parlando poi lei stessa con il titolare ed infine mi comunica che aprirà alle 4. La madre ridacchia palesemente compiaciuta delle capacità della figlia. Ringraziamenti e saluti vari anche se senza strette di mano.
Prima di tornare in hotel vedo un piccolissimo locale dove, dalle foto, capisco che si vende qualcosa da mangiare. Entro. C'è solo un posto a sedere. Il titolare, persona squisita e cordiale cosa che mi sembra di intuire sarà una costante, mi fa vedere qualcosa di rotondo che mi sembra una focaccina. Quante? Se me lo chiede vuol dire che si può prenderne più di una, allora ordino due di non so cosa. Ci sono le Pepsi e le Coca-Cola prodotte in Iran alla faccia dell'embargo. Ordino anche una pepsi. Mi fa sedere sull'unica sedia e mi offre del cay nell'attesa. Alla fine ho due lunghi panini con verdure varie e quella che avevo scambiata per una focaccina, dopo una gran fatica fatta con il traduttore, scopro che è carne di capra tritata. Praticamente un hamburger che viene cotto alla piastra, spezzettato ed inserito ad infarcire una lunga baguette. Insomma una specie di McDonald. Mangio nel mio locale privato uno dei buonissimi panini, bevo la pepsi e ne prendo un'altra da portare via. Quando chiedo di pagare mi risponde che non devo pagare nulla, e dopo un microsecondo mi ricordo che è una forma di cortesia consueta, il Ta'arof, e mi tocca insistere due volte prima che mi dica la cifra che comunque si aspettava di ricevere. Pago per tutto la bellezza di 1,80 euro e ci cenerò.
Al Coffee-tel che apre puntualmente alle 4, un buffo tizio che sembra un robusto moschettiere con baffetti parigini e capelli lunghi mi dice che nemmeno lui ha connessione per telefonare all'estero e mi da un foglietto con il nome in farsi di un posto a circa 500 metri dove potrei avere fortuna. Vado a piedi perché non mi ricordo cosa dire ai taxi per fare la corsa da solo senza che carichino altri passeggeri sul tragitto che, se donne, innescherebbero un girotondo finalizzato a non farle sedere accanto ad uomini non appartenenti al suo nucleo familiare e poi sono praticamente appena arrivato e mi devo ancora orizzontare, quindi meglio uno spostamento lento ed esplorativo. Chiedo più volte facendo vedere il foglietto ed arrivo nel seminterrato di un edificio di recente costruzione dove c'è lo studio di una fotografa, cosa che capirò dopo un po'. C'è una stupenda ragazza dagli occhi verdi, senza trucco, senza velo e con i jeans, che mi accoglie come fossi un amico non visto da molto tempo e mi dice che il posto è quello giusto e devo aspettare un attimo perché sta arrivando il fratello che capisce un po' di inglese. Lo chiama e poco dopo arriva con moglie e figlia. Si siedono con calma accanto e me. Sono tutti sorridenti e come felici di vedermi. Ovunque vai la prima cosa che ti dicono è, si sieda e l'impressione è che le discussioni o qualunque altra cosa vadano fatte con calma e seduti. Persino uno dei negozianti a cui ho fatto vedere il biglietto e chiesto indicazioni mi ha invitato prima a sedermi con lui.
Quando mi dice che non ha modo di farmi telefonare all'estero è realmente rattristato ed aggiunge che mi porterà lui stesso dove pensa sia possibile. Faccio per alzarmi, da stupido nevrotico occidentale, e fortunatamente capisco al volo che qui ci sono cose molto più importanti dei problemi da risolvere. Mentre parlavamo, la ragazza, anche lei con delle unghie finte chilometriche, ha preparato il cay e servito dei dolcetti squisiti, specialità di Urmia, che mi spiegano aver comprato ieri perché hanno dovuto andarci per lavoro. Chiacchieriamo come vecchi amici per almeno 20 minuti. Lui e la sorella sono dei turchi iracheni. Mi spiega che ci sono varie etnie in Iran che coesistono. La moglie che è persiana partecipa discretamente alla discussione e scopro che la fotografa è proprio lei. Anch'io ovviamente racconto un po' di me. Ora è lui che si alza e mi dice di seguirlo, l'ospitalità è stata onorata da entrambi. E noi? Mi viene in mente l'immagine di un pesce spada nell'affannoso inseguimento di un'esca al traino. Penso però anche, per contrasto, che se continua così diventerò teinomane.
Salgo sulla sua auto e vuole innanzitutto andare al mio albergo a chiedere perché un hotel per turisti non abbia telefoni che possano chiamare l'estero. Dopo che si sono parlati è incredulo perché gli confermano che è proprio questa la situazione, ma non riesco a capire se è una conseguenza dei problemi di questi giorni o meno. Mi porta allora ad un altro hotel dove scende, chiedendomi di aspettare in auto. Mi sarebbe comunque impossibile scendere perché cadrei in uno scolo dell'acqua che sembra la Fossa delle Marianne. Niente. Da Maku non si riesce a telefonare all'estero da un luogo pubblico. Mi riporta al mio albergo e si scusa incredibilmente più volte per non essere riuscito a risolvere il mio problema mentre io non smetto di ringraziarlo per la sua immensa gentilezza. Mi porge infine persino il suo cellulare offrendomi di telefonare con quello in Italia. Sono veramente colpito. Chiaramente rifiuto dicendogli che anch'io posso farlo con il mio e che provavo solo a non spendere una cifra molto alta. Ci lasciamo, ma prima vuole un indirizzo da cui poter vedere almeno le mie foto se non leggere gli scritti.
Se il governo non riapre l'accesso ad internet, almeno finché starò a Maku, potrò comunicare solo tramite la mia sim italiana a 6euro/m.
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gianlucavasta
May 27, 2020
-------------------------------------------- Giorno 12 – 20 Nov 2019
Prima di lasciare Tatvan, mi faccio indicare un meccanico. Penso di conoscere la causa di quel rumore sordo che a volte sento quando procedo lentamente, ma non posso permettermi di tralasciare nulla. Trovo un meccanico ed a gesti, versi e traduttore mi faccio controllare sospensioni e marmitta. Non c'è alcun problema, ma non riesco ad andar via. Vogliono assolutamente che faccia colazione e mi sieda insieme a loro, non c'è verso. Spiego che ho già mangiato, ma un bicchiere di cay non posso rifiutarlo. Mi fanno sedere insieme e come loro su una latta d'olio rovesciata e sono risate, pacche sulle spalle e strette di mano continue insieme a mille domande.
Ripasso per Ahlat, ma ancora arrabbiato per il ritardo di ieri sera e con la luce dura che c'è adesso decido di non fermarmi. Ci ritornerò con calma con mia moglie in un altro momento.
Il rumore che mi ha fatto cercare un meccanico è quasi certamente causato da un pesante pezzo di ricambio che ho inserito all'interno del cerchione di una delle mie due ruote di scorta posizionata sotto l'Ammiraglia.
Scene visivamente estranee mi parlano di un mondo simile, ma già distante dal mio.
La strada verso nord sale fino a portarmi a quasi 2600 metri e qui, oltre alle capsule del caffè ed alle bottiglie d'acqua, anch'io ho la percezione dell'altura. Incontro una zona di sciara che con una cima innevata ed un ampio cono di cratere sullo sfondo mi ricorda i panorami dell'infanzia sotto l'Etna
Finita la salita, dietro una curva che mi conduce al di là di questo passo, come un miraggio mi appaiono le cime gemelle del Grande e Piccolo Ararat.
In un cielo completamente sgombro da nuvole, dominano su tutto. Credo che non esista posto ed angolazione migliore per ammirarle, arenate in una arrugginita arida distesa imbevuta di mito sulla quale mi sporgo.
Mi tuffo, sotto lo sguardo del primo dei giganti che incontrerò in questo viaggio, ai 1600 metri di Dogubayazit da cui domani proverò a lasciarmi alle spalle, non con animo sereno, anche il debole profumo di Europa che ancora arriva fino a me. È presto, ma devo organizzarmi bene vista la situazione non prevista che c'è in Iran. Non so se e quando potrò continuare questo racconto, ma continuerò a documentare. A meno di imprevisti dovrei rimanerci circa un mese.
Sono l'unico ospite di un ottimo grande hotel. Devo attraversare un largo, lungo e silenzioso corridoio con moquette rossa e le porte delle camere ai due lati. Immagino di veder spuntare in fondo un piccolo triciclo guidato da un silenzioso bambino. Fuori non c'è ancora la neve, ma stavolta forse è meglio che mia moglie non sia qui.
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gianlucavasta
May 27, 2020
-------------------------------------------- Giorno 11 – 19 Nov 2019
Con la luce del giorno Tatvan appare diversa, gradevole. Il colpo d'occhio sul Lago di Van non lascia indifferenti. Devo visitare un paio di luoghi.
Noto, accanto alla strada, un piccolo cimitero con delle tombe chiuse tra ringhiere di metallo che le fanno sembrare delle culle. Sarebbe solo curioso se non fosse che immediatamente mi rimandano a qualcosa di lontanissimo, agli altipiani del Cile dove, nel primo viaggio in solitaria, incontrai tombe della stessa fattura, ma prevalentemente in legno. Lì risalivano alla fine dell'ottocento, qui il cimitero è ancora utilizzato. (Foto presente anche su juza)
La Altinsac Kilisesi (chiesa) si raggiunge dopo un centinaio di chilometri verso est sempre sulla costa sud. Sulla cartina sembra di non essersi mossi tanto il lago è grande. Si prende una sterrata bloccata da due militari, francamente non saprei dire perché. Controllano chi sono e mi fanno passare. La costa della piccola penisola in cui mi sto incuneando è meravigliosa, degna della migliore isola greca. Il colore delle acque ricorda quello dei bacini originati dallo scioglimento di ghiacciai. Arrivo al villaggio di Altinsac e chiedo della strada per la Kilisesi.
Mi inerpico con l'Ammiraglia fino a mezza costa della collinetta in cima alla quale ci sono i ruderi che cerco. Per andare oltre ci vorrebbero le ridotte.
L'ultimo strappo, anche a piedi, è impegnativo ma breve. Quello che è strabiliante non è tanto la chiesa quanto il luogo totalmente isolato ed il panorama sul lago e sui monti innevati intorno. Il clima è magnifico.
Altra tappa, forse la più famosa. La Akdamar Kilisesi si trova su un'isoletta e ci sono vari traghetti turistici con cui arrivarci. Non ho tempo, devo arrivare ad Ahlat con la luce del tramonto. Devo allora inventarmi una foto dalla riva.
Sono vicino ad un altro cimitero simile a quello di Ahlat, Gevas, ma ne tralascio la descrizione perché semplicemente non regge il confronto. Qui però ho la conferma definitiva di qualcosa che, nei giorni precedenti, vari piccoli roghi apparentemente accesi senza alcun senso mi avevano portato a pensare. Ricordate quanto ho scritto sul fumo che ogni sera avvolge tutto? Sono date alle fiamme, nei piccoli centri fuori dalle città, anche le immondizie. Di qualunque tipo. Non giudico ed invito a non giudicare però seduti su comodi salotti in un mondo altro. Magari “se capirai se li cercherai fino in fondo, se non sono gigli son pur sempre figli vittime di questo mondo”.
Corro, dovrei farcela, il sole è ancora alto. Devo ripassare da Tatvan. Incontro ben tre posti di blocco praticamente consecutivi, due dell'esercito ed uno della polizia. In uno il blindato a lato strada è anche un lanciamissili. Sono posti di blocco seri, devi incolonnarti ed aspettare il tuo turno. Controllano tutti senza eccezioni. Perdo un sacco di tempo, ma ce la farei ancora se non fosse per il traffico di Tatvan. Esattamente come ad Ani arrivo con 10 minuti di ritardo. Nel sito, un grande cimitero selgiuchide, ci sono centinaia di pietre tombali decorate infilate nel terreno. La bellezza del luogo mi fa aumentare la rabbia. Faccio qualche scatto di cui non sono affatto contento.
Due sposini lì per qualche foto di rito mi danno l'occasione per qualcosa che abbia senso.
Deve essere il mese dei matrimoni, ne ho visti almeno cinque. Le auto degli sposi sono sempre decorate con lunghi veli che avvolgono completamente la carrozzeria sia in lunghezza che in larghezza. Mentre me ne vado, varie centinaia di taccole si allontanano in volo. Anche da noi, almeno in centro Italia, sono una presenza costante in luoghi che trasudano di antico. La via principale di Tatvan è divisa in due da una lunghissima fila di pini probabilmente d'aleppo che dopo il tramonto si riempiono del chiassoso vociare di migliaia di quelle taccole. Un vociare che il frastuono del traffico non copre, nell'indifferenza però degli assuefatti abitanti.
Vedo dei ragazzi che mangiano l'Halka Tatlisi. Veloce sguardo intorno ed individuo una pasticceria che fa solo questi e Tulumba Tatlisi. Prendo 4 Halka ed una decina di piccoli Tulumba. Fra non molto abbandono la Turchia ed è forse l'ultima occasione.
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gianlucavasta
May 27, 2020
-------------------------------------------- Giorno 10 – 18 Nov 2019
L'acqua in macchina stamattina la trovo gelata. Il cambio è duro perchè anche l'olio si è addensato. Tutto normale e consueto. Lascio Kars con calma e mi avvio verso sud. La strada per Kagizman è la più isolata ed anche la più piccola percorsa su questo altipiano, con solo due corsie una per ogni verso di marcia. Se ne vedono a tratti vari chilometri che si snodano nella steppa, traffico inesistente. La terza volpe vista ad oggi attraversa la strada di corsa e si allontana prima di poter pensare di fotografarla. Allo scoperto la vedo andare verso un villaggio non lontano, solitaria interruzione dell'uniformità del paesaggio. Dietro, a decine di chilometri, una catena di vette innevate sfocate dalla forte luce solare. Mi fermo perché penso che abbandonerò prima o poi questo desertico paradiso ereticamente profanato da parecchia sporcizia sparsa ai lati della strada. Ogni tanto la si vede accumulata in zone delimitate che poi ciclicamente verranno ricoperte da uno strato di terra, prassi comune a parecchie aree desertiche del mondo. Mi fermo perché mi viene voglia di scrivere qui e perché devo integrare quanto scritto e pubblicato ieri con ciò che potrebbe cadere nell'oblio. Mi fermo perché mi passa accanto, in questo nulla che è tutto, un autoblindo che vuole ricondurmi al tutto che è nulla. Resto fermo a scrivere per almeno un'ora cercando parole nel vuoto che mi circonda.
Una telefonata pubblicitaria dall'Italia mi cancella brutalmente e definitivamente questo momento.
Lasciato l'altipiano di Kars si scende fino ai 1000m, ma quasi subito si risale con una panoramica strada in parte rifatta ed in parte ancora sterrata che porta velocemente a 2400 metri. Scendo per far riposare l'Ammiraglia e godere della vista dell'altopiano appena lasciato a nord. Subito dopo il passo, dall'altra parte, verso est un enorme massiccio in lontananza domina tutto. Dalla mappa capisco che sto guardando gli oltre 5000 metri del Monte Ararat. Si ridiscende, ma non sono mai al di sotto dei 1600 metri. L'asfalto è un grossolano bitume adatto a gelo e neve. Molti dei posti di blocco, che spesso si trovano all'inizio dei centri più grandi, adesso sono gestiti dall'esercito. Mitra imbracciati ed a volte un mezzo blindato. I controlli sono frequenti. Fortunatamente incrocio anche piacevoli formazioni militarmente inquadrate.
Mentre mi avvicino al Lago di Van sono sempre più accecato dal sole ormai basso che si riflette su questa immensa distesa d'acqua salata. Con l'ultima luce del giorno riesco ancora a vedere le creste bianche di neve dei monti che lo circondano. Vengo nuovamente fermato dalla polizia, ma stavolta mi lasciano andare immediatamente appena vedono che sono straniero. Non mi chiedono nemmeno il passaporto. Un veloce giro perlustrativo ad Ahlat per capire cosa vedere domani e sono nel caos di Tatvan. C'è persino un grande Carrefour.
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gianlucavasta
May 27, 2020
-------------------------------------------- Giorno 9 – 17 Nov 2019
A poca distanza dall'hotel mi reco, già in auto, ad un antico ponte proprio sotto il Castello di Kars ed accanto ad una moschea costruita con lo stesso materiale. Una scura roccia lavica a me familiare essendo nato alle pendici dell'Etna. I miei spessi pantaloni australiani si gelano indurendosi. Non c'è nessuno e mi metto in auto un paio di jeans foderati di pile che stavo per lasciare a casa. Chi mi conosce resterà certamente stupito e capirà che fa veramente freddo.
Avevo scritto che i limiti di velocità non erano un mio problema. Poco dopo aver preso l'Ammiraglia, ancora in città, mi ferma una pattuglia della stradale. Controllano tutto dei documenti con telefonate a qualche ufficio centrale. Varie domande e varie richieste di spiegazioni per decifrare il datato libretto di circolazione. Il poliziotto è un gentilissimo giovanotto che si sforza di farmi capire. Il controllo è veloce anche perché sia io che lui usiamo i traduttori dei nostri cellulari. Finito il controllo mi contesta 57km/h con un limite di 50. Per farla breve finisce fortunatamente in un nulla di fatto, come dicevo è veramente gentilissimo. Per finire mi chiede dove sto andando e mi lascia proseguire. L'episodio mi da l'occasione di sottolineare come in giro, in queste ottime e larghe strade solitarie che invitano a correre, spesso si incontrano pattuglie dotate di rilevatori di velocità ed è impossibile vederle prima di essere a tiro dei radar. Ieri ne ho vista una che monitorava il traffico e probabilmente controllava anche la velocità dei mezzi, con due droni.
La strada che percorro verso nord mi fa riandare ai 2200 metri che dovrebbe essere la quota massima su strada di questo immenso altopiano che mediamente si trova ai 1800 metri. Direzione Cildir Lake.
In un villaggio una partita di calcio fra ragazzi si svolge in un luogo che… non trovo le parole, forse non esistono. Giudicate voi.
Purtroppo riesco a fare solo due scatti perché il mio arrivo ha l'effetto di un palese rigore negato dall'arbitro alla squadra di casa. Partita sospesa a tempo indeterminato. Avrei voluto avere con me il mantello dell'invisibilità. La foto la dedico a Gabriele Salvatores e, nel mio piccolo, “A tutti quelli che stanno scappando”.
Breve sosta al Castello del Diavolo che, arroccato su una roccia a strapiombo su una ennesima alta gola, ricorda molti luoghi italici. Per arrivarci una sterrata breve. In fondo non c'è parcheggio e nemmeno spazio per girare. Trovo 2 auto e ne arriveranno altre due. L'ammiraglia è sufficientemente alta da terra per consentirmi manovre impossibili alle altre auto. I turchi approvano.
Il giro intorno al lago, che non mi aspettavo così grande, è un piacere per la guida e per gli occhi. Tranne il villaggio di Cildir non ci sono infrastrutture o costruzioni. Accendo la musica e mi diverto su questa lunga strada sinuosa ed ondulata senza curve cieche. Unico neo, ho il sole il faccia.
Il sole! Devo fare in fretta perché si sta abbassando velocemente e devo tornare ad Ani. Per la foto che volevo fare arrivo con 10 minuti di ritardo, non di più. Il rudere in basso dentro il canyon è già irrimediabilmente in ombra. Peccato.
Ieri non mi ero spinto verso la parte sud del sito. Il canyon da questo lato ha decine e decine di grotte sulle pareti. Veramente scenografico. Ani è imperdibile.
Sulla strada del ritorno anche stasera i lampioni esaltano una nebbia sottile e bassa. Quando la si attraversa però, un odore acre racconta di poveri inverni vanamente addolciti da magre stufe sfamate non certo con appetitoso legno. I fumi si alzano dai tetti di tutti i piccoli nuclei che si incontrano e soffocano l'aria altrimenti leggera della notte.
A sera, in un locale popolare vicino l'hotel, provo il lahmacun turco. Una sottile focaccina con carne e verdure. Non vedo pizzerie, cosa rara in qualunque parte del mondo ormai, probabilmente proprio perché hanno il lahmacun.
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gianlucavasta
Nov 17, 2019
-------------------------------------------- Giorno 8 – 16 Nov 2019
Ho già fatto un paio di rabbocchi di olio, normalissimo per un motore anziano ed anche comodo perché non devi mai fare il cambio olio. Per la prima volta anche l'acqua del raffreddamento si è abbassata, con le salite impegnative che sto facendo è ovvio. È una cosa positiva perché così rabbocco con l'antigelo che ho con me. Il cavo della tromba del clacson è irrigidito dal freddo, lo smuovo un po' e lo piego varie volte per farlo sgranchire. Rifunziona.
La strada mi costringe a fermarmi varie volte per delle belle formazioni rocciose. Si scende inizialmente e poi si risale passando per una insolita zona alberata di conifere. Sembra un po' il trentino. Risuperati i 2000 metri si ridiscende fino ai quasi 1800 della steppa sterminata in cui è collocata Kars. Arrivando faccio una prova di utilizzo GoPro, devo riprenderci la mano.
Spruzzi di neve sono presenti sui rilievi circostanti. Certamente non puo' essere neve dell'altra stagione e quindi vuol dire che qui ha già nevicato. Le previsioni però si mantengono incoraggianti. Intendiamoci, adoro la neve ed anche guidarci sopra, ma il livello di difficoltà qui mi è sconosciuto. Sono zone in cui la neve può bloccare tutto, quindi dovrebbero anche essere attrezzati. Dispersi nel giallo dominante ed immobile, villaggi e grosse mandrie sono affascinanti.
Kars è piccola e caotica. Il clacson serve… per i pedoni. Giorni fa avevo criticato guidatori che per passare intimorivano i pedoni con colpi decisi di clacson, ma qui devo farlo anch'io, si fiondano in strada ovunque, anche ai semafori quando io ho verde e loro rosso. Una moto della polisi passa tranquillamente con il rosso. Paese che vai… Alla periferia ed anche in centro dei casermoni effettivamente hanno un'aria russa retaggio di passate dominazioni, ma francamente se non l'avessi letto non l'avrei notato.
Dopo aver posato la valigia in hotel mi dirigo verso la mia meta principale. La città di Ani un migliaio abbondante di anni fa ha ospitato fino a 100.000 persone. Ci sono una decina di strutture evidenti anche se parzialmente crollate. Lo spettacolo è però scenograficamente rilevante. Il silenzio è immediatamente percepibile, in questa stagione senza turisti. La cima degli edifici, sparsi ed isolati su un'area molto ampia, affiora dalle leggere sopraelevazioni del terreno create da ambienti non ancora esplorati.
Al limitare della città un profondo e sinuoso canyon fa giungere il suono delle acque sottostanti.
Ciò che dona fascino a questo luogo umano è quindi, come spesso accade, la natura in cui è inserito. È ormai quasi buio e non ho potuto fare buone foto in buona luce, ma tornerò domani. Nel muro in alto sulla porta d'ingresso che attraversa le cadenti mura, una svastica ricorda della capacità dell'uomo di dare ai simboli, e non solo a quelli, il significato che più loro aggrada a secondo dei propri mutevoli pruriti elevati a dogmi quasi sempre con l'intento di sottomettere.
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gianlucavasta
Nov 16, 2019
-------------------------------------------- Giorno 7 – 15 Nov 2019
Quando mi rimetto in marcia i venditori di souvenir stanno ancora sistemando le bancarelle su strada. Il paesaggio dopo poco si trasforma. Ero tra colline di roccia affiorante parzialmente coperte da alberi imbruniti dall'autunno e pian piano gli alberi scompaiono restando confinati solo ad avvallamenti e letti di fiumi. Forti salite e poche discese. Sole accecante, nessuna nuvola, ma c'è freddo al punto che devo accendere il riscaldamento. A cadenza regolare una pattuglia della stradale si scorge in lontananza, ma quasi sempre avvicinandosi si scopre che è solo un pannello di legno. L'illusione ottica funziona perfettamente. Da notare che ho scritto quasi sempre, perché a volte è una pattuglia vera, quindi occorre stare attenti ai limiti. Non è un mio problema. In lontananza, su alte vette, vedo per la prima volta la neve.
Si è scortati ai fianchi da basse colline brulle che prima si innalzano subito a ridosso della strada, poi pian piano si allargano facendo apparire immense distese. Su una di queste, in ombra, delle strisce di neve a poche decine di metri da me mi fanno trasalire. Ma a che altezza sono? Verifico immediatamente. 1600 metri. Caspita. Gli altipiani. Per i seguenti 300 chilometri, fino all'arrivo, rarissimamente scenderò al di sotto dei mille e cinquecento metri, arrivando a toccare i 2200. Si possono non vedere costruzioni per vari chilometri, silenzio, traffico inesistente. A volte delle piccole chiazze d'acqua mi fanno fermare per l'avifauna, ma questi non sono certo luoghi in cui svernare. Solo folaghe e poco altro. Il panorama è ormai quello della frontiera, nel senso di limite ultimo, di confine del mondo, di disabitato. Il mio ambiente. Spengo anche la musica per assaporare appieno il piacere della guida, l'Ammiraglia canta serena con voce invecchiata, ma intonata. La nostra piccola ed ingolfata Europa quasi ignora tutto ciò, Europa di cui qui ancora si sente il profumo. Sono tre anni dall'Australia e le sensazioni intense che non riesco ad arginare mi svelano il mio stato di astinenza malamente celato dalla quotidianità.
Ho fame. Vedo una Lokanta. Un paio di autobus a lunga percorrenza hanno sbarcato i pochi viaggiatori. Uno stanzone pieno di tavoli dove mangiare ed un banco di cibo caldo. Sono tutti gentilissimi e quasi mi scortano spiegandomi le pietanze e servendomi le mie scelte. Anche uno yogurt squisito che mi consigliano di mischiare con del riso. Un ragazzo sui 18-20 anni è l'unico a parlare inglese, ma interviene solo con qualche parola, timoroso di sopravanzare il fiume di parole in turco degli altri. Mi siedo ad un tavolo alla vetrata. Davanti a me le poche mercanzie allineate in scaffali di legno che odorano di altri tempi, sull'ultimo in alto dei grandi peluche chiusi nel cellophane guardano ed aspettano tristemente chissà da quanto tempo che qualcuno doni loro una casa, un letto, un bimbo. A fianco, fuori dalla vetrata, la mia cavalcatura si riposa e quasi mi sorride. Sullo sfondo l'Armenia. Distolgo lo sguardo dall'Ammiraglia per mangiare e quando riguardo fuori un uomo armato di una scopa con attaccato un tubo dell'acqua la sta pulendo. Non solo i vetri, ma anche tutta la carrozzeria. Un car wash non richiesto, certamente usuale. La scopa la libera dalla polvere e le regala delle delicate grattatine. Immagino stia facendo le fusa.
Ai bagni un omino chiede 1 lira. Non sono per schizzinosi e forse nemmeno per gente normale, ma ho visto di molto peggio. Fortunatamente c'è un box con tazza occidentale, alle turche ormai dominanti non mi abituerò mai.
Varie giovani robuste donnine si aggirano nel parcheggio cercando viaggiatori da allietare, anche questo è frontiera.
Dopo aver fatto felice chi aveva fatto felice l'Ammiraglia vado via, ma dimentico di fare una foto all'esterno. Torno indietro e provvedo dall'altra corsia.
Il ragazzo di prima, che mi aveva salutato mentre ripartivo, mi vede di nuovo e corre da me attraversando la strada saltando l’aiuola in mezzo. Mi chiede se sono un viaggiatore. Francamente non so che rispondere, le etichette non mi sono mai piaciute anche perché sono limitanti, ma sarebbe troppo complesso da spiegare e quindi gli dico di sì. Faccio foto? Sì. Sono su Instagram? No. Dove vado? India, se ci arrivo. Gli spiego che, anche se non su Instagram, scrivo su internet e vuole assolutamente il link anche se gli dico che scrivo in Italiano. Ma, a parte tutto ciò, è il suo profondo sguardo che mi colpisce. Non c'è ammirazione, non c'è invidia, non sta guardando me. Nei suoi occhi c'è il riflesso dei suoi sogni, delle speranze in qualcosa di cui io sono solo la casuale conferma. Ecco, quegli occhi ed il luogo mi fanno capire che lì in quel punto sta iniziando il mio viaggio, con quello sguardo. Forse leggerà queste righe con il traduttore e quindi lo saluto e gli auguro di avere la forza di provare a realizzare tutto ciò che sogna.
Costeggio l'ampio letto di un fiume che attraversa le pianure e le larghe gole di questo altipiano. Cerco il nome. Eufrate. Di fianco a me scorre la storia.
Dopo una cinquantina forse più di chilometri, l'Eufrate soffre costretto all'interno di un ampio bacino idrico. La Turchia ha il vantaggio dell'inizio del suo scorrere.
Faccio una lunga deviazione per provare l'auto anche su strade all'interno che, a parte una sterrata molto pietrosa fatta per tagliare, restano buone ed asfaltate anche se tra i monti e di collegamento tra piccolissimi agglomerati di 4 o 5 fattorie. Maps.me non mi fa sbagliare neanche un bivio. Si fa buio. Mi fermo per una foto. Il contadino della casa vicina mi viene incontro. Un piccolo uomo, nel senso della statura, con un viso e degli occhi sorprendenti. Quando gli stringo la mano la sento enorme, dura, una mano che racconta una vita.
Ho però esagerato con la deviazione e gli ultimi 100 chilometri li faccio con il buio che non è affatto un problema, ma si fa tardi e domattina vorrei comunque ripartire molto presto. Inoltre devo di nuovo andare piano a causa di altre forti salite. Erzurum si scorge ad almeno una ventina di chilometri e già dalle luci si capisce che si tratta di una vera città. Due strutture molto grandi sono completamente illuminate e dominano tutto il resto, sono due scivoli per il salto con gli sci. Siamo a quasi 1900 metri e si sente. Città moderna ed agghindata piacevolmente probabilmente in attesa della stagione sciistica. Le previsioni per adesso mi danno sempre cieli tersi e temperature però che la notte scenderanno abbondantemente sotto lo zero. L'Ammiraglia ha il primo problema, non funziona il clacson.
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gianlucavasta
Nov 14, 2019
-------------------------------------------- Giorno 6 – 14 Nov 2019
Ho lavorato parecchio perché l'impostazione del lavoro con foto e video mi prende un sacco di tempo. Più avanti sarà più facile, spero. Al di fuori dei viaggi fotografo poco e nessun video.
Visto che sono in auto ho un po' di tutto, tranne per la macro che non è un mio interesse e posso fare qualcosa di decente (per me) con quello che ho. Via via ed a secondo dell'utilizzo vedrete gli obiettivi che ho dietro dalle info sulle foto. Per quelli sigma art ho la doc station, ma se dovrò usarla spesso li lascio perdere, non posso stare appresso in continuazione al fuoco. Ottimo Dell XPS 13”, ma non ho tempo nemmeno per stare appresso alle elaborazioni, quindi… quello che viene viene. I video. Quello di ieri era la cosa più veloce che posso mettere in campo. Cellulare e qualche taglio e transizione al volo con l'ottimo Rush di Adobe che sto imparando ad utilizzare. Ho anche una Gopro3+. Sugli aggiornamenti aspettatevi buchi perché non credo proprio di riuscire a farli sempre giornalmente. In caso di forfait ed abbandono per qualunque motivo ed in qualunque momento informerò in qualche modo se la causa dell'abbandono me ne darà la possibilità. Magari chissà, qualcuno seguirà e continuerà da dove mollo. Da che mondo è mondo ha sempre funzionato così. Spero di mostrargli comunque una luuunga strada da ripercorrere. Magari sarà qualcuno che mi sta leggendo.
Veniamo ad Amasya. Sono stato alle tombe che si trovano praticamente sulla mia stanza ed a due musei. Girare per la cittadina non mi attira anche se può essere piacevole per molti. Le Tombe risalgono anche al 400 avanti cristo, pensavo leggermente più recenti. Info dettagliate oggi come oggi sono inutili, basta avere una connessione e leggere. Se poi si ha un interesse particolare verso qualcosa, l'approfondimento non posso essere di certo io a darlo, anche se il discorso cambierà se, chissà, dovessi farcela ad arrivare in India. Ho sviluppato interesse recentemente ed a causa di questo viaggio, verso la tradizione indù. Ma è ancora troppo, troppo, troppo presto e poco, poco, pochissimo probabile. Data al 50% la giocherei al volo.
Quindi, lasciando i sogni nel cassetto, descriverò sempre ovviamente dove sono per delineare il quadro, ma opinioni, sensazioni ed eventuali consigli avranno la priorità.
La salita alle tombe ha gradini molto alti, e molte assi di legno sono rotte. Anche nei siti turistici questo è il tempo dei lavori di restauro aspettando l'alta stagione. Certo che in estate la salita sarebbe sfiancante. Direi che non ne vale la pena. Quello che si vede da vicino è quasi lo stesso di ciò che si vede da sotto e senza la visione panoramica il sito perde parecchio fascino. Le camere mortuarie sono scavate nella roccia ed hanno anche un passaggio ad U dietro, accessibile solo in una, ma aldilà delle varie ipotesi sul loro utilizzo non c'è nulla di nulla, solo un alto cunicolo molto scivoloso perché la roccia è levigata dalle migliaia di turisti che certamente entrano a costatare che non c'è nulla. L'effetto e la visione dal fiume, soprattutto la sera quando tutto viene illuminato, vanno perciò benissimo a mio parere. Sempre vicino al mio hotel, in una delle case ottomane, c'è un piccolo museo in cui sono ricostruiti gli ambienti ed hanno sistemato dei manichini con abbigliamento dell'epoca. Al primo non ero preparato e mi fa venire un colpo. Ampiamente saltabile. Il museo serio si trova invece aldilà del fiume nella parte nuova, ma poco distante. Molti oggetti dell'epoca romana e bizantina, pochi quelli interessanti, sono sistemati in modo ordinato, ma il pezzo forte sono delle mummie o sarebbe meglio dire corpi mummificati del quattordicesimo secolo che forse possono incuriosire anche perché è stato possibile risalire ai personaggi a cui appartengono.
Riassumendo, lo spettacolo di ieri sera con quartiere e tombe illuminate vale certamente la visita, ma il resto è superfluo. Fermo in stanza a riposare e ad organizzare per l'inizio vero del viaggio valutando varie ipotesi, la mente mi si affolla di pensieri. Dubbi di duemila tipi, ma soprattutto la paura che lo stare quasi sempre in luoghi abitati, se non densamente abitati, mi faccia prima o poi venire nausea. Il mio habitat naturale è la natura senza contaminazioni umane ed è soprattutto questo il mio principale stimolo al viaggiare. Non stupitevi quindi se potrà succedermi di rinunciare a qualcosa di fortemente turistico e come si dice “da vedere assolutamente” proprio per essere al limite della sopportazione e preferire altro. Inoltre è proprio in mezzo alla folla che ci si può sentire soli. Veramente da soli si avverte molto meno o per nulla. Pensieri, pensieri, pensieri. Domani riprendo la cavalcata, è meglio. Sono uscito un po' prima di cena per cercare di trovare una ciambellina croccante che ad Istanbul mi aveva fatto impazzire. Halka Tatli (Un viaggio in solitaria 3). La trovo, ne prenderei 10, ma mi fermo a due o rischio le coliche. Ne mangio una immediatamente. Ad Istanbul per strada appena fatte erano migliori, ma è una delizia lo stesso. Crosta dura, cuore tenero imbevuta di acqua e zucchero. Assolutamente da provare. Dopo cena buone e mediamente buone notizie dall'Iran. Una delle buone è che avrò comunque 30 giorni disponibili a partire dalla data d'ingresso perché la data di fine visto si riferisce all'ingresso e questo mi fa cambiare programma. Resterò in Armenia, qui in Turchia, altri 5 giorni per visitare quello che mi ero segnato, ma pensavo di non poter fare. Domani sarà quindi l'ultima vera tappa di trasferimento prima dell'inizio ufficiale del viaggio che a questo punto sarà qui in Turchia. Così, e non scherzo per niente, darò modo all'Ammiraglia di potermi comunicare se se la sente di infilarsi con me in questo buco nero. Esagero…?, lo spero! Comunque da dopodomani si comincia sul serio. Ma, una cosa alla volta. Pensiamo a domani.
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gianlucavasta
Nov 14, 2019
-------------------------------------------- Giorno 5 – 13 Nov 2019
Sveglia con il buio e partenza con un filo di luce. Voglio proprio allontanarmi dal traffico. Solo a 150 chilometri da Istanbul non si sente più il fiato sul collo delle sue 15 milioni di anime. Altri 100 chilometri e lascio l'autostrada. Il panorama cambia radicalmente. Gli alberi sono decisamente pochi. Si sale. Per qualche centinaio di chilometri si viaggia su un altipiano e la strada tocca anche i 1200 metri. Le bottiglie d'acqua scricchiolano sotto la spinta dell'aria interna che si espande. Il panorama si apre. Mi sento bene. La guida riprende ad essere un piacere. Anche l'Ammiraglia fila via che è una bellezza nonostante ci siano da affrontare salite ripidissime e discese a capofitto. Nel traffico e nel caldo soffriamo entrambi. La Turchia rurale scorre con le sue contraddizioni tra una forte componente religiosa e la ricerca di rapida modernizzazione.
Mi fermo su strada per mangiare quanto avanzato da ieri e prendo dal contenitore di juta qualche capsula di caffè perché ne porto in camera poche alla volta e le ho finite. Sono sigillate e… si sono gonfiate. È ovvio, ma non ci avevo pensato prima. Lo stesso effetto dell'aria interna alle bottiglie d'acqua. Penso che se salgo a 2000 metri ed oltre, e succederà, potrebbero scoppiare tutte insieme come dei popcorn, sarebbe un bel disastro. Le bottiglie le posso aprire ed eliminare il problema, ma queste no.
A poco dalla meta di oggi mi fermo ad una delle decine di bancarelle sulla strada che vendono soprattutto grosse cipolle bianche in grossi sacchi ed attirano clienti con il fumo che fuoriesce dal tubo di sfiato di quelli che sembrano dei samovar. Servono per l'acqua del chai o çay (thè). Io mi fermo per berne un bicchiere. Dato che serve solo per attirare i compratori dei prodotti, il thè non viene venduto. Nemmeno a me che non compro nulla. Il proprietario è un kurdo e lo dice con orgoglio, specificando che un'ampia zona intorno è abitata da kurdi. Fa anche un accenno agli americani, ma si trattiene dal continuare. Io non lo stimolo, ma gli faccio capire come la penso. Arrivano da scuola i figli, tre ed il più piccolo mi si mette in posa per una foto, ma gli dico che non sono lì per quello. Per ringraziare del thè lascio al bambino un piccolo peluche che ho con me. Il padre mi regala a sua volta un grosso frutto tra quelli in vendita e mi dice che lo posso mangiare anche senza sbucciarlo. Non ricordo più il nome in kurdo.
Sto molto lentamente entrando in clima viaggio anche se il vero inizio sarà al prossimo confine. La Turchia è un lusso che non posso permettermi. Il visto iraniano scade il 12 dicembre. Volevo e potevo starci un mese e quindi adesso ogni giorno qui è uno tolto all'Iran.
Arrivo alla mia meta, Amasya. È piuttosto grande e vivace con strade che ricordano Istanbul con un po' meno di vitalità. Ma la zona antica ottomana è strabiliante, dominata dalle Tombe dei Re del Ponto, che sono venuto a vedere, scavate nella parete a strapiombo che si innalza a ridosso delle case. Proprio qui ho prenotato, in uno dei tantissimi hotel ricavati da case ottomane restaurate. Camera 20 euro. Ha grandi finestre sul fiume che passa accanto. I muezzin chiamano alla preghiera. Decido in un secondo che resterò due notti, e pazienza che sarà uno in meno in Iran.
Borgo iperturistico e stradina piena di negozi, ma è fantastica perché…. non ci sono turisti. Mi fanno parcheggiare proprio all'ingresso della salita per le Tombe. Fantascienza in altra stagione.
Mi rilasso ed inizio ad organizzarmi per la documentazione. Le Tombe le visiterò domani.
Esco a fare una passeggiata. Poco prima del buio, mentre piacevolmente costeggio il fiume Yeşilırmak (Fiume verde), la parete di roccia a strapiombo e le Tombe dei Re si illuminano improvvisamente. Non me lo aspettavo e resto per un bel po’ a bocca aperta. La cittadina, il fiume e le Tombe compongono una ipnotica scenografia difficilmente eguagliabile al cui centro spicca la proiezione della orgogliosa mezzaluna turca in campo rosso.
Poco dopo, nella quiete del fuori stagione, i muezzin inseriscono in questo fiabesco scenario la loro melodica vocale colonna sonora e lo spettacolo diviene unico.
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gianlucavasta
Nov 14, 2019
-------------------------------------------- Giorno 4 – 12 Nov 2019
TURCHIA La nebbia mi ha accompagnato a tratti lungo Serbia e Bulgaria sfocando la campagna giallo bruna autunnale. Pensavo di esserne fuori, invece stamattina avvolge la poca strada che mi separa dal confine turco. Una decina di chilometri prima c'è già la coda ininterrotta dei tir in attesa. La corsia lasciata libera per le auto è talvolta quella destra, altre la sinistra e nella nebbia si deve andare piano perché ci si può trovare un camion fermo davanti all'improvviso nel punto in cui occorre cambiare lato. Alla dogana bulgara tutto ok, unico problema il dover arrivare proprio sotto i caselli per vedere quale è quello con il semaforo verde. La nebbia è sempre abbastanza fitta. Alla dogana turca invece ecco i primi problemi che mi aspettavo solo in Iran. L'anno scorso non era poi stato così difficile passare, oggi è un'altra storia. Dopo vari rimbalzi tra uffici che controllano tutto, anche il numero di telaio e motore, il problema si sposta sul bagaglio e me lo aspettavo come dicevo, ma non qui. Quando apro il portabagagli o gli sportelli dietro, tutto è stipato in un blocco compatto. Una manna per i doganieri. Ho anche tolto l'intero sedile posteriore per avere più spazio possibile. Metà Ammiraglia contiene suoi pezzi di ricambio compresa marmitta completa fino al collettore collegato al motore. Aperto il bagagliaio si vedono quindi svariati tubi che si intersecano a creare mille spazi in cui ho infilato veramente di tutto in un anarchico ordine dettato esclusivamente dai volumi. La percezione di un occhio estraneo mi è chiaramente spiegata dall’incerta espressione dell’addetto alla perquisizione.
Ok, mi dice di tirare fuori tutto. Dopo il mio “noooo” detto però sempre con il sorriso sulle labbra…. devo comunque tirare fuori tutto. Massacrante. Il doganiere resta interdetto quando apre una grossa bustona di juta in cui ho messo 400 capsule di caffè. Già. Ho con me una piccola macchinetta elettrica per l'espresso che porto sempre ed ovunque se mi sposto in auto. Un legame con casa. Gli spiego e ridacchio perché anche questo me l'aspettavo. Altra manna per un doganiere. Comunque sembra gradire l'effetto delle capsule sigillate sul suo braccio infilato completamente dentro a cercare chissà cosa. Mi ricorda Amelie che ama infilare la mano dentro un sacco di legumi. Alla fine però ho poco da sorridere. Dopo aver verificato che non traffico in nulla ed aver estratto dall'Ammiraglia anche tutta la fanaleria al completo che ho con me, candidamente mi dice che in Turchia non si possono importare pezzi di ricambio. Gli dico che devo andare in India e già è improbabile che ci arrivi con, figuriamoci senza ricambi. Niente da fare. Poi mi viene in mente il Carnet de Passage en Douane a cui non avevo pensato perché per la Turchia è necessario solo per particolari veicoli. Forse sono io il particolare veicolo, essendo così carico. Comunque, anche se lo rigirano tra le mani in molti perché non l'hanno evidentemente mai visto, dopo telefonate varie a non so chi e non so dove, la questione si sblocca positivamente. Mi ci vuole mezzora buona per risistemare tutto in auto e dopo, prima di andar via, mi leggo attentamente la istruzioni del Carnet che tanto dall'Iran in poi mi servirà praticamente sempre ed è meglio che cominci subito a controllare che sia compilato correttamente dai doganieri. Chiaramente non è così. Ritorno all'ufficio e gentilmente faccio capire cosa serve. Non si erano nemmeno presi il talloncino che spetta loro come documento del mio passaggio. All'uscita si possono avere problemi se tutto non è perfettamente compilato. Alla fine riparto dopo almeno un'ora e mezza.
Il Carnet si richiede all'ACI e per farlo è necessario stipulare una fideiussione che garantisca una cifra da corrispondere alla motorizzazione estera nel caso il veicolo resti in un'altra nazione. La fideiussione è da fare per una cifra basata sul valore dell'auto stabilito dalla motorizzazione e quindi per veicoli recenti può essere anche di varie decine di migliaia di euro. Per l'Ammiraglia è il minimo sindacale, 2300 euro. La banca, per la fideiussione, mi ha fatto perdere inutilmente quasi un mese sempre rimandandomi di settimana in settimana, dopo di che li ho mandati a quel paese e mi sono rivolto online ad una assicurazione pagando però ben 300 euro. Poi calcolate un mese per avere il Carnet dall'Aci che in ogni caso può dare tutte le informazioni dettagliate.
Bene, sono fuori… no! C'è subito un posto di blocco della stradale con assistenza dell'esercito con barriere antiproiettile. Questi qui hanno un fronte tuttora aperto con chi prima faceva comodo ed adesso è stato mollato. Non continuo a parlarne… per ora. Mi registrano la targa ed il nome che mi fanno pronunciare davanti ad un tablet e credo, ma non sono sicuro, che abbiano registrato la mia voce.
Prima piazzola con ristorante pochi metri dopo. Ricordatevi di evitarla. Cerco la cara sim della Turkcell e mi sparano 140 euro. Mi metto a ridere. Poi, dopo confabulazione, chiedono 40 euro equivalenti a 250 lire turche e poi… me ne vado. Al primo e quasi adiacente rifornimento faccio il pieno e qui cominciamo a ragionare. Meno di un euro al litro. Alla successiva piazzola con ristorante e senza distributore, dove consiglio vivamente di fermarsi, la sim viene 200 lire turche, 33 euro, cara comunque ma adesso ci siamo (13Gb e 500minuti). Accanto c'è anche l'ufficio dove prendere la vignette autostradale ricaricabile valida anche per i ponti sul bosforo ed il tunnel. Altri 34 euro, ma mi assicura che ha un credito che mi basta per arrivare in Iran.
Vengo fuori da tutto tardissimo, addio speranze di fare molta strada. Ho anche perso un'altra ora di fuso orario. Il sole ora mi raggiungerà e lascerà due ore prima rispetto a casa.
Dopo 250 chilometri sono ad Istanbul e l'effetto è quello dell'anno scorso. A decine e decine di chilometri dal centro si ha la sensazione di entrare in qualcosa di gigantesco. Altre megalopoli sono completamente diverse. Los Angeles per esempio, su cui voli per più di mezzora prima di atterrare tanto è estesa, ma da terra non ti rendi conto che è gigantesca perché le abitazioni al di fuori del centro affari sono basse. Qui invece ci sono centinaia di megastrutture al cui confronto il serpentone di Roma è una piccola villetta. Il tutto è comunque nuovo, pulito, organizzato, o almeno è questo che restituisce all'occhio del viandante. Le mega arterie in cui guido arrivano ad avere anche 5 corsie per lato e nonostante ciò è tutto intasato. Code interminabili, una quantità di tir impressionante, ma c'è ordine, solo che spesso si va a passo d'uomo. Per almeno 50 chilometri lo spettacolo non cambia. Non mi fermo. Ho solo voglia di scappare via e non posso perdere giorni anche se in una delle poche città che mi piacciono parecchio. In questa bolgia organizzata attraverso il Bosforo ed entro in Asia. Primo piccolo step del mio viaggio. Da adesso in poi per me è tutto oscuro. Continuo per allontanarmi dalla città, ma dopo un'ora e più sono sempre dentro un gran traffico ed attraverso giganteschi conglomerati urbani satelliti di Istanbul. Non riesco a lasciarmi andare godendo di essere finalmente in Asia. Sono sull'autostrada Istanbul Ankara. I tir riempiono due corsie e sulla terza spesso sorpassano. Le auto sono come moscerini in balia del vento.
Ormai è buio da un po'. Devo fermarmi, anche se non sono riuscito a scrollarmi di dosso Istanbul, e cercare dove dormire. Altra sorpresa. Booking è bloccato. Rapida ricerca, qualcuno dice sì, qualcuno no. Io dico sì. Pare ci siano contenziosi con lo stato turco. Passo a Hotels.com e prenoto, sono stanchissimo. Oltretutto la VPN che ho proprio per superare eventuali filtri di blocco alla rete, blocca tutto anche internet. Ho mandato una richiesta di aiuto, vedremo che mi rispondono. Qui passi, ma in Iran dove il controllo statale sul web pare serio, mi servirebbe proprio. Se non lo sapete, una VPN è un servizio a pagamento che crea una specie di tunnel inaccessibile sul web per farvi collegare ad un insieme di server sparsi per il mondo. Se mi collego al server italiano sembrerà che stia in Italia. Ovviamente ci sono problemi perché, a parte i governi che cercano di ostacolare questa pratica all'interno delle loro nazioni per evitare l'aggiramento dei blocchi, anche grosse compagnie non gradiscono l'impossibilità di tracciarti sempre ed ovunque. Benvenuti nel mondo “libero”.
Ma la giornata non è ancora finita. Con la fedele ed insostituibile Maps.me arrivo senza problemi all'hotel prenotato in un dedalo di strade e sempre nel traffico. Sono ad Izmit, ma non c'è stata alcuna soluzione di continuità da Istanbul. Sono le 19:00. La stanza non è pronta, devono pulirla. Ho la sensazione che la stanza non sia proprio disponibile. Quando scopro che è al quarto piano senza ascensore dico di no. Già stamattina, per scendere da una poco intelligente scala con curve e gradini alti con la mia pesante valigia, ho preso una storta che ancora mi duole e la caviglia è un po' gonfia. Spero non peggiori. Comunque il ragazzo alla reception non era convinto di darmi la stanza, penso fosse la sua ed aveva messo le mani avanti dicendomi che era di un livello peggiore di quella prenotata. Problemi? No! Siamo in Turchia. Fa una telefonata veloce. Mi viene a prendere in auto uno di un altro Hotel. Due euro in più, ma accetto perché la stanza è enorme e con una doccia da re. 20 euro. Chiedo informazioni sulla migliore strada per l'Iran. Non l'avessi mai fatto. Sono in quattro e si scatena la bagarre. Si formano due fazioni che discutono animatamente. Con ben due traduttori, mappe online e cartacee, propongono due percorsi diversi, ma sbagliati entrambi. Mi porterebbero presso un posto di frontiera che non posso attraversare. Lo faccio presente ed alla fine mi indicano la strada che già pensavo di fare. Però è stato divertente.
In stanza, ottima, scopro che con il wifi dell'Hotel non ho Booking bloccato, quindi deve essere la sim Turkcell. Per evitare contrattempi cambio modalità di procedere e prenoto già per la prossima notte. In Iran dovrò probabilmente fare sempre così anche per i controlli di polizia, ma è una situazione che verificherò sul posto.
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gianlucavasta
Nov 11, 2019
-------------------------------------------- Giorno 3 – 11 Nov 2019
Mappa del viaggio Prima di dormire ho dovuto fare un safari non fotografico perché dalla spessa e sporca tenda della finestra ogni 15 minuti si alzava in volo una cimice. Ecco spiegati i 13 euro. Probabilmente la stanza non veniva pulita dall'estate. Bah, sciocchezze. Altra sgroppata. Al confine serbo-bulgaro si fa in fretta. Si rientra in EU. Tra le due dogane sei obbligato a percorrere a passo d'uomo uno stretto corridoio tra dei paletti che schizzano sull'auto un liquido probabilmente disinfettante. Non lo ricordavo. L'anno scorso evidentemente non mi sono accorto perché lo schizzo è piccolo e veloce, mentre ricordo perfettamente di essere stato ben innaffiato quando, uscito dalla Turchia, stavo rientrando in Bulgaria dalla parte del Mar Nero. Deve essere una fissa dei bulgari di disinfettare chi entra. Comunque è bene ricordarselo perché con i finestrini aperti lo spruzzo entrerebbe. Mi ha dato la sensazione di una benedizione e non so se devo ridere o meno di questo pensiero.
La Bulgaria è filata via tutta velocemente. Ho perso la prima ora di fuso orario, ora sono un'ora avanti. Volevo lasciare la Bulgaria oggi stesso ed entrare in Turchia, ma arrivo in zona confine quando ormai la luce del giorno sta per lasciarmi. Dovrei fare con il buio tutta la trafila alla frontiera, trovare ed attivare una sim e comprare il bollino autostradale che è un ricaricabile ed è il peggior sistema che ci sia, almeno a mio parere (Un viaggio in solitaria 3). Considerando anche che qui in Bulgaria sarà l'ultima volta che potrò utilizzare la mia sim italiana come a casa, provo a vedere i prezzi per il dormire nei pressi del confine. Trovato a 20 euro dopo aver prima prenotato e subito disdetto un'altra struttura che non mi convinceva. Superpulito, ma una cimice la trovo pure qui. In questo periodo cercano riparo dal freddo incombente e si ficcano dappertutto. La strada d'ingresso al paesetto in cui mi trovo è piena di Game House e Casinò con grandi insegne luccicanti di carte da gioco, donnine in abiti succinti e scritte in turco. C'è bisogno di spiegare? Credo sia superfluo. Il confine è a soli 16km. Il paesino si chiama Svilengrad, non ho tempo e voglia per ricercare la reale etimologia del nome Svilen, ma certo che “Città di Svilen” salta all'occhio dopo aver visto l'ambiente. Devo spegnere al volo il motore stanco e provato da centinaia di chilometri senza sosta ed accostare perché mi chiama al telefono la struttura che ho disdetto. Quando riparto l'Ammiraglia ha dei saltelli, come dei colpi di tosse. Dovrebbe essere la carburazione ed è un difetto di gioventù. Decenni fa mi accadeva di fermarmi ad un casello autostradale dopo molta strada (intendo sempre varie centinaia di chilometri) e mi si spegneva da solo il motore. Nulla, ma ogni alito di farfalla non previsto mi fa rizzare i pochi capelli in testa. Purtroppo per vari motivi soprattutto burocratici ho dovuto rimandare la partenza e sono al limite con il visto iraniano e pakistano e la cosa mi costringe a queste lunghe cavalcate senza sosta che volevo evitare all'Ammiraglia, cavalcate che non si sono ancora concluse. Ceno con il pollo di ieri portato via dal ristorante e… non riesco nuovamente a finirlo. Incredibile e non sono certo una boccuccia di rosa.
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gianlucavasta
Nov 10, 2019
-------------------------------------------- Giorno 2 – 10 Nov 2019
(questo link aprirà sempre tutti i post, lo ritengo fondamentale)
Parto con molta calma sotto una pioggia battente. 6 gradi che pian piano si scaldano fino agli 11 massimi. Il sud è ancora lontano. L'amaro in bocca si attenua a seguito di incoraggiamenti giunti da varie fonti, al punto che forse è meglio puntualizzare qualcosa.
Ero molto indeciso sul fatto di iniziare a pubblicare i miei scritti in contemporanea con la partenza. Pensavo di aspettare almeno un mesetto per evitare di iniziare qualcosa che magari dovrò interrompere molto velocemente senza aver concluso granché di quanto mi propongo.
Se non prenderete in considerazione il fatto che potreste vedere andare in fumo il lavoro, il tempo ed il denaro investito prima ancora di partire, beh non ci provate nemmeno.
Ho comunque deciso di pubblicare immediatamente. Se dovrò interrompere molto presto, almeno ci avrò provato. Solo fra un paio di mesi il tutto comincerà ad avere senso, fra quattro o cinque ne sarà valsa ampiamente la pena, oltre… beh sarebbe un sogno. Al completare tutto al momento attribuisco una probabilità tra lo zero e l'uno per cento e non è scaramanzia ma freddo ragionamento.
Quindi dico piano con i complimenti, riferendomi ai commenti che mi arrivano direttamente o dal web. Tra i migratori visti anche oggi passare sulla mia testa mi ha quasi fatto commuovere un gruppetto di splendide grandi oche proiettate con il lungo collo disteso verso il richiamo ancestrale del sud. Ai lati dell'autostrada, che taglia la campagna serba, molti grandi rapaci mi hanno fatto tentare qualche scatto e ricordato le difficoltà di queste situazioni ampiamente verificate in altri viaggi soprattutto in Australia. Finché gli passi davanti a 100 km/h restano immobili, ma se rallenti scappano immediatamente.
Salto la piacevole Belgrado, visitata l'anno scorso, e mi fermo a pochi chilometri dall'autostrada in un paesino turistico sulle sponde della Grande Morava.
Inizio anche con le informazioni pratiche di vario genere per chi volesse seguire le mie orme, informazioni che dall'Iran in poi acquisteranno importanza visto che non se ne trovano per niente o quasi in riferimento a spostamenti con un mezzo proprio.
Ieri sera avevo speso 28,50 euro per una doppia con bagno, adesso ben 13 euro per una tripla. Primo pasto al ristorante che si trova esattamente sotto l'affittacamere. Zuppa di pollo molto orientale, insalata molto greca ed una porzione di pollo ai ferri e patatine che sfamerebbe una squadra di calcio. Me la faccio mettere via quasi tutta. Mi servirà domani. Costo circa 9 euro.
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gianlucavasta
Nov 09, 2019
-------------------------------------------- Giorno 1 – 09 Nov 2019
464.200 chilometraggio dell’Ammiraglia alla partenza.
Mentre mi dirigo verso nord per aggirare l'ostacolo Adriatico, piccoli gruppi di migratori mi sorvolano in direzione opposta. Lassù l'unico ostacolo può essere una pallottola di qualche idi-ota quaggiù. Io invece dovrò superare ostacoli fisici e psicologici prima di giungere ai luoghi in cui quest'anno spero di svernare. Abbassandomi dall'Appennino, San Luca mi saluta ricordandomi che è stata la causa del mio nome in una Bologna di 59 anni fa in cui mia madre penosamente soggiornava con me già presente quando ancora il veloce scorrere del conteggio dei miei anni non aveva avuto inizio.
Questa partenza tanto voluta ed inseguita, forse da una vita, mi lascia un sapore amaro in bocca. Il lentissimo distacco terrestre che chilometro dopo chilometro mi allontana da casa per un tempo imprecisato e la nebulosità, l'incertezza dei futuri mesi che nei precedenti viaggi in solitaria erano fonte di energia, oggi li sento addosso come un fardello non semplice da scaricare. Arriveranno certamente in mio soccorso il nuovo, l'imprevisto e la scoperta che però non potranno aiutare chi lascio a casa. Un semplice ringraziamento a mia moglie è ben poca cosa paragonato alla sofferenza che questo inizio di indefinita assenza sta alimentando, sommandosi a recenti dure prove che per quanto positivamente risolte non hanno ancora gioito della parola fine.
Con un pesante carico di pensieri, speranze e dubbi, dopo aver abbandonato l'Italia e raggiunto con Lubiana il punto più a Nord di tutta questa prima parte di viaggio ancora agli inizi, punto il muso dell'Ammiraglia verso sud-est. Venti chilometri circa a sud di Zagabria mi fermo per la prima notte fuori casa ed inizio a scrivere queste prime incerte righe. Aver iniziato senza premesse e senza inquadrare bene quanto mi accingo a vivere può certamente disorientare qualcuno, ma non avevo voglia di lunghe indicazioni orientative anche perché, e me ne scuso, scrivo fondamentalmente per me stesso. Qualcosa però è indispensabile, qualche informazione sommaria che forse più in là approfondirò. Spero si capisca dalle parole non casuali che userò che c'è molto di più del semplice significato delle frasi seguenti.
Già da qualche anno avevo deciso di acquistare un anno della mia vita ed appena è stato economicamente possibile l'ho fatto senza indugio. A 58 anni suonati poteva essere l'ultima chance. Un anno sabbatico da dedicare al luogo in cui sono nato e cresciuto, questo pianeta. L'Asia è una scelta dettata dalla normale impossibilità di muovermi in mesi diversi dai periodi estivi, mesi in cui almeno il Sud è quasi improponibile come meta di viaggio. A questo è da aggiungere la voglia di regalare alla mia auto, fedele ed affidabile compagna da 30 anni, l'Ammiraglia, una avventura finalmente alla sua altezza o in alternativa una fine da ricordare, degna di poche altre quattroruote. L'ottenimento di documenti per l'auto e visti per me è stato snervante, lungo e tanto distante dalle mie utopie da farmi pensare di rinunciare. Nel luogo in cui sono nato non posso muovermi liberamente, ma devo chiedere il permesso a qualcuno e cosa ancora più strana tutti sono contenti di essere rinchiusi perché si sentono al sicuro e cercano strenuamente di difendere poche briciole di illusoria ed ingannevole felicità persuasivamente imposte, difenderle da chi non ha diritto nemmeno a quelle.
Per adesso mi fermo qui.
I primi due viaggi in solitaria, che sono diventati dei libri, li potete leggere senza restrizioni accedendo dal mio sito www.gianlucatomarchiovasta.com menù BOOKS, click sulle immagini dei libri e successivamente su Anteprima.
Le nazioni che sto velocemente scorrendo adesso con l'unico scopo di arrivare velocemente ad Istanbul, porta dell'Asia del Sud, le ho già attraversate con più calma l'anno scorso, sempre con l'Ammiraglia, visitandone alcuni luoghi. Il racconto lo trovate sempre sul mio sito, menù TRAVELS, Un viaggio in solitaria 3 – Est Europa,
mentre su TRAVELS, Un viaggio in solitaria 4 – Anno sabbatico, il resoconto di questo viaggio che sarà anche su www.juzaphoto.com/topic2.php?l=it&t=3375372 . La differenza tra i due scritti potranno essere le foto ed i video pubblicati via via. In linea di massima su Juza immetterò probabilmente più foto di volatili.
Per quanto riguarda invece FaceBook inizieró la pubblicazione anche sulla pagina
www.facebook.com/unviaggioinsolitaria/ , ma dato che ritengo questa piattaforma pessima per seguire questo genere di scritti (e pessima in generale), con molta probabilità smetterò la pubblicazione degli aggiornamenti. In questo viaggio potrete anche seguirmi on the road facilmente e con precisione al link che trovate sotto l'íntestazione in cui, se presenti su Google Maps, potrete vedere con assoluta precisione tutti i luoghi visitati e quelli in cui dormirò. Gli scritti ne risulteranno così parzialmente alleggeriti.
-------------------------------------------- Giorno 67 – 14 Gen 2020
Mappa del viaggio
Riprendo l'auto dopo giorni. Vado alla Ford e, a parte l'enorme interesse che suscita l'Ammiraglia, non mi possono aiutare. Devo sottolineare come, ad eccezione dell'amico Sikh, al momento la sensazione è che non ci sia la diffusa, a volte esagerata per i miei occhi occidentali, disponibilità incondizionata trovata in Iran e Pakistan in cui immediatamente quasi tutti interrompevano qualunque cosa stessero facendo e, se non potevano risolvere il problema, coinvolgevano altri. Qui alla Ford ad esempio, non pensano nemmeno a provare a fare qualche telefonata, semplicemente non hanno ciò che cerco e la questione finisce lì. Però è ancora troppo presto per trarre conclusioni e soprattutto sono in una città, cosa da non sottovalutare.
Mr.Sandhu mi ha invitato a visitare il villaggio dove vive la sua famiglia, non lui, da varie generazioni. È il Punjab rurale e chiaramente accetto. Inizialmente ci fermiamo in un negozio di dolciumi dove mi cita i nomi di ogni specialità. Di una, già assaggiata in Pakistan, ne prendo un po' ed ovviamente mi viene offerta. Ieri Mr. Sandhu, dopo essersi reso conto durante una discussione del fatto che sui Sikh ne sapevo un po' e mi interessava saperne di più, mi ha regalato un libro sul Punjab e le sue tradizioni, in inglese ovviamente. A pochi chilometri da Amritsar, dopo esserci prima fermati in aperta campagna dove mi mostra i suoi terreni, iniziamo il giro. Il concetto di nucleo familiare è quello nostro di un secolo fa e comprende anche figli e nipoti dei fratelli e delle sorelle dei propri nonni. Entriamo in una fattoria isolata fuori dal villaggio che era quella dei nonni. In questa stagione ci si riposa, si comincerà a lavorare seriamente la terra in Aprile. C'è un gran silenzio a cui mi sto sfortunatamente disabituando. Si sentono solo gli strepiti di molti pappagalli che svolazzano sopra di noi.
Qui iniziamo anche la sequenza di tazze di tè e dolcetti fatti in casa che assolutamente è impossibile rifiutare. L'Italia delle campagne di 100 anni fa non era molto diversa, a parte i pappagalli. Hanno anche un trattore. L'acqua arriva da pozzi profondi più di cento metri ed adesso le pompe sono elettriche. Passiamo accanto a delle case che, sempre comunque all'interno di grandi spazi cintati, sono lussuose. Indago. Sono comunque contadini, anche se ricchi, che si sono fatti costruire le case da architetti. Avevo pensato a gente di città che, come da noi, possiede case dove passare il fine settimana, ma qui questo fenomeno è totalmente assente. Per costruire una casa non occorre alcun permesso e non ci sono vincoli, basta possedere il terreno e ci fai sopra quello che credi.
Ci spostiamo al villaggio che ha circa 3000 abitanti. In cielo decine di aquiloni oggi possono librarsi altissimi in una fuga concessa, ma controllata da ragazzi che abilmente ne muovono avanti e indietro il filo. Lo spettacolo non è però fotograficamente interessante proprio per le elevatissime quote e le conseguenti minime dimensioni.
Incitato a provare prendo in mano la sottile, ma robusta lenza ed immediatamente sento uno strattonare deciso in cerca di fuga. Questa sensazione tattile dimenticata mi catapulta a quasi cinquant'anni fa quando, su un piccolissimo canotto in cui a malapena entravo io e qualche secchio con le esche, ero solito allontanarmi nell'assolato pomeriggio estivo di lunghe giornate di mare dagli scogli di Acicastello per pescare con la lenza a mano. Gli strattoni degli ingannati pesci mi gridavano la stessa richiesta di libertà. Con quello stesso canotto, senza dire niente a nessuno, un giorno mi misi in solitario viaggio sospinto da due striminziti remi verso i Faraglioni di Acitrezza che in lontananza già da parecchio tempo mi avevano fatto sognare l'impresa. Qui adesso, questo ritrovato sperduto ricordo mi dice che in fondo non sono cresciuto per niente e che la vita in mezzo non mi ha cambiato se non nell'aspetto. Allora l'avventura finì ad un passo dalla meta quando spaventato dal sole ormai basso più che dai sicuri scapaccioni, tentai un ritorno reso impossibile dal vento contrario che respingeva la mia prima Ammiraglia. Mi vennero a recuperare in macchina, non ho ricordo delle punizioni che certamente ricevetti, ma solo dell'iniziale euforia. Spero che i cinquant'anni trascorsi mi servano almeno nel riuscire a tornare indietro da solo.
Un po' tutti conoscono Mr. Sandhu e ci salutano prima toccando il nostro ginocchio, cosa che li costringe ad un inchino, poi a mani giunte ed infine con una stretta di mano, ma quest'ultima più che altro a me che la offro. È la maniera locale di mostrare rispetto. Mr. Sandhu non tocca il ginocchio a nessuno, anche tra i Sikh le differenze esistono. I nuclei familiari che, tra mille selfie e foto con me al centro, riesco anch'io a fotografare comprendono un arco di età che va dai 2 fino almeno agli 80 anni. Il mio viaggio in solitaria penso che qui sia impensabile, oltre la fantascienza e Mr. Sandhu non si stanca di raccontarlo a tutti. Più che una celebrità mi sento come un animale esotico in esposizione.
Molti possiedono mucche, cosa impossibile per un hindu, e la mattina alle quattro in moto vanno a vendere il latte in città. Fotografando una macchina che trita manualmente il foraggio mi sento parte di un'altra epoca.
In una casa mi mostrano orgogliosi una piccionaia. Questi volatili vengono allevati al solo scopo di farli gareggiare e le scommesse al riguardo sono cospicue. Vengono rilasciati contemporaneamente e vince quello che per ultimo ritorna a terra. Pare che i migliori restino in volo ininterrottamente per oltre 12 ore.
Tornati all'ufficio pranzo insieme agli altri e trovo ad aspettarmi il foglio dell'assicurazione. Ho una ulteriore conferma del fatto che non pagherò nulla in autostrada. Mr. Sandhu mi mostra l'ennesimo regalo, un lungo tessuto di cotone che mi fasciano sulla testa. Risate e selfie a raffica. Devo dire che portato sempre mi annullerebbe il problema della calvizie, ci farò un pensierino. I Sikh si preparano il turbante ogni mattina da soli mettendoci dai 2 ai 5 minuti.
Saluto tutti e lascio un po' a malincuore, ma con l'augurio reciproco di rivederci, questa persona che non poteva farmi iniziare meglio il lungo, spero, viaggio in India e Nepal. Data l'immensità, al momento è come se avessi solo dato uno sguardo fugace attraverso lo spiraglio di un grande ed intarsiato massiccio portone.
La giornata si conclude con un po' di wildlife dalla finestra dell'hotel.
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Mappa del viaggio
Piove a dirotto e tuona. Vado all'ufficio di Mr.Sandhu che mi ha organizzato un incontro con il suo amico della Oriental Insurance che mi fa una assicurazione per l'Ammiraglia per sei mesi valida anche in Nepal. Costo circa 50 euro. Domani ho il documento. Apprendo che dal 15 Gennaio sulle autostrade non si potrà più pagare in contanti, ma occorre ottenere ed installare un Telepass, ci mancava pure questa. Mr.Sandhu cercherà di aiutarmi anche in questo. All'hotel mi dicono però che gli stranieri possono circolare liberamente senza pagare nulla. Devo ancora avere conferma.
Non ho la minima intenzione di avventurarmi nel diluvio e resto in stanza uscendo solo per cenare con della carne di pollo. Sono giorni che mangio vegetariano. Ieri perfino il McDonald nella zona del Tempio aveva solo hamburger vegetariani.
I negozi sono oltretutto quasi tutti chiusi perché oggi in Punjab è la festa degli aquiloni. Nei giorni scorsi ne ho visti parecchi che si libravano altissimi rendendo impossibile vederne sia il filo, sia tantomeno il luogo da cui erano controllati. Dei puntini morbidamente svolazzanti come dotati di vita propria. Oggi con questo diluvio chiaramente non ce ne sono, forse domani.
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Mappa del viaggio
Verso le dieci e mezza vado da un rivenditore di parti auto aperto anche oggi che è domenica e faccio vedere il mio filtro dell'aria. Niente, mi dice di provare a Delhi. Per i cerchioni ci sarebbero anche, ma di alluminio e non mi fido, potrei spaccarli ed allora sì che sarebbero dolori.
Nuovamente al Golden Temple.
A piedi si percorre una bella strada piena di negozi e bei palazzi, gremita ogni giorno di fedeli.
Nel tempio tutti senza distinzione devono entrare a piedi nudi, senza calze, e con il capo coperto. Già a varie centinaia di metri dall'ingresso si è assediati da chi vuole vendere degli scarni e plasticosi fazzolettini arancione da mettere a mo' di bandana, ma basta coprirsi il capo con qualunque cappello o cappuccio.
Sul lungo percorso di avvicinamento si possono incontrare alcuni guardiani Sikh del tempio che controllano che le persone non abbiano atteggiamenti ed abbigliamento sconveniente. Con scimitarre o lance sono riconoscibilissimi perché vestiti di blu, notevolmente fotogenici e serissimi. All'interno del tempio, in cui non è possibile fare riprese video, li ho visti più volte chiedere di vedere cosa si è appena registrato con gli smartphone. Ieri una ragazza ha dovuto cancellare un selfie in cui si era fotografata a capo scoperto.
Prima del tempio la folla si accalca in un altro dei luoghi famosi di Amristar che aspettavo di vedere. Il Jallianwala Bagh è un ampio spazio, chiuso completamente dai muri in mattoni delle case circostanti e con solo un piccolissimo accesso largo non più di un metro e mezzo. Fu il teatro di una delle pagine più buie della storia militare Inglese risalente al periodo in cui Gandhi sollevò la nazione contro l'occupazione, unico esempio nella storia di lotta vinta senza utilizzare la violenza oltretutto contro una delle più forti potenze mondiali. L'episodio è stato ottimamente ricostruito da R.Attenborough nel film Gandhi. Su una folla totalmente inerme che protestava pacificamente, fu ordinato di aprire il fuoco e, senza alcuna via di fuga, furono massacrate 1500 persone comprese donne e bambini. A suo tempo sollevò lo sdegno dell'opinione pubblica mondiale. Il parco, in questo momento, è un enorme cantiere. Sono visibili i muri in cui si vedono i fori provocati dai colpi sparati ad altezza d'uomo ed un monumento che dovrebbe rappresentare proprio una pallottola. Il flusso di visitatori, peraltro poco contriti e molto alla ricerca di selfies, non ha pause.
Proprio sotto le mura del tempio oggi è organizzato un punto per la donazione del sangue. I volontari sono distesi su tavolacci e le sacche che si riempiono sono poggiate su semplici bilance da cucina che ne registrano la quantità.
Consegno scarpe e calze ricevendo un prezioso numeretto in acciaio ed entro nel tempio. La folla è impressionante.
L'enorme vasca quadrata ha grandi gradini che portano all'acqua coloro che vogliono bagnarsi in queste acque credute curative ed è circondata da un grande colonnato e da un ampio percorso. Prima di entrare tutti devono mettere i piedi dentro una piccola vasca con l'acqua alta pochi centimetri. Sulle scale, in marmo come tutto il complesso, delle fitte griglie in plastica dura, utili per evitare fatali scivolate, sono l'unica cosa che da veramente fastidio ai piedi nudi.
Nella vasca nuotano, a pochi centimetri dai devoti immersi, grossi e colorati pesci. Nonostante i cartelli più d'avviso che di divieto, ieri ho visto un Sikh che dopo l'abluzione ne ha mandato giù un bel sorso.
Fuori dal quadrato, ma dentro il complesso, è allestita e permanente la mensa comune in cui chiunque, anche io, si può sfamare gratuitamente. Le dimensioni e quello che vi si svolge costituiscono uno spettacolo che non esito a definire più interessante del tempio stesso. Si stima che siano serviti 100.000, sì ho scritto bene, pasti al giorno e vedendola di persona non faccio fatica a crederci. La mensa è il luogo dove i Sikh mettono in pratica i principi di uguaglianza, mangiando tutti insieme in terra in lunghe file in cui il ricco è al fianco del povero, e di condivisione, donando denaro a degli sportelli e soprattutto partecipando tutti insieme, a centinaia dandosi il cambio, al lavaggio in lunghe vasche in cui altri volontari scaricano senza sosta i piatti d'acciaio sporchi.
Con delle lunghe catene umane i vassoi sporchi vengono portati dal punto raccolta al lavaggio.
I saloni dove si mangia sono grandissimi. Ne ho visto riempirsi uno che conteneva almeno 6-700 persone in una decina di minuti. Appena ci si siede passano vari addetti che versano nei vari scomparti il mangiare. Al riempimento la sala è chiusa ed i commensali devono mangiare celermente e poi portare i vassoi al punto raccolta. In poco tempo la sala è di nuovo libera e pronta per un altro turno.
In altre zone viene distribuito il tè e le ciotole, sempre d'acciaio, sono pulite anche con la sabbia.
Mi aggiro per molto tempo nelle cucine tra schizzi d'acqua ed un fragore assordante di stoviglie che riesce a coprire il canto sacro diffuso dagli altoparlanti, una musica piacevole suonata dal vivo che accompagna costantemente la visita fin dalle lontane strade d'ingresso.
Mentre faccio scatti che presentano non poche difficoltà di vario genere, qualcuno mi offre da mangiare e qualcun altro mi invita ad unirmi al lavaggio comunitario, offerta che devo declinare perché dovrei essere abbigliato in un altro modo.
Lasciata la Guru-Ka-Langar, questo è il nome della mensa, arrivo all'inizio della passerella che conduce al tempio centrale in cui non è possibile scattare foto. Anche oggi rinuncio a questo bagno di folla in cui nessuno dei variopinti turbanti sarebbe in grado, se accidentalmente divelto, di toccare terra.
Stavolta le foto sono quantomeno corrette nel formato e mi avvio a concludere la giornata scrivendo di questi primi approcci all'India.
-------------------------------------------- Giorno 64 – 11 Gen 2020
Mappa del viaggio
Dopo una notte passata letteralmente al gelo chiedo di cambiare stanza e ne prendo una con finestra da cui entra il sole. È affacciata sullo strombazzamento costante, ma tanto sono settimane ormai che, per vari motivi, posso dormire solo con i tappi. Tre euro circa in più a notte.
Mentre rivado all'ufficio BSNL mi si attiva la sim, ma ormai sono arrivato. Sono tutti riuniti perché la figlia di uno di loro si sposa e Mr. Sandu è impegnato in un discorso celebrativo a cui tutti assistono in silenzio. Mi fa mettere accanto a sé e comincia a raccontare di me, del mio viaggio e di come ieri l'ufficio mi abbia aiutato. Sono un po' in imbarazzo dato che c'è anche l'applauso finale di benvenuto in India. Con una distribuzione di buoni dolcetti portati dal padre che sta per lasciare la figlia nelle mani di un altro uomo, l'assemblea si scioglie.
Qui ad Amristar c'è il luogo più sacro dei Sick, il Golden Temple.
Lunga visita ad un luogo incredibile e primo vero approccio con una delle mille sfaccettature dell'India. Non racconto qui nulla per un semplice motivo. Tornato in hotel e scaricate le foto mi rendo conto, purtroppo colpevolmente in ritardo, che al Centro Nikon di Lahore mi hanno cambiato il formato di scatto da NEF a JPG. Tutte le numerose foto sono da cestinare. Non ho un calendario, ma almeno due mesi di Santi li recito. Domani ci ritorno e ne vale la pena, ma certo è stato un bel colpo.
-------------------------------------------- Giorno 63 – 10 Gen 2020
Mappa del viaggio
Modifico la mappa fino ad avere il percorso tutto visibile e mi viene spontaneo un “cavolo”. A vederla da casa senza il tracciato della strada fatta non mi faceva lo stesso effetto. Ci sono, e con l'Ammiraglia.
Al Wagah border tra Pakistan ed India c'è un grande anfiteatro in cui ogni sera agghindati militari delle due nazioni fanno a gara ad attirare l'attenzione dei turisti durante la parata che precede la chiusura della frontiera. Dato che per me, ed anche per qualcuno di molto più importante, tutto è relativo, non sono fondamentalista in nulla e quindi nemmeno nella mia allergia verso tutto ciò che è militare. Sarebbe anche interessante, ma al momento non rientra nei miei piani e nemmeno nei miei orari.
Arrivo prima dell'apertura e devo aspettare un po', ma non ce ne sarebbe bisogno perché questo è il primo confine in cui non c'è nessuno. Qualcuno a piedi e soprattutto nessun camion. Tra le due nazioni da sempre non corre buon sangue ed il grosso problema dei confini nel Kashmir e Jammu annulla totalmente gli scambi. Velocemente completo l'iter pakistano. Mentre mi avvio verso i cancelli che mi faranno passare in India, viene verso l'auto un doganiere che, con espressione seria ma alla stesso tempo serena, mi dice qualcosa in un inglese che non comprendo. Penso di aver dimenticato qualcosa oppure che ho un ultimo controllo da superare, ma dopo vari tentativi capisco finalmente e con mia enorme sorpresa che mi sta dicendo di essere dispiaciuto del fatto che sto lasciando il suo paese. Sono veramente colpito. Non potevo avere migliore commiato da un difficile, ma affascinante Pakistan. Gli dico che probabilmente ripasserò ad Aprile o Maggio se il viaggio non si dovesse interrompere prima e ne è sinceramente rallegrato.
Un militare pakistano apre e richiude un pesante cancello dietro l'Ammiraglia, mentre contemporaneamente uno indiano con un cappello da ranger mi spalanca la porta di un nuovo pianeta. Quei pochi centimetri, come mi rendo conto quasi subito, segnano mille differenze ma anche molte similitudini. Innanzitutto rivedo le donne, ma non è da dimenticare che anche in India hanno i loro bei problemi. Su una scala un addetto sta spolverando le pale di un grande ventilatore. I grandi saloni in cui ci sono sportelli e non uffici danno una immagine di cura ed attenzione. Per la prima volta controllano anche il numero sul motore. Fortunatamente all'interno dell'Ammiraglia sbirciano solo e chiedono di spiegare il contenuto di qualche borsa, si vede che nemmeno a loro va di farmi scaricare l'auto per controlli più seri. In poco tempo entro in India.
Amritsar è una piccola città di più di un milione di abitanti. In questo paese, che è un vero continente, il concetto di grandezza è molto diverso dal mio. Dopo aver scaricato qualcosa nella gelida stanza dell'Hotel presa a 12 euro e che sembra accettabile e fornita di acqua calda, sono già in cerca di una sim e so che non sarà semplice. Ho letto che le compagnie telefoniche hanno diffusione limitata ad alcune regioni ed in altre lavorano in roaming, ma in questo campo le novità sono quasi giornaliere e mi consigliano la Jio che sembra abbia diffusione in tutta l'India. Dopo aver fatto almeno un paio di chilometri a piedi seguendo varie indicazioni sempre errate, fermo un tuk-tuk. Qui i tuk-tuk sono più grandi e moltissimi sono ricavati da un'Ape con una grossa scritta Piaggio dietro. Ci sono anche quelli trainati da moto, ma le novità sono quelli a pedale e soprattutto quelli elettrici. Il traffico è comunque caotico, i clacson sono potenti e sembra non esserci mai una pausa negli strombazzamenti. Il ragazzo mi dice di sapere dove portarmi ed inizia da un ufficio della BSNL, unica compagnia telefonica statale che è consigliata dalla Lonely Planet. Qui conosco Mr. Sandhu. Questo signore Sikh con turbante in testa sembra l'incarnazione dei dettami di uguaglianza, condivisione ed altruismo del Sikhismo ed Amritsar è la loro città più importante. È evidente che è un riferimento ed una guida per tutti gli altri nell'ufficio. Mr. Sandhu, che va ad aggiungersi alla lista delle persone splendide conosciute, mi offre un tè e verifica che abbia tutti i documenti necessari compresa foto tessera. Come indirizzo do quello dell'Hotel a cui telefona per la necessaria verifica. La burocrazia è ferrea e complessa, ma dopo un'oretta anche di piacevole conversazione, ci siamo. Mi spiega la procedura per l'attivazione da fare dopo aver avuto accesso al segnale. Circa 22 euro per avere per un anno 2Gb al giorno. Ha anche un amico che può farmi l'assicurazione temporanea per l'Ammiraglia, ma oggi è venerdì e deve passare il fine settimana. Il ragazzo olandese non ha fatto l'assicurazione nemmeno in India dove è obbligatoria, ma io se riesco preferirei farla anche se sono consapevole che in caso di incidente sarei sempre dalla parte del torto ed avrei comunque problemi nonostante l'assicurazione. Foto varie e mi chiede di registrare anche un video in cui ringrazio tutto l'ufficio per l'aiuto ricevuto.
È ancora presto e mi metto comunque alla ricerca di una compagnia assicurativa che mi hanno indicato all'Hotel ed ho cercato in rete. Sempre a piedi per rendermi anche conto di dove sono, cosa che al momento mi sfugge. Tutto troverò tranne che gli uffici indicati su Google.
Passo per una zona poco illuminata ed abbastanza sporca e dopo aver già visto le attese mucche tranquillamente in giro per le strade mi blocco per qualcosa di inaspettato. Cinghiali. Si aggirano grufolando nel fango e nell'immondizia.
Ne vedrò almeno una quindicina assuefatti al caos ed alla gente.
Sento dei canti. Un grande tempio indù non segnalato sulla guida, lo Sri-Durgiana-Temple. Entro lasciando le scarpe agli addetti. Totalmente impreparato fotograficamente ho il primo approccio con la tradizione hindu
In un grande spazio quadrato che rappresenta la perfezione, il tempio principale che al momento posso solo ipotizzare dedicato a Ganesh con la testa di elefante, è al centro di una vasca d'acqua ed è raggiungibile tramite una passerella. Una ritmata preghiera a cui farei bene ad unirmi visto che il Dio incarna la buona sorte è, non so perché, ripresa da telecamere.
Un piccolo corteo fa intanto un giro del quadrato, cantando ed accompagnando un'immagine.
Sono stanco, torno in hotel.
-------------------------------------------- Giorno 62 – 9 Gen 2020
Mappa del viaggio
Con l'intento principale di fare qualche chilometro con il nuovo filtro, vado ai Giardini Shalimar. In una Lahore che non ha più segreti riesco a muovermi bene evitando ed aggirando le zone e le strade che so intasate. I giardini sono una delle ultime attrattive che mi manca di vedere. Posso dire di conoscere Lahore meglio di Londra o Parigi e di tante altre città anche italiane.
Sui giardini non c'è molto da sottolineare. Simili nella struttura ad altri luoghi visitati sono ormai immersi nel tessuto urbano e ne costituiscono un'oasi in cui passeggiare tra i molti scoiattoli. La caratteristica più interessante sono le immense fontane, purtroppo asciutte, che sono collegate tra loro da una rete di canali che sfruttano le diversità di livello dei vari grandi giardini. Con queste in funzione lo spettacolo sarebbe grandioso.
Al centro Nikon finalmente lascio la D810 che riprenderò con il sensore pulito nel pomeriggio. Ad un incrocio fotografo come prova uno dei travestiti di cui parlavo giorni fa. Forse è solo un espediente per ottenere denaro, ma certamente è qualcosa di totalmente inaspettato anche se non siamo nella penisola arabica.
Faccio solo una piccolissima considerazione su questa curiosità e sul Pakistan. Io ho girato esattamente come farei in Italia ed ho incontrato solo gentilezza e disponibilità all'aiuto. Mi sono posto una domanda, relativamente al soggetto in foto: se fosse ad un incrocio in Italia sarebbe tranquillo e non importunato come vedo qui nel pericoloso e fondamentalista Pakistan?
Due pulcette e ciuffi di capelli in stanza e nella doccia non sono nulla anche se alla lunga stressano e le macchie su lenzuola ed asciugamani comunque quasi sempre puliti sono più un problema psicologico.
L'avere dinanzi agli occhi fiumi di immondizia che scorrono in cui escrementi che non ho comunque visto sarebbero la componente meno preoccupante, invece che leggere sul giornale diligentemente gettato nella differenziata di lontani oceani di plastica e continuare a vivere nello stesso modo sfoggiando sempre nuovi piccoli ormai inutili business ecologici spesso solo diversamente inquinanti, per come la vedo io sono lo stesso identico problema e non certo un miglioramento.
Amir mi controlla il motore, riregistra le punterie e verifica l'assenza di perdite. Finalmente capisco che il pistone è sempre quello mio che è stato sistemato. Il filtro dell'aria può andare, ma devo comunque cercare quello corretto. Lo saluto e lo ringrazio e gli do appuntamento per Aprile o Maggio.
Faccio lavare per bene l'Ammiraglia esternamente e sotto e mentalmente riconsidero la sua situazione.
Il motore è sempre quello originale, anche se ringiovanito da un lifting, ed è una cosa che mi fa piacere. Il filtro dell'aria è arrangiato, ma sembra efficiente. I pneumatici sono nuovi. Il clacson è adesso un doppia tromba pakistano installato per poter competere su strada. Il guidatore è anch'esso originale e senza lifting.
Devo dire che tutto sommato dopo due mesi dalla partenza posso essere soddisfatto di come domani entrerò, cosa che anche i fatti hanno dimostrato essere assolutamente non scontata, nel primo dei due paesi che dall'inizio considero meta principe di questo viaggio, l'India.
-------------------------------------------- Giorno 61 – 8 Gen 2020
Mappa del viaggio
Amir mi ha chiamato per dirmi che all'officina ci sarà questa sera. Abbandono volentieri i quartieri alti non perché siano alti, ma per gli atteggiamenti osservati. Stanza all'hotel dove per una settimana ho atteso la guarigione dell'Ammiraglia. Vado al Centro Nikon. Un black-out non permette al laboratorio di pulirmi subito il sensore, non c'è verso. Relativamente vicina c'è l'Anglicana Chiesa della Resurrezione che è più una curiosità ed in cui trovo un po' di Natale.
Black-out infinito, desisto. All'officina mi hanno trovato un filtro simile, ma che comunque non entra. Dopo averlo rigirato tra le mani lo acquisto lo stesso dato che costa solo 3 euro e mezzo e, sotto sguardi interrogativi, comincio a modificarlo con la pinza. Dopo una buona mezzora di lavoro riesco nell'intento di farlo entrare dove non voleva. Ho un filtro nuovo non perfetto, ma abbastanza efficace. Si è fatto buio e non ho voglia di mettermi in giro per provarlo un po' più a lungo. Vedremo domani. Amir mi comunica che ci sarà domattina.
-------------------------------------------- Giorno 60 – 7 Gen 2020
Mappa del viaggio
Sono in viaggio già alle 7 e mezza per cercare di evitare il caos ed immettermi subito in autostrada. Ho tanti chilometri da fare e potrei essere costretto a delle soste impreviste a causa del filtro, spero non del motore. Tempo pessimo, piove e poche centinaia di metri più in alto ha nevicato. La Karakoram Hwy deve aspettare. Gomme nuove e cerchioni storti non vanno molto d'accordo, ma dopo un paio di centinaia di chilometri iniziano a fare conoscenza e le vibrazioni calano sensibilmente. Comunque questo non mi ferma, nemmeno se le ruote diventassero quadrate e dovessi guidare con il Parkinson. A Lilla, dato che il filtro dell'aria sembra aver deciso di non ostacolare i miei piani, esco per una visita per cui all'andata non avevo avuto tempo. Percorro 25 chilometri su una piacevolissima strada di campagna, dissestata il giusto, che attraversa solo due piccolissimi villaggi mentre per il resto le abitazioni sono gradevolmente disseminate tra i campi in cui ferve l'attività.
Sono i primi chilometri, escludendo autostrade e scortato Belucistan, in cui guido rilassato godendomi anche le scene che mi si pongono dinanzi. Su un camion stanno coprendo per il trasporto il motivo della mia deviazione, grossi blocchi di sale che brillano al sole. La pioggia me la sono lasciata alle spalle insieme alle alture.
A Khewra c'è la seconda miniera di sale più grande al mondo aperta ed attiva da secoli. Il commercio del sale estratto risale all'era Mughal quindi al sedicesimo secolo, ma per la scoperta del giacimento tocca riandare ad Alessandro Magno. Miniera tuttora attiva.
Il giro all'interno costa ben 20 dollari per gli stranieri e si svolge al settimo dei 16 livelli esistenti. Oggi non è in funzione il trenino perché ci sono pochi turisti, tutti pakistani ovviamente tranne me. Mi accompagna una guida anche se ho ripetuto più volte che non capisco l'inglese, unica arma efficace per far desistere i più insistenti, ma qui sembra che occorra essere comunque accompagnati. Prima di arrivare al sale si attraversa un interessante spesso strato di roccia multicolore.
Anche se qui non lo dicono, ma ad una mia domanda la guida conferma, se andate all'erboristeria all'angolo e chiedete una confezione di Himalayan salt vi daranno un sale quasi sempre rosa che proviene da questa miniera e che con l'Himalaya ha pochissimo a che vedere. Sale Pakistano o Sale di Khewra lo comprereste? Il colore ne determina la qualità, dal migliore rosa al bianco, al rosso. I tunnel e le grotte in cui si è completamente all'interno del visivamente vellutato sale, che viene lasciato per il 50 per cento a sorreggere le volte, sono splendidi.
Varie caverne sono ricolme dell'acqua piovana che filtra dalla montagna e viene poi pompata artificialmente all'esterno. Per attrarre l'occhio dei turisti hanno costruito delle strutture francamente senza senso illuminate oltretutto con luci multicolori che mi aumentano significativamente la difficoltà fotografica. Visivamente comunque l'effetto dei mattoni di sale traslucidi retroilluminati è notevole. La moschea costruita dai minatori 55 anni fa è l'unica piccola costruzione che merita una citazione.
Gli ultimi 200 chilometri mi riportano a Lahore in cui per riabbassare il budget e provare un'altra sistemazione, ho prenotato in un B&B a 13 euro. Passo dall'officina, anche se il meccanico non c'è, per cercare aiuto per il filtro. Lascio quello vecchio a chi domani proverà a trovarlo a Lahore. In un ricco quartiere con tanto di controlli di polizia all'ingresso ed in cui c'è solo qualche tuk-tuk fermo all'angolo come fosse un taxi, scortato da un domestico tuttofare che chiama “il cinese” il padrone che sento solo tramite WhatsApp, entro in una ricca villa con un enorme cancello che si richiude alle spalle dell'Ammiraglia. La sistemazione sarebbe anche buona e certamente più pulita di vari hotel, ma scopro che non c'è l'acqua calda. Farfugliamenti vari del cinese, incavolatura mia più per la manfrina che per la mancanza, e resto comunque una notte solo perché è tardi e non ho voglia di rimettermi in moto. Freddo intenso in stanza, niente riscaldamento ma questo era ovvio. Esco per comprare da mangiare. Gran negozio con clienti bene e commessi male che obbediscono ad ordini impartiti con decisione e portano la spesa direttamente all'auto dell'elegante avventore. Detto per inciso a Lahore ho visto auto che nella targa sotto i numeri riportavano la scritta “Avvocato” ed una con “Avvocato della Corte Suprema” che mi facevano venire voglia di un'aggiunta adeguata con il pennarello indelebile. Un quartiere di sgradevole gente con la puzza sotto al naso.
-------------------------------- Giorni 58 e 59 – 5 e 6 Gen 2020
Mappa del viaggio
Non vado a Peshawar, nelle cui vicinanze c'è un villaggio interdetto agli stranieri che potrei provare a raggiungere comunque, perché ho necessità di uscire dalle città. Da Islamabad parte una autostrada che nelle intenzioni quando completata dovrebbe sostituire la mitica Karakoram Highway. La costruzione è diretta e probabilmente anche finanziata dalla Cina e stavolta ne sono certo perché è scritto a chiare lettere e vedo anche occhi a mandorla che osservano, sotto caschetti protettivi, operai pakistani sotto Pakol. Al momento è completata e transitabile solo fino a Mansehra, ma già sui cartelli sono riportate località più lontane. Solo il vedere qualche altura alberata, pur con una notevole presenza di fabbricati, mi rasserena. Uscendo però sulla vera Karakoram Hwy il traffico torna ad essere il solito e qui in più la strada è stretta e spesso dissestata con un'alta presenza di camion per superare i quali tutti, anch'io, si buttano sull'altra corsia anche in curve cieche ed anche con mezzi che procedono in senso contrario. Si strombazza e si rallenta cercando di non fare dei frontali. Non ho ancora probabilmente detto che qui in Pakistan nessuno guarda il cellulare durante la guida, è umanamente impossibile. Lo estraggono solo se totalmente fermi ed imbottigliati.
Quando poi si attraversano grossi centri come Mansehra ci si può mettere un'ora per percorrere 4 o 5 chilometri. Le idee che avevo sulla strada da percorrere sono totalmente irrealizzabili. Torno indietro fino ad Abbottabad per un hotel che sembra migliore degli ultimi e costa infatti di più. Devo infilarmi in un vicolo strettissimo in cui rompo il vetro dello specchietto e tocco sotto un paio di volte tanto è dissestata quella che non chiamerei strada. Basta! Caccio un urlo liberatorio e ne esco mandando a quel paese l'Hotel. Sulla strada ce ne sono tantissimi ed al primo che mi sembra buono sento quanto mi chiedono. La stanza è la migliore ad oggi dell'intero viaggio ed ho il riscaldamento. 6000 rupie che riesco a portare a 5500, ma non meno. 33 euro. Il doppio di quello di Islamabad, ma ne ho bisogno. Mi accompagnano da un vetraio che mi fa un non rifinito specchietto nuovo che riattacco con il mio silicone. Almeno questa l'ho risolta a razzo. Una doccia come si deve ed esco.
Grandi negozi luccicanti e piccole rivendite sono ammassati e si succedono senza alcun ordine. I vuoti che ogni tanto si aprono hanno la funzione di discarica. Occorre fare lo slalom tra le auto parcheggiate ovunque, quelle che sono in movimento e gli scoli giganteschi dell'acqua che dall'odore sembrano anche fogne. E comunque il tutto non ha affatto un aspetto deprimente da cui vorresti fuggire. Di certo però non mangerei nei localini pie dan l'eau.
Anche qui, come già successo ad Islamabad più volte e mi ero dimenticato di scriverne, noto in strada che chiede denaro un travestito. Con il velo, truccato e vestito da donna. Non che della questione mi importi qualcosa, visto che in questo campo come in altri penso che la libertà di ognuno debba essere legata solo al consenso del partner ed alla sua capacità di esprimerlo, ma è rilevante perché sono in un paese musulmano. Non ne so altro e non ho indagato. In India mi sembra di aver letto che la comunità omosessuale ha ottenuto da poco una specie di status di casta, ma lì è questione comunque difficile, ma ben diversa.
Mi fermo a prendere due porzioni di ceci bolliti insaporiti con creme e spezie varie ed un ragazzo, saputo che sono italiano, mi porta al negozio del fratello che commercia con l'Italia ed è già venuto tre volte a Prato. Commercio di Kashmir e tessuti. Con Mr. Muhammad Asghar e l'amico Mr. Syed Jamal Shah che mi va di citare, parliamo ininterrottamente per un'ora e mezza.
Una discussione aperta che spazia dal Pakistan, per il quale esprimo sia lodi che dure critiche che condividono apprezzando la mia franchezza, alla politica internazionale ed all'economia mondiale. Con le dovute anche rilevanti differenze, le idee, le preoccupazioni, le critiche, le aspirazioni, ciò che passa per la mente alle genti del mondo che non hanno la preoccupazione giornaliera di come sfamarsi o di come primeggiare o di come affossare altri simili, ha il comune denominatore della serenità globale del vivere. Poi è ovvio che del passaggio dalle parole alle scelte quotidiane non posso saperne nulla, ma in testa quelle idee ci sono ed è certamente difficile agire poi ignorandole consapevolmente.
Mi sto rilassando e mi sto staccando per un po' dallo scoprire e dal fotografare per prepararmi al nuovo inizio che sarà l'ingresso in India.
Decido di restare ancora una notte.
Mi alzo e con calma mi metto in movimento. Stamattina piove abbondantemente. Non è la stagione adatta a questi luoghi. Torno a Mansehra dove decido di fermarmi da un fornito gommista. Ad Islamabad, sull'asciutto, in due frenate non al limite ho slittato sull'asfalto. Ho già percorso 16000 chilometri e l'enorme esperienza accumulata in Australia riguardo all'usura dei pneumatici sulle sterrate mi aveva già fatto pensare che era ora di un cambio gomme. Potrei andare ancora avanti, ma in questa stagione e nei luoghi in cui mi recherò prima di fiondarmi nell'India del Sud preferisco non correre rischi. Cambio tutte le quattro ruote ed almeno le posteriori sono certo che le rivenderanno come usate. 115 euro tutto. Cinesi, nuove, non rigommate, non invernali che mi dicono di poter usare per 65000 chilometri su asfalto. Probabilmente vero solo se fossi disposto anche ad andare con le slick come le formula 1. Non hanno alcun macchinario, nemmeno l'avvitatore a pistola.
Riparto e l'Ammiraglia sobbalza ed oscilla anche alla bassissima velocità del traffico che mi fa impiegare quasi un'ora per tornare da quello che non era un gommista, ma un semplice rivenditore di pneumatici. Dal gommista mi ci accompagnano. Intanto due ruote sono montate male e qui, con le macchine, le rimontano correttamente. Passando all'equilibratura vedo che i cerchioni sono ben storti. Già in Italia avevo preso i migliori, ma non perfetti, tra quelli dell'Ammiraglia e di un'altra auto identica che posseggo. Per dare un'aggiustata serve parecchio piombo. Mi dicono, ignorando oltretutto quali percorsi accidentati ho fatto, che in Pakistan un cerchione dura mediamente un anno e mi raccontano di turisti in Toyota con due cerchioni distrutti. Qui cerchioni per l'Ammiraglia nemmeno l'ombra, si vedrà. Intanto non sobbalzo più, ma è già quasi buio e non riesco ad andare sull'autostrada per provare a velocità più elevate. Nuovamente filtro intasato e problemi mentre torno. Stavolta faccio dei piccoli buchi all'interno del filtro che non dovrebbero comunque far entrare granché di sporco, ma permettere un migliore passaggio d'aria. Il risultato c'è, ma sarà da vedere per quanto ci andrò avanti. Prima di attivarmi per una spedizione dall'Italia che penso di poter organizzare da solo devo essere in India e provare se trovo qualcosa. Il motore invece va benissimo e non ho alcun problema. Inizia a scendere una neve fortunatamente annacquata. The winter is coming. Ho fatto bene a cambiare le gomme. Ad Abbottabad gli enormi scoli dell'acqua sono straripati in vari punti e per strada si vedono scorrere fiumi di immondizia.
Mi metto in camera a scrivere e non esco più.
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Mappa del viaggio
Anche questa notte dormirò qui. Da un meccanico mi viene detto dove a Rawalpindi posso trovare il filtro dell'aria. Ci devo provare. Quando ci arrivo, a non più di 10 chilometri, ritrovo il solito Pakistan ed i soliti tuk-tuk in numero però comunque decisamente inferiore. Niente da fare. Non ne trovo di adattabili. Durante questa giornata passata interamente in coda all'interno del solito traffico infernale, in uno dei laboratori in cui artigianalmente vengono prodotte le decorazioni per i camion, ne compro una piccola per l'Ammiraglia, un uccello in latta smaltata. Noto spuntare dalle case dei piccoli templi che con l'Islam c'entrano poco. Sono degli antichi templi indù che adesso, assolutamente non segnalati e con le case che li hanno soffocati e che vedo hanno anche utilizzato gli spazi un tempo sacri, sono assolutamente inaccessibili. Un pezzo di storia che nuova storia ha divelto. Un ragazzino in alto con un aquilone mi fa fare l'unica foto di oggi.
Tornando all'hotel l'Ammiraglia fa fatica e procede facendo dei saltelli dovuti certamente alla carburazione. Tolgo il filtro dell'aria ed i problemi scompaiono confermando i miei sospetti. Ho percorso circa 600 chilometri da quando lo sporco vecchio filtro è stato riposizionato e già è intasato. Ho un bel problema. Forse ho sbagliato a non passare subito in India. Lo faccio pulire con l'aria compressa e lo rimetto e non ho più i problemi di prima, ma ci faccio solo pochi chilometri. Vedremo domani. Questa nuova incognita mi getta in uno stato d'animo pessimo e la calca di gente smette di essere interessante. A quasi due mesi dalla partenza, ormai lontano da sereni luoghi isolati da attraversare sull'Ammiraglia in perfetta efficienza, ho un forte calo di motivazioni nonostante la positiva soluzione del grave guasto e l'enormemente meno grave problema del filtro mi appare insormontabile e foriero di guai e soprattutto stress. Devo fermarmi per un po', ma non qui in Pakistan. Ad aggravare lo stato d'animo le notizie internazionali che arrivano mi confermano solo che l'idiozia è la principale caratteristica degli umani, soprattutto di quelli che vogliono a tutti i costi avere una ribalta da cui esibire il proprio essere superiori. Potrei avere la strada tagliata per un ancora lontano ed incerto ritorno. Se non potessi ripassare dall'Iran, magari potrei affrontare l'Afghanistan che è qui a poca distanza, comunque è ancora troppo presto sempre se questa storia durerà veramente molto a lungo.
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Mappa del viaggio
Carico tutto in macchina. Dopo aver ieri costatato che l'Ammiraglia al momento non ha ricadute immediate, voglio arrivare ad Islamabad e sull'autostrada viaggiare per circa 400 chilometri a velocità costante. Una sorta di primo rodaggio. Come previsto la posizione in cui è stato messo il tubicino della sonda del livello olio non permette alcuna verifica. Rivado all'officina e stavolta, con calma ed impiegando più tempo lo rimettono penso correttamente, ma lo saprò solo domani.
A 150 chilometri da Islamabad ha termine l'immensa nebbiosa pianura coltivata e si incontrano un paio di basse cime con delle salite non ripidissime, ma sensibili, che l'Ammiraglia sembra superare con una agilità che non ricordavo. Ho deciso di restare in Pakistan almeno fino a martedì prossimo quando Amir sarà tornato e potrà dare un'ultima controllata prima di passare in India. L'assenza di problemi e di rilevanti incontri mi permette di parlare di guida ed hotel in modo più dettagliato.
Retaggio inglese è la guida a sinistra. Per me non è una novità, ma è in assoluto la prima volta con un'auto a guida a sinistra. È molto meno problematico e non ho avuto esitazioni già dai primi chilometri all'ingresso in Pakistan. Il motivo è semplice, i comandi non sono invertiti. In altre occasioni, per giorni, ogni volta che dovevo mettere la freccia azionavo i tergicristalli.
Gli hotel lasciano parecchio a desiderare e sono piuttosto cari. Il problema primario è la pulizia e, perché sia chiara questa indicazione, specifico che io sono un acerrimo contestatore della paranoia italiana al riguardo che, esattamente come l'utilizzo spropositato di antibiotici, fa rapidamente evolvere generazioni più agguerrite di germi e contemporaneamente abbassare le difese immunitarie. Quindi, quando dico che il livello di pulizia è basso intendo che la maggior parte delle persone che conosco non ci entrerebbe nemmeno. Lenzuola ed asciugamani sono piccoli, spesso accettabilmente puliti, ma sempre indelebilmente macchiati da precedenti innumerevoli usi e con vari piccoli buchi. L'acqua calda è sempre presente almeno al livello degli alberghi che scelgo che è comunque basso. A volte ci sono dei black-out elettrici che però non dipendono dagli hotel. Il livello dei pasti ordinati è sempre stato più che buono, mentre le colazioni se comprese nel prezzo sono scarsissime. Il riscaldamento normalmente non c'è o si paga a parte e consiste quasi sempre in una semplice piccola stufa elettrica od a gas. Arredamenti e bagni quasi sempre vecchi e malandati. Rivalutandolo adesso, l'Hotel Bloom di Quetta aveva un ottimo rapporto qualità-prezzo. Gli hotel che scelgo si aggirano sui 20 euro a notte e, per avere dei comfort diciamo discreti dovrei salire ad almeno 40 o 50 a notte, mentre per standard prossimi a quelli occidentali occorrono più di 100 euro a notte. Io parlo di cifre per un singolo, se cambia qualcosa per una coppia non saprei. Le stanze singole comunque esistono raramente e ho quasi sempre matrimoniali.
L'ingresso ad Islamabad è totalmente differente da quello nelle altre città. Anche in periferia ci sono costruzioni gradevoli basse e molte ville con il filo spinato sugli alti muri di delimitazione mi fanno pensare alle metropoli sudamericane. Efficienti vigili con il cappello dirigono un traffico di sole auto ben incolonnate e qualche moto. La cosa che immediatamente si nota è la totale assenza dei tuk-tuk che da soli costituiscono almeno l'80% della caoticità. È un altro Pakistan.
Vado al centro Nikon per far pulire il sensore della Nikon D810 e mi dicono che dovrebbero mandarla a Lahor. Sul sito Nikon non risultava ci fosse un centro a Lahore. Devo rinunciare per adesso.
La città è divisa in settori numerati ed in ognuno sono presenti un po' tutti i servizi principali e le abitazioni. Non c'è un ben definito centro quindi. Rawalpindi è una differente città ormai fusa completamente con Islamabad, ma per il momento non ne so nulla.
Dov'è il centro Nikon è un settore a nord ipermoderno ed iperricco ed ipercaro e nei locali che non sfigurerebbero nelle più belle capitali europee molte ragazze in giro da sole hanno i capelli curati e scoperti. Chi vi si aggira è abbigliato elegantemente ed io sono l'unico a portare il Pakol, il cappello Afghano dei Pashtun diffusissimo ovunque. Settori poco interessanti. Un bar frequentato da tanta bella gente in ghingheri si chiama Cannoli. Entro e quelli in vendita non sono nemmeno un lontano ricordo. Gli faccio vedere in foto dei veri cannoli, ma è evidente che non sanno nulla del nome che hanno dato al locale e nemmeno sembrano granché interessati. Business, business, business non c'è altro nella testa. Addio Pakistan.
Nel settore dove ho invece l'albergo la situazione è più o meno simile a quella ormai familiare, al netto però del caos che qui è inesistente ed ho la possibilità di aggirarmi concentrando l'attenzione sulle varie attività. In un ristorante due giovani mi chiedono il link alle foto e ci chiacchiero un po'. Uno, come molti altri incontrati, mi dice di avere il fratello in Italia ad Aosta. Il gestore di una rosticceria in cui sono cotti alla brace dei polli mi invita ad assaggiarli decantandone la bontà ed effettivamente sono squisiti. Ci tornerò domani. Non mi fa pagare nulla e stiamo a chiacchierare per un bel po' seduti ad un tavolo. Una persona deliziosa che, come molti altri, è felice di vedere europei che tranquillamente si aggirano visitando il suo malamente conosciuto paese. Spessissimo vengo fermato solo perché vogliono farsi un selfie con me, come se fossi una celebrità.
L'altra faccia però è sempre presente a ricordarmi che questo resta un paese per pochi se lo si vuole visitare senza restare in qualche torre d'avorio di un costosissimo hotel. Sotto le lenzuola sento dei pizzichi e comincio a grattarmi. Non vedo nulla, ma scendo in auto a prendere il potente anti-insetti da giungla che mi servirà più avanti e ne spruzzo un bel po' direttamente sotto le coltri comunque già umide per il freddo. Tranquillamente adesso posso scrivere e dormire senza più molestie.
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Mappa del viaggio
Metto un po' in sesto l'interno della macchina. Apro il cofano. Il livello dell'acqua è molto sopra il massimo, ne ha messa troppa. Tento di estrarre l'asta per il controllo del livello olio e mi resta in mano anche il tubicino in cui è inserita. Cominciamo bene. È un bel problema perché dal buco l'olio uscirebbe a schizzi. All'officina un amico di Amir fa intervenire un altro meccanico. lo mettono a posto con del silicone, non devo toccarlo fino a domani, ma la posizione in cui sta non mi convince.
Vado finalmente fuori città, non ne potevo più anche se Lahore è interessantissima. Faccio un po' di autostrada a 100km/h e l'Ammiraglia la sento nettamente più elastica nella resa e silenziosa. A 60km c'è Hiran Minar, una grande vasca d'acqua in cui si può navigare affittando un pedalò o fare un breve giro in barca a motore che ha senso solo per chi probabilmente non ha alcuna esperienza di mare. Al centro un bel padiglione. Il tutto fu edificato più di 400 anni fa in memoria di un cervo. Con intorno un grezzo ed invernale piccolo spoglio parco è meta di gita, come tutti i luoghi simili, per i pakistani in cerca di tregua dal caos onnipresente di qualunque agglomerato urbano. Non irrinunciabile. Per i locali il prezzo dell'ingresso è come all'incirca ovunque di 20 rupie, mentre gli stranieri pagano praticamente sempre 500 rupie, all'incirca 3 euro e mezzo non proprio una sciocchezza visto che occorre pagare quasi ovunque.
Tutto intorno il panorama è arricchito da decine di ciminiere fumanti che sfornano continuamente mattoni. Mi ci fermo davanti per delle foto e vengo immediatamente invitato a visitarne una. La cottura avviene in due grandi spazi, usati alternativamente, in cui il calore viene convogliato. Mentre uno si riempie con i mattoni crudi portati a dorso d'asino, l'altro viene svuotato a mano dopo la cottura.
La temperatura dell'acqua effettivamente sale oltre i livelli abituali, ma non al punto da impensierire. La prima prova seria del nuovo corso dell'Ammiraglia non ha evidenziato problemi.
Torno in hotel e con un tuk-tuk mi reco al Santuario di Data Ganj Bakhsh, un poeta Sufi dell'anno mille molto famoso e venerato. Il sufismo ed i Sufi, per dirla in poche parole, sono il lato mistico dell'Islam aggiungerei Sunnita, ed i seguaci ricercano l'Assoluto, Dio, Allah, in se stessi perché questi è l'uno e qualsiasi essere non è che un suo riflesso.
Penso di assistere solo a dei canti sacri di devozione, i Qawwali, che mettono in comunicazione con Dio, ed invece mi ritrovo con centinaia di fedeli a condividere gomito a gomito riti in cui non mi perdo d'animo solo perché allenato da anni di feste di S.Agata.
Approfitto per esortare chi legge a programmare un viaggetto a Catania in occasione di questa festa che non ha eguali in Italia ed in Europa leggevo che forse solo la Semana Santa di Siviglia può reggere il confronto. In ogni caso a due passi c'è la possibilità di assistere a qualcosa di unico che difficilmente si dimenticherà. Basta andare dal 3 al 5 Febbraio giorni finali della festa, farsi consigliare sui migliori passaggi da vedere e buttarsi nella folla senza paura. Sono date fisse non importa che giorno della settimana siano. La festa in realtà inizia un mese prima, ma i due ultimi giorni sono il clou. Non ve ne pentirete, garantisco personalmente.
All'esterno i controlli sono severissimi e non si possono introdurre borse o macchine fotografiche, io riesco ad intrufolare la Leica, comunque sono ammessi i cellulari e con questi è possibile fare foto e filmati.
Solo un paio di descrizioni necessarie per capire meglio il video. La tomba del poeta è letteralmente assalita solo per un tocco con la mano o un selfie molto poco mistico. Uno della confraternita mi nota e mi fa andare avanti per poter vedere la tomba e chiaramente fare una donazione. La sosta alle finestrelle che si affacciano sull'area della tomba, in cui vedo dei privilegiati probabilmente paganti, è solo di qualche secondo. Un morto, coperto da un telo e fiori, su un letto di metallo portato a braccia viene introdotto per avere la benedizione del santo ed anche a lui sono concessi solo pochi secondi. Durante il Qawwali di un ragazzo con una voce abbastanza coinvolgente, altri della confraternita preparano sacchetti di dolciumi che verranno poi distribuiti gratuitamente insieme a tanto altro cibo. Scendo al piano inferiore dove ai lavatoi si ammassano i fedeli scalzi per una indispensabile lavata di piedi. Il pavimento è pieno di resti di cibo di vario genere e lo sento appiccicoso sotto le calze che certamente non potrò riutilizzare prima di una seria disincrostata. Nella stessa grande sala si distribuisce cibo che cerco di ottenere anch'io spingendo a tutta forza in mezzo ad una marea ondeggiante e sempre in procinto di rovinare per terra. Ognuno ha in mano un sacchetto di plastica che viene afferrato, riempito del cibo in quel momento disponibile e restituito. C'è una inutile fila, ma è più un assalto all'arma bianca in ordine sparso. Quando conquisto la prima linea, con in una mano il sacchetto e nell'altra il cellulare, quello che doveva essere riso è finito ed iniziano a riempire i sacchetti con qualcosa di liquido che non so cosa sia e che mi fa rinunciare alla lotta.
Esausto mi infilo in un tuk-tuk e, arrivato in stanza, crollo sfinito senza la forza di scrivere nulla.
-------------------------------------------- Giorno 54 – 1 Gen 2020
Mappa del viaggio
Mi sveglio più tardi del solito. Ieri sera ho lavorato fino a tarda notte poco disturbato dai pochissimi botti, quasi nulla. Dal meccanico non c'è né lui né la macchina. La sta provando. L'Ammiraglia anche nel 2020 vuole avere un ruolo nella mia vita. Sono abbastanza in tensione, non si sa quando Amir tornerà e magari sta anche girando per qualcosa di ancora non del tutto sistemato. Me ne vado o mi prende l'ansia. Un tuk-tuk per gli Shalimar Gardens in cui non arriverò mai. In una strada mai percorsa fino ad oggi veniamo fermati ad un grande posto di blocco militare. Dopo i controlli mi dicono che io sono a posto, ma il mio autista no e non capisco perché e nemmeno cosa vogliono che faccia, ma alla fine mi dicono di risalire nel tuk-tuk a cui non permettono il passaggio e ci ordinano di tornare indietro. Imposizione veramente assurda visto che siamo in piena città e ci sono migliaia di altre strade, ma potrei non essere a conoscenza di qualcosa. Comunque dopo essere tornato indietro il mio autista, che ha cercato invano di spiegarmi la questione in punjabi o in urdu non saprei, si avvia ovviamente comunque verso la mia meta su una delle mille parallele in cui non ci sono posti di blocco. Veramente senza senso tutta la faccenda e siamo stati fermi almeno dieci minuti davanti a serissimi ed inflessibili militari. Mah.
Telefonata del meccanico. Immediato dietrofront. L'Ammiraglia è pronta e ci salgo per un emozionante giro di verifica in cui Amir mi invita a velocizzare la mia tesa, delicata e preoccupata guida. Ho paura che qualcosa mi si rompa tra le mani. Tutto bene, ma so benissimo che c'è bisogno di ben altri test. Ha cambiato il filtro dell'olio e mi dice di aver bisogno di tre ore per trovare quello dell'aria. Non riesco a restare distaccato e ad utilizzare questo tempo per riprendere l'esplorazione interrotta, quindi semplicemente vado in hotel ed aspetto lì. Puntuale mi porta l'auto. Non capisco se non ha trovato il filtro e ci vuole troppo tempo per averlo oppure se è troppo caro, probabilmente entrambe le cose. In ogni caso ha pulito con la benzina quello vecchio e mi dice che per adesso va benissimo ed in India probabilmente lo trovo più facilmente ed a prezzo più basso. Non ci credo molto, ma c'è poco da fare. Non averne portati con me è stata una vera enorme fesseria, ho pensato a tante cose e non a questi. Mi consiglia di stare attento alla temperatura dell'acqua, credo di capire che il pistone nuovo avrà più attrito, e di fermarmi se va oltre il livello di guardia.
Non ci sarà fino a martedì prossimo perché domani va con la moglie a Multan, si è sposato da solo un mese e penso che questi giorni siano la luna di miele. Incredibile, come il mio meccanico italiano che al momento è in Cile. Casuale prova dell'abisso economico che separa due mondi pur quando i costumi sono identici. In ogni caso l'assenza mi preoccupa. Dopo pochi minuti che è andato via, primo problema. Un faro non ha più il vetro. Riparto per l'officina. Mi dice che è caduto da solo ed è andato in mille pezzi e ci può stare perché è successo anche a me più di una volta con fari vecchi, ma poteva dirmelo. Aveva parlato di luci e non avevo capito, ma poteva mostrarmi il faro. Ho il ricambio e me lo monta. Mi tengo il faro senza vetro che all'occorrenza potrebbe fare comodo visto che adesso non ho più quel pezzo. Mi faccio un altro giro di prova, ma ormai è buio e torno in hotel. Domani farò un test più serio, ma ancora non abbandonerò Lahore.
-------------------------------------------- Giorno 53 – 31 Dic 2019
Mappa del viaggio
Stamattina effettivamente trovo Amir già al lavoro.
Giornata ancora più fredda e nebbiosa. Parto per un lunghissimo giro in tuk-tuk. A 30 chilometri c'è Bahria Town in cui è stata ricostruita la Tour Eiffel. Non so se in scala 1 a 1, ma di certo è gigantesca con tanto di ascensore centrale. Non mi posso avvicinare perché è tutto transennato. Questa sera qui sarà festeggiato in pompa magna il nuovo anno con profusione di fuochi d'artificio. Resto il tempo di qualche scatto a questa autentica stranezza.
La cosa interessante è invece il luogo. Ci sono varie Town come questa nella periferia di Lahore, una specie di urbanizzazione come Milano due o tre. Hanno gli ingressi controllati ed il livello dei palazzi, dei negozi e dei locali è sensibilmente più alto che in città. Anche qui i benestanti preferiscono mantenere le distanze da ciò che li rende tali.
Un lunghissimo assiderato trasferimento in tuk-tuk di una sessantina di chilometri mi porta all'altro capo della città per un complesso di tombe del 1600 di cui il mio autista, che per oggi ho monopolizzato, non conosce minimamente l'esistenza.
L'enorme Caravanserraglio di Akbar con le sue ben 180 stanze disposte a formare un quadrato intorno ad un immenso splendido cortile con secolari contorti fotogenici alberi, è il punto d'ingresso per il Mausoleo di Jehangir.
Il luogo è pieno di vispi scoiattoli ed uno si sta deliziando con un chupa-chupa abbandonato da qualche bambino.
Un altro bel giardino ben tenuto fa arrivare ad una costruzione al cui interno c'è la lineare tomba in gradevole marmo intarsiato.
All'estremità opposta del caravanserraglio la Tomba del fratellastro Asif Khan è in pessimo stato di conservazione e solo qualche frammento di colorata decorazione ne fa comprendere la passata bellezza.
Ad un centinaio di metri, passando per un mercato affollato di gente ed animali, la Tomba di Nur Jahan dello stesso periodo è in ristrutturazione ed i confini cintati del sito sono assediati dalle case del quartiere.
Tornando all'hotel faccio un salto dall'Ammiraglia che, ripulita e con il motore già parzialmente montato, mi fa sperare in un 2020 ancora alla sua guida. Ma mi impongo, ed a ragione visto il livello dei problemi, di non credere nella resurrezione nemmeno ai primi incerti passi dell'ancora ipoteticamente rinnovato veicolo, ma solo dopo almeno duemila chilometri percorsi senza ricadute dal mio Lazzaro.
Del capodanno mi interessa solo che Amir sarà al lavoro.
-------------------------------------------- Giorno 52 – 30 Dic 2019
Mappa del viaggio
Di Amir e della sua rassicurante certezza nessuna traccia. Sta lavorando per me, almeno spero. Il conducente del tuk-tuk di oggi non sa nemmeno dell'esistenza della Moschea di Wazir Khan mio punto di partenza nell'esplorazione di oggi. Non si fida delle mie indicazioni e dopo avermi erroneamente portato alla moschea vista ieri chiede ad un poliziotto e finalmente si convince che la strada che gli dicevo di seguire è corretta. Deve lasciarmi distante dall'ingresso perché non può entrare nella città vecchia in cui si trova la moschea.
Qualunque bazar, casba, suk io abbia visto fino ad oggi non può minimamente essere paragonato al luogo in cui entro ed in cui immediatamente mi perdo. Innanzitutto è una piccola cittadina e puoi percorrere decine di chilometri senza mai ripassare per lo stesso luogo, sempre ammettendo che arrivandoci da un altro lato uno sia in grado di riconoscere di esserci già stato. In molti vicoli, sempre gremitissimi di negozi di ogni specie, due moto fanno fatica a passare. Entrato da uno degli ingressi a nord, dopo qualche centinaio di metri trovo tutto sbarrato e non so più dove andare per proseguire, chiedo e mi viene indicata una scala che mi fa scendere di un livello. Ero quindi entrato da una strada che dopo poco, con l'abbassarsi del terreno, si era trasformata senza darne avviso in alcun modo, in un primo piano senza più sbocchi. In un turbinio di voci, odori, alimenti, oggetti, fuochi, grida, colori, animali, moto, carretti a mano e soprattutto gente, faccio fatica a mantenermi lucido e solo grazie alla mappa ed al gps arrivo alla prima moschea di oggi annegata in questo putrido ed umido inebriante ammasso liquido. Immagino con un brivido cosa possa diventare questo luogo con temperature intorno ai quaranta gradi. La moschea di Wazir Khan ed il suo cortile, da affrontare anche qui con le sole calze, sono un'oasi di relativa pace incastonata tra cadenti ammassate costruzioni. Un ragazzo approfitta delle fontanelle per un gelido shampoo. Nell'area di preghiera qualcuno dorme per terra avvolto in un sacco.
La gente è sempre cordialissima e, a dispetto delle negative impressioni che il luogo certamente può dare, dopo un po' cammino tenendo senza paura la grossa macchina fotografica in mano. Alcuni mi chiedono di far loro una foto. Ogni tanto qualche cadente elegante palazzo in cotto apre uno squarcio su uno dei mille passati di questo luogo. L'elettrificazione, enormemente più recente della pianificazione urbana, non ha trovato spazio che in strada precariamente ed inestricabilmente appesa.
Alla Moschea Sunehri, più piccola ed ancor più confusa in questo labirinto, per la prima volta in vita mia vedo un muezzin, non affacciato dall'alto di un minareto ma al caldo. Davanti ad un microfono diffonde una preghiera che si disperde confusa tra i vocianti vicoletti.
Esco da questo luogo al limitare del parco visitato ieri ed alcuni cocchieri a riposo in questo lunedì privo di gitanti si prestano ad una foto.
Di Amir nessuna traccia. A sera viene a trovarmi in hotel per farmi vedere il pistone nuovo e la testata levigata e priva di imperfezioni. A questo punto pare abbia tutto per rimettere in sesto l'Ammiraglia. Resto comunque devoto a San Tommaso.
-------------------------------------------- Giorno 51 – 29 Dic 2019
Mappa del viaggio
Domenica. Qui è tutto aperto sempre e comunque, probabilmente sono solo gli uffici a chiudere. A piedi mi dirigo verso l'officina. I contrasti esasperati di questo luogo sono ciò che più colpisce il mio sguardo straniero. Questi cassonetti non distanti dall'hotel in cui vedrò sempre qualcuno frugare, sono svuotati ogni mattina ed anche l'area intorno è ripulita, ma ogni sera tornano ad essere sommersi da una inarrestabile puntuale marea.
Mi dicono che Amir è in giro per il pistone. Mi devo dare una svegliata, tanto non cambia nulla. Una delle più affollate città del mondo con più di 11 milioni di abitanti è a mia disposizione e non ho al momento problemi di tempo. Inizio con la Moschea Badshahi. Il tempo resta sempre nebbioso e freddo. Nei tuk-tuk le porte del guidatore non esistono e quindi non ti salvi dall'aria gelida che ti colpisce in pieno e ti avvolge.
Davanti alla moschea giovani di tutte le età giocano a cricket, sport nazionale retaggio inglese. Il Pakistan ha una delle squadre più forti al mondo.
Devo fare un lunghissimo giro perché alla moschea si accede dal Forte di Lahore ed incrocio casualmente la bottega di un serissimo barbiere senza bottega.
Occorre entrare dal Parco Iqbal che oggi è preso letteralmente d'assalto. Si accede da tornelli presidiati in cui vengono controllati gli zaini e si è perquisiti. C'è anche una piccola tenda in cui controllare le donne. È la prassi. In tutta la città può capitare di dover passare sotto un metal detector anche solo per entrare in un negozio. Ai due ingressi di un grande sottopassaggio stradale, ad esempio, sono stato sondato da poliziotti tramite un metal detector portatile. Il Parco è così esteso che ci sono un trenino e vari piccoli pulmini disponibili a pagamento. Per i romantici anche carrozze trainate da cavalli. I venditori ambulanti di cibarie ed i molti chioschi oggi incasseranno cifre consistenti.
Il Forte è grandissimo e contiene vari ampi padiglioni che incorniciano enormi cortili rettangolari con fontane asciutte al centro. Caratteristica comune di quasi tutto ciò che è visitabile a Lahore è lo stato di semiabbandono. A volte si notano cenni di ristrutturazioni assolutamente inadeguate nel numero e nella portata. L'effetto però, al netto della massa di gente che si aggira per lo più con l'aria da scampagnata, è affascinante e si riescono a percepire gli echi dei tramontati fasti.
All'ingresso della Moschea Badshahi migliaia di scarpe vengono incessantemente scambiate con talloncini numerati unica certezza di un ritrovamento altrimenti impossibile.
Non si possono indossare calzature in tutta l'area della moschea, compreso il gigantesco cortile. Quasi metà dei presenti ha i piedi scalzi, ma non sembra soffrire il contatto con il gelido antico usurato cotto. Qualche solitario seme tostato sfuggito alle fauci di un distratto visitatore mi fa fare un sobbalzo quando finisce sotto la pianta del mio inutilmente calzato piede. Per il resto il cortile sembra fortunatamente ben spazzato e privo di altri piccoli divertimenti per fachiri.
Ci sono varie coppie di sposi con relativa massa di parenti che si contendono le zone più fotogeniche e stavolta nel caos non arricchisco la serie delle foto di sposalizio.
In un'ala della moschea, in un lungo corridoio affacciato sulla folla con decine di fontanelle allineate in attesa di devoti piedi, il lavatoio è probabilmente il luogo meno frequentato e più mistico in questa mondana domenica alla moschea, forse ancor più del pur silenzioso e contrito scorrere di fedeli, a cui mi unisco, davanti alle non certe, ma solo attribuite reliquie di Mohammed Iqbal.
Stanco del bagno di folla mi riaffido ad un gelido tuk-tuk e la mente non più distratta resta bloccata sulle sofferenze dell'Ammiraglia. Trovo Amir che mi fa vedere in foto il pistone nuovo o costruito per me, non ho ancora ben capito, oltre a delle scanalature in un cilindro che costituiscono un altro problema non indifferente da risolvere. Ma come sempre non c'è mai nessun accenno di dubbio nel suo assicurarmi che si può riparare.
Approfitto per prelevare dall'auto alcune capsule di caffè che qui, a soli 180 metri di altezza sul livello del mare, ormai lontane dai turgidi trascorsi d'alta quota sembrano gli attrezzi di Siffredi dopo una dura giornata di lavoro.
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Mappa del viaggio
Mi sveglio tardi, resto in hotel in attesa di Amir. Di girare non mi va per niente e poi chissà quanti giorni dovrò stare a Lahore. Ho tempo. Dopo aver vanamente atteso l'arrivo di Amir, nel pomeriggio vado personalmente all'officina. Io la chiamo officina, ma in realtà è qualcosa di completamente diverso. C'è un piccolo rivenditore di accessori auto che mette a disposizione di almeno cinque meccanici, che li condividono, i suoi attrezzi. Le auto da riparare sono posizionate sul piazzale davanti, poggiate all'occorrenza su bassi supporti che le tengono sollevate inclinandole dove necessario. Non esistono elevatori meccanici e credo di non averne visto nemmeno uno nelle migliaia di meccanici osservati al limitare di qualunque centro abitato già a partire dall'est Turchia. Al massimo hanno delle profonde buche sopra le quali viene posizionata l'auto, esattamente come ricordo da noi molti decenni fa. Perciò i clienti arrivano ed un meccanico libero si occupa del guasto. Chiaramente non è una costante e ci sono anche molti meccanici che possono permettersi attrezzi ed officina propri.
Notizie che mi preoccupano sempre di più. Non si trovano pistoni della misura giusta. Avevo purtroppo ragione ad essere dubbioso. Amir continua però a dire che può fare la riparazione. Chiaramente adesso non si parla più di rifare il motore, ma di sostituire l'unico pistone rotto. Mi dice che lo stanno facendo fare apposta e che stasera lo avrà. Mentre parliamo un tizio ben vestito parla al telefono e contemporaneamente spolvera l'Ammiraglia per leggere marca e modello. Si avvicina e tramite uno dei presenti che si sta incaricando di tradurre in Inglese per me quello che dice Amir, mi informa che sarebbe interessato all'acquisto. Mi metto a ridere incredulo e gli dico che non ho affatto intenzione di venderla. Riflettendoci poi, mi dico che forse questo è al momento l'indizio più rassicurante sull'effettiva possibilità di rimetterla in circolazione.
Un altro giorno si avvia alla fine. Vedremo se domani la situazione cambierà nuovamente, come fino adesso è successo, in conseguenza di nuovi sviluppi della trama.
Ero assolutamente cosciente del fatto che avrei avuto questo tipo di problematiche ed adesso sto realmente mettendo a dura prova le convinzioni, che mi hanno indotto a partire, sulla possibilità di un'auto come l'Ammiraglia di poter essere rimessa in sesto in qualche modo. Certo avrei preferito iniziare con qualcosa di meno grave.
Faccio un giro più per noia che per l'effettiva necessità di trovare un cambia valute. A parte una vicina piccola interessante strada disastrata e sporchissima dove si ammassano negozietti di ogni genere accanto alla quale c'è il meccanico, al di là di un grande vialone nel cui spartitraffico è posizionata una schiera di pannelli luminosi che instancabilmente trasmettono pubblicità, è un susseguirsi di tristi luccicanti lussuosissimi hotel, mall, ristoranti e grandi negozi di marche anche occidentali. Ci passeggio in mezzo come farei in qualunque altro luogo simile, tristemente e disperatamente curioso di trovare qualcosa di interessante. Entro perfino in una pizzeria a due piani super moderna con decine di camerieri in divisa ed ordino una pizza al bbq solo per eliminare almeno per stasera il problema cena e non essere costretto a mangiare in camera il comunque ottimo pasto che ordino all'hotel. Fortunatamente ho ancora da pubblicare e scrivere degli ultimi giorni passati nella serena esplorazione delle nascoste parti certamente migliori ed immensamente più importanti e vere di questo mondo sconosciuto.
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Mappa del viaggio
Vado innanzitutto dal meccanico e trovo già il motore totalmente smontato e lo spettacolo dell'Ammiraglia così profanata mi rattrista enormemente. Il danno è il peggiore possibile. Un pistone ha la fascia di guarnizione rotta ed è anche scheggiato e danneggiato. Si parla quindi di necessità del nuovo e non più di riparabile. Diciamo che devo praticamente rifare il motore. Ero preparato mentalmente a questa possibilità. Continuano a ripetermi che è possibile trovare i pistoni nuovi ed altro, ma sarò tranquillo solo dopo che li abbiano trovati, che l'Ammiraglia riprenda a cantare e che continui a farlo per qualche migliaio di chilometri. Purtroppo non ho con me l'albero a camme che avevo trovato in Germania, ma non acquistato, e che sarebbe meglio sostituire. Peccato, ma vediamo prima se trovano i pezzi. Mi riparlano di soldi, non capisco bene, ma è ovvio che la cifra sarà eventualmente diversa dai 250 euro prospettati. Continuano a parlare di 5 giorni per fare tutto. Sarà.
Mi devo recare all'ufficio governativo dove estendere il visto che mi scade il 31 Dicembre. Non distante. Vado a piedi per cominciare a prendere confidenza con il luogo in cui passerò certamente vari giorni. Ad ogni passo farei mille foto e mille domande, ma non ho lo stato d'animo adatto. Solo un venditore di “calia e simenza“ che viene tostata nella sabbia incandescente, con il suo richiamo alla natia Sicilia, mi fa estrarre la Leica per uno scatto veloce.
Mentre passo davanti alla banca in cui so di dover pagare la quota ancora ignota necessaria per ottenere l'estensione, il mondo che al mio sguardo estraneo sembra una totale analogica disorganizzazione mi chiama richiamato proprio dalla mia estraneità. Un addetto davanti alla banca ha i moduli da compilare per il potenziale pagamento e mi aiuterebbe se già sapessi la cifra necessaria. Mi viene in mente il primo incerto e preoccupato approccio con la linea aerea interna in Tanzania in cui la gestione dei voli avveniva solo con il cartaceo e che dopo vari cambi aereo coordinati al secondo e fatti direttamente sulla pista con tanto di velocissimi e perfetti trasferimenti di bagagli, godette della mia incondizionata fiducia che non risultò mai malriposta.
All'ufficio per stranieri ho la buona notizia che, a differenza di quanto mi era stato detto dall'agenzia pakistana di Gilgit, la data di fine validità del visto si riferisce all'ingresso nel paese e quindi ho a disposizione più di un mese ancora dato che il mio ha una durata di 45 giorni. Ho tempo. A sufficienza. Un po' rinfrancato osservo questo pianeta sconosciuto con maggiore attenzione mentre torno in albergo.
Una adorabile gatta, nel caos, nella polvere e nella precaria pulizia della strada, non cede a quanto gli sta intorno e, dopo aver coscienziosamente fatto una piccola buca per i suoi escrementi, la ricopre con cura nascondendoli alla vista ma soprattutto all'olfatto dei rivali nel territorio. Seppur con immensa difficoltà, i gatti sopravvivono certamente meglio dei cani probabilmente tollerati per via della loro funzione derattizzante.
Nel pomeriggio torno dal meccanico. Non hanno trovato i pistoni in due posti, ma stanno cercando da un rivenditore che asseriscono abbia accesso a qualunque cosa si trovi in Pakistan ed ai miei dubbi risponde facendomi vedere una suzuki giapponese che hanno riparato, ma è molto più recente ed il marchio qui è comune e quindi la cosa non mi tranquillizza per niente. Torno in hotel ed a sera Amir, il meccanico, mi viene a trovare e l'unica cosa che mi sembra di capire è che hanno trovato i pistoni e domani pomeriggio mi viene a prendere per portarmi in officina. Ma ci crederò solo quando sarò di nuovo alla guida. Intanto è passato un giorno.
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Mappa del viaggio
Santo Stefano in una città considerata sacra dai pakistani credenti, come ho appreso durante una sosta ieri dall'unico che parlava perfettamente inglese dei molti che mi si sono avvicinati durante una sosta. Pare che dal nord in molti si muovano alla volta di Multan per visitare i suoi luoghi sacri. Dopo un veloce check all'Ammiraglia, mentre sto per lasciare l'hotel per un giro in città, mi fermano alla reception e mi dicono che posso uscire, ma solo accompagnato da uno della loro sicurezza. La mia reazione è solo di rabbia e chiedo loro perché ieri sera non mi abbiano informato. Furibondo decido su due piedi di lasciare l'hotel e Multan alla volta di Lahore, non ne posso più di scorte. Con l'Ammiraglia faccio comunque un giro in città. La situazione caotica sulle strade non è razionalmente compatibile con un semplice parcheggio e seguente visita dei luoghi che avevo in mente e che, almeno dall'esterno, non mi sembrano granché. Mi dirigo verso l'autostrada e fortunatamente, capirete tra poco perché, rinuncio anche a tornare indietro per una visita ad un mausoleo 130km a sud saltato ieri per mancanza di tempo. La nebbia è ancor più densa e compatta di ieri.
Faccio il pieno e noto che l'Ammiraglia non regge il minimo ed appena si abbassano i giri del motore si spegne. Strano, ormai ho fatto vari chilometri ed il motore non è più freddo. In autostrada sento che la già poca potenza dei vecchi 1100cc è sensibilmente più bassa del solito. Mi fermo e per tenere il motore accesso devo aprire abbondantemente l'aria. Qualcosa non va di sicuro. Tolgo il tappo del filtro dell'aria e vedo olio dappertutto. Ci siamo. Ecco il primo problema serio. Contatto il mio meccanico tramite Whatsapp. Sta in Cile in viaggio di nozze e mi consiglia intanto di staccare il condotto che va dal tappo dell'olio al filtro dell'aria per non continuare a mandare olio nel carburatore. Mi dice le possibili cause e nessuna è di semplice riparazione. Mi mancano duecento chilometri a Lahore e devo assolutamente arrivarci. L'Ammiraglia non si è mai fermata per strada nemmeno con le fasce rotte e, aggiungendo ogni tanto olio che adesso si sparge sull'asfalto senza fare altri ulteriori danni, entro in città. Con l'aria completamente aperta per non far spegnere continuamente il motore nel traffico mi reco all'Hotel 12J. Pur con una situazione totalmente diversa dalle altre città pakistane, vedo per la prima volta semafori e vigili, ci metto più di un'ora. Niente camere libere. Un gentile tizio che parla inglese e si trova lì per delle foto alle camere da inserire sul suo sito in cui è possibile prenotare online, mi accompagna a piedi ad un hotel vicino anch'esso gestito da lui e mi assicura che è buono e mi farà avere un buon prezzo. Non mi piacciono né le camere né il buon prezzo. Mentre torniamo, in un altro anonimo hotel dei tanti in zona mi fermo io autonomamente ed il prezzo è da furto rispetto alla qualità delle camere. Mi rassegno a ripartire con l'Ammiraglia, ma prima su booking online ne voglio vedere altri. Scopro così che il 12J, nel cui parcheggio sto facendo la ricerca, ha su booking 3 camere libere. Alt! Torno alla reception e mi dicono che non è possibile e mi invitano ad andare avanti nella prenotazione che sarà certamente bloccata successivamente. Completo la prenotazione che in più è non rimborsabile. Ed adesso come la mettiamo? Faccio vedere la conferma. Vanno in crisi. Telefonata al proprietario e dopo gran confabulare e controlli online viene fuori la camera. Miracoli del web. Pure ad un prezzo per qui più che buono di 17 euro circa. Ho finalmente un punto di riferimento. Scarico l'auto per adesso dei soli bagagli, come sempre. Meccanici? Uno a duecento metri. Vado. Capisce al volo di che si tratta. Ok, possibile. Mi chiedono 250 euro per l'intervento. No problem, ma so benissimo che se non aprono il motore la fattibilità ed il costo sono solo dialettica. Scarico tutto il possibile nella camera che fortunatamente è ampia perché da tre posti. L'Ammiraglia stanotte non l'avrò sotto la finestra.
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Mappa del viaggio
In un anonimo e qui sconosciuto giorno di Natale mi separo dai casuali compagni di viaggio. L'hotel ha comunicato di noi alla polizia che, prima dice di aspettare per scortarci per i non più di 5 chilometri che mancano alla città, poi cambia razionalmente idea. Siamo finalmente liberi. I Bulgari hanno trovato su internet dei rivenditori di ricambi auto e si avviano per primi. Gli olandesi non hanno programmi ed io decido di dirigermi verso Multan. Dopo poco, per la prima volta da solo in Pakistan, imbocco la principale modernissima e recente arteria autostradale del paese che qualche ideogramma che vedo mi fa supporre costruita con il supporto cinese. I rapporti tra i due confinanti paesi devono essere al momento ottimi. La ragazza con gli occhi a mandorla, entrata con me dall'Iran, non aveva avuto necessità di visto.
A velocità di crociera viaggio a circa cinque metri d'altezza rispetto alla campagna circostante. Un terrapieno, interrotto da piccoli sottopassaggi che mettono in comunicazione i due lati altrimenti irrimediabilmente separati, è la base per otto vuote ampie corsie, quattro per ogni verso di marcia compresa quella d'emergenza. Le nuove, poco fantasiose, tutte assolutamente identiche e già completate aree di servizio sono ancora chiuse e solo in un paio ci sono dei furgoni per un veloce pasto, la moschea aperta ed i bagni. Per il rifornimento occorre uscire ai caselli e poi rientrare. I biglietti all'ingresso e la riscossione del pedaggio non sono compito di freddi marchingegni che ti salutano con un metallico e chissà perché solo femminile “Arrivederci”, ma affidati a sorridenti addetti che calorosamente mi augurano buona permanenza in Pakistan ed a volte mi intrattengono in lunghi tentativi di dialogo. Pochissimi conoscono l'inglese.
Costi non paragonabili a quelli italiani, ma nemmeno indifferenti. Per 400 chilometri pago un totale poco superiore ai 10 euro. In ogni caso mi è ormai evidente che i prezzi degli hotel sono mediamente alti, la benzina è poco sotto l'euro al litro e l'economico Iran è ormai un ricordo.
La giornata è padanamente nebbiosa, situazione che resterà pressoché invariata.
Dopo queste necessarie e relativamente interessanti informazioni, veniamo a ciò che invece noto quasi subito ed è totalmente inaspettato ed incredibilmente fruttuoso.
A ridosso della ininterrotta alta rete metallica che corre parallela all'autostrada e che separa due mondi e due tempi lontanissimi tra loro, come impresso su una infinita pellicola, scorre e mi si apre senza veli o interferenze dovute alla mia stessa presenza indagatrice il Pakistan rurale al quale certamente non avrei possibilità di accesso alcuno nemmeno rimanendo qui per mesi. Mi è regalato uno sguardo sopraelevato, privilegiato e soprattutto spesso nascosto nella sua vera portata ai soggetti, che mi fa entrare, grazie ai mezzi fotografici che ho con me, totalmente dentro la vita quotidiana dei campi e delle case dei contadini e delle loro famiglie. Un Pakistan che penso precluso anche agli stessi pakistani dei centri abitati. Dopo un inizio scoraggiante in un paio di piccolissimi villaggi dove la vita si svolge tra i rifiuti, scopro la pulizia oltre che la serenità della campagna i cui sparsi, ma non isolati, occupanti vivono apparentemente in pace con il mondo e con se stessi una certamente povera e dignitosa vita. Una delle poche costanti moralmente negative è la visione del lavoro che è quasi solo femminile con poche eccezioni. A volte gli uomini, che qualche volta controllano e sovraintendono, hanno in mano delle robuste verghe che mi fanno pensare a sferzate di incitamento che spero siano solo nella mia fantasia.
La descrizione delle singole foto della lunga sequenza che segue la lascio ad un lettore che spero attento ai mille particolari più o meno evidenti che evito di sottolineare in modo che ognuno possa coglierne di suoi. Unica nota la riservo alla foto dei bambini che giocano “outside the wall” i quali alla vista del lungo teleobiettivo che fuoriesce dal finestrino, dopo che ho fatto solo un paio di scatti, scappano precipitosamente quasi tutti verso le case alle loro spalle. Una reazione totalmente inaspettata che mi sorprende immensamente e mi fa riflettere, assolutamente identica a quella dei tanti uccelli che casualmente incontro, inconsapevoli del mondo al di fuori delle loro istintive necessità.
Alla fine di questa intensa giornata che da sola, almeno per me, costituirebbe motivo di visita del Pakistan, mi avvio verso l'hotel che dopo una ricerca su internet mi ha convinto maggiormente. Il traffico continua ad essere totalmente incontrollato ed incontrollabile, solo impercettibilmente meno infernale che a Quetta.
All'arrivo un'amara sorpresa, anche a Multan e nel sud del libero e sicuro Punjab in cui sono adesso, solo pochi hotel possono accogliere stranieri. Vengo indirizzato quindi verso il Bling Hotel in cui accetto forzatamente una camera a circa 32 euro a notte. Vorrei rimanerci comunque due notti per visitare la città e qualcosa nei dintorni. Mi dicono che con il buio non posso uscire, ma questo non è un problema.
-------------------------------------------- Giorno 46 – 24 Dic 2019
Mappa del viaggio
Finalmente arriva quello che dovrebbe essere l'ultimo giorno con i Levies.
Io e la coppia Bulgara dopo poco ci uniamo ad un'altra coppia olandese conosciuta ieri agli uffici per il NOC con un bel Toyota sei cilindri in cui dormono anche. Ovviamente il Toyota è privo di elettronica. Questi sono viaggi che sarebbe abbastanza folle affrontare con auto recenti che vengono vendute ormai pubblicizzandone i gadget e non i motori. Non hanno lasciato a casa il loro grosso cane che ogni tanto sporge la testa fuori anche lui incuriosito. Nei paesi islamici i cani, ormai popolarmente visti come impuri, non hanno certamente vita facile. Per qualunque razza alcune centinaia di chilometri possono segnare una casuale immensa differenza di vita.
Fortunatamente i cambi ed i controlli sono adesso di gran lunga inferiori e questo mi costringe però a scattare prevalentemente al volo ed alla cieca mentre procedo. Lo spettacolo che si rappresenta lungo le strade è sempre vario, per me inconsueto ed affascinante.
L'unica auto della carovana che è dotata di elettronica, quella dei Bulgari, comincia ad avere problemi. Dapprima pensano che al rifornimento abbiano loro messo benzina al posto del diesel e vengono quindi trainati dal Toyota, ma poi fortunatamente questa ipotesi viene scartata e si rimettono in marcia. Anche la batteria non ce la fa e si deve far ripartire l'auto collegando a quella del Toyota. Con lo scandinavo commentiamo che la sua e la mia continuerebbero ad andare all'occorrenza anche senza batteria. Alla fine sembra “solo” un problema di filtri aria e carburante che però tende a far arrestare l'auto in attesa di soccorsi e ne fa abbassare notevolmente la potenza. L'olandese è evidentemente esperto e sostituisce ad un certo punto il filtro aria con un pezzo di t-shirt per impedire che l'elettronica non permetta di procedere.
Al confine tra Belucistan e Sindh i Levies ci lasciano nelle mani della normale polizia pakistana. Si è fatto buio ed i cambi scorta, mentre ci avviciniamo a Sukkur, diventano frequenti e sono effettuati al volo senza fermare la colonna. La precedente rallenta e seguiamo la nuova che si è già avviata. A non più di 10 chilometri da Sukkur, in uno strombazzante traffico già intenso e caotico, ci perdiamo la scorta. Ci sono auto private che hanno delle piccole luci lampeggianti rosso-blu come quelle della polizia e clacson che ricordano la sirena. Il bulgaro ad un cambio si mette a seguirne una, ma è evidente che non si tratta della nostra scorta anche perché procede a 100 km/h quando al massimo andavamo a 70. Questo scambio è potuto accadere perché a volte le auto della scorta sono delle normalissime vetture private. Dopo un po' lo sorpasso e lo blocco. Anche gli olandesi si erano accorti dell'errore, ma era meglio restare insieme e quindi come me non si sono fermati. Ormai è buio e dopo aver atteso invano per una decina di minuti l'arrivo della smarrita scorta decidiamo di procedere verso un hotel in mappa a pochi chilometri. Domani si vedrà.
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Mappa del viaggio
Verso le 11 veniamo prelevati dai Levies e scortati all'ufficio per ottenere il NOC, il permesso per il Belucistan che ancora non so assolutamente a che serve visto che non ti puoi muovere senza scorta anche possedendolo. Forse per il ritorno. Sono arrivati tutti in moto e quindi io ed i due bulgari dobbiamo stiparci all'interno di un Tuk-Tuk, dei risciò a motore chiusi a tre ruote poco più piccoli di un'ape Piaggio. Giá provati in Cambogia sono divertenti e sgusciano dappertutto. Sono il principale mezzo di trasporto nelle città.
La situazione agli uffici è interessante. Grandi archivi pieni di incartamenti. Ci sono i computer, ma ancora funziona tutto con il cartaceo. Per il permesso non c'è stato alcun passaggio telematico di alcun tipo. Accanto alle scrivanie hanno stufe a gas ormai annerite e deformate dall'uso e soprattutto pentole e grossi fornelli da campeggio con cui prepararsi thè e qualunque altra cosa, comodo. Qui incontro altri viaggiatori.
La gerarchia è evidente e ferrea. Dopo un paio di giri, alla fine siamo condotti da un serissimo mega direttore galattico con enorme scrivania, abbigliamento occidentale e piccola schiera di ossequianti segretari. Con lui restiamo solo per il tempo di una sua firma, ma è chiaramente il passaggio chiave. Nel suo ufficio la stufa è nuova e non ci sono fornelli.
Chi non ha l'auto viene poi condotto alla biglietteria della stazione per prendere il treno. Riesco a rubare una foto ad uno sciuscià a cui permettono di sedersi per terra vicino alla camionetta in cui siamo stipati in 10, solo perché la ragazza cinese vuole farsi lucidare le scarpe.
Chiedo di essere portato ad acquistare una sim e mi scortano fin dentro un ufficio della compagnia telefonica Kong che dovrebbe essere la migliore e con connessione ovunque. Ci sono sei sportelli ed almeno 50 persone in attesa. Mi fanno passare avanti a tutti. La febbre per i cellulari non ha confini. 30 Gb per un mese a circa 10 euro.
Sono ormai le tre ed è ovvio che la prigionia non è finita. Altra notte in hotel, si parte domani mattina scortati. Io ho beccato il fine settimana, ma comunque per arrivare dal confine iraniano ed essere poi fuori dal Belucistan liberi di muoversi occorre calcolare almeno quattro giorni. Enjoy.
--------------------------------- Giorni 43 e 44 – 21 e 22 Dic 2019
Mappa del viaggio
La mia prigionia.
La temperatura notturna è sotto lo zero, l'acqua bollente e la stufa a gas che fortunatamente non puzza sono una benedizione. Colazioni, pranzi e cene mi vengono serviti in camera ed a volte li consumo al sole in giardino. Un giardiniere anziano in turbante elimina qualche coraggiosa erbaccia che si ostina a crescere in questo ormai iniziato inverno e, mentre mangio, mi fa sentire un aristocratico inglese di un secolo fa. Letto decente. Niente di lussuoso né di paragonabile agli hotel iraniani, ma c'è l'indispensabile per il comfort e sufficiente pulizia al costo non alto di circa 17 euro a notte chiaramente pasti esclusi. Passo due giorni prevalentemente a scrivere ed a leggere. Qualche blackout elettrico interrompe ogni tanto le comunicazioni. Del terremoto nel nord qui non c'è stata nessuna percezione. Sono sereno e parzialmente rilassato mentre i due bulgari, soprattutto la moglie, passano almeno il primo giorno visibilmente alterati. Non nego che rimarrei ancora e non è detto che non debba farlo per forza. Penso di andare direttamente a Multan invece che a Sukkur, per essere già più a nord, ma fino a lunedì, in questo mondo di poche certezze che non mi disturba, non saprò nulla di preciso e quindi è inutile fare programmi, solo liquide ipotesi.
-------------------------------------------- Giorno 42 – 20 Dic 2019
Mappa del viaggio
L'espresso che riesco a prepararmi perfino in questa posticcia inospitale diroccata replica di occidente mi rinfranca come mai prima e mi mette perfino di buon umore. Tutti provati dalla nottata ripartiamo per gli ultimi 350 chilometri.
La colonna si è arricchita dell'auto dei bulgari e della bicicletta del serbo che intende arrivare a giugno in Giappone per le olimpiadi. Ovviamente la bicicletta viene caricata ed intasa il già precario spazio dei mezzi dei Levies che spesso sono dei pick-up malamente riparati dal vento in cui le ragazze ed il serbo soffrono il freddo.
L'Ammiraglia è la mia oasi. La giornata è oggi piacevolmente soleggiata. Non oso immaginare le temperature estive.
La velocità e le continue interruzioni restano immutate con l'aggiunta di soste per il tè.
Avvicinandosi a Quetta i villaggi migliorano nell'aspetto. Le pompe di benzina moderne sono pochissime ed alcune sono in fase di installazione, molti vendono carburante lungo la strada nelle taniche, io ho le scorte iraniane. Con il sole gli incredibili addobbi dei camion pakistani famosi in tutto il mondo brillano coloratissimi. Sul retro hanno spesso anche il ritratto del conducente.
Check Point e caserme non hanno mai fine. Studenti escono da scuola. Compro e mangio due uova sode da un ambulante ad una sosta. Belle panciute ciminiere sfornano mattoni in cotto. Un solitario negozio è affiancato da una moschea Dogvilliana che sembra disegnata in terra da Von Trier.
Arriviamo a Quetta con il buio, in alcuni tratti siamo andati a 50 orari e sono sfinito. Prima della città apprendo che all'hotel prenotato per ieri, a cui comunque volevo andare per cercare di non perdere la cifra pagata, non possono accompagnarmi perché solo tre hotel di Quetta sono abilitati ad accogliere stranieri. Fortunatamente non ho avuto al momento prelievi sulla carta di credito. Ci porteranno all'Hotel Bloom Star. Bloom… ed immediatamente le mente mi porta a Leopold, Joyce ed all'Ulisse letto molti anni fa e certamente il testo più complesso mai affrontato. Sulla camionetta dei Levies le ragazze ed il serbo sono stipati al punto che l'unico soldato deve tenere in mano il recipiente metallico con un fuoco di legna acceso dentro che poco può contro il freddo ormai intenso della notte.
Da qui in poi non riesco più a fare foto perché devo restar loro incollato a meno di un metro. Appena lo spazio tra noi si allarga di pochi centimetri vi si infilano tutti i veicoli e pedoni circostanti senza alcuna paura di scontrarsi con me o tra loro. L'ingresso a Quetta è una vera e propria odissea e per la prima volta nella mia vita mi chiedo se sarò in grado di affrontare, al timone di quella che mai come ora a ragione chiamo Ammiraglia, il mare in tempesta in cui sono. Migliaia di individui, risciò a motore, moto, biciclette, auto e camion si contendono in un caos senza eguali una piccola strada ai cui lati scintillano botteghe di ogni sorta. L'aria è gioiosa e festante. Le donne a volte solo con gli occhi scoperti hanno, a differenza dell'Iran, vestiti colorati. Il poliziotto con la mano cerca inutilmente di far allontanare tutti quelli che si avvicinano strombazzando a meno di dieci centimetri e penso che è un bene non ci siano ancora veicoli volanti perché almeno da quella direzione sono certo che non arriverà nulla.
Incatenato all'auto dei Levies tra questi impazziti flutti cerco di mantenere la calma per poter almeno ascoltare, senza il filtro cerato e rassicurante dei finestrini che ho parzialmente abbassato, il richiamo pericoloso delle circostanti mille sirene che vorrebbero distrarmi dall'attenzione al mantenimento della rotta. I miei occhi devono restare incollati sull'assenza della targa della mia scorta.
Dopo mezzora di questo procedere ci fermiamo in mezzo al mare formando un piccolo scoglio con i veicoli per poter parlare tra noi. Si va direttamente all'hotel Bloom senza passare dalla stazione di polizia. Il parcheggio privato ci si apre come un porto sicuro che si richiude dietro di noi. Spero vivamente che non sia così sempre in Pakistan ed India.
Pessime notizie. Domani è sabato e fino a lunedì non possiamo avere il NOC, il permesso per stare in Belucistan indispensabile per andar via da Quetta. Nessuna alternativa. Lo stesso dicasi per l'acquisto di una sim che è possibile per noi stranieri solo in grossi centri anch'essi chiusi. Non è finita qui. Con o senza NOC non possiamo comunque mettere nemmeno il naso fuori dall'hotel e mi sarà negato pure il recarmi ad un ristorante di fronte ed a non più di cinque metri dall'ingresso del parcheggio. Io mi rassegno anche perché ho molto da scrivere e lavorare e soprattutto devo fare una sosta che probabilmente non mi sarei concesso volutamente, le ragazze ed il serbo riescono a farsi portare alla stazione di polizia per non pagare le stanze, mentre la coppia bulgara non accetta la situazione, ha un visto che scade il 28 e deve anche riprendere quello iraniano dato che il Pakistan è il punto di arrivo del loro viaggio. Non ottengono ovviamente nulla e si rassegnano anche loro a questa per me confortevole prigionia. Non erano preparati a tutto ciò, è evidente, fanno dei paragoni improponibili con l'Iran. Come dico loro l'Iran, pur con le sue notevoli differenti peculiarità, è ancora fondamentalmente Europa mentre qui ha inizio la vera Asia. La mia amata Penelope dalla nostra Itaca mi fa giustamente osservare che in Iran c'era lo Scià che era legatissimo all'occidente ed è rimasta qualche traccia di questo legame. Devo però chiarire per l'Iran che quanto affermo credo sia quasi impossibile da percepire se scaricati da un volo senza un lento spostamento di terra verso l'est.
-------------------------------------------- Giorno 41 – 19 Dic 2019
Mappa del viaggio
Al confine di Taftan scopro finalmente che Hamid dovrebbe essere un funzionario della dogana avendo qui anche un ufficio. Il condizionale che uso si può capire solo con una esperienza diretta di luoghi e situazioni simili ed in caso contrario risultare totalmente incomprensibile.
Hamid è di enorme aiuto e si occupa di ogni documento e per tutti i suoi servigi non spendo una lira come per la cena di ieri, anzi ho risparmiato con la benzina che non ho pagato. Quindi non posso che unirmi al coro e consigliare anche ad altri di contattarlo se si passa di qua. A me e Silvia si unisce anche un'altra giovanissima ragazza cinese arrivata al confine autonomamente ed Hamid si occupa anche di lei. Avendo l'auto io devo passare attraverso altri uffici e mi separo da loro due. Purtroppo l'aiuto di Hamid termina con il lato iraniano.
PAKISTAN
Le formalità in Pakistan non sono così complesse come mi aspettavo e c'è sempre qualcuno che via via ti dice dove andare. Nei primi ampi saloni, ai banchi di funzionari che espletano varie formalità, sono fianco a fianco con un'umanità in transito che già ora mi permette di capire quale taglio netto ci sia con tutto ciò che si trova ad ovest di questo confine.
Vengo poi preso in carico da quello che dovrebbe essere un poliziotto, senza alcuna divisa e ne vedrò altri persino in abiti tradizionali, che facendomi da staffetta in moto mi porta finalmente oltre la dogana alla stazione di polizia dove ritrovo le ragazze,
e da qui a piedi vengo portato ad un ultimo ufficio per i timbri sul Carnet de Passage.
Queste informazioni le scrivo dettagliatamente perché online di questa frontiera c'è pochissimo, quasi nulla, e molti viaggiatori non vi accennano nemmeno. Chiaramente qui tutto è allo stato liquido e domani potrebbe avere una forma totalmente diversa, questo è sempre e comunque da tener presente.
Per fare una foto al cortile della stazione di polizia metto i piedi dentro un piccolo spazio delimitato da file di sassi ed immediatamente mi dicono di uscirne, è la loro moschea. Quello spazio è sacro ed io con le scarpe lo sto profanando.
Apprendo che è impossibile proseguire senza scorta e che ne organizzeranno per noi una domani mattina, quella di oggi è partita stamattina verso le 9 o le 10 con una coppia di bulgari in auto ed un serbo in bicicletta. Comincio a fare un po' di teatro a cui mi ero preparato. Faccio vedere la carissima, 50 euro a notte, prenotazione di un hotel a Quetta città in cui si arriva con la scorta e parlando con vari funzionari, cercando di capire dall'atteggiamento quali sono i più alti in grado, alla fine riesco ad ottenere che si parta subito… quasi subito. Si va, anche le ragazze sono contente e mi metto tranquillo e concentrato per una lunga veloce guida anche notturna. Dopo un chilometro sosta all'adiacente viaggio di Taftan per il rifornimento. Io non ho problemi.
L'impatto con il Belucistan è duro. Siamo a due passi dall'Afghanistan e qui le etnie si mischiano, ma la curiosità delle mille profonde evidenti differenze con l'Iran sono quasi annullate dal vedere la totale indifferenza verso una vita immersa in una gigantesca umida pattumiera in cui nuotano o volano rifiuti, che qui sarebbero assolutamente superflui, comunque arrivati al seguito di un ipotetico progresso che, solo, non conosce confini e non necessita di visti.
Mi ritornano in mente, e chissà quante altre volte accadrà, i due giovani pastori solitari e sperduti con il pranzo in due fazzoletti intrecciati invece che in una comoda e facilmente reperibile e sostituibile busta di plastica.
Finalmente si parte. La sequenza di cambi di auto, a cui io non sono fortunatamente costretto per via dell'Ammiraglia, e di checkpoint è impressionante. Per i primi 100 chilometri facciamo una sosta mediamente ogni 7 od 8, estenuante. In mezzo si viaggia a non oltre 60 o 70 chilometri orari e l'Ammiraglia soffre per motivi totalmente diversi da quelli attesi. Ai checkpoint, su quaderni approntati in maniera sempre diversa, occorre ogni volta scrivere nome, cognome, numero di passaporto, nazionalità, date di scadenza e validità del visto, e così via. Va peggio dove invece a scrivere è un qualche poliziotto o militare che capisce a stento cosa gli diciamo ed ha difficoltà con i caratteri latini. Fortunatamente, nonostante la grigia giornata annuvolata, il paesaggio di questo deserto mi distoglie dalla monotonia e lentezza dello spezzettato procedere. In alcuni tratti particolarmente ventosi e pianeggianti, da basse dune a volte di tipo sahariano la sabbia si solleva e ricopre tratti di asfalto.
Si è fatto buio e la velocità delle scorte rallenta ulteriormente. Abbiamo percorso solo 250 chilometri dei 650 totali. Andiamo così piano che guidando ho potuto tranquillamente mangiare con un cucchiaio e senza problemi una scatola di fagioli della mia dispensa italiana accompagnandola con del pane arabo iraniano. Non si è versata nemmeno una goccia e non è caduto nessun fagiolo. Metto addirittura la lampada frontale e leggo qualcosa sempre mentre guido tenendo d'occhio l'auto dei Levies, così si chiama la polizia che ci scorta, davanti a me. Questo può forse dare il senso della situazione. Ormai è buio da un pezzo e nemmeno la lettura riesce a tenermi sveglio e distogliermi dalla noia non più mitigata dal panorama che è diventato oscuro. Mi monta la rabbia. Mi fermo a lato strada ed aspetto a vedere che succede. Tornano indietro a cercarmi dopo un po'. Gli spiego che non posso guidare a quella velocità ridicola di notte perché sono stanco e mi addormento. Ok, andremo più veloci… a parole. Nessun sensibile cambiamento. Veramente furibondo e senza problemi a tenere gli occhi aperti, li sorpasso. Immediatamente li distacco anche se non posso andare oltre i 90 chilometri orari per via dei numerosi camion e della strada stretta e spesso dissestata. Li rivedo dopo una quindicina di minuti nello specchietto. Hanno acceso le luci rosse e blu rotanti e mi stanno venendo a riprendere. Mi preparo a ricevere una bella strigliata. Invece mi si mettono dietro, mi segnalano con i fari che ci sono e non mi superano. Mi fanno continuare davanti. Più che aver capito, sanno cosa succederà dopo poco. Questo procedere finalmente adeguato al lungo percorso viene infatti interrotto dopo pochi chilometri. Mi superano e ci fermiamo in uno dei pochi villaggi di media grandezza che si trova all'incirca a metà strada, Dalbandin. C'è un hotel e capisco che non hanno affatto intenzione di andare oltre per oggi. Faccio abbastanza casino spiegando dell'hotel prenotato, dei soldi che perderò, del fatto che alla partenza avevano detto che saremmo arrivati a Quetta. Fanno arrivare da un checkpoint più avanti un più alto in grado, mi dicono di aspettare dieci minuti e che dopo potremo continuare. Balle. Quando arriva non fa altro che ribadirmi comunque gentilmente che non c'è nulla da fare e mi spiega che è pericoloso continuare di notte anche se è molto vago nello spiegare perché. Stavolta non ottengo nulla. Oltretutto fermi qui ci sono anche la coppia di bulgari ed il ciclista serbo partiti da Taftan svariate ore prima.
Le ragazze sono costrette a prendere comunque una stanza perché alla richiesta di mettere la tenda nel parcheggio dell'hotel, chiuso da un robusto cancello, viene loro detto che lì non possono garantire della loro sicurezza. In quella che prendo io scelgo di dormire sì sul letto, ma con il mio sacco a pelo. In bagno lo sciacquone non funziona, lo apro per controllare e dopo un po' mi rendo conto che non ci sono proprio i tubi che portano l'acqua. Una piccola brocca da riempire ad un rubinetto vicino è il vero scarico. Mi farò portare un secchio più grande. Il lavandino non ha scarico e l'acqua viene deposta in terra da un tubo e scorre per qualche metro fino ad un buco che la smista chissà dove. Ovviamente non avrebbe senso che ci fossero acqua calda e riscaldamento. Un divano sfondato completa l'arredamento. La stanza e l'hotel sono una scenografia, dei vecchi e sbiaditi pannelli posticci in cui è solo malamente disegnato lo sconosciuto occidente che arriva in questi luoghi che oltrepassano anche il concetto di frontiera. Sarebbe molto meglio stare sotto una tenda con il deserto come sala da bagno. Nei centri abitati incontrati ho visto la stessa situazione. Dove le costruzioni erano ancora quelle tradizionali di questi luoghi, in mattoni cotti o crudi fatti di terra ed acqua, l'insieme aveva un aspetto gradevole e soprattutto relativamente pulito nonostante l'immensa povertà del vivere. Dove invece c'era una rappresentazione di luoghi così lontani dal quotidiano da non essere per nulla noti, con costruzioni in mattoni di cemento e negozi pieni di coloratissima ma povera mercanzia, e quindi una disponibilità economica certamente superiore, l'unica cosa che risaltava era il degrado. Qui, nonostante gli spazi immensi e vuoti a disposizione, non ho per nulla notato nemmeno la comune pratica del seppellimento dei rifiuti appena fuori dai luoghi abitati, semplicemente il problema sembra non esistere esattamente come non esisteva molti decenni fa nell'assenza di materiali che non fossero organici.
Anche se ancora non ne ho esperienza sono certo che questo non è il Pakistan, queste sono zone presenti quasi ovunque sul pianeta, zone oltre le frontiere e che non necessariamente devono trovarsi isolate geograficamente. La purezza del desertico ed immacolato immenso nord Belucistan non fa che amplificare le sensazioni negative dei vari concentramenti umani.
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Sono un tipo abbastanza freddo da non cadere nella trappola della mitizzazione romantica del mio viaggiare, ma se vi chiederete e mi chiederete se tutto ciò intacchi il mio interesse per questi luoghi risponderò che anzi lo amplifica, se vi chiederete e mi chiederete se tutto ciò possa aumentare, come qualcuno ha scritto, la contentezza per una nascita in luoghi in cui questi mondi sono colpevolmente e volontariamente ignorati risponderò che non provo alcun piacere per una vincita al lotto totalmente indipendente dalla mia volontà che anzi dovrebbe essere fonte di maggiore ed invece totalmente inesistente responsabilità ed infine se vi chiederete e mi chiederete se tutto ciò mi faccia attenuare le critiche feroci che spesso faccio al mondo decadente in cui vivo vi risponderò che le accentua perché vedo ed ho sempre visto le sue responsabilità secolari e cito ciò che ho imparato in giovane età da chi è stato per la mia crescita mentale più importante dei miei stessi genitori, “anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti” che vale anche per gli stessi che qui cercano di dare come tutti un senso al vivere e che non mi sogno assolutamente di vedere solo dalla parte di vittime.
Rivedo spesso sul computer, e mi dispiace di non riuscire ancora e chissà fino a quando ad inserire altri filmati, il saluto che casualmente ho registrato di uno dei due pastori già citati e che certamente sto mitizzando al di là del reale a causa dei pochissimi minuti trascorsi con loro. Quello che importa però non è la possibile diversa realtà, ma quanto ne ho ricavato. È stato un saluto finale secco, netto ed immediatamente, di scatto si è girato verso la vallata ed il gregge. Il saluto di chi vuole evitare qualunque cosa possa distoglierlo dal suo mondo, qualcosa di pericoloso che possa attivare in lui pensieri ed azioni e speranze e miti che lo potrebbero distruggere. Una difesa dalla conoscenza e dalla consapevolezza al di fuori dell'immediato e del presente. Altro di cui comunque sa, altro che lo ha portato a possedere un comodo cellulare, altro che certamente è allettante, altro a cui consapevolmente non riuscirebbe a rinunciare.
Spesso ho pensato che il vero problema dell'uomo è proprio la consapevolezza di sé cioè quanto di più esaltato ed esaltante abbiamo di diverso ed unico. Penso spesso romanticamente che gli animali abbiano consapevolmente rinunciato alla consapevolezza per non modificare lo stato metafisico dell'universo. Se la leonessa acquisisse consapevolezza inizierebbe ad uccidere più gazzelle possibile quando in forze per non rischiare di morire di fame in caso di malesseri che le impedissero di cibarsi in futuro e poi probabilmente passerebbe allo scambio per potersi ogni tanto gratificare con della buona carne di canguro portata da oltre oceano. La singola gazzella da parte sua non riuscirebbe ad accettare il suo ruolo di food e cercherebbe magari di organizzarsi con altre per non rischiare giorno dopo giorno di essere uccisa e poi, come potrebbe da essere pacifico accettare un atto che immediatamente moralmente definirebbe e percepirebbe violento e crudele? Il corpo umano, se ne escludiamo la limitata durata, è un altro esempio di stato metafisico. Ogni singola cellula assume un ruolo ben definito ed indispensabile al benessere dell'universo corpo e siamo noi che moralmente diamo più importanza a questa o quella specializzazione cellulare. In realtà abbiamo bisogno che tutte le nostre cellule continuino indisturbate ed inconsapevoli a fare il proprio lavoro che siano le esaltanti e celebrate cerebrali o le poco appariscenti dei tessuti gluteali. Anche qui romanticamente ho sempre interpretato come una presa di coscienza del sé lo svilupparsi di una cellula tumorale, una cellula che non accetta più il proprio ruolo e cerca di sopravanzare in importanza qualunque altra.
Se ho ragione allora l'uomo non è in grado di cogliere alcunché della metafisicità dell'universo e “…gli esseri umani sono un'infezione estesa, un cancro per questo pianeta…” .
I dinosauri hanno dominato il pianeta per 160 milioni di anni e ce lo hanno lasciato senza modificarne il corso, noi in 2 milioni di anni probabilmente non abbiamo ormai più la possibilità di salvarlo da noi stessi. E questa la chiamiamo intelligenza.
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-------------------------------------------- Giorno 40 – 18 Dic 2019
Mappa del viaggio
Ancora un lungo trasferimento e nei prossimi giorni saranno molti. L'abitudine all'Iran ormai mi fa notare meno particolari e mentalmente sono proiettato già verso il Belucistan. Non so quanto riuscirò a vedere in Pakistan anche perché sono sempre più orientato al non richiedere proroghe del visto e quindi dovrò entrare in India entro il 31 Dicembre. Che possibilità avrò di muovermi in autonomia? Potrò prenotare gli hotel giorno per giorno? Sim card? Connessione? Sicurezza? Ho letto qui e là di varie altre esperienze recenti e sono gli unici dati al momento in mio possesso. Non ho alcun aiuto stavolta dalla Lonely Planet che non pubblica un volume sul Pakistan da più di 15 anni. Ho trovato usata online l'ultima edizione in inglese per avere dettagli sul cosa vedere, ma sui consigli pratici è totalmente inutile. Parla ancora di cabine telefoniche ad esempio. Negli ultimi 50 anni la velocità dei cambiamenti, già acceleratisi notevolmente in occidente dall'avvento dell'industrializzazione, è esponenzialmente aumentata al punto che in soli tre quattro anni ciò che è all'avanguardia diventa irrimediabilmente obsoleto. Ovviamente il tutto è assolutamente voluto e perseguito ed all'ormai insufficiente avanzata tecnologica si è voluto unire una criminale “avanzata” della gestione dell'economia globale. L'occidente, che aveva comunque già acquisito con l'industrializzazione dei cromosomi che con difficoltà riescono a mitigare gli effetti dirompenti di questa decadente inarrestabile ed illusoria avanzata, con sempre più difficoltà rallenta soltanto la conseguente ovvia caduta in povertà di ampie fasce sociali. Nei paesi diciamo del terzo e quarto mondo che non hanno avuto il tempo di sviluppare alcun parziale antidoto, questi nefasti e nefandi effetti possono essere a volte rallentati solo tramite disastri ambientali. Mi fermo.
Una policroma area montuosa fortunatamente mi distoglie da questi poco allegri pensieri.
A Zahedan incontro Mr. Abdul Hamid Hassanzehi, the King of the Border. Ho avuto il contatto dal ragazzo olandese. Su WhatsApp mi manda una sfilza lunghissima di articoli e scritti di viaggiatori in cui viene citato e ringraziato e mi esorta a fare altrettanto. La prima informazione utile è quella di una stazione di rifornimento che scoprirò essere di un suo parente, in cui ai turisti stranieri viene fatto gratuitamente il pieno. Io riempio così anche e per la prima volta le mie due taniche di benzina da venti litri. In Pakistan i costi si rialzano e poi per l'incognita Belucistan preferisco avere scorte abbondanti di carburante, acqua e cibo.
Mi propone degli hotel a basso costo, ma io ho già prenotato. All'incontro è con lui Silvia, una giovanissima ragazza spagnola in viaggio già da 16 mesi in autostop e già da 2 mesi e mezzo in Iran, che oggi è stata scambiata per una spia ed ha passato 5 ore alla stazione di polizia dell'aeroporto di Zahedan in cui casualmente si trovava per accompagnare un amico. La polizia l'ha affidata ad Hamid che la accompagnerà alla frontiera con il Pakistan per la continuazione del suo viaggio che, mi dice, durerà ancora almeno un anno.
Veniamo invitati a cena fuori città sotto una ampia tenda tipica del Belucistan in cui ci si riscalda ad un indispensabile fuoco che dovrebbe poi servire per cuocere della carne.
Dopo un paio d'ore però, quando capisco che i tempi sono biblici e non riuscirei ad essere in Hotel prima di mezzanotte, insisto molto, scusandomi e facendo presente che dovrò guidare domani a lungo, e mi faccio riportare in Hotel. Silvia che oltretutto è anche vegetariana è perfettamente d'accordo.
Ci diamo appuntamento per l'indomani.
-------------------------------------------- Giorno 39 – 17 Dic 2019
Mappa del viaggio
Piove a dirotto. Sono ormai agli sgoccioli con l'Iran. Avevo già pensato di restare in città per iniziare a fare un po' di training autogeno ed organizzarmi per confine e soprattutto Belucistan con tutte le sue incognite, e la situazione atmosferica non mi fa cambiare idea. Con l'Ammiraglia devo letteralmente guadare fiumi in piena alla faccia degli scoli giganteschi dell'acqua ai lati delle strade. A Kerman la frontiera è già percepibile, un'aria trasandata trasuda un po' ovunque. Il bazar è un poco interessante grande mercato con qualche angolo godibile. Un'oretta e torno in camera.
A questo punto posso ritenere concluso il capitolo Iran.
Domani sarà l'ultima notte in questo splendido paese e la passerò a Zahedan che, a 100 chilometri dal confine con il Pakistan, è l'ultimo centro di qualche rilievo in cui però non ho nulla da visitare. L'indomani mattina affronterò confine e Belucistan fino a Quetta in cui ho già prenotato uno dei carissimi alberghi che accettano stranieri. Dato che Quetta è ancora in Belucistan ci sono delle restrizioni. Successivamente mi sposterò a Sukkur, finalmente fuori da questa problematica regione a ridosso dell'Afghanistan sulle rotte di droga ed armi. Ma questo è solo il mio programma e potrei essere costretto a modificarlo per varie ragioni anche perdendo i soldi delle prenotazioni degli hotel.
Anticipo tutto ciò perché lo scrivere, da domani e per almeno tre giorni, sarà l'ultimo dei miei pensieri. Oltretutto il Pakistan lo considero al momento solo un passaggio obbligato di una decina di giorni e non certo per mio disinteresse, ma per problemi legati alle stagioni da passare in India e Nepal.
Spero che l'Ammiraglia non mi abbandoni proprio adesso, cosa che costituirebbe un enorme problema.
-------------------------------------------- Giorno 38 – 16 Dic 2019
Mappa del viaggio
L'Hotel è un po' come una casa colonica. Grandi corridoi, pareti chiare e le donne delle cucine con il grembiule bianco ed il fazzoletto nero in testa sembrano delle monache. Comunque l'ho scelto per via dei soli 11 euro al giorno in previsione, dopo il confine, di un consistente aumento delle spese.
Controllo dell'Ammiraglia. Panico… contenuto. Il tappo dell'acqua non c'è più. O non l'ho rimesso sbadatamente al precedente rabbocco o è saltato via per la pressione e la temperatura. Spero sia la prima ipotesi perché la seconda non è una cosa risolvibile. Comunque è uno di quei piccoli problemi che ti possono creare grandi casini in viaggio. Il tappo della tanica d'olio comprata qui in Iran si adatta, anche se la filettatura è completamente diversa ed è di plastica morbida che non reggerebbe a lungo, ma in ogni caso per ora non ho altro. Comincio a girare per officine e negozi di ricambi, nulla anche se quando capiscono il problema cercano qualcosa che vada bene in tutti i modi. Comincio a fare incetta di tappi dell'olio perché se non trovo nulla avrò bisogno di sostituirli ogni volta che ne salta via uno. Cerco anche tra le taniche per l'acqua e per la benzina che vedo in vendita e che hanno robusti tappi, ma le misure non combaciano. Prima di partire comunque per la meta di oggi e verificare così la tenuta dei tappi che ho, provo un'ultima volta in un negozio che a fianco ha meccanici ed officine varie. Quando riesco a farmi capire, almeno 15 persone si radunano e cominciano a portare tappi di tutti i tipi presi un po' ovunque. Niente, non ne va bene uno, sono rassegnato. Poi un ragazzo si fa largo tra la piccola folla, che nel frattempo fa commenti sul motore dell'Ammiraglia, esibendo un grosso tappo che ha anche una valvolina di sicurezza ed è proprio un tappo da radiatore. Ci va a pennello ed ha la stessa filettatura, robustissimo e certamente migliore dell'originale. È andata. Stava aspettando chissà da quanto tempo, perso tra vari rottami in una delle officine che ho accanto, che qualcuno lo prendesse a bordo e lo scarrozzasse in giro per il mondo. Ringraziamenti e saluti prendono almeno 10 minuti. Non pago nulla.
Nuovamente tranquillo mi dirigo verso i Kalut a circa 130-140 chilometri. Affronto grosse salite fino a quasi 2700 metri e per precauzione controllo il nuovo tappo. Perfetto, nessun cedimento.
Entro nel Dasht-e Lut, l'altro grande deserto iraniano.
All'oasi di Shafiabad un enorme caravanserraglio è restaurato solo all'esterno ed è poco interessante, lo è di più l'oasi in cui mi aggiro mentre dei ragazzini in divisa escono da scuola.
Dietro un rialzo del terreno, tra le fitte palme, un improvviso salto nel tempo mi disorienta. Uno spettacolo a cui, qui in mezzo al deserto, non ero minimamente preparato. Dal terreno sgorga un piccolo ruscello di acqua limpidissima che scorre tra sabbia e sassi. Con uno strumento che non appartiene al tempo in cui sono stato catapultato, faccio qualche fugace scatto.
Una ragazza con un chador blu scuro ed una cesta piena di panni si accovaccia sulla riva ed inizia a lavarli. Non vuole che la fotografi. Il luogo è suo e glielo lascio volentieri, ne ho usufruito a sufficienza. Sulle palme, decine e decine di piccoli uccelli cantano evidentemente soddisfatti di trovarsi qui. La mia prima vera cattura di avifauna ho il piacere di farla qui a Shafiabad che forse non a caso racchiude 'fiaba' e mi da l'occasione di scrivere della passione, che non approvo, degli iraniani di tenere piccole gabbie di uccellini canterini. Ne ho viste ovunque, anche negli hotel, ed in qualche bazar a volte si trovano decine di negozi che ne vendono.
Alla vicina oasi di Dehseif l'ennesima affascinante fortezza di sabbia tra le palme.
In una delle stradine un anziano accanto ad un recinto con cammelli acconsente ad una foto.
Sulla mappa, a pochi chilometri, ho un'indicazione di Kalut in mezzo al deserto a circa un chilometro dalla strada asfaltata. Seguo le impronte di altre auto e mi inoltro nella sabbia che sembra compatta. Sembra. Mi insabbio 4 volte.
Ogni volta, appena mi rendo conto di non potermi più muovere, non insisto per non scavare buche profonde con le ruote e con una eccezionale comodissima mini pala smontabile libero un lato delle ruote e proseguo. Arrivo alla fine del percorso e sono tra centinaia di monticelli di sabbia alti fino a tre quattro metri ricoperti di vegetazione. Seppur particolari non hanno nulla di eccezionale e penso che queste famose formazioni di sabbia e roccia, i Kalut, non sono poi niente di che. Uscito dalle sabbie ritorno a Shafiabad e mi informo. Quelli che ho visto sono mini Kalut, per quelli veri devo proseguire per altri 30 chilometri. Quando i mini Kalut hanno termine si attraversa una zona totalmente piatta e senza alcun tipo di vegetazione. All'orizzonte pian piano mentre avanzo si delineano delle stravaganti forme e mi ritrovo in un paesaggio che di terrestre ha poco. Sono attorniato da formazioni gigantesche alte decine di metri. Un posto difficilmente paragonabile ad altri.
In totale solitudine mi addentro per qualche chilometro tra i Kalut su una strada stavolta realmente compatta, fino ad un canyon gigantesco con un fiume di nera sabbia che scorre all'interno. Lasciata l'Ammiraglia in alto, scendo a farmi dominare da pareti di roccia instabile tra le quali mi vedrei bene a saltellare protetto da una tuta da astronauta.
Il sole oggi è coperto e non so decidere se l'assenza di forti contrasti accentui o meno lo straniamento. Resto almeno un'ora a camminare in questo scenario. Si affonda spesso ed ho le scarpe piene di sabbia. Vado via a malincuore, la strada del ritorno è lunga e la luce sta diminuendo. Proseguo però ancora per una ventina di chilometri perché ho letto di altre formazioni singolari. La strada diventa quasi impraticabile per chilometri con tratti totalmente distrutti che occorre superare procedendo a passo d'uomo. Fortunatamente l'unica cosa di cui sono fornito in abbondanza è la tigna e, nonostante le difficoltà e la giornata che volge al termine, proseguo. Il luogo in cui arrivo è forse ancor più improbabile del precedente qui in mezzo ad uno dei deserti più aridi al mondo con temperature che d'estate possono arrivare ai 65 gradi centigradi. Uno specchio d'acqua verde azzurro in cui sono immerse altre spettacolari formazioni rocciose.
Un fotografo ed un cameraman sono all'opera per un matrimonio e così ne approfitto come già successo in Turchia. Magari sarà una costante del viaggio, chissà?
Sulla strada del ritorno, ormai con poca luce, uno spaurito lupo del deserto mi attraversa la strada e prima che sia troppo lontano riesco a fotografarlo alla meglio. Una interessantissima e ricca giornata non poteva concludersi meglio.
-------------------------------------------- Giorno 37 – 15 Dic 2019
Mappa del viaggio
Una lunga tappa di trasferimento di quasi 600 chilometri mi porta a Kerman. Fra quattro giorni lascerò l'Iran. I pensieri saltano senza alcun ordine tra i ricordi e le incognite dell'imminente brusca cancellazione della quotidianità iraniana. Per quasi 400 chilometri la strada, pur inserita in un territorio che parla di spazi vuoti ed incontaminati, è una sequenza ininterrotta di Tir sospinti da carburante bruciato in scuri e densi sbuffi. La poco piacevole guida mi fa anche notare più del solito la quantità di immondizia ai lati della strada e riaffiorano le iniziali paure per questo viaggio in luoghi che saranno via via sempre più antropizzati. Una splendida volpe è stata colpita a morte nel tentativo di attraversare questo fiume in piena. Mi fermo e la sposto fuori dalla strada. È rigida. Mi rimanda alla strage giornaliera di wallabies in Australia. Non è una buona giornata. Fortunatamente, dopo il bivio per Bandar Abbas i camion quasi scompaiono e capisco di aver guidato su una delle arterie dirette al Golfo Persico da cui l'Iran ha accesso al mondo.
-------------------------------------------- Giorno 36 – 14 Dic 2019
Mappa del viaggio
L'arrivo a Persepoli avviene su un lungo e largo rettilineo ai cui lati sono parcheggiati bardati cammelli che tristemente, a dispetto degli sgargianti pon-pon che indossano, aspettano le terga di qualche turista.
L'immenso parcheggio fa intuire come in alta stagione ci sarebbe da sgomitare. Il flusso è comunque certamente ininterrotto durante tutto l'anno ed anche oggi c'è un po' di gente.
Non molto è ancora in piedi o è ricostruito, ma è più che sufficiente per avere un'idea della magnificenza perduta.
Isolandosi un po' dai pochi altri che gironzolano è persino possibile percepire la meraviglia degli illustri visitatori che qui venivano ricevuti dai vari sovrani achemenidi a partire da Dario il Grande. Gli splendidi giganteschi bassorilievi sono la cosa probabilmente più interessante insieme alle tombe di Artaserse II e III che dominano il sito archeologico.
Alla più lontana tomba di Artaserse III non va nessuno e quindi vado a dare conforto a questo sovrano tristemente solitario e nel percorso piacevolmente sogno di vederlo redivivo giustiziare il titolare dell'unico ristoro presente nel sito che a tutto volume diffonde musica. Note che fortunatamente non giungono alla distante tomba. Mentre, solitario, assaporo il tempo che separa il mio plebeo oggi dal regale passato, su una delle pareti rocciose laterali un lucertolone policromo di 30-40 centimetri appostato immobile al sole mi conferma che la più grande magnificenza umana è per me meno interessante della più piccola espressione della natura. Abbandono mentalmente Artasese III alla sua solitudine secolare e mi dedico al rettile.
Dopo una visita di cortesia anche ad Artasese II, mi avvio lentamente verso l'uscita.
Persepoli è assolutamente imprescindibile.
Nelle immediate vicinanze, a Naqsh-e Rostam, quattro tombe tra cui quella di Dario il Grande sono altamente scenografiche ed egualmente imperdibili. Uno dei pregevoli bassorilievi sottostanti racconta anche che ogni tanto pure i romani perdevano.
Il vicino piccolo sito di Naqsh-e Rajab non può invece certamente competere con i primi due, ma la veloce visita permette comunque di ammirare altri pregevoli bassorilievi storicamente interessanti.
Tornando a Shiraz un'auto mi si affianca a pochi centimetri nonostante abbia spazio per passare, sto quasi per mandarlo a quel paese quando mi accorgo che vuole solo salutarmi e darmi il benvenuto in Iran. Succederà altre due volte fortunatamente mentre sono fermo in fila al semaforo, ed un paio di ragazzi si mettono anche a disposizione per qualunque tipo di necessità. Dopo quasi un mese di Iran ormai mi muovo con disinvoltura ed ogni tanto dimentico che sia io, ma ancor più l'Ammiraglia siamo fonte costante di interesse.
Ieri avevo saltato la visita al Giardino di Nazar ed oggi arrivo dopo la chiusura, pazienza. Mi butto nel bazar. Con mia grande sorpresa, visto che sulla Lonely Planet ne parla poco, mi ritrovo in un mercato magnifico all'interno di alcune strutture meravigliosamente eleganti.
Il Bazar-e Vakil ha una struttura unica, un lunghissimo corridoio con ai due lati i negozi chiuso da alte splendide volte in mattoncini.
Un paio di caravanserragli anch'essi finemente ristrutturati sono splendidi luoghi dove fare delle soste.
Non grande ed affascinante quanto quello di Tabriz ad oggi è però l'unico che possa reggere il confronto.
Aggirandomi poi per la città posso constatare che Shiraz è una città elegante e moderna che il costante flusso turistico non ha indurito come invece nell'aggressiva Isfahan. Venendo qui e dovendo dedicare una giornata a Persepoli probabilmente meriterebbe un giorno di permanenza in più rispetto alle altre città. Io però non posso.
-------------------------------------------- Giorno 35 – 13 Dic 2019
Mappa del viaggio
Piove. Persepoli aspetterà domani. Resto in città e penso di spostarmi con i taxi. Mentre faccio colazione la pioggia aumenta di intensità. Oggi è venerdì e non c'è traffico. Prendo l'Ammiraglia.
Al Giardino e Padiglione Naranjestan mi sento a casa. Come in Sicilia gli alberi di arance amare sono elementi decorativi. Naranje è quasi identico allo spagnolo naranja termine usato dialettalmente anche in Sicilia. Altri rimandi al mediterraneo. In questa giornata grigia e piovosa faccio fotograficamente quello che posso.
Accanto, gli appartamenti privati dello Zinat ol-Molk con una magnifica sala degli specchi si affacciano su un altro piccolo giardino di arance.
Incontro un giovanissimo insegnante di Inglese appassionato di fotografia con cui chiacchiero piacevolmente. Ha delle belle foto e, per fargli vedere le mie ed il viaggio, lo faccio iscrivere a Juza. Forse è il primo iraniano.
Mi sposto poi alla vicina Moschea di Nasir-al-Molk dove la sala di preghiera invernale è famosa per le vetrate colorate, ma anche qui l'assenza di sole e riflessi ne diminuisce notevolmente il fascino.
Un altro gruppo di ragazzi mi avvicina e vuole vedere le mie foto. Anche loro vengono indirizzati su Juza.
Poco soddisfatto delle foto odierne, dopo una breve pausa ed un salto alle belle mura della Fortezza di Karim Khan,
con il buio ritorno sia al Giardino Naranjestan che allo Zinat ol-Molk per una sessione in notturna. Si ricordano di me e non devo ripagare i biglietti d'ingresso che comunque ovunque costituiscono una spesa di una certa entità, per l'Iran, variando tra i 3 e 5 euro.
Ho con me un normale tripode, ma sto sempre utilizzando un comodissimo Gorillapod montato direttamente senza alcuna testa. Con questo trabiccolo, nelle primissime foto notturne ad Amasya in Turchia ero riuscito, non senza apprensione, ad aggrappare saldamente la macchina all'esterno di una ringhiera di ferro sospendendola sul fiume.
-------------------------------------------- Giorno 34 – 12 Dic 2019
Mappa del viaggio
Faccio tardissimo perché a colazione parlo a lungo con un ragazzo olandese. È con i genitori su una grossa jeep adatta a lunghi viaggi. Dato che mi servono informazioni per il Belucistan gli chiedo se stanno viaggiando solo in Iran oppure hanno intenzione di proseguire per il Pakistan. Vengo così a sapere che i genitori sono con lui solo da qualche settimana per visitare l'Iran e che lui è quasi alla fine del suo viaggio in solitaria durato due anni. Ha attraversato il confine da un paio di settimane, è stato nove mesi in Nepal ed in India ed in precedenza in centro Asia.
La situazione in Belucistan è al momento tranquilla ed ha fatto la traversata da Quetta al confine senza scorta. Io dovrò fare il tragitto inverso e comunque sempre in un'unica tappa. Mi faccio dare il numero WhatsApp e certamente gli chiederò mille altre cose appena mi verranno in mente. È lui stesso a mettersi a disposizione per informazioni. In ogni caso questo fondamentale incontro mi tranquillizza e soprattutto tranquillizza casa ed è arrivato al momento giusto.
Un po' più sollevato mi godo il lungo altalenante tragitto fino a Shiraz. Mi allontano dai deserti e devo valicare un paio di catene montuose a 2600 metri. Sulla strada acquisto un Setar fatto a mano da un tizio che con l'auto, in cui è seduta la moglie, a lato strada ne ha in mano un paio per attirare clienti. È una piccola chitarra tradizionale con manico molto lungo che da qualche secolo ha quattro corde (tar) al posto delle originarie tre (se). A Pasargade faccio una piccola deviazione più che altro per non dover ritornare qui uno dei prossimi giorni. Delle rovine di questa città di realmente percepibile c'è solo la poco fotogenica tomba del suo fondatore Ciro il Grande, il resto è più da intuire.
Proprio accanto alla tomba, ma fuori dal sito archeologico, nell'odierno cimitero vedo una folla di persone. Mi avvicino, anzi vado proprio in mezzo. Sembra un funerale. La vedova in lamentazione ha davanti un tumulo di terra di ovvia natura sopra al quale è stato disteso un tappeto per accogliere una cesta di frutta ed un vassoio di biscotti. In testa una grande foto del defunto. Le tombe intorno sono di marmo e dalle nostre si differenziano solo per i caratteri incisi e le dimensioni, qui sono piuttosto piccole. Anche il comportamento dei partecipanti è in tutto simile. Via via che ci si allontana dal fulcro della cerimonia diminuisce il coinvolgimento emotivo che si diluisce in vari capannelli dove si chiacchiera a volte allegramente. Alcuni si accorgono di me e mi avvicinano. Apprendo che è la cerimonia a 30 giorni dal decesso. Non ci posso credere, un trigesimo. Iraniani, Italiani una faccia, una razza. D'altronde, se qualcuno degli anziani lo vedessi seduto in un bar del sud Italia gli rivolgerei la parola in dialetto.
Superata Persepoli, a cui dedicherò una giornata, mi accoglie Shiraz, una città assolutamente europea. Luci, palazzi, addobbi, negozi, se non sapessi dove sono non mi farebbero affatto pensare all'Iran. La vicinanza di uno dei siti archeologici più famosi e visitati al mondo ne è certamente la causa.
La strada che mi porta all'Hotel è chiusa per lavori e sono costretto a fare un lunghissimo giro nel classico traffico totalmente bloccato del pomeriggio. Ci sono solo sensi unici, cosa mai vista nelle altre città. Un vigile sta facendo una multa ad un'auto in doppia fila. Mi infilo in un vicolo laterale che sulla mappa mi sembra una scorciatoia. Errore madornale. All'interno delle arterie principali c'è una enorme labirintica casba con passaggi così stretti che devo chiudere gli specchietti. Devo anche tornare indietro con una retromarcia da infarto quando mi infilo in un vicolo che si restringe al punto che per passare l'Ammiraglia dovrebbe essere un motorino. Dopo una mezzora buona riesco finalmente ad arrivare nuovamente ad una delle arterie che circondano questi antichi quartieri, solo che sbuco, nell'incredulità dei presenti, sul marciapiede fortunatamente abbastanza largo e sono costretto a far scansare i pedoni ed evitare le mercanzie davanti ai negozi. Un cordolo in cemento non mi permette di passare sulla strada. Sono prigioniero. Fortunatamente il cordolo dopo qualche decina di metri si interrompe per un breve ma sufficiente tratto e, dopo aver fatto spostare l'auto lì parcheggiata, finalmente sono di nuovo libero.
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Mappa del viaggio
Nonostante ci siano altre cose che meriterebbero una visita, oggi scelgo di prendere l'Ammiraglia. Non voglio andarmene senza uno sguardo alle Torri del Silenzio in una delle città più importanti dello zoroastrismo. A poca distanza e purtroppo ormai raggiunte dalla città, su due alture gemelle, ne visito due. Sono semplicemente delle grandi basse costruzioni circolari in cui i corpi dei defunti venivano lasciati per essere scarnificati dagli avvoltoi e le ossa purificate dal sole e successivamente lasciate a polverizzarsi. Gli umori corporei non dovevano contaminare la terra. Oggi non sarebbe nemmeno più possibile visto che gli avvoltoi si sono praticamente estinti a causa di pesticidi arrivati a loro tramite cadaveri di animali ed apprenderlo come sempre mi rimanda immediatamente a Mr.Smith con la cui analisi dell'uomo sono profondamente d'accordo.
Alla biglietteria l'addetto mi chiede come fanno tutti la nazionalità e, dopo la solita limitata e limitante domanda sull'essere di Roma o di Milano, se ne viene fuori con un inaspettato I like Sicily. Quando gli dico che sono siciliano viene fuori a stringermi la mano e chiacchierare un po'. Conosce la Sicilia per averne visto su internet, gli piacerebbe venire in Italia, ma la situazione economica degli iraniani, dice, difficilmente permette di viaggiare. Mi tocca nel vivo di uno dei pensieri che sempre mi accompagna in viaggi come questo, la quasi totalità delle persone che incontro non può permettersi quello che faccio io ed aggiungerei anche che me lo posso permettere anche in parte perché i quattro quinti del mondo non può. È un fardello per me pesante da portare. Non riesco a rispondergli se non augurandogli che in futuro possa avere questa possibilità.
Con un sapore amaro in bocca mi arrampico sulla meno restaurata Torre del Silenzio per qualche scatto sull'altra cercando di escludere la città.
Il silenzio non c'è ormai da molti anni ed accanto c'è il cimitero che viene usato oggi chiudendo però i cadaveri in contenitori di cemento per impedire almeno sacrileghe inquinanti fuoriuscite.
Provo se altre due torri non segnalate a poca distanza, ma che ho sulla mappa, siano in posizione migliore. Una è all'interno di una zona militare e lo scopro solo perché fortunatamente traduco il cartello di divieto che avrei potuto facilmente superare. La vedo a distanza ed è quasi interamente crollata. L'altra ha accanto delle fabbriche.
È ancora presto. Yazd è una città molto tranquilla e rilassata ed il suo traffico è totalmente differente da quello di tutte le altre al momento attraversate, ordinato e scorrevole. Ieri ho visto anche un vigile che agevolava l'attraversamento di gruppi di studenti in uscita dalle scuole. Sarebbe un buon posto dove fermarmi a riposare qualche giorno, ma il visto non me lo permette.
Esco di città e verso sud arrivo a Sar Yazd. Il paese mi dice poco e mentre lo percorro per arrivare ad un segnalato castello che non si vede affatto, penso che Maps.me stavolta abbia toppato. Entro in una sterrata tra le case sempre meno convinto. Alla fine della via, finite le case, nei campi arati, la bassa e grande fortezza di sabbia è come un'apparizione. Non percepibile fino a 50 metri dall'ingresso sembra un luogo appena uscito dalla penna di uno scrittore con tanto di bandiera sventolante da un pennone.
Resto in questo luogo fatato fino alla calda luce del tramonto. All'interno i fortissimi chiaro scuri degli angusti passaggi, dovuti alla giornata sfolgorante di oggi, mi costringono a visioni fotografiche più che a foto descrittive. Era un deposito fortificato che all'occorrenza doveva proteggere genti, ma soprattutto merci e vitali granaglie.
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Mappa del viaggio
Come una affascinante non appariscente donna che piccoli difetti serenamente mostrati salvano dalla perfezione di un'algida bellezza, così Yazd mi appare.
Ad eccezione di qualche moderno complesso periferico, Yazd è una città bassa. Chiusa ad ovest da alte montagne, al limitare di due deserti Kavir e Lut, con un chiaro color ocra cerca di confondersi tra le sabbie appiattendosi a non creare intralcio al più piccolo refolo di vento che intercetta con una foresta di meravigliosi badgir. Queste torri del vento che dominano la città, frutto del genio sviluppatosi nei 5000 anni di una delle città più antiche della terra per difendersi da un clima estivo torrido, catturano ed incanalano verso il basso ogni minimo spostamento d'aria per rinfrescarla a contatto con vasche di acqua fresca.
In questa stagione non posso fortunatamente apprezzarne l'efficacia, ma solo ammirarne la bellezza.
Il portale della Moschea Jameh ed i due ravvicinati minareti hanno un'altezza inusuale ed una sequenza ininterrotta di scritte arricchisce la bellezza delle decorazioni.
Mentre mi aggiro tra i romantici vicoli della città vecchia riflettendo sul fatto che anche da qui passò Marco Polo, vedo un cantiere con decine di operai in una grande casa in ristrutturazione.
Chiedo di poter accedere alle terrazze e tra le sabbiose macerie e gli impasti di terra e paglia pronti all'uso mi affaccio su uno skyline dal fascino difficilmente eguagliabile. Volentieri faccio la foto richiestami da un gruppo di muratori che orgogliosamente mi mostra le bellezze della propria città.
Resto quassù almeno mezzora conscio che nessun altro luogo mi potrebbe consentire una visione migliore.
Mi sposto nei pressi del bazar, piuttosto piccolo e poco degno di nota se non per la sua autenticità, per l'unicità della facciata a tre piani della Moschea di Amir Chakhmaq e mi chiedo se anche questo Chak abbia un qualche legame linguistico con quelli ieri citati.
Proprio accanto, un antico serbatoio d'acqua sormontato da ben cinque badgir, ha l'ingresso su un vicoletto. Ha perso la preziosa funzione antica ed è la sede di un Zurkhaneh, una palestra tradizionale, dove assisto all'interessantissima sessione di allenamento. Il ritmo che cadenza i tempi degli sforzi e dei movimenti qui è dato da canti e percussioni dal vivo di un ragazzo appollaiato in un palchetto che ricorda il box di un dj.
L'antico sito a cupola in mattoncini di fango, la musica e le incitazioni del maestro creano un'atmosfera indimenticabile ed avvolgente. Gli attrezzi usati come pesi sono assolutamente unici nel loro genere e già da soli costituirebbero un'attrazione.
Mentre mi riavvio verso l'Hotel che, dopo l'alto costo di Khur (27euro) dovuto alle poche alternative della bassa stagione, mi riporta in linea con il budget (17euro), noto che all'ingresso di molti negozietti è inchiodato a terra un ferro di cavallo simbolo evidentemente senza confini. Un altro dei molti piccoli particolari che costantemente mi fanno percepire in Iran, a dispetto della geografia ma forse in accordo con la storia, un'aria mediterranea.
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Mappa del viaggio
Abbandono Khur dove sono stato benissimo, ma non abbandonerò i deserti. Ho dovuto compiere una scelta a causa dell'avvicinarsi della scadenza della permanenza in Iran e della necessità di non allontanarmi troppo, in questi ultimi giorni, dall'area centrale con Teheran velocemente raggiungibile. Una importante vicenda italica lasciata in sospeso spero si concluda senza complicazioni e prima dell'attraversamento della frontiera pakistana vero punto di non ritorno e primo serio percorso, quello in Belucistan, che realmente mi preoccupa.
Immerso in questi pensieri, con una strada d'acciaio che bianca brilla e mi acceca nel sole sfolgorante di questa mattina, taglio il deserto come burro. Non andrò alle interessantissime isole di Qeshm e Hormuz nel Golfo Persico.
Quando mi immetto in una trafficata arteria non sono più accompagnato dall'isolamento e così, solo, cerco conforto nella musica.
La segnalata Kharanaq sulla via per Yazd non ha veramente nulla di interessante. Faccio una deviazione per un altro dei siti zoroastriani più importanti. I templi del fuoco sono luoghi spesso scelti in base ad un qualche particolare aspetto naturale ed un tempo erano accessibili con difficoltà. Andarci era un vero pellegrinaggio. A pochi chilometri dall'arrivo, subito oltre un'ultima deviazione dopo una curva della strada, non riesco a trattenere un'esclamazione di stupore. Eppure ne ho visti tanti di luoghi simili in questi giorni. Una immensa distesa desertica parzialmente sabbiosa è delimitata da scure frastagliate cime. In mezzo alcuni isolati promontori si ergono come appena fuoriusciti dalla sabbia ed in attesa che la natura lentamente li riduca in polvere.
Ciak Ciak è simile ad un nido d'aquila, sospeso a metà di una parete verticale in una grande nicchia naturale da cui domina tutta la spianata. Non ci sono auto e mi sembra non ci sia nessuno né nessuno ho incontrato sulla strada. Vari scuri uccelli volteggiano e mi fanno preparare il teleobiettivo. Convinto di essere solo mi attardo e non inizio a scattare.
Nel ventoso silenzio appaiono sulla scala che porta al tempio un ragazzo ed un mulo. Con un grosso fazzoletto avvolto in testa mi saluta. È afgano e con il mulo porta su la terra che gli serve per una ristrutturazione.
Il tempio è circondato da varie costruzioni poco gradevoli alla vista che certamente brulicano di souvenir in alta stagione. Un lieve rumore di motore annuncia l'arrivo di un'altra auto che scorgo in lontananza. Mi affretto e mi carico anche del teleobiettivo anche se gli uccelli sono nel frattempo scomparsi e non ritorneranno. 230 alti gradini mi attendono. Ci sono un altro paio di operai al lavoro e persino il custode del tempio che fa pagare il biglietto e mi offre un immancabile ben accetto cay come ricompensa per la fatica della salita.
In un Tempio del fuoco normalmente non c'è nulla di eclatante da vedere. Acqua, terra, aria e fuoco devono però essere sempre presenti. Aria e terra non sono mai un problema visti i luoghi scelti, un fuoco è tenuto sempre acceso e l'acqua qui scorre incessantemente fuoriuscendo dalla roccia ed inondando la piccola grotta.
Ciak Ciak è un nome onomatopeico che deriva dal suono delle gocce che cadono. Ora, non sarò certo io il primo a sottolineare quanto sto per dirvi, ma non l'ho comunque letto da nessuna parte. L'importante dio della pioggia dei Maya si chiama proprio Chak (le differenze di scrittura nel riportare questi nomi in caratteri latini sono assolutamente insignificanti e prive di alcun valore scientifico dipendendo da fattori assolutamente casuali ed infatti gli stessi nomi si possono trovare scritti in vari modi) e l'invocazione della pioggia era proprio un continuo ripetere Chak Chak. Anche lì il nome deriva dal rumore delle gocce che cadono. Incredibile. Casuale? Non è nemmeno probabilmente possibile stabilire con certezza quale dei due nomi sia precedente perché tutto ciò che riguarda lo zoroastrismo è cronologicamente incerto e sparso in almeno tre millenni fino anche ad un paio di secoli fa.
-------------------------------------------- Giorno 30 – 08 Dic 2019
Mappa del viaggio
Un mese. Lo scorrere del tempo mi è dato prevalentemente dallo svuotarsi dei blister delle pillole della pressione. La percezione è varia. Mi sembra pochissimo, ma già molto del vissuto è svanito o si confonde di date e luoghi. Rivivrà solo grazie allo scritto. Nella grande rotatoria ad uno degli ingressi di Khur, due grandi costruzioni coniche un tempo proteggevano l'acqua piovana che veniva qui incanalata, adesso fanno comprendere ai turisti quale sia il vero tesoro di questi luoghi. Come quasi in tutti i villaggi e le città anche qui ci sono strade in cui campeggiano i volti di militari caduti. Non ho chiesto, ma è facile intuire che sono il prezzo altissimo pagato dall'Iran nella lunga guerra degli anni ottanta con l'Iraq.
Il cielo oggi è grigio e fittamente annuvolato.
Mi dirigo stavolta a sud verso Bayazeh. Al centro di un rettilineo di vari chilometri in cui potrei con ampio anticipo vedere chi volesse attentare al mio isolamento, un centinaio di cammelli pascola sparso su un'ampia superficie. Alcuni sono vicini alla strada, altri lontani da distinguersi a stento.
In seguito saprò che tutti hanno comunque un padrone da cui tornano la sera. Sebbene liberi di scappare, restano. In un'oasi abbandonata ed ormai cadente mi aggiro con difficoltà vanamente cercando prospettive interessanti. Solo qualche palma sembra non risentire della evidente scomparsa dell'acqua, probabile vero motivo dell'abbandono.
A Bayazeh uno storico grande castello di sabbia, il Narin ghale, le cui mura alcuni operai arrampicati su traballanti impalcature sono impegnati a restaurare, è accessibile a pagamento.
L'interno è un meraviglioso dedalo di passaggi, scale e spiazzi non ancora completamente riportati ai fasti di un tempo e questa incompiutezza aggiunge altro fascino a questo luogo in cui le basse volte mi costringono ad un costante inchino alla bellezza.
Il resto di Bayazeh è un susseguirsi di cadenti fiabeschi tristi sabbiosi scorci.
Nei pressi di Khur c'è un grande lago prosciugato che a tratti ricorda un salar. Nel bianco sale che sembra neve passano lentamente altri cammelli e lo spettacolo, nel cielo scuro della fine di un altro oggi, è certamente inusuale.
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Mappa del viaggio
Credo di essere l'unico ospite dell'Hotel. A colazione per la prima volta mi portano la Tahin, la crema di sesamo vista preparare nei bazar, che zuccherata diventa veramente squisita. Ne mangio una bella quantità, speriamo non mi crei problemi. Mi dirigo a nord e poco dopo imbocco la strada che porta alle oasi di Mesr e Farahzad. Il traffico scompare. In questa stagione priva di turisti passa un'auto ogni mezzora. Mi fermo spesso ed a lungo ad assaporare sensazioni a cui mi sono riabituato in questo inizio di viaggio, ma che mai riescono a portarmi all'assuefazione. La musica, che mi serve anche per estraniarmi dai rumori del traffico, qui tace. Ultime note stonate che ancora mi legano al resto mondo sono il lungo nastro del buon asfalto che vedo davanti a me e la non buona, ma presente, connessione telefonica.
Una sterrata sulla destra è un richiamo irresistibile. Maps.me mi indica ad una cinquantina di chilometri un'oasi, ma la meta per me conta poco o nulla. Vado. Il deserto adesso mi avvolge totalmente. Dopo una ventina di chilometri di buon sterrato interrotto ogni tanto da segnalati pericolosi sprofondamenti del terreno provocati da un'acqua ora assente, mi fermo a lungo accanto a delle basse antiche costruzioni. Nel piatto Dasht-e Kavir vedevo qualcosa davanti a me, senza all'inizio capire cosa fosse, da almeno cinque chilometri. Ci sono sempre almeno due costruzioni, una è la casa che ha un unico piccolo ambiente, ma l'altra cela l'indispensabile riserva d'acqua proveniente da un pozzo o da una sorgente. Alcuni grossi libri su uno scaffale, delle stuoie per terra e resti di un recente fuoco nel minuscolo caminetto sono segnali di una frequentazione saltuaria. Il telefono vanamente cerca un contatto, per chilometri tutto intorno nessuno potrebbe celarsi alla mia vista, un soffice tiepido vento lentamente corre ed innervosito sibila scontrandosi con l'inaspettata costruzione, unico suono percettibile che con le sue variazioni mi suggerisce lo scorrere del tempo.
Devo continuare.
La strada adesso è sassosa e dura e l'Ammiraglia viene prepotentemente scossa. Ad una quindicina di chilometri dalla sconosciuta meta devo entrare ed uscire continuamente dal letto asciutto di un fiume stagionale e più volte devo scendere a scegliere il passaggio migliore o togliere qualcuno dei pietroni che adesso sono diventati strada. Mi lascio lentamente alle spalle un chilometro dopo l'altro ed i continui pensieri di abbandono, e finalmente ne esco. Il premio finale è la minuscola incantevole oasi di Arousan.
C'è solo un uomo e mi spiega di non vivere lì. Mi chiarisce, stupito, che la strada che ho fatto io non la fa nessuno perché è troppo dissestata, l'Ammiraglia ha dimostrato una volta di più di essere inarrestabile. Una grande vasca raccoglie ed incanala le acque della indispensabile sorgente. Palme ovunque.
Molte antiche costruzioni di fango sono in rovina.
Qualche abitazione è in buone condizioni, evidentemente utilizzata regolarmente.
A gesti mi faccio indicare la direzione migliore da prendere per tornare indietro.
Altri dieci, forse quindici chilometri, ed arrivo ad un'altra oasi, Kuzeh Gaz. Non regge il confronto. Ci sono solo tre muratori che stanno ristrutturando quello che diventerà un alloggio per turisti. Li trovo in pausa pranzo e mi offrono l'immancabile cay che volentieri accetto ed anche da mangiare che ringraziando rifiuto. Loro dormono lì e di giorno lavorano. Non c'è nessun altro nell'oasi. Chiedo anche a loro della strada per tornare nel mondo. Non è semplice perché partono varie sterrate. Alla fine capisco che devo tornare indietro nuovamente verso Arousan e prendere una deviazione. Maps.me mi indicava già esattamente il percorso, ero io che avevo frainteso le spiegazioni e pensavo ci fosse una sterrata completamente diversa che la mappa non mi segnalava. La strada è la stessa dell'andata, solo che c'è una deviazione che salta completamente il durissimo tratto che intercetta il fiume, deviazione che non avevo preso venendo perché più lunga.
Google Maps non contiene queste sterrate e quindi non riesco ad inserirle sulla mappa online del viaggio.
Riguadagnato il morbido asfalto riprendo l'intento originario ed arrivo a Mesr e Farahsad. Piene di Guest House al momento vuote sono visivamente graziose, ma le potrei apprezzare solo non avendo visto Arousan.
-------------------------------------------- Giorno 28 – 06 Dic 2019
Mappa del viaggio
Ai lati della strada ad est di Esfahan pian piano le pietre diminuiscono di dimensione e la sabbia diventa sempre più percettibile. Anarak è un coreografico villaggio che si incontra in corrispondenza di alcune rocciose alture.
Dopo una lunga salita e l'ennesima piccola catena di vette scalata e superata, si apre dinanzi a me l'immenso Dasht-e Kavir, il Deserto del Kavir.
Il cristallino si rilassa, i battiti rallentano e la musica si alza. La mente non più impegnata nello svelare il nuovo, celato da ostacoli qui inesistenti, vaga libera e senza scopo alcuno mi trascina nel passato, nel futuro e nell'utopia. È un deserto piatto che, sia visivamente sia tramite l'altimetro, percepisco come una immensa conca un tempo certamente piena d'acqua. Mai però, nonostante le dimensioni, si ha un orizzonte vuoto a 360 gradi. Sempre, una qualche lontana catena montuosa crea un confine che mi impedisce di vedermi al centro dell'infinito.
La strada, insieme alla regolare sequenza di pali elettrici che la scortano, si annulla nella prospettiva e nella foschia della distanza. Enormi e veloci Tir si muovono tremolanti, piccoli e lenti dove il mio occhio non vede che deserto.
Un paio di antiche abitazioni abbandonate sono scavate nella sabbia e coperte da bassi tetti a volta, efficaci difese dalle temperature che qui d'estate possono arrivare ai 50 gradi.
Vista l'ora non tarda, a pochi chilometri da Khur dove alloggerò, decido di iniziare già oggi l'esplorazione del deserto e lascio la strada principale. Alla bellezza del paesaggio si aggiungono adesso un piccolo nastro d'asfalto che non distrae e il quasi inesistente incrocio di altri mezzi. Varie sorgenti hanno permesso la vita in questo deserto. Mentre il sole sta per nascondersi, velocemente visito le oasi di Aroosan
e di Garmeth.
Arrivo all'hotel di Khur e subito vado nel piccolo centro di questa cittadina di 6000 abitanti, l'insediamento più grande del Dasht-e Kavir. Devo trovare da mangiare. In hotel c'è il ristorante ma voglio vedere che aria tira nel deserto. In un negozio scopro prezzi sensibilmente più bassi che altrove. Chiedo se c'è un ristorante aperto o un posto dove poter mangiare. Un cliente, dopo che il proprietario ha cercato inutilmente di spiegarmi in farsi dove andare, mi dice di seguirlo con l'auto e mi ci porta. È un ragazzo di non più di trent'anni di una gentilezza e cortesia disarmanti. Oggi è venerdì e molte attività sono chiuse come il ristorante in cui mi ha portato. Mi dice di seguirlo ancora. Altro buco nell'acqua. Si mette al telefono e continuiamo. Terza tappa, sempre chiuso. Gli dico che ha già fatto troppo e che posso comunque mangiare in Hotel e mi fa capire che il proprietario di quest'ultimo locale davanti al quale siamo fermi sta arrivando. Gli ha spiegato al telefono la questione. Incredibile. Passa qualche minuto ed intanto con molta difficoltà e con il traduttore facciamo due… diciamo una chiacchiera. Di inglese non sa nemmeno una parola. Gli dico che posso aspettare da solo per liberarlo… non se ne parla. Arriva in pantofole il proprietario che mi dice di potermi preparare solo kebab (che qui ricordo sono degli spiedini di carne cotti alla brace) e pane arabo, niente riso. Va più che bene oltretutto costeranno una sciocchezza, un euro l'uno. Mentre prepara la brace, vedendo che è aperto, cominciano ad arrivare altri clienti. Qui si conoscono tutti e ci facciamo grandi risate perché a causa mia adesso deve sfamare anche gli altri. Non li manda via anche se si vede che gli va poco di lavorare in quella che per lui è domenica. A me regala anche una bottiglietta di latte alla menta che assaggio poi in hotel e richiudo non pensando di riaprirla nuovamente. Sono a 400 chilometri da Isfahan, ma sembrano 400 anni luce.
-------------------------------------------- Giorno 27 – 05 Dic 2019
Mappa del viaggio
A colazione scambio opinioni ed informazioni con un tedesco che è partito ad Ottobre e sarà in viaggio per due anni… in bicicletta. Prende però anche bus ed aerei sempre portandosi dietro la bici. Si imbarcherà a Bandar Abbas per Dubai e da lì volerà in India. Ha provato ad estendere il suo visto iraniano di 30 giorni come il mio e, a conferma delle informazioni che avevo, non c'è riuscito. Questi incontri mi fanno sentire meno solo e sono tutt'altro che rari, purtroppo non mi sembra di aver mai incontrato altri italiani in viaggi di questo tipo, in fondo siamo dei provinciali.
Mi ci vuole una boccata d'aria. Duecento chilometri ad ovest di Isfahan mi portano all'interno dei Monti Zagros. Nuovamente oltre i 2000 metri con punte di 2500. L'innevamento qui è massiccio e sono presenti piccoli ghiacciai inusuali a queste latitudini. Riassaporo il piacere della guida rilassante e rilassata, mi basta poco per andare in astinenza. Splendidi panorami e soprattutto, durante le soste od anche solo ai semafori, gli incontri tornano ad essere non più macchiati da interessi. Non è però una zona isolata e villaggi e cittadine sono frequenti, c'è sempre movimento sulle strade. Alcuni uomini sono abbigliati con larghissimi pantaloni completamente diversi però dai modelli turchi, ed un cappello rigido come una bombetta senza falda. In questa regione convivono delle etnie nomadi. L'Iraq non è molto distante ed in tempi in cui i confini politici non erano un problema certamente il territorio ricco di pascoli in cui sono ha attirato varie genti. A Chelgerd un anziano, che mi dice di essere di etnia Bakhtiari, si presta serenamente all'obiettivo della macchina fotografica.
Le donne sono quasi tutte in chador e questo annulla qualunque differenziazione di etnia e stato sociale, un po' come una divisa da college.
Il paesino in cui vorrei arrivare è ormai isolato dalla neve, me lo aspettavo e l'avevo messo in conto. Non importa. Arrivo proprio nel punto in cui la strada diventa sterrata e la neve abbastanza alta ne blocca l'imbocco. Forse con un fuoristrada, ma non ne sarei così sicuro. Non ci sono segni di pneumatici a farmi capire che qualcuno passa. Un gruppo di ragazzi sta per tornare a casa dopo essersi divertito sulla neve di questa valletta con una grossa camera d'aria, ricordo per me di altri tempi, che trasportano sull'auto. Mi chiedono se sono su Instagram, che è proprio una fissa internazionale dei giovani, e vogliono farsi una foto con me.
Un rilassante lungo ritorno mentre le ombre si allungano mi riporta nel traffico.
Sulla strada incontro pure Messala che con i cerchioni minaccia i raggi delle ruote di qualunque Ben Hur gli si accosti.
-------------------------------------------- Giorno 26 – 04 Dic 2019
Mappa del viaggio
È tardi e decido di prendere l'Ammiraglia per il giro di alcuni interessanti ponti sul grande fiume Zayandeh che attraversa Isfahan.
Il ponte Shahrestan è il più antico essendo stato edificato tra il terzo ed il sesto secolo dopo cristo.
Per arrivarci passo attraverso l'International Exhibition Centre in cui c'è una esposizione di migliaia di tappeti persiani, probabilmente provenienti da tutto il paese, che vengono proposti ed acquistati dagli operatori del settore. Anche se è evidente che non è un commercio al dettaglio, se fossi interessato e ne capissi un po' certamente potrei fare qualche ottimo affare. Il ponte di Khaju è considerato il più bello e sulle rive ai suoi lati bei parchi curatissimi ospitano gruppi distesi sull'erba a consumare il pranzo. Ci ritornerò all'imbrunire per una foto.
Breve giro nel quartiere Jolfa, elegante e raffinato con locali molto in o fighetti scegliete voi che potrebbero trovarsi ovunque nel mondo. Certamente un luogo piacevole in cui fare due passi che ti fa quasi dimenticare di essere in Iran. Sono qui però per la Chiesa di Vank o Chiesa di San Giuseppe di Arimatea, cattolica armena. La struttura è abbastanza simile alle tre viste appena entrato in Iran. Qui ovviamente non c'è il valore aggiunto del luogo selvaggio e solitario, ma un interno riccamente affrescato ed interessanti particolari esterni ne fanno un luogo sicuramente da visitare.
Isfahan è una città gradevole e molto più ordinata delle precedenti viste. I negozi sono a volte organizzati come all'interno di un bazar cioè raggruppati per tipologia. Ad esempio vicino all'Hotel ce ne sono decine e decine che vendono elettrodomestici, uno dietro l'altro. Sono presenti prodotti di tutte le marche esattamente come da noi e sempre alla faccia dell'embargo che mi sa essere l'embargo per i grulli. Serve solo a contenere la vendita del petrolio iraniano sul mercato internazionale. Il resto sono solo chiacchiere.
Approfitto del poco di oggi per informare di qualcosa che ho appurato già da vari giorni, ma aspettavo il momento per scriverne. Internet non è adesso bloccato, è stato ripristinato anche sulle sim e quindi sui cellulari. Per un paio di giorni ho creduto fosse ancora bloccato perché è il mio cellulare che non è in qualche modo compatibile e posso solo utilizzare WhatsApp. Mettendo la sim su quello australiano funziona tutto bene, ma non posso abilitare l'Hotspot. Comunque senza la VPN entrare su siti esterni all'Iran risulta lento probabilmente perché occorre passare dei filtri. Con la VPN invece si viaggia più veloci e questo in una situazione normale sarebbe ben strano. Quando però si tratta di upload di filmati la velocità si abbassa comunque a livelli da rendere di fatto impossibile l'azione.
-------------------------------------------- Giorno 25 – 03 Dic 2019
Mappa del viaggio
Poco più di 200 chilometri mi portano ad Isfahan o Esfahan. Non esiste viaggio in Iran che non comprenda questa grande città di quasi 2 milioni di abitanti. Per strada il solito caos a cui ormai sono abituato. Arrivo abbastanza presto e posso subito iniziare l'esplorazione. Prima tappa una delle piazze più grandi del mondo in cui si affacciano due moschee tra le più fotografate dell'Iran, presenti su qualunque dépliant turistico. Scrivere di oggi non sarà semplice perché certamente in contrasto con quanto potete leggere di Isfahan o vi verrà raccontato da chi c'è stato. Sia l'Hotel, altra casa tradizionale con giardino interno, che l'antico quartiere labirintico in cui si trova, sebbene ricordino Kashan non sono minimamente all'altezza. In strada noto immediatamente che le reazioni e le interazioni provocate dal mio passaggio sono completamente cambiate. Innanzitutto non c'è alcuno stupore, ma soprattutto immediatamente pensano a me come fonte di reddito. Quasi banale nella sua ovvietà.
Tutti gli ingressi alla piazza sono bloccati da stretti paletti che fortunatamente impediscono l'ingresso alle auto. In più punti c'è polizia turistica. Turisti. Onnipresenti giapponesi, ma anche europei ed anche parecchi iraniani. La piazza è in effetti gigantesca tanto che i portali e le cupole delle due moschee, che nelle intenzioni doveva esaltare e presentare agli stranieri, visivamente si perdono ed al mio occhio risultano sminuite.
La prima che visito è la Moschea dello Sceicco Lotfollah. Prezzo d'ingresso 5 euro al posto dei classici 3 finora pagati, la legge della domanda e dell'offerta non ha confini. Quando rivengo fuori ripasso dalla biglietteria e gli dico chiaramente che per quello che c'è da vedere il biglietto è caro. Parlando dell'interno, la bellezza della cupola con il blu intenso delle famose maioliche di Isfahan, il corridoio identicamente colorato che dalla facciata sulla piazza porta al vero ingresso della moschea che è rivolta verso La Mecca sono mirabili, ma non mi fanno scattare nulla, nemmeno la macchina fotografica. Vengo fuori in due minuti.
Vado alla più grande e famosa Moschea dello Shah o Scià. Nel breve tragitto lungo la piazza continuo ad essere cortesemente fermato da varie persone che, inizialmente si presentano come le decine incontrate da quando sono in Iran, ma alla fine finiscono sempre con l'invitarmi nel loro negozio o in quello dell'amico per cui lavorano. Inizio a dire che non capisco e parlo nemmeno l'inglese oltre che il farsi. Questa famosissima moschea è quantomeno molto grande, dotata di minareti e di varie ampie sale ai lati sormontate da volte pregevoli ma, parlando sempre degli interni rigorosamente blu, qui capisco perché la precedente non mi ha colpito e perché fondamentalmente anche in questa non trovo nulla di entusiasmante. Le belle maioliche blu che ricoprono assolutamente tutto e che ne costituiscono l'attrattiva principale, mi danno una sensazione di piatto, identico, ripetitivo, ed annullano qualunque tridimensionalità, persino delle interessanti volte degli ambienti limitrofi allo spiazzo centrale. Le decorazioni delle ceramiche sono anch'esse abbastanza ripetitive e l'occhio vi si perde non sapendo alla fine dove concentrare lo sguardo. Lo Scià Abbas I che volle queste moschee e la piazza, per quello che vedo, doveva essere una persona piuttosto banale. La magnificenza che voleva manifestare è espressa solo ed esclusivamente dalle dimensioni, come se bastasse ingigantire a dismisura qualcosa, qualunque cosa, per renderla unica e superiore. Da questo discorso toglierei solo i due portali esterni che, comunque blu, si fanno ammirare anche per l'elaborata semiluna della volta aggraziata da piccole nicchie che comunque non sono assolutamente una caratteristica presente solo in queste moschee, ma anzi costituiscono la normalità.
Questa gigantesca monotonia risulta anche dalla ripetitività architettonica di tutta la piazza con i suoi chiamiamoli portici al primo livello intasati di negozi e bancarelle e le arcate del secondo livello che formano una sequenza dimensionalmente impressionante, ma in cui anche qui l'occhio si perde non notando alla fine nulla.
Unica struttura per me veramente interessante è il poco celebrato Palazzo di Ali Qapu con la sua immensa terrazza e le originali sottili altissime colonne che ne sostengono il tetto e ne fanno un'oasi visiva in questo deserto di monotonia.
Mi infilo nel Bazar dall'ingresso sulla piazza. Non vorrei dilungarmi e cerco di essere sintetico. Molto grande, ma non come quello di Tabriz che resta per me un riferimento ineguagliato sotto tutti i punti di vista, e con solo qualche corridoio elegantemente curato. Molti caravanserragli, alcuni godibili. Anche qui però, e forse con maggiore forza rispetto a quello di Istanbul, si respira un'aria avvelenata dal turistico. La sezione dedicata ai gioielli è probabilmente il luogo più brutto, meno interessante e visivamente più freddo dell'intero bazar, sormontato da un secondo livello che si affaccia sui negozi sottostanti protetto da una orripilante ringhiera cromata su cui si aprono anonime porte di freddi uffici. Solo in un lungo corridoio all'estremità opposta rispetto alla piazza, accanto all'altra moschea famosa di Isfahan, quella di Jameh, ritrovo un clima vero di Bazar.
Tutto quello che sto scrivendo e scriverò mi rendo però conto che probabilmente non è percepibile se non in parte da chi arriva qui in volo con ancora il carico emozionale e visivo dell'occidente che facilita certamente l'apprezzamento e la meraviglia.
Entro nel cortile della Moschea di Jameh, è già buio ed echeggia il richiamo dei muezzin. Mi chiedo se vedrò in questo viaggio da qualche parte un vero muezzin affacciato dalla cima di un minareto, dato che ormai ovunque ci sono altoparlanti. Quindi cambierei lo scritto precedente in un, … è già buio e dagli altoparlanti arriva il richiamo forse registrato dei muezzin…, che risponde meglio alla realtà anche se è meno romantico. Un magnifico cortile, l'illuminazione notturna e soprattutto l'andirivieni dei fedeli mi riappacificano con Isfahan.
Entro anche in una sala spoglia e piccola gremita di fedeli che pregano e resto finché non iniziano a sfollare.
Isfahan è il primo luogo in Iran in cui vedo mendicanti sdraiati per terra, il primo in cui vengo fermato al solo scopo di chiedere denaro, il primo in cui un'auto si ferma mentre sto per attraversare sulle strisce, il primo in cui un paio di motociclisti hanno il casco (non vi venisse in mente di aprire fabbriche di caschi in Iran), il primo in cui assisto ad un litigio nel traffico causato dal traffico, il primo in cui noto sguardi che non mi osservano, ma mi indagano, il primo in cui vedo, e questo è veramente comico qui, tre adolescenti pseudo rapper con pantaloni larghissimi cadenti e cappellino portato con la visiera di lato, il primo in cui mi sento veramente un infedele anche se con il termine non intendo nulla di religioso, il primo in cui vedo la decadenza dell'Iran, il primo in cui vedo la sconfitta di questo mondo non certo conseguenza di embarghi o di possibili future ignobili bombe profumate di petrolio camuffato da nucleare.
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Quello che segue devo necessariamente inserirlo per aver parlato di decadenza, ma è assolutamente possibile evitare la lettura e continuare a seguire il viaggio. Uno scritto non semplice, ma tratta di una componente fondamentale del mio viaggio che ogni tanto potrà risaltare fuori. Ho cercato di condensare concetti difficili da condensare e cercato di spiegare con precisione quelli che potrebbero essere fraintesi. Scrivere praticamente all'impronta giorno per giorno del viaggio ha le sue difficoltà, ma scrivere di concetti come i seguenti in poco tempo è, almeno per me, veramente complesso ed ho paura di generare equivoci per carenza di chiarezza e scarsità di spiegazioni. Beh, buona lettura.
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In questo viaggio ho eletto a compagno ideale Renè Guènon di cui dirò solo che definirlo filosofo od orientalista lo farebbe di certo rigirare nella tomba. Chi volesse approfondire, oggigiorno ha i mezzi per farlo. Guènon è per me una scoperta recente, che mi ha consentito di inquadrare meglio pensieri già miei. Già agli inizi del novecento vedeva, insieme a molti altri, la decadenza del nostro mondo occidentale e soprattutto del pensiero occidentale con l'allontanamento sempre più radicale dall'originario ripudiato pensiero orientale. Se lo vedeva lui in quell'epoca non vedo perché non possa dichiararlo io oggi, l'occidente in cui vivo è un mondo in decadenza. Guènon, nei possibili sviluppi del suo futuro, il nostro presente, aveva però previsto l'impossibilità del prosperare del pensiero decadente occidentale seguita da un riavvicinamento naturale all'oriente. Quello che invece è successo, e penso di saperne la ragione, ma questo aprirebbe altri discorsi che per ora taccio, è che la forza pressoché esclusivamente economica dell'occidente potesse arrivare a rendere concreto un inconsapevole edipico patricidio sostituendosi al pensiero orientale nella familiarità quotidiana dello stesso oriente.
È fondamentale però spiegare cosa intendo per decadenza perché si potrebbe facilmente pensare che mi riferisca ad una morale. No, anzi è proprio la morale ad essere decadenza.
La contrapposizione di fondo è tra morale e metafisica.
Quando assistiamo alla caccia di una leonessa ed alla conseguente fredda uccisione di una gazzella e siamo rattristati se non orripilati dalla crudeltà della scena, stiamo seguendo una morale. Se percepiamo invece tale evento come solo una dell'infinità di manifestazioni di un sistema che tiene in perfetto equilibrio l'intero universo, allora stiamo in un pensiero metafisico in cui leonessa e gazzella hanno la stessa identica importanza, nessuna, e quindi non c'è alcuna superiorità di alcun genere tra i due soggetti, anzi non ha nemmeno senso il concetto di superiorità. Se in questa situazione interveniamo ad esempio per salvare la gazzella, stiamo percorrendo una strada dettata da una delle infinite morali possibili che prima o poi condurrà alla fine dell'equilibrio e del tutto. C'è un unico pensiero metafisico che comprende tutto, mentre le morali possibili sono infinite e una qualunque di esse porta alla decadenza ed alla distruzione del tutto. Una semplice frase che a volte ho sentito o letto potrebbe riassumere: “La natura (nel senso dell'universale, del tutto) non ha morale.”
Vi pregherei di non confondere quindi questo concetto di decadenza con le invettive del primo Imam o qualsivoglia religioso o guru o matto che blatera di immoralità dell'occidente o del mondo perché queste invettive e denunce sono solo tentativi di sostituire una morale con un'altra, tentativi che sono sempre stati la causa di qualunque conflitto in qualunque era. Parlare di moralità ed immoralità è esattamente la stessa cosa. Per decadenza è quindi da intendersi l'allontanamento da una visione globale metafisica dell'universo per chiudersi sempre più nella specificità e nell'interesse privato, un privato che può via via restringersi fino a contenere solo noi stessi.
Questo scritto difficile che mi ha annullato la mattinata di viaggio e la sera, è probabilmente ancor più difficile da leggere. Sarebbe molto più semplice per un indù, se di un secolo fa ancora meglio, perché la tradizione indù da cui più o meno ha origine tutto, e qui non sono solo io a parlare, è l'unica realmente metafisica ed il concetto di illuminazione di cui tanto si parla in occidente ha senso solo in un contesto metafisico o se vogliamo può intendersi come il raggiungimento di un vero pensiero metafisico. Se poi l'uomo sia in grado di arrivarci, e questo lo aggiungo io, è un altro paio di maniche ed anche qui devo per forza fermarmi e non sviluppare.
Era necessario che ne parlassi adesso, non poteva essere più breve, non sarà una costante, ma è una delle principali sfaccettature di questo viaggio e non posso ignorarlo. C'è ancora qualcosa in oriente, se mai c'è stato, che possa rivitalizzare l'occidente? Si può ancora guardare alle nostre origini per recuperare quanto disperso e volutamente dimenticato? Io penso di no, ma due pastori nel nulla qualcosa mi hanno lasciato. Comunque non sono qui a cercare, sono qui a vedere cosa vorrà mettersi sulla mia strada mentre mi approprio del mio mondo.
Come dico sempre in questi casi non mi interessa convincere nessuno, mi interessa solo far sapere che qualcuno può pensarla così, sbagliato o corretto che sia, mi interessa stimolare una eventuale riflessione od approfondimento anche se dovesse condurre ad altre diverse od opposte conclusioni.
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-------------------------------------------- Giorno 24 – 02 Dic 2019
Mappa del viaggio
Un bianco sole padano cerca inutilmente di bucare le compatte nuvole. A destra alte montagne delimitano la piatta distesa del Deserto del Kavir che si perde all'orizzonte alla mia sinistra. Al momento non mi entusiasma, è una distesa di infiniti bassi cumuli pietrosi su cui attecchisce solo una spinosa, spoglia e dura vegetazione che il vento a volte riesce ad estirpare e far correre sull'asfalto giocandoci come un bambino che si diverte a far rotolare un vecchio copertone con piccole frequenti incerte spinte.
Visivamente sembra una discarica di materiali da costruzione ormai non più riciclabili che la grigia mattina non aiuta certo ad apprezzare.
Una sessantina di chilometri a sud di Zanjan, a Natanz, una moschea ed un mausoleo esternamente pregevoli sono però addossati ad altre costruzioni che impediscono di coglierne la maestosità. La moschea è chiusa, ma lo si scopre solo dopo aver già pagato i tre euro di un inutile biglietto d'ingresso che permette di vedere solo uno spoglio ed anonimo cortile interno. La giornata continua ad essere grigia.
Altra meta ad una trentina di chilometri. Una strada si incunea tra franose bucherellate rocce di arenaria che avrebbero bisogno di qualche altro milione di anni per consolidarsi e sale fino a 2250 metri. Un enorme monumento ai caduti ha come tetto un vero caccia militare e si trova all'ingresso di un cimitero di guerra. Lo fotograferanno certamente tutti coloro che passano di qua, non io. Per varie centinaia di metri dopo il monumento, ai lati della strada sono posizionate grandi foto dei militari caduti che sembrano un drappello d'onore schierato per l'arrivo dei visitatori. Abbastanza macabro.
C'è un piccolo casello in cui devo pagare 3 euro, che sembrano una cifra standard per qualunque attrattiva, per poter percorrere gli ultimi chilometri fino a Abyaneh. Ci sono due strade possibili e quella che prendo inizialmente mi conduce alla parte alta del paese. Mi rendo conto delle caratteristiche del luogo in cui sono alla vista delle prime argillose rosse magnifiche case addossate le une alle altre. Immediatamente capisco che per una visione panoramica devo spostarmi in basso. Senza nemmeno parcheggiare torno indietro per imboccare l'altra strada d'ingresso. Mi devo però allontanare a piedi dal paese di almeno mezzo chilometro ed arrampicarmi su delle collinette per poter finalmente avere la visuale d'insieme che cercavo.
Le antichissime case, alcune ristrutturate altre abbandonate a volte diroccate, sono costruite con mattoni ricavati dalla rossa terra del luogo e l'intonaco, anche qui come a Kashan, è rinforzato dalla paglia. Gli abitanti, pochissimi, parlano ancora il medio persiano lingua scomparsa da secoli.
Alcune anziane, anche in questa stagione priva di turisti, sono abbigliate con colori sgargianti e stancamente vendono piccoli souvenir fatti in casa con pezzetti di stoffa e semi essiccati legati da sottili cordicelle.
Mi piacerebbe comprare un ricordo, ma in nessuno dei due piccoli negozietti per turisti stoicamente aperti hanno qualcosa con su scritto il nome del paese. Incredibile. Vedo delle spille con delle scritte assurde per questo luogo: Adidas, Nike, ecc. Ce n'è persino una con la scritta Juventus, non ci posso credere. Mi alienerò certo una parte di lettori, ma solo ad uno juventino potrebbe venire in mente di comprare una spilla con il logo della propria squadra qui, in Iran, a 2200 metri, ad Abyaneh. La scoperta mi mette di buon umore. Comunque per par condicio dico anche che non ho rovistato volutamente nel mucchio alla ricerca dei colori di altre squadre italiane per la fondata paura di trovarcene anche una nerazzurra che mi avrebbe fatto sparire il sorriso dalle labbra.
Mi aggiro tra i vicoli in totale solitudine. Gli scorci fotogenici sono decine, ma mi limito solo a qualche scatto.
Il silenzio è interrotto solo da qualche miagolio o da soffocati lontani rumori dei lavori di qualche ristrutturazione. C'è abbastanza freddo. Resto a girovagare per più di un'ora. Si è fatto tardi. Devo rientrare.
L'ultima foto l'ho scattata per poter parlare degli onnipresenti Zamyad rigorosamente blu. Se mai verrete in Iran, qualunque tipo di viaggio farete, non potrete non notare questi robusti ed indistruttibili pickup. Sono migliaia, ovunque, adibiti a carro attrezzi, trasporto frigo, autocisterna e mille altre funzioni oltre che a quella semplice di trasporto furgonato o meno. Sembra siano ancora prodotti e si basano su un vecchissimo modello di Nissan. Il prezzo dovrebbe essere sotto i 10000 euro e, spartani e certamente senza elettronica sarebbero un ottimo mezzo da attrezzare per andarsene in giro per il mondo. L'idea mi alletta, ma non ditelo all'Ammiraglia.
-------------------------------------------- Giorno 23 – 01 Dic 2019
Mappa del viaggio
Faccio colazione nella splendida cornice del giardino interno fotografato ieri sera. I vicoli di questa casba color sabbia sono delimitati da alte mura anonime che dovevano impedire ai passanti anche solo di immaginare le meraviglie celate all'interno. L'intonaco brilla, colpito dalla luce del sole, di mille pagliuzze che, mischiate nell'impasto fangoso, ne aumentano la compattezza. Anche sui muri visibilmente recentemente restaurati è stato adoperato lo stesso antico composto.
Mi avvio verso alcune case tradizionali così ricche ed ampie da essere diventate uno dei motivi per cui venire a Kashan. Tre sono visitabili e, a parte una completamente in ristrutturazione quindi poco godibile, sono un incanto di stucchi, vetrate, decorazioni, giardini e fontane.
Anche un vecchio Hammam è imperdibile e, sul suo tetto, artistiche cupolette che convogliano in basso la luce solare rimandano a Gaudì.
Devo poi attendere la comoda riapertura del Bazar alle cinque del pomeriggio. Concedendo all'estetica solo un ampio e finemente decorato caravanserraglio e poco altro, questo mercato è comunque godibile ed offre insoliti sguardi sul quotidiano vivere di Kashan.
Quasi tutte le donne che girano per il bazar hanno il chador, strano perché in giro sono molte sì, ma non con una percentuale così alta. Ipotizzo che, essendo il Bazar molto popolare, sia frequentato solo dai ceti sociali più bassi in cui, e questa è una regola universale, la bigotteria ha facile presa.
-------------------------------------------- Giorno 22 – 30 Nov 2019
Mappa del viaggio
L'autostrada verso Teheran è parecchio trafficata. Interrompo il lungo trasferimento a sud di oggi entrando a Qazvin. Nel traffico caotico a cui sono ormai assuefatto mi fermo ad un autoricambi. L'Ammiraglia si è già bevuti 5 litri di olio, cosa assolutamente normale. Ne ho altri 5, ma ne voglio comunque avere due confezioni con me. Il titolare due mesi fa era in Italia a Nettuno ed andava a Roma da lì con il treno. All'incirca in quel periodo sono stato ad Anzio, a due passi. Incredibile che mi sia fermato proprio qui. Ognuno di noi traccia con i suoi spostamenti su questo pianeta una linea immaginaria che ha un inizio ed una fine. Alcune, per vari motivi, restano confinate, chiuse e si avvitano continuamente su se stesse, altre vogliono scrivere libere su tutta la superficie disponibile. Dei miliardi di incroci e sfioramenti che le nostre linee hanno con quelle di altri, di quanti acquisiamo conoscenza? Una percentuale quasi nulla. La mia linea e quella di questo tizio si sono sfiorate una volta ed incrociate un'altra, ma sono gli unici contatti che abbiamo mai avuto? Quante linee tra quelle che incrocerò in questo viaggio ho già incrociato o nuovamente incrocerò in futuro e continueranno a restare anonime? Discorsi inutili, forse. Torno al viaggio, 4 litri di olio lubrificante guarda un po' che mi fanno scrivere.
Sono a Qazvin non per l'olio, ma per il Caravanserraglio di Sa'd-al Saltaneh.
Un gioiello. La raffinatezza degli allestimenti dei vari negozi ed atelier di artisti, inseriti in questa magnifica cornice in cotto che ricorda il Bazar di Tabriz, è tale da farmi perdere la percezione dell'Iran.
Una ragazza che passeggia con la madre torna indietro pochi secondi dopo l'incrocio delle nostre linee e mi chiede di dove sono in un inglese perfetto e fluente ben oltre le mie capacità. Si stupisce della mia presenza perché dice che in Europa l'Iran è percepito come insicuro. Penso che studi o lavori in Germania perché parla del suo ragazzo tedesco che ha paura a venire in Iran. Le rispondo che, per il momento, la mia percezione è di assoluta sicurezza ed è visibilmente compiaciuta. Lo stesso mi succede con la quasi totalità delle persone con cui parlo, mi chiedono cosa penso dell'Iran e sono molto contente dei miei apprezzamenti.
Prima di entrare nel caravanserraglio, in una grande piazza davanti alla Moschea di Nabi, un grande cartellone mostra un Imam ed accanto una frase che provo a tradurre.
Più o meno recita: “La preghiera dei venerdì è un supporto forte per il nostro movimento ed è un fattore decisivo e grande per l'avanzamento della rivoluzione islamica." In ogni caso, qualunque cosa se ne possa pensare, è il retro di quel cartellone che è veramente importante. Dietro c'è una pubblicità, di cosa non importa. C'è una pubblicità. Non devo aggiungere altro.
Mi rimetto in autostrada. Letture ed amici già venuti in Iran mi fanno saltare Teheran, non mi interessa. Il panorama cambia. Mentre la luce del giorno si affievolisce appaiono delle vere e proprie morbide dune di sabbia compattata ed ormai roccia. Sulla sinistra la distesa piatta e bianca del quasi prosciugato Lago Namak. Sono alle porte del Dasht-e Kavir, il Deserto del Kavir. Arrivo a Kashan che è ormai buio. L'Hotel è nell'antico labirintico quartiere centrale, una vera casba di vicoli in cui l'Ammiraglia passa a malapena, ma grazie a Maps.me non commetto errori. Il ragazzo che mi accoglie mi chiede se è stato complicato arrivare ed è molto stupito della mia risposta negativa.
Normalmente non parlo e non inserisco foto dei luoghi in cui dormo, ma questo fa eccezione perché è una delle case tradizionali appartenute a ricchi mercanti ed adesso, come altre, ristrutturata ed adibita ad Hotel.
-------------------------------------------- Giorno 21 – 29 Nov 2019
Mappa del viaggio
Strade vuote, il venerdì è come la nostra domenica. Oggi vado ad est. Nuovamente salite, fino a 2400 metri. Quando ridiscendo però dall'altra parte della catena di montagne non c'è un'altra alta distesa. Una discesa velocissima mi porta in una profonda ed ampia valle a poco più di 300 metri sul livello del mare. Per la prima volta, da quando ho ufficialmente aperto questo viaggio, non sono su un altopiano. 2000 metri di dislivello in una manciata di chilometri, e dovrò farli in salita al ritorno.
Il verde ricompare nel panorama che ammiro. Prati, alberi da frutto, ulivi. Non si vedono più pastori, ma contadini che preparano i campi in attesa della primavera. Pochi chilometri, ma la quota ne fa un altro mondo. La mia meta è Masuleh, un villaggio. Maps.me mi da una breve strada sui monti per arrivarci. Alcuni ragazzi mi dicono che è impraticabile per la neve. L'alternativa è un lunghissimo giro di 200 chilometri, ma me ne bastano una decina per capire che non ha senso. La strada passa proprio in mezzo a continui paesetti disposti sulla riva del magro fiume che scorre nella valle. In ognuno ci sono almeno 3 o 4 dossi artificiali, un tormento. Farei tardissimo al punto da dover tornare indietro senza arrivare a Masuleh ed in più su strade per me poco interessanti. Decido di provare la strada tra le montagne e vedere dove arrivo. Piccola strada in una strettissima gola con salite dove occorre la prima. Qualche gruppo di case. Anziane donne con un semplice fazzoletto in testa, ampie gonne su spessi calzettoni e bastoni in mano fanno pascolare nei pochi spazi accessibili di questa scarpata chi una capra, chi una pecora importante domestica fonte alimentare. Galline ed oche scorrazzano in strada per nulla intimorite dal mio passaggio. Le oche protestano anzi con veemenza. Potrei essere ovunque. Scene come questa sono ancora possibili anche da noi. In un attimo arrivo in cima al muro di montagne innevate tra le quali giace Masuleh. Sull'assolato monte in cui mi trovo la neve è però assente. Quando Maps.me mi comunica che sono a 40 chilometri dalla meta ha inizio la sterrata. Ci sono lavori e fra qualche anno certamente la strada sarà interamente asfaltata. Nonostante sia evidente che non piove da molto tempo, il terreno smosso dagli incompleti e parziali spianamenti è ammorbidito dall'umidità delle notti. Non è fango, ma in pochi chilometri ho le ruote completamente avvolte in un argilloso guscio marrone che, colmandone le scolpiture, ne abbatte inesorabilmente l'indispensabile attrito che mi fa avanzare. Intervenendo regolarmente ad eliminare questo soffocamento potrei continuare anche perché le salite si sono addolcite, ma decido che va bene così. Mancano 35 chilometri ad una meta che non raggiungerò. Mi fermo un bel po' a godermi il panorama facendo riposare l'Ammiraglia.
Con calma inverto la rotta facendo manovra al riparo di un grosso masso, baluardo ultimo ad una catastrofica uscita di strada comunque improbabile. I 2000 metri di risalita sull'altro versante della florida valle li supero più facilmente di quanto mi aspettassi. Ho tempo di fare una puntata a sud di Zanjan.
A Soltaniyeh il Mausoleo di Oljeitu, ultima dimora di un sultano mongolo, ha una azzurra splendida cupola tra le più grandi al mondo. L'interno è totalmente invaso da impalcature, ma è la pregevolezza dell'architettura della costruzione che ne fa meta di visita.
-------------------------------------------- Giorno 20 – 28 Nov 2019
Mappa del viaggio
Stanotte ha piovuto, poco. C'è freddo. Cielo bianco lattiginoso. Non si è ancora scaldato l'abitacolo che forti strappi mi portano oltre i duemila metri. Panorama spettacolare, ma non regge il confronto con ieri. Le dure salite non sono addolcite da sinuose curve che aumentando i chilometri ne facilitano l'ascesa. La vetta dei ripidi alti monti è raggiunta con strade maschie, dritte, che si impennano e costringono a velocità da funerale. I numerosi tir, che fanno la spola dalle miniere, procedono a passo d'uomo se carichi, sia in salita che in discesa. Spesso sono costretto ai 40 km/h della seconda ed in un caso devo ricorrere alla prima. Mi sembra di essere su una funicolare.
Poco prima del sito archeologico si raggiunge quota 2600 dove mi apro il passaggio tra le goccianti bianche basse nuvole poggiate a protezione dalla luce solare.
Le poche sparse rovine di Takht-e Soleyman, contenute da una crollante e parziale cinta muraria, non mi emozionano come invece l'arrivare fin qui. La conquista di Takht-e Soleyman ha certamente più sapore del premio finale.
All'interno, a parte alcuni bassi edifici dell'amministrazione che potevano essere costruiti da un'altra parte, la cosa certamente più interessante è un piccolo lago, profondo più di cento metri, di acqua sulfurea tiepida che sgorga ancor oggi dal fondo. L'acqua, continuamente rinnovata dalla sorgente perenne, viene incanalata e condotta chissà dove. Lo specchio d'acqua fu certamente il motivo della scelta del luogo.
Stavo per iniziare a scrivere qualcosa sullo Zoroastrismo originario che mi interessa perché unica dottrina, insieme alla tradizione indù, a contenere un concetto del male completamente indipendente dal bene. Poi mi sono fermato perché quello che chiamavo accenno stava necessariamente richiedendo un paio di pagine e non era ancora concluso. Questi argomenti che reputo fondamentali e portanti del mio viaggio, soprattutto in riferimento alla tradizione metafisica indù li inserirò dopo il viaggio nel libro o libri, dipende dalla durata, che certamente seguiranno.
Quindi solo accenni lampo. Fu proprio per il dualismo alla pari bene-male e per il vedere nella loro lotta la fonte di tutto che Nietzsche scelse il profeta Zarathustra come voce dei suoi concetti nel “Così parlò Zarathustra” che fu una mia lettura post adolescenziale… stavo già messo male.
Nel credo zoroastriano il bene è Ahura Mazda che viene adorato semplicemente con buoni pensieri, parole ed azioni, il male è Ahreman ovvero, non ridete, lo Spirito Maleodorante. Gli zoroastriani esistono tuttora anche se alcune comunità hanno modificato l'originale dottrina in vario modo. Centri principali sono Teheran, Mumbai e Londra. In India si chiamano “Parsi”. Zoroastriano era Freddy Mercury e lo è anche Zubin Mehta.
A proposito di Spirito Maleodorante nei prossimi giorni devo cercare una lavanderia.
Tornato a Zanjan vado al Museo Archeologico, chiuso. Sono invece aperti tutti i negozi, c'è una folla di gente in giro e le auto sono parcheggiate anche in terza fila. Una situazione che qui mi attirerebbe anche, ma non riesco a trovare posto e desisto. Tornando all'Hotel individuo, non certo con i cartelli, un lavaggio auto. L'Ammiraglia, con la pioggerella e le sterrate, è diventata letteralmente marrone e dal lunotto posteriore non vedo quasi più nulla. In Australia ho pagato ben 300 dollari per togliere la rossa terra dell'outback dall'auto, record difficilmente superabile, qui stabilisco il record opposto, 1 euro.
Spirito Maleodorante deve essere per il governo iraniano YouTube, e come dargli torto? È l'unico sito a cui continuo a non avere accesso nemmeno con la VPN, o meglio accedo ma non riesco a caricare i video. Peccato perché quello di ieri mi piace. Quando ne avrò la possibilità li inserirò. WhatsApp è stato ripristinato anche sulle sim che però continuano ad essere bloccate per qualunque altra cosa. Per pubblicare devo accedere ad un wifi ed usare la VPN.
-------------------------------------------- Giorno 19 – 27 Nov 2019
Mappa del viaggio
Mi sveglio molto presto, l'aver scritto poco e lavorato una sola foto mi ha permesso di non fare tardi come al solito. Ogni tanto ne avrò bisogno. Il traffico inizia ad impazzire verso le dieci ed i negozi non aprono prima di quest'ora. Mi dirigo verso sud come ieri, ma su una strada diversa, per la prima volta una autostrada. Nessun biglietto d'ingresso, si paga all'uscita, o almeno pagano gli iraniani. Ben quattro dei cinque casellanti con cui ho a che fare, appena vedono che sono straniero, mi fanno proseguire con un sorriso. Se non fosse per l'unico che mi ha fatto pagare penserei a qualcosa di istituzionalizzato, invece evidentemente possono farlo ed è una cortesia verso di me. Uno mi saluta anche con un Welcome in Iran. Magari lo fanno anche con quelli che conoscono…
Sull'autostrada, a differenza delle brutte zone di ieri, non solo non c'è per niente traffico, ma attraverso un territorio senza industrie e pochi centri abitati. Oggi la guida ridiventa un piacere. Resto sempre sugli altipiani che sembrano non avere mai fine, mai sotto quota 1500 metri, spesso sopra 1800. La destinazione finale è Zanjan, ma prima ho intenzione di passare per uno dei più importanti centri spirituali dello zoroastrismo. Devo uscire dall'autostrada e proseguire su una secondaria. Inizialmente non capisco come mai Maps.me mi dia un tempo di percorrenza equivalente ad una velocità media di non più di 50km/h, poi mi rendo conto. La strada si innalza bruscamente.
Supero i 2000 metri e la neve imbianca tutto tranne la striscia d'asfalto che grigia la attraversa. Senza cime vicine più alte il panorama si estende vastissimo davanti a me, non piatto, frastagliato di rilievi che l'Ammiraglia fluidamente supera uno dopo l'altro zigzagando. Si oscilla placidamente, senza strappi, tra i 2200 ed i 2400 metri di quota. Il territorio è isolatissimo, un'auto o un camioncino ogni tanto, quasi nessuna costruzione. Purtroppo devo dire che l'indicatore più affidabile del livello di isolamento è la quantità di immondizia ai lati della strada. Qui è praticamente assente. La guida però non è rilassante come vorrei e devo anche spegnere la musica per concentrarmi di più. L'asfalto non è sempre in buone condizioni interrotto in molti tratti da duri e sassosi sterrati. Quando mancano ancora 80 chilometri alla meta il tempo di percorrenza stimato è di ben 2 ore.
Alla fine di una sassosa discesa, in un piccolo avvallamento, due ragazzi sono seduti in mezzo a molti cani a poca distanza dal loro gregge di pecore dalla lana scura. Mi fermo a chiedere. Si erano anche fatti capire senza, ma con il traduttore ho la conferma che la strada più avanti è bloccata e non posso arrivare a destinazione da qui. Le poche auto che passano sono di un villaggio poco oltre. Devo invertire la rotta, ma mi sta bene così. Questa strada in quota è meravigliosa e sono anzi contento di rifarla all'indietro. Mi tirano quasi fuori dall'auto, non posso andarmene, non più. Neve e freddo, ma i momenti che passo con loro mi scaldano più del fuoco su cui giace l'antica teiera in ghisa da cui mi versano il cay. Resto in maniche di camicia. Questi due giovanissimi pastori dell'Asia, certamente in questa stagione non erranti per dover ricondurre al riparo le greggi, parlano al cellulare mi sembra di capire dell'incontro con me. Hanno un loro mondo e non riesco a capire se sono interessati ad altro, al mio. Le domande sono quelle della cordialità. Altri spesso mettono la testa dentro l'auto per vedere cosa ho con me, pensando di chi sa che tesoro, loro no. C'è in tutto ciò un groviglio di mito e di moderno.
Faccio delle riprese poggiando il cellulare sull'auto e non pensandoci più e due scatti molto veloci in pochi secondi riponendo immediatamente la macchina fotografica in auto. Vorrei essere come un viaggiatore del tempo ed impormi di non modificare nulla che possa variare il futuro di questo luogo. Vorrei che tutto scorresse dopo di me, inconsapevole di me. Per ringraziarli del thè ho loro dato delle barrette di cereali che porto dall'Italia. Le aprono e con un gesto assolutamente naturale, che non palesa dubbi, affidano al vento l'incarto che si perde nella brughiera. Ho fallito.
Vorrebbero che restassi di più, ma devo andare. Mi offrono persino il loro pasto avvolto in due fazzoletti incrociati annodati, come era uso da noi molti decenni fa.
Non è solo il dolce sapore del thè ad accompagnarmi sulla silenziosa strada del ritorno. Ridiscendo a quote non innevate e mi dirigo verso Zanjan. Non ho il tempo di fare oggi il lungo giro a cui sono costretto dall'interrotta strada tra le vette. Rientrato nell'autostrada per i primi 50 chilometri guido incredulo tra formazioni rocciose multiformi e multicolori spettacolari. Non ne ho letto da nessuna parte e la scoperta amplifica le emozioni.
Sono sull'autostrada e tuttavia riesco a passare da un lato all'altro portando l'Ammiraglia su percorsi e sottopassi per greggi. Un villaggio di case di fango che sbordanti travi di legno compattano a sostegno di un tetto, è immerso in uno scenario lunare. Farebbe svenire un tour operator, ma nulla rimanda a contatti invasivi nonostante si trovi a ridosso dell'autostrada. La vita che vedo svolgersi, ad eccezione dei mezzi di trasporto, potrebbe essere la stessa di un secolo fa.
Nonostante non abbia concluso quanto programmato, oggi mi avvio verso una nuova mutevole casa provvisoria ben sazio di conoscenza, ma non di cibo. Non esco però, devo lavorare. Mi faccio dare del pane arabo e ceno con una scatoletta di tonno ed una di lenticchie della fornita dispensa che mi porto dietro. Li metto sulle mattonelle di pane che avvolgo e comodamente addento. Se qualcuno ne sarà sorpreso è solo perché mi immagina in vacanza.
“Non sono mai stato più lontano dallo stare….” …in vacanza.
-------------------------------------------- Giorno 18 – 26 Nov 2019
Mappa del viaggio
Giornata persa e figlia femmina. Sarebbe nottata persa, ma mi serve così.
Vado a Maraqeh o Maragheh per cercare di vedere delle torri funerarie che la Lonely Planet cita soltanto senza dare indicazioni su come trovarle. Dovrebbero essere Zoroastriane e vado solo perché è un argomento che mi interessa particolarmente. Non le trovo. Inutile chiedere, nessuno mi sa dire nulla. Ci sono anche i resti di un importante osservatorio, ma il sito è in pessimo stato di conservazione, sembra abbandonato a se stesso e non c'è quasi nulla da vedere. Dopo aver fatto molti chilometri in una brutta zona ricca di industrie, chilometri oltretutto poco piacevoli e per niente rilassanti per via dei numerosi tir, torno indietro per Kandovan e come al solito arrivo poco dopo che il sole ha lasciato il luogo. Oggi non ci siamo proprio. Sarà che ho i nervi, sarà che sono stato in Cappadocia, ma Kandovan non mi colpisce. Per arrivarci sono salito a 2200 metri e si sente. Vado via dopo cinque minuti. Rivedendo però l'unica foto fatta, direi che vale la pena venirci se si è a Tabriz. Le formazioni rocciose scavate per farne abitazioni sono suggestive. Una visione panoramica del sito è però quasi impossibile per via di case moderne, pali, alberi, cavi, ripetitori, ed in basso negozietti turistici.
Sta facendo buio. Sono sulla grande superstrada che mi porta in centro, c'è moltissimo traffico. Faccio l'iraniano al volante, anche qualcosina peggio.
Quando sto per accendere le luci mi blocco un secondo, tutti i mezzi intorno a me hanno i fari spenti. Comincio a prestare attenzione alla cosa ed effettivamente nessuno, nemmeno i molti Tir ed autocarri, ha acceso le luci. Qualche giorno fa su una strada solitaria all'incirca alla stessa ora, dopo aver acceso le luci come d'abitudine, da una delle poche auto che mi venivano incontro mi hanno fatto dei segni veementi. Ho controllato se avessi inavvertitamente inserito gli abbaglianti e poi ho anche controllato a sera se avessi i fari alti. Nulla, ed avevo dimenticato l'episodio. Voleva certamente farmi capire di spegnere i fari.
È ormai quasi buio ed alcuni iniziano con le luci di posizione, mentre i primi fari accesi li vedo solo quando diventano indispensabili. Lo spettacolo del traffico caotico all'imbrunire senza luci è così lontano dalle mie, nostre abitudini che per la prima volta mi sento veramente estraneo a ciò che mi circonda. Incredibile, non c'erano riusciti la lingua, il cibo, il panorama, e mille altre caratteristiche certamente più significative. Non riesco nemmeno più a muovermi nel traffico come prima, come loro.
Quella che evidentemente è una norma del loro codice stradale non è del tutto sbagliata. Al crepuscolo si ha la visibilità peggiore della giornata, ed i fari accesi peggiorano effettivamente la situazione per quelli che incrociamo non essendo peraltro affato d'aiuto a noi. Succedeva lo stesso in Australia. Per avvistare meglio eventuali pericolosi attraversamenti di wallabies, non venivano accesi i fari fin quasi al buio completo.
Faccio il pieno per domani. La benzina la pago alla cifra massima cioè 30000 rial al litro, o 3000 toman che è un'altra unità di misura e qualche volta fa confondere. Parliamo di circa 30 centesimi che per me sono una manna, ma un mese fa costava 8 centesimi al litro ed ecco spiegate le veementi proteste. Un aumento del 400 per cento. Per fare rifornimento ognuno ha una tessera nella quale vengono registrati i litri di carburante acquistati perché un certo numero di litri al mese sono scontati a 15 centesimi. Per me straniero la tessera è quella del benzinaio ed il costo è quindi sempre quello massimo.
Sta facendo buio e devo tornare in Hotel per poter pagare online una prenotazione, richiesta all'agenzia, per i prossimi tre giorni. Questo problema di internet bloccato mi da sui nervi, ma oggi è giornata di nervi. Vorrei e dovrei arrivare prima della chiusura dell'agenzia in modo da avere conferma immediata. Ovviamente non accade ed anzi non riesco ad accedere ad internet nemmeno con il wifi. Poi fortunatamente la situazione si sblocca.
Comunque come dicevo, giornata persa e figlia femmina.
-------------------------------------------- Giorno 17 – 25 Nov 2019
Mappa del viaggio
Mi sveglio ed apro le tende delle alte vetrate della mia stanza. Si affacciano su un incrocio trafficatissimo e stanotte ho dormito con i tappi, ma non è un problema. Disteso sul letto vedo perfettamente passanti e mezzi che si mischiano in un nuovo inizio di giornata come tanti. Oggi l'Ammiraglia resterà parcheggiata al coperto ed al caldo del parcheggio privato dell'Hotel.
Solo Bazar.
Ho con me la piccola tascabile ormai anziana, ma Leica e se gli scatti soffriranno della poca luce a disposizione, pazienza. La presenza di un qualunque obiettivo è sempre un elemento falsificante della realtà, farò il possibile per non influenzare il luogo a costo di non scattare per niente. Nel vecchio, sporco e poco appetibile zaino che uso in queste circostanze, zaino il cui interno però ho completamente imbottito, poca altra apparecchiatura invadente. Entro nella corrente di questo luogo millenario citato da Marco Polo, come mi suggerisce mia moglie, e mi lascio guidare dal caso. Mi aspetto molto dai suoi ben 24 caravanserragli, piazzette alberate, colori, profumi e rumori di cui ho letto e che sono una caratteristica comune di bazar e mercati non occidentali, ma quello che non mi aspetto è l'eleganza di questo luogo, un tripudio di cotto da far invidia ad un senese.
La ricchezza e la fastosità delle esposizioni non ha eguali nella mia esperienza. Le compravendite continue di ogni sorta di mercanzia nota od ignota non hanno sosta. Sono nel cuore pulsante di questa città, cuore giovane e forte privo di aritmie. Non c'è nemmeno l'ombra di un turista. Con il cappuccio sulla testa per il freddo che si insinua all'interno dei lunghi corridoi, vengo anche poco notato come estraneo. Faccio qualche rispettoso scatto, ma ce ne vorrebbero migliaia. Centinaia di carrelli trainati a mano si intersecano senza sosta, unico mezzo di trasporto possibile in questo labirinto, guidati velocemente nella folla al grido di Jalla! Jalla! Ogni tanto anche una moto cerca di aprirsi un varco. Ci sono centinaia di gatti, ovunque, che vengono tollerati anche quando si infilano dentro i negozi di alimenti in una ricerca, quasi sempre ripagata, di cibo. I restauri che vedo in alcune sezioni probabilmente non hanno mai fine. Molti negozianti hanno il tradizionale cappello di astracan azero, sento casualmente salutare con shalom e vedo vari carretti che trasportano zampe di maiale, sì avete letto bene, di maiale. In albergo mi diranno poi che ci sono anche cristiani. Magari quelli erano gli zamponi per Natale. L'islam in questo inizio di Iran è molto meno visibile che in Turchia. Non ho ancora sentito un solo muezzin nonostante abbia visto anche un paio di Imam aggirarsi tra la folla non interessati però alle mercanzie. Una piccola macina elettrica per il sesamo ne estrae un denso olio che viene immediatamente venduto.
Mi fermo ad osservare un forno a pozzo circolare sulle cui pareti viene attaccata la pasta distesa che in pochi secondi si cuoce.
Le molte piazzette alberate al centro dei caravanserragli sono un ottimo posto per sedersi a riposare continuando ad esplorare con lo sguardo questo mondo mai domo. Oppure si può scegliere una rilassante fumata di narghilè
e se siete degli integralisti potreste desiderarne uno a forma di Kalashnikov.
Ma queste sono solo briciole di questa intensa giornata.
L'atmosfera che si respira può rimandare solo, almeno nella mia esperienza, a quello di Istanbul comunque molto meno elegante ed interessante. Lì il luogo è intriso, in ogni sua espressione, della consapevolezza di un fascino internazionale da cui non è in grado di affrancarsi, qui c'è invece quella di una inestimabile perla che per svelarsi deve essere prima scoperta.
Se non siete mai andati ad Istanbul al Gran Bazar consiglio di farlo prima di decidere di venire a Tabriz, come in una degustazione di formaggi in cui è necessario iniziare da quello meno saporito.
Entro in un bel ristorante per una buona zuppa guarnita con chicchi di Barberry o Crespino, pianta di cui non conoscevo l'esistenza né tantomeno che fosse usata in cucina. Chiedo se posso restare un po' oltre il tempo del pasto e scrivo queste righe mentre sulla grande vetrata di fronte a me, che si affaccia su uno degli innumerevoli corridoi del Bazar, appaiono e scompaiono come dal finestrino di un treno vite, pensieri, problemi ed affari a me ignoti.
Prima dell'Hotel mi reco alla segnalata Moschea del Bazar che ha l'unica caratteristica interessante nella struttura anch'essa in mattoni di cotto. Mi siedo per un po' a leggere al caldo e nel silenzio appena macchiato dalle leggere voci di studenti che probabilmente declamano il corano e salutano con un cenno me, infedele.
-------------------------------------------- Giorno 16 – 24 Nov 2019
Mappa del viaggio
Lascio Maku dopo tre giorni in cui ho iniziato a riprogrammare me stesso in funzione dell'Iran e mi dirigo a sud verso il cuore del paese. Un lungo giro mi porta sulle rive del Lago di Orumiyeh, un altro mare interno morente. Probabilmente destinato a scomparire tra deviazioni di affluenti e forte diminuzione delle precipitazioni, entrambe cause umane… cause umane.
Mi chiedo se mai qualcuno ha fatto una riflessione sull'aggettivo umano. Con una arroganza senza confini gli umani hanno dato all'aggettivo umano il significato di buono, compassionevole ecc. ecc. ecc. Tutte le accezioni positive possibili confluiscono nel significato che diamo a questa parola. Mi viene in mente solo la genialità del fantozziano “Ma come è umano lei…” che implicitamente denuncia quella che per me è una delle principali dimostrazioni della protervia dell'umanità. Forse esistono o sono esistite lingue in cui il termine che specifica la specie non sia anche investito di tutti i significati positivi possibili, lo spero. Dovrò indagare.
Meglio che torni al lago. In una giornata non limpida, con una luce che annulla colori e contorni, mi si presenta come una piatta distesa bianca senza confini dentro la quale vedo file di camion che ulteriormente la svuotano della sua ultima ricchezza, il sale.
Dietro una curva ho la visione improvvisa di un panorama quasi extraterrestre. Immediatamente imbocco una breve sterrata che intuisco mi condurrà in alto dove potrò averne una visuale sgombra. Dei giganteschi massi sono come appoggiati in attesa di qualcosa o qualcuno, solitari e frutto di chissà quali cataclismi contrastano con l'immobilità in cui sono immersi.
Un ponte consente di oltrepassare il lago senza costringere ad un lunghissimo aggiramento. Si paga un pedaggio. Proprio in mezzo aspettano alcuni venditori di sale probabilmente abusivi ed uno di loro mi regala un piccolo cristallo di quest'ultima ricchezza del Lago di Orumiyeh.
Mi dirigo verso la mia meta. Tabriz. Fino a questo momento ho rilevato qualcosa di totalmente inaspettato. Ci sono molti meno problemi negli spostamenti rispetto alla Turchia. Al momento non ho incontrato alcun posto di blocco militare e solo un paio di controlli della polizia. Non sono mai stato fermato. Non c'è nemmeno la paranoia dei limiti di velocità e per una buona ragione. Sulle strade ci sono migliaia di dossi artificiali, la maggior parte dei quali è così alta che devi per forza fermarti per poterli oltrepassare. Ovunque ci sia un incrocio, uno svincolo, un villaggio, una caserma, un posto di polizia, un qualunque motivo che comporti il dover procedere a velocità ridotta, ci sono i dossi. Dentro i paesi sono continui e si procede a singhiozzo accelerando e fermandosi davanti ad ognuno. A cosa servono le multe quindi? Se non rispetti i limiti rompi un asse. Molti poi nemmeno si vedono, ma dopo un po' capisci che ci sono sempre. Appena vedi un cartello di limite a 50 km/h sai che ti conviene rallentare. Semplice ed efficace. Non ci sono invece davanti alle strisce pedonali che francamente non capisco perché continuino a dipingere per terra dato che non sono rilevanti per nessuno, nemmeno per i pedoni.
Tabriz è una grande città ed il traffico inizia già ad una quindicina di chilometri dal centro. Ho letto che gli iraniani sono dei pessimi guidatori. Non sono completamente d'accordo. Forse l'unica cosa veramente negativa è la totale assenza del concetto di distanza di sicurezza. Nel traffico gli spostamenti di corsia repentini per sopravanzare gli altri sono esattamente come sul raccordo anulare, solo che qui lo fanno praticamente tutti e sono quindi continui incastri di auto che si rompono e si ricompongono senza sosta. Per guidare così devi essere sveglio e vigile. Un invito a nozze. Mi viene in mente mio padre che, quando ancora non ero in età da patente mi ripeteva spesso, “in una raggiante Catania”, che chi avesse imparato a guidare lì avrebbe potuto guidare in tutto il mondo. Chiaramente non significa che non farai mai incidenti. In ogni caso mi diverto e sorrido spesso vedendo le facce incredule ed interrogative di quelli che vedono un'auto sconosciuta guidata da uno straniero che si muove esattamente come loro.
Una breve uscita già nel buio della sera mi da una immagine positiva di Tabriz. Strade e vetrine moderne e luccicanti inframmezzate da ogni sorta di localini dove mangiare sono una piacevolissima cornice alla mia prima esplorazione. Sono stanco perché stanotte ho dormito poco per scrivere e pubblicare dopo qualche giorno di astinenza forzata, ma mi distacco comunque con difficoltà. Prima però entro in uno di questi minuscoli locali ed ordino degli spiedini di carne ed uno di pomodori che mi vengono cotti alla brace e serviti con ampie strisce di pane arabo. Si poggia tutto sul pane e lo si arrotola, mangiando poi comodamente con le mani. Delizioso.
-------------------------------------------- Giorno 15 – 23 Nov 2019
Mappa del viaggio
Stamattina sono riuscito ad attivare sul computer la VPN sul wifi dell'hotel, mentre con il cellulare non è possibile. Aggiro quindi i blocchi e finalmente accedo a tutto. Sul sito dell'agenzia gli hotel di Tabriz non hanno più camere disponibili. Ok, non mi resta che telefonare e questo posso farlo anche in giro. Vado per la distante Kalisa Darreh Sham o Chiesa di Santo Stefano. Il sito è elegante e funzionale. Sulla ripida salita a piedi che porta alla chiesa ci sono dei bei terrazzamenti alberati ed in pietra con cascatelle d'acqua e persino un piccolo laghetto con pesci ed anatre.
La chiesa è certamente da vedere, ma ancora una volta è il percorso per arrivare che merita una descrizione. Provenendo da nord si costeggia la frontiera con l'Azerbaigian che segue il percorso del fiume Aras. Inizialmente il paesaggio è piatto e stavolta poco piacevole perché trasmette l'idea di abbandonato più che quella di desertico. Quando però il fiume si incunea nella valle omonima, il contrasto fra le selvagge aride pareti e l'acqua del fiume lascia senza parole. La Valle di Aras è un luogo da non perdere.
Sulla sponda opposta l'Azerbaigian ed una interminabile recinzione dove spesso si vedono postazioni militari ormai in disuso. Ho passato due gate vuoti e senza controllo militare, in un altro invece non mi fermano nemmeno. Sono a Jolfa, ma noto qualcosa di anomalo. Accosto e chiedo dove siamo. Azerbaigian. Cavolo, ho passato la frontiera senza accorgermene. Jolfa è una città a metà tra le due nazioni. Se guardate una mappa noterete che qui c'è un pezzetto di Azerbaigian staccato dal resto della nazione. In mezzo c'è l'Armenia. Fino a vent'anni fa qui si combatteva proprio tra Azerbaigian ed Armenia per il possesso di questo territorio. Dietro front. Nel frattempo ho telefonato all'agenzia e chiesto di prenotarmi tre notti a Tabriz. Adesso hanno anche il mio numero iraniano. Nel pomeriggio mi richiamano. Mi hanno trovato posto, hanno prima telefonato al mio hotel a Maku per accertarsi che anche stasera potessi accedere al web, mi telefonano poi dicendomi che mi hanno mandato una mail con il link per vedere l'hotel e quello per pagare online. Dopo aver saldato mi arriva mail di conferma e subito dopo mi telefonano nuovamente per confermare anche a voce. Perfetti. Mi saranno molto d'aiuto.
-------------------------------------------- Giorno 14 – 22 Nov 2019
Mappa del viaggio
Maku è una piccola cittadina incastonata in uno scenario che farebbe andare in visibilio John Ford.
Mi dirigo verso la Cappella di Dzor Dzor. L'inizio del mio viaggio in questo paese islamico sarà dedicato ad alcune delle più belle chiese cattoliche armene. Si risale un costone di roccia e dalla cima, in lontananza, si scorge l'Ararat. Dal confine saranno almeno 25-30 chilometri ed ho un paio di tacche di segnale sul cellulare australiano in cui ho inserito la sim turca proprio per fare una prova. Purtroppo non aggancia la connessione dati. Pazienza. La cappella, detta anche della Vergine Maria, si trova in una posizione altamente scenografica, ma la luce è pessima e sono controsole.
In zona non ci sono quasi abitazioni, ho incontrato solo qualche contadino intento a preparare il terreno per la futura semina. Mentre ripercorro a ritroso la solitaria e panoramica strada sterrata che conduce alla chiesa, mi vengono lentamente incontro chiacchierando serenamente due donne del luogo, penso madre e figlia. Quando mi incrociano, dopo avermi salutato, mi fanno capire che possono prepararmi da mangiare e mi invitano a seguirle. Dire che l'offerta mi coglie totalmente impreparato è eufemistico, resto totalmente interdetto e non so che dire. Riesco solo ad affidarmi ad un istinto affinato in decenni di fredda vita occidentale che mi fa scattare un totalmente ingiustificato allarme interno: sai ancora troppo poco di questo mondo, non accettare. Continuando serenamente a chiacchierare proseguono verso la chiesa.
Sulla strada del ritorno, ritrovata la capacità di valutare senza preconcetti, mi pento di non aver accettato il loro invito. Sono qui per questo ed occasioni così non devo lasciarmele scappare. Me ne ricorderò.
Quando nuovamente mi trovo in posizione dominante su Maku e l'orizzonte aperto in direzione del confine, riprovo con la linea turca. Stavolta, dopo qualche minuto, il miracolo già visto varie volte in luoghi assolutamente sperduti nell'outback australiano, si ripete. Le due tacche di linea diventano 4G ed ho finalmente un internet non bloccato. Assolutamente incredibile. Posso comunicare con casa tramite chiamata WhatsApp. Sarà una lunga discussione tranquillizzante.
Il problema è soprattutto la ricerca degli hotel. In Iran, per via dell'embargo, non funziona nessuno dei classici siti di prenotazione come Booking ed inoltre le carte di credito non iraniane non possono essere usate. Io mi sono appoggiato al sito dell'agenzia iraniana 1stquest in cui è possibile prenotare e pagare online con qualunque carta di credito. L'agenzia la consiglio per qualunque tipo di viaggio in Iran. Con la situazione di questi giorni non riesco però né ad accedere al loro sito né a comunicare con WhatsApp o con la mail. Non resta che telefonare. Domani. Ho ancora altre due notti a Maku prenotate dalla Turchia.
Per gli aggiornamenti e per riparlare con casa, penso di tornare qui su domani e provare ad inserirli. Quando sarò andato via da Maku, se la situazione non cambierà, non potrò inventarmi più nulla.
Velocemente ridiscendo e mi sposto a sud-ovest per visitare la Qareh Kalisa o Chiesa di San Taddeo, letteralmente nel nulla. Per arrivarci, dopo esser sceso a 1000 metri, si risale velocemente ai 1800 di un ennesimo immenso altipiano deserto. Le chiese sono da visitare anche solo per godere dei luoghi e nel caso della Qareh Kalisa la strada per arrivarci può già essere lo scopo della visita.
Vado via. L'Ammiraglia avanza senza ostacoli scontrandosi continuamente con le scure macchie delle nuvole che si divertono ad interporsi tra lei e la fine dell'alta piana, come a suggerirle di restare.
All'hotel vedo tre grosse superaccessoriate jeep ed i proprietari chiaramente non iraniani. Sono dei tedeschi che stanno andando nei deserti del centro sud. Chiacchieriamo un po'. Dei luoghi intorno non sanno assolutamente nulla nonostante abbia l'impressione che almeno uno di loro non sia la prima volta che viene in Iran. Molti dei viaggi più o meno lunghi di cui ho letto avevano più la caratteristica di raid, come quelli di gruppo organizzati ad esempio verso la Mongolia. Non ne sono attratto. Mi sembrerebbe non di scoprire o capire, ma solo di utilizzare i luoghi attraversati per scopi che nulla hanno a che vedere con essi. Ma non voglio criticare troppo. Diciamo che la mia filosofia del viaggiare è molto diversa. Già il solo essere qui e conoscere chi non potrà mai fare altrettanto nella sua vita costituisce per me un enorme compromesso.
Mentre parliamo, ad un accenno sulla situazione di questi giorni, uno dei tedeschi dice che lui ha la connessione internet tramite il wifi dell'Hotel. Veloce verifica. Sì. Purtroppo però, dopo indagine accurata, la situazione è migliorata solo di poco. La sim irancell è sempre bloccata e con il wifi posso solo utilizzare qualche app, mentre Google, Youtube e vari motori di ricerca non si caricano. Posso ora parlare con casa dall'Hotel, ma per il resto ancora nulla o quasi.
-------------------------------------------- Giorno 13 – 21 Nov 2019
Mappa del viaggio
Al confine regna il caos. Le auto sono inesistenti, siamo solo un paio, ma ci sono tir dappertutto ed in ordine sparso. Faccio una gran fatica anche solo a scorgere tra i tir le indicazioni per le auto ed un paio di volte devo tornare indietro ed aggirarne alcuni che bloccano completamente il passaggio. Anarchia totale. Un tizio che parla inglese mi istruisce ed aiuta sul da farsi. Chiederà 10 euro per il disturbo e mi propone di cambiare euro in rial. Rifiuto, ma per levarmelo di torno cambio fortunatamente solo 10 euro ad un cambio che è all'incirca quello visibile su internet e si rivelerà essere almeno la metà di quello reale. Occorre scendere dall'auto ed andare a degli uffici. Le abituali dogane dove accosti e dal finestrino porgi i documenti qui non sanno cosa siano. Da una parte mi timbrano l'uscita sul passaporto, da un'altra riempiono il Carnet de Passage sempre per l'uscita dalla Turchia. Ci sono due grandi cancelli paralleli distanti tra loro 30 centimetri al massimo, uno nero turco sempre aperto ed uno bianco iraniano sempre chiuso. Dopo qualche minuto due militari iraniani si accorgono che c'è qualcuno di inusuale e mi aprono.
IRAN
Il primo approccio informale con uno di questi lo racconto solo perché farà felici i miei nipoti. Da dove vieni? Italia. Che città? Roma. Ohhh, Franciesco Toti. Big, big. E va beh.
Mi portano a degli uffici dove sembra di essere alla stazione dei pullman con decine di persone con fagotti giganteschi che aspettano in file improbabili. Vengo preso in carico da uno che si dichiara funzionario del governo, mi fa vedere un tesserino scritto in farsi totalmente inutile per me, e parla abbastanza bene inglese. È lui che si occupa di tutto, io aspetto soltanto. Sono tranquillo solo perché la cosa è citata sulla Lonely Planet. In una pausa mi propone di cambiare euro. Anche qui cerco di tergiversare, ma poi capisco che non mi sta fregando perché mi spiega bene come stanno le cose. Il cambio fatto in Turchia, fortunatamente solo di 10 euro, corrisponde a quello bancario ed è esattamente la metà di quello diciamo libero. Verificherò solo in seguito che anche qui conviene cambiare solo un centinaio di euro per avere contante a sufficienza per un po'. Negli hotel ho poi avuto cambi fino al 30% migliori e nei bazar probabilmente si otterrebbe ancora di più, ma questa opzione mi è stata ampiamente sconsigliata da tante persone e non ho verificato. Da come facciamo lo scambio si capisce che non fa qualcosa di legalissimo, anche se tutti certamente ne sono a conoscenza. Ricevo un pacco di banconote di grosso taglio che ci vorrebbe una busta. Un funzionario viene a controllare il numero identificativo di carrozzeria e motore e mi chiede se ho alcool. Quando dico no… mi chiede perché? Ma che vuol dire perché? Senza aver dovuto nemmeno scaricare l'auto e senza dover fare una assicurazione per l'Ammiraglia perché in Iran vale la nostra carta verde, non so quanti lo sanno, dopo un'ora ho finito tutto. Il tizio, dicendomi che è per un'altra persona che effettivamente però ha provveduto ad un documento, si prende ben 35 euro per il disturbo e vi assicuro che vista la situazione sono ben spesi. Mi accompagna anche fuori dall'ultimo lontano cancello dove occorre consegnare un foglio rilasciato dai doganieri e mi consiglia di allontanarmi immediatamente da Bagarzan, città di confine, che dice piena di gente che cerca di fregare chi arriva. Comunque, avendo tre notti prenotate a Maku a 25 chilometri, seguo il consiglio. Anche perché mi occorrerà un po' di tempo per capire bene come muovermi. Intanto è andata via un'altra mezzora di fuso orario.
A Maku, mentre sono con lo sguardo all'insù per cercare l'insegna dell'Hotel che Maps.me mi dà a 50 metri dal luogo esatto, imprecisione fatale, con una delle ruote davanti finisco penzoloni dentro un canale di scolo. Non mi sono per nulla accorto, anche perché finora ero rimasto su grandi arterie, che ai lati delle strade ci sono enormi canali scoperti larghi anche fino a 70-80 centimetri ed altrettanto profondi. Un gran botto anche se procedevo a passo d'uomo. Non faccio in tempo a scendere dall'auto per capire cosa è successo che già si è fermato un tizio per soccorrermi. Capisce immediatamente il problema e ferma un'altra auto con due uomini ed in tre, mentre io metto la retromarcia, sollevano e liberano l'Ammiraglia. Non sono passati che 3 minuti. Chiedo dell'hotel ed un vecchietto che guardava la scena mi fa capire che mi ci porta. Libero un po' l'intasato sedile davanti e si siede scomodamente accanto a me indicandomi a gesti la direzione da prendere. All'hotel scende e ritorna indietro a piedi. Beh, a parte la frontiera che ovunque è un mondo a sé stante, gli iraniani mi si presentano esattamente come avevo letto di loro.
Fortunatamente l'Ammiraglia non è come una delle sculettanti plasticose siliconate sgallettate moderne, ma un bel duro blocco ferroso. Non ha fatto una piega, mi guarda solo un po' di traverso ed ha ragione.
All'hotel mi confermano che internet non va per niente. Non hanno nemmeno connessione telefonica per l'estero, ma mi indicano un coffee-tel per chiamare in Italia. Mentre vado mi fermo a comprare una sim Irancell al negozio a 20 metri. Una signora con un vistoso trucco, unghie finte da far invidia ad una Drag Queen e capelli curati che fuoriescono vezzosi dal velo, mi fa sedere ed attendere che sbrighi la pratica. Serve il passaporto e, alla fine, dopo avermi fatto firmare un foglio, tira fuori un tampone di inchiostro e devo lasciare l'impronta dell'indice accanto ad ognuna delle due firme. Poi mi indica dove vanamente provo a pulirmi. Mi aspetto quasi che adesso si passi al patto di sangue con la compagnia telefonica. Al momento posso solo chiamare in Iran, cosa che mi sarà utile e sono pronto per quando tornerà internet, se tornerà. Costo 5 euro.
Il coffee-tel è chiuso. Davanti ci sono madre e figlia con rigido abbigliamento ortodosso nero che copre tutto tranne il viso. Provo comunque a chiedere quando apre il posto, visto che le scritte sono per me incomprensibili. La ragazza, che conosce qualche parola di inglese, guarda la vetrina e mi informa, per nulla intimorita dallo sconosciuto uomo occidentale che le rivolge la parola, che non c'è alcun orario scritto. C'è invece un numero di telefono che digita sul mio cellulare parlando poi lei stessa con il titolare ed infine mi comunica che aprirà alle 4. La madre ridacchia palesemente compiaciuta delle capacità della figlia. Ringraziamenti e saluti vari anche se senza strette di mano.
Prima di tornare in hotel vedo un piccolissimo locale dove, dalle foto, capisco che si vende qualcosa da mangiare. Entro. C'è solo un posto a sedere. Il titolare, persona squisita e cordiale cosa che mi sembra di intuire sarà una costante, mi fa vedere qualcosa di rotondo che mi sembra una focaccina. Quante? Se me lo chiede vuol dire che si può prenderne più di una, allora ordino due di non so cosa. Ci sono le Pepsi e le Coca-Cola prodotte in Iran alla faccia dell'embargo. Ordino anche una pepsi. Mi fa sedere sull'unica sedia e mi offre del cay nell'attesa. Alla fine ho due lunghi panini con verdure varie e quella che avevo scambiata per una focaccina, dopo una gran fatica fatta con il traduttore, scopro che è carne di capra tritata. Praticamente un hamburger che viene cotto alla piastra, spezzettato ed inserito ad infarcire una lunga baguette. Insomma una specie di McDonald. Mangio nel mio locale privato uno dei buonissimi panini, bevo la pepsi e ne prendo un'altra da portare via. Quando chiedo di pagare mi risponde che non devo pagare nulla, e dopo un microsecondo mi ricordo che è una forma di cortesia consueta, il Ta'arof, e mi tocca insistere due volte prima che mi dica la cifra che comunque si aspettava di ricevere. Pago per tutto la bellezza di 1,80 euro e ci cenerò.
Al Coffee-tel che apre puntualmente alle 4, un buffo tizio che sembra un robusto moschettiere con baffetti parigini e capelli lunghi mi dice che nemmeno lui ha connessione per telefonare all'estero e mi da un foglietto con il nome in farsi di un posto a circa 500 metri dove potrei avere fortuna. Vado a piedi perché non mi ricordo cosa dire ai taxi per fare la corsa da solo senza che carichino altri passeggeri sul tragitto che, se donne, innescherebbero un girotondo finalizzato a non farle sedere accanto ad uomini non appartenenti al suo nucleo familiare e poi sono praticamente appena arrivato e mi devo ancora orizzontare, quindi meglio uno spostamento lento ed esplorativo. Chiedo più volte facendo vedere il foglietto ed arrivo nel seminterrato di un edificio di recente costruzione dove c'è lo studio di una fotografa, cosa che capirò dopo un po'. C'è una stupenda ragazza dagli occhi verdi, senza trucco, senza velo e con i jeans, che mi accoglie come fossi un amico non visto da molto tempo e mi dice che il posto è quello giusto e devo aspettare un attimo perché sta arrivando il fratello che capisce un po' di inglese. Lo chiama e poco dopo arriva con moglie e figlia. Si siedono con calma accanto e me. Sono tutti sorridenti e come felici di vedermi. Ovunque vai la prima cosa che ti dicono è, si sieda e l'impressione è che le discussioni o qualunque altra cosa vadano fatte con calma e seduti. Persino uno dei negozianti a cui ho fatto vedere il biglietto e chiesto indicazioni mi ha invitato prima a sedermi con lui.
Quando mi dice che non ha modo di farmi telefonare all'estero è realmente rattristato ed aggiunge che mi porterà lui stesso dove pensa sia possibile. Faccio per alzarmi, da stupido nevrotico occidentale, e fortunatamente capisco al volo che qui ci sono cose molto più importanti dei problemi da risolvere. Mentre parlavamo, la ragazza, anche lei con delle unghie finte chilometriche, ha preparato il cay e servito dei dolcetti squisiti, specialità di Urmia, che mi spiegano aver comprato ieri perché hanno dovuto andarci per lavoro. Chiacchieriamo come vecchi amici per almeno 20 minuti. Lui e la sorella sono dei turchi iracheni. Mi spiega che ci sono varie etnie in Iran che coesistono. La moglie che è persiana partecipa discretamente alla discussione e scopro che la fotografa è proprio lei. Anch'io ovviamente racconto un po' di me. Ora è lui che si alza e mi dice di seguirlo, l'ospitalità è stata onorata da entrambi. E noi? Mi viene in mente l'immagine di un pesce spada nell'affannoso inseguimento di un'esca al traino. Penso però anche, per contrasto, che se continua così diventerò teinomane.
Salgo sulla sua auto e vuole innanzitutto andare al mio albergo a chiedere perché un hotel per turisti non abbia telefoni che possano chiamare l'estero. Dopo che si sono parlati è incredulo perché gli confermano che è proprio questa la situazione, ma non riesco a capire se è una conseguenza dei problemi di questi giorni o meno. Mi porta allora ad un altro hotel dove scende, chiedendomi di aspettare in auto. Mi sarebbe comunque impossibile scendere perché cadrei in uno scolo dell'acqua che sembra la Fossa delle Marianne. Niente. Da Maku non si riesce a telefonare all'estero da un luogo pubblico. Mi riporta al mio albergo e si scusa incredibilmente più volte per non essere riuscito a risolvere il mio problema mentre io non smetto di ringraziarlo per la sua immensa gentilezza. Mi porge infine persino il suo cellulare offrendomi di telefonare con quello in Italia. Sono veramente colpito. Chiaramente rifiuto dicendogli che anch'io posso farlo con il mio e che provavo solo a non spendere una cifra molto alta. Ci lasciamo, ma prima vuole un indirizzo da cui poter vedere almeno le mie foto se non leggere gli scritti.
Se il governo non riapre l'accesso ad internet, almeno finché starò a Maku, potrò comunicare solo tramite la mia sim italiana a 6euro/m.
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Mappa del viaggio
Prima di lasciare Tatvan, mi faccio indicare un meccanico. Penso di conoscere la causa di quel rumore sordo che a volte sento quando procedo lentamente, ma non posso permettermi di tralasciare nulla. Trovo un meccanico ed a gesti, versi e traduttore mi faccio controllare sospensioni e marmitta. Non c'è alcun problema, ma non riesco ad andar via. Vogliono assolutamente che faccia colazione e mi sieda insieme a loro, non c'è verso. Spiego che ho già mangiato, ma un bicchiere di cay non posso rifiutarlo. Mi fanno sedere insieme e come loro su una latta d'olio rovesciata e sono risate, pacche sulle spalle e strette di mano continue insieme a mille domande.
Ripasso per Ahlat, ma ancora arrabbiato per il ritardo di ieri sera e con la luce dura che c'è adesso decido di non fermarmi. Ci ritornerò con calma con mia moglie in un altro momento.
Il rumore che mi ha fatto cercare un meccanico è quasi certamente causato da un pesante pezzo di ricambio che ho inserito all'interno del cerchione di una delle mie due ruote di scorta posizionata sotto l'Ammiraglia.
Scene visivamente estranee mi parlano di un mondo simile, ma già distante dal mio.
La strada verso nord sale fino a portarmi a quasi 2600 metri e qui, oltre alle capsule del caffè ed alle bottiglie d'acqua, anch'io ho la percezione dell'altura. Incontro una zona di sciara che con una cima innevata ed un ampio cono di cratere sullo sfondo mi ricorda i panorami dell'infanzia sotto l'Etna
Finita la salita, dietro una curva che mi conduce al di là di questo passo, come un miraggio mi appaiono le cime gemelle del Grande e Piccolo Ararat.
In un cielo completamente sgombro da nuvole, dominano su tutto. Credo che non esista posto ed angolazione migliore per ammirarle, arenate in una arrugginita arida distesa imbevuta di mito sulla quale mi sporgo.
Mi tuffo, sotto lo sguardo del primo dei giganti che incontrerò in questo viaggio, ai 1600 metri di Dogubayazit da cui domani proverò a lasciarmi alle spalle, non con animo sereno, anche il debole profumo di Europa che ancora arriva fino a me. È presto, ma devo organizzarmi bene vista la situazione non prevista che c'è in Iran. Non so se e quando potrò continuare questo racconto, ma continuerò a documentare. A meno di imprevisti dovrei rimanerci circa un mese.
Sono l'unico ospite di un ottimo grande hotel. Devo attraversare un largo, lungo e silenzioso corridoio con moquette rossa e le porte delle camere ai due lati. Immagino di veder spuntare in fondo un piccolo triciclo guidato da un silenzioso bambino. Fuori non c'è ancora la neve, ma stavolta forse è meglio che mia moglie non sia qui.
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Mappa del viaggio
Con la luce del giorno Tatvan appare diversa, gradevole. Il colpo d'occhio sul Lago di Van non lascia indifferenti. Devo visitare un paio di luoghi.
Noto, accanto alla strada, un piccolo cimitero con delle tombe chiuse tra ringhiere di metallo che le fanno sembrare delle culle. Sarebbe solo curioso se non fosse che immediatamente mi rimandano a qualcosa di lontanissimo, agli altipiani del Cile dove, nel primo viaggio in solitaria, incontrai tombe della stessa fattura, ma prevalentemente in legno. Lì risalivano alla fine dell'ottocento, qui il cimitero è ancora utilizzato. (Foto presente anche su juza)
La Altinsac Kilisesi (chiesa) si raggiunge dopo un centinaio di chilometri verso est sempre sulla costa sud. Sulla cartina sembra di non essersi mossi tanto il lago è grande. Si prende una sterrata bloccata da due militari, francamente non saprei dire perché. Controllano chi sono e mi fanno passare. La costa della piccola penisola in cui mi sto incuneando è meravigliosa, degna della migliore isola greca. Il colore delle acque ricorda quello dei bacini originati dallo scioglimento di ghiacciai. Arrivo al villaggio di Altinsac e chiedo della strada per la Kilisesi.
Mi inerpico con l'Ammiraglia fino a mezza costa della collinetta in cima alla quale ci sono i ruderi che cerco. Per andare oltre ci vorrebbero le ridotte.
L'ultimo strappo, anche a piedi, è impegnativo ma breve. Quello che è strabiliante non è tanto la chiesa quanto il luogo totalmente isolato ed il panorama sul lago e sui monti innevati intorno. Il clima è magnifico.
Altra tappa, forse la più famosa. La Akdamar Kilisesi si trova su un'isoletta e ci sono vari traghetti turistici con cui arrivarci. Non ho tempo, devo arrivare ad Ahlat con la luce del tramonto. Devo allora inventarmi una foto dalla riva.
Sono vicino ad un altro cimitero simile a quello di Ahlat, Gevas, ma ne tralascio la descrizione perché semplicemente non regge il confronto. Qui però ho la conferma definitiva di qualcosa che, nei giorni precedenti, vari piccoli roghi apparentemente accesi senza alcun senso mi avevano portato a pensare. Ricordate quanto ho scritto sul fumo che ogni sera avvolge tutto? Sono date alle fiamme, nei piccoli centri fuori dalle città, anche le immondizie. Di qualunque tipo. Non giudico ed invito a non giudicare però seduti su comodi salotti in un mondo altro. Magari “se capirai se li cercherai fino in fondo, se non sono gigli son pur sempre figli vittime di questo mondo”.
Corro, dovrei farcela, il sole è ancora alto. Devo ripassare da Tatvan. Incontro ben tre posti di blocco praticamente consecutivi, due dell'esercito ed uno della polizia. In uno il blindato a lato strada è anche un lanciamissili. Sono posti di blocco seri, devi incolonnarti ed aspettare il tuo turno. Controllano tutti senza eccezioni. Perdo un sacco di tempo, ma ce la farei ancora se non fosse per il traffico di Tatvan. Esattamente come ad Ani arrivo con 10 minuti di ritardo. Nel sito, un grande cimitero selgiuchide, ci sono centinaia di pietre tombali decorate infilate nel terreno. La bellezza del luogo mi fa aumentare la rabbia. Faccio qualche scatto di cui non sono affatto contento.
Due sposini lì per qualche foto di rito mi danno l'occasione per qualcosa che abbia senso.
Deve essere il mese dei matrimoni, ne ho visti almeno cinque. Le auto degli sposi sono sempre decorate con lunghi veli che avvolgono completamente la carrozzeria sia in lunghezza che in larghezza. Mentre me ne vado, varie centinaia di taccole si allontanano in volo. Anche da noi, almeno in centro Italia, sono una presenza costante in luoghi che trasudano di antico. La via principale di Tatvan è divisa in due da una lunghissima fila di pini probabilmente d'aleppo che dopo il tramonto si riempiono del chiassoso vociare di migliaia di quelle taccole. Un vociare che il frastuono del traffico non copre, nell'indifferenza però degli assuefatti abitanti.
Vedo dei ragazzi che mangiano l'Halka Tatlisi. Veloce sguardo intorno ed individuo una pasticceria che fa solo questi e Tulumba Tatlisi. Prendo 4 Halka ed una decina di piccoli Tulumba. Fra non molto abbandono la Turchia ed è forse l'ultima occasione.
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Mappa del viaggio
L'acqua in macchina stamattina la trovo gelata. Il cambio è duro perchè anche l'olio si è addensato. Tutto normale e consueto. Lascio Kars con calma e mi avvio verso sud. La strada per Kagizman è la più isolata ed anche la più piccola percorsa su questo altipiano, con solo due corsie una per ogni verso di marcia. Se ne vedono a tratti vari chilometri che si snodano nella steppa, traffico inesistente. La terza volpe vista ad oggi attraversa la strada di corsa e si allontana prima di poter pensare di fotografarla. Allo scoperto la vedo andare verso un villaggio non lontano, solitaria interruzione dell'uniformità del paesaggio. Dietro, a decine di chilometri, una catena di vette innevate sfocate dalla forte luce solare. Mi fermo perché penso che abbandonerò prima o poi questo desertico paradiso ereticamente profanato da parecchia sporcizia sparsa ai lati della strada. Ogni tanto la si vede accumulata in zone delimitate che poi ciclicamente verranno ricoperte da uno strato di terra, prassi comune a parecchie aree desertiche del mondo. Mi fermo perché mi viene voglia di scrivere qui e perché devo integrare quanto scritto e pubblicato ieri con ciò che potrebbe cadere nell'oblio. Mi fermo perché mi passa accanto, in questo nulla che è tutto, un autoblindo che vuole ricondurmi al tutto che è nulla. Resto fermo a scrivere per almeno un'ora cercando parole nel vuoto che mi circonda.
Una telefonata pubblicitaria dall'Italia mi cancella brutalmente e definitivamente questo momento.
Lasciato l'altipiano di Kars si scende fino ai 1000m, ma quasi subito si risale con una panoramica strada in parte rifatta ed in parte ancora sterrata che porta velocemente a 2400 metri. Scendo per far riposare l'Ammiraglia e godere della vista dell'altopiano appena lasciato a nord. Subito dopo il passo, dall'altra parte, verso est un enorme massiccio in lontananza domina tutto. Dalla mappa capisco che sto guardando gli oltre 5000 metri del Monte Ararat. Si ridiscende, ma non sono mai al di sotto dei 1600 metri. L'asfalto è un grossolano bitume adatto a gelo e neve. Molti dei posti di blocco, che spesso si trovano all'inizio dei centri più grandi, adesso sono gestiti dall'esercito. Mitra imbracciati ed a volte un mezzo blindato. I controlli sono frequenti. Fortunatamente incrocio anche piacevoli formazioni militarmente inquadrate.
Mentre mi avvicino al Lago di Van sono sempre più accecato dal sole ormai basso che si riflette su questa immensa distesa d'acqua salata. Con l'ultima luce del giorno riesco ancora a vedere le creste bianche di neve dei monti che lo circondano. Vengo nuovamente fermato dalla polizia, ma stavolta mi lasciano andare immediatamente appena vedono che sono straniero. Non mi chiedono nemmeno il passaporto. Un veloce giro perlustrativo ad Ahlat per capire cosa vedere domani e sono nel caos di Tatvan. C'è persino un grande Carrefour.
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Mappa del viaggio
A poca distanza dall'hotel mi reco, già in auto, ad un antico ponte proprio sotto il Castello di Kars ed accanto ad una moschea costruita con lo stesso materiale. Una scura roccia lavica a me familiare essendo nato alle pendici dell'Etna. I miei spessi pantaloni australiani si gelano indurendosi. Non c'è nessuno e mi metto in auto un paio di jeans foderati di pile che stavo per lasciare a casa. Chi mi conosce resterà certamente stupito e capirà che fa veramente freddo.
Avevo scritto che i limiti di velocità non erano un mio problema. Poco dopo aver preso l'Ammiraglia, ancora in città, mi ferma una pattuglia della stradale. Controllano tutto dei documenti con telefonate a qualche ufficio centrale. Varie domande e varie richieste di spiegazioni per decifrare il datato libretto di circolazione. Il poliziotto è un gentilissimo giovanotto che si sforza di farmi capire. Il controllo è veloce anche perché sia io che lui usiamo i traduttori dei nostri cellulari. Finito il controllo mi contesta 57km/h con un limite di 50. Per farla breve finisce fortunatamente in un nulla di fatto, come dicevo è veramente gentilissimo. Per finire mi chiede dove sto andando e mi lascia proseguire. L'episodio mi da l'occasione di sottolineare come in giro, in queste ottime e larghe strade solitarie che invitano a correre, spesso si incontrano pattuglie dotate di rilevatori di velocità ed è impossibile vederle prima di essere a tiro dei radar. Ieri ne ho vista una che monitorava il traffico e probabilmente controllava anche la velocità dei mezzi, con due droni.
La strada che percorro verso nord mi fa riandare ai 2200 metri che dovrebbe essere la quota massima su strada di questo immenso altopiano che mediamente si trova ai 1800 metri. Direzione Cildir Lake.
In un villaggio una partita di calcio fra ragazzi si svolge in un luogo che… non trovo le parole, forse non esistono. Giudicate voi.
Purtroppo riesco a fare solo due scatti perché il mio arrivo ha l'effetto di un palese rigore negato dall'arbitro alla squadra di casa. Partita sospesa a tempo indeterminato. Avrei voluto avere con me il mantello dell'invisibilità. La foto la dedico a Gabriele Salvatores e, nel mio piccolo, “A tutti quelli che stanno scappando”.
Breve sosta al Castello del Diavolo che, arroccato su una roccia a strapiombo su una ennesima alta gola, ricorda molti luoghi italici. Per arrivarci una sterrata breve. In fondo non c'è parcheggio e nemmeno spazio per girare. Trovo 2 auto e ne arriveranno altre due. L'ammiraglia è sufficientemente alta da terra per consentirmi manovre impossibili alle altre auto. I turchi approvano.
Il giro intorno al lago, che non mi aspettavo così grande, è un piacere per la guida e per gli occhi. Tranne il villaggio di Cildir non ci sono infrastrutture o costruzioni. Accendo la musica e mi diverto su questa lunga strada sinuosa ed ondulata senza curve cieche. Unico neo, ho il sole il faccia.
Il sole! Devo fare in fretta perché si sta abbassando velocemente e devo tornare ad Ani. Per la foto che volevo fare arrivo con 10 minuti di ritardo, non di più. Il rudere in basso dentro il canyon è già irrimediabilmente in ombra. Peccato.
Ieri non mi ero spinto verso la parte sud del sito. Il canyon da questo lato ha decine e decine di grotte sulle pareti. Veramente scenografico. Ani è imperdibile.
Sulla strada del ritorno anche stasera i lampioni esaltano una nebbia sottile e bassa. Quando la si attraversa però, un odore acre racconta di poveri inverni vanamente addolciti da magre stufe sfamate non certo con appetitoso legno. I fumi si alzano dai tetti di tutti i piccoli nuclei che si incontrano e soffocano l'aria altrimenti leggera della notte.
A sera, in un locale popolare vicino l'hotel, provo il lahmacun turco. Una sottile focaccina con carne e verdure. Non vedo pizzerie, cosa rara in qualunque parte del mondo ormai, probabilmente proprio perché hanno il lahmacun.
-------------------------------------------- Giorno 8 – 16 Nov 2019
Mappa del viaggio
Ho già fatto un paio di rabbocchi di olio, normalissimo per un motore anziano ed anche comodo perché non devi mai fare il cambio olio. Per la prima volta anche l'acqua del raffreddamento si è abbassata, con le salite impegnative che sto facendo è ovvio. È una cosa positiva perché così rabbocco con l'antigelo che ho con me. Il cavo della tromba del clacson è irrigidito dal freddo, lo smuovo un po' e lo piego varie volte per farlo sgranchire. Rifunziona.
La strada mi costringe a fermarmi varie volte per delle belle formazioni rocciose. Si scende inizialmente e poi si risale passando per una insolita zona alberata di conifere. Sembra un po' il trentino. Risuperati i 2000 metri si ridiscende fino ai quasi 1800 della steppa sterminata in cui è collocata Kars. Arrivando faccio una prova di utilizzo GoPro, devo riprenderci la mano.
Spruzzi di neve sono presenti sui rilievi circostanti. Certamente non puo' essere neve dell'altra stagione e quindi vuol dire che qui ha già nevicato. Le previsioni però si mantengono incoraggianti. Intendiamoci, adoro la neve ed anche guidarci sopra, ma il livello di difficoltà qui mi è sconosciuto. Sono zone in cui la neve può bloccare tutto, quindi dovrebbero anche essere attrezzati. Dispersi nel giallo dominante ed immobile, villaggi e grosse mandrie sono affascinanti.
Kars è piccola e caotica. Il clacson serve… per i pedoni. Giorni fa avevo criticato guidatori che per passare intimorivano i pedoni con colpi decisi di clacson, ma qui devo farlo anch'io, si fiondano in strada ovunque, anche ai semafori quando io ho verde e loro rosso. Una moto della polisi passa tranquillamente con il rosso. Paese che vai… Alla periferia ed anche in centro dei casermoni effettivamente hanno un'aria russa retaggio di passate dominazioni, ma francamente se non l'avessi letto non l'avrei notato.
Dopo aver posato la valigia in hotel mi dirigo verso la mia meta principale. La città di Ani un migliaio abbondante di anni fa ha ospitato fino a 100.000 persone. Ci sono una decina di strutture evidenti anche se parzialmente crollate. Lo spettacolo è però scenograficamente rilevante. Il silenzio è immediatamente percepibile, in questa stagione senza turisti. La cima degli edifici, sparsi ed isolati su un'area molto ampia, affiora dalle leggere sopraelevazioni del terreno create da ambienti non ancora esplorati.
Al limitare della città un profondo e sinuoso canyon fa giungere il suono delle acque sottostanti.
Ciò che dona fascino a questo luogo umano è quindi, come spesso accade, la natura in cui è inserito. È ormai quasi buio e non ho potuto fare buone foto in buona luce, ma tornerò domani. Nel muro in alto sulla porta d'ingresso che attraversa le cadenti mura, una svastica ricorda della capacità dell'uomo di dare ai simboli, e non solo a quelli, il significato che più loro aggrada a secondo dei propri mutevoli pruriti elevati a dogmi quasi sempre con l'intento di sottomettere.
-------------------------------------------- Giorno 7 – 15 Nov 2019
Mappa del viaggio
Quando mi rimetto in marcia i venditori di souvenir stanno ancora sistemando le bancarelle su strada. Il paesaggio dopo poco si trasforma. Ero tra colline di roccia affiorante parzialmente coperte da alberi imbruniti dall'autunno e pian piano gli alberi scompaiono restando confinati solo ad avvallamenti e letti di fiumi. Forti salite e poche discese. Sole accecante, nessuna nuvola, ma c'è freddo al punto che devo accendere il riscaldamento. A cadenza regolare una pattuglia della stradale si scorge in lontananza, ma quasi sempre avvicinandosi si scopre che è solo un pannello di legno. L'illusione ottica funziona perfettamente. Da notare che ho scritto quasi sempre, perché a volte è una pattuglia vera, quindi occorre stare attenti ai limiti. Non è un mio problema. In lontananza, su alte vette, vedo per la prima volta la neve.
Si è scortati ai fianchi da basse colline brulle che prima si innalzano subito a ridosso della strada, poi pian piano si allargano facendo apparire immense distese. Su una di queste, in ombra, delle strisce di neve a poche decine di metri da me mi fanno trasalire. Ma a che altezza sono? Verifico immediatamente. 1600 metri. Caspita. Gli altipiani. Per i seguenti 300 chilometri, fino all'arrivo, rarissimamente scenderò al di sotto dei mille e cinquecento metri, arrivando a toccare i 2200. Si possono non vedere costruzioni per vari chilometri, silenzio, traffico inesistente. A volte delle piccole chiazze d'acqua mi fanno fermare per l'avifauna, ma questi non sono certo luoghi in cui svernare. Solo folaghe e poco altro. Il panorama è ormai quello della frontiera, nel senso di limite ultimo, di confine del mondo, di disabitato. Il mio ambiente. Spengo anche la musica per assaporare appieno il piacere della guida, l'Ammiraglia canta serena con voce invecchiata, ma intonata. La nostra piccola ed ingolfata Europa quasi ignora tutto ciò, Europa di cui qui ancora si sente il profumo. Sono tre anni dall'Australia e le sensazioni intense che non riesco ad arginare mi svelano il mio stato di astinenza malamente celato dalla quotidianità.
Ho fame. Vedo una Lokanta. Un paio di autobus a lunga percorrenza hanno sbarcato i pochi viaggiatori. Uno stanzone pieno di tavoli dove mangiare ed un banco di cibo caldo. Sono tutti gentilissimi e quasi mi scortano spiegandomi le pietanze e servendomi le mie scelte. Anche uno yogurt squisito che mi consigliano di mischiare con del riso. Un ragazzo sui 18-20 anni è l'unico a parlare inglese, ma interviene solo con qualche parola, timoroso di sopravanzare il fiume di parole in turco degli altri. Mi siedo ad un tavolo alla vetrata. Davanti a me le poche mercanzie allineate in scaffali di legno che odorano di altri tempi, sull'ultimo in alto dei grandi peluche chiusi nel cellophane guardano ed aspettano tristemente chissà da quanto tempo che qualcuno doni loro una casa, un letto, un bimbo. A fianco, fuori dalla vetrata, la mia cavalcatura si riposa e quasi mi sorride. Sullo sfondo l'Armenia. Distolgo lo sguardo dall'Ammiraglia per mangiare e quando riguardo fuori un uomo armato di una scopa con attaccato un tubo dell'acqua la sta pulendo. Non solo i vetri, ma anche tutta la carrozzeria. Un car wash non richiesto, certamente usuale. La scopa la libera dalla polvere e le regala delle delicate grattatine. Immagino stia facendo le fusa.
Ai bagni un omino chiede 1 lira. Non sono per schizzinosi e forse nemmeno per gente normale, ma ho visto di molto peggio. Fortunatamente c'è un box con tazza occidentale, alle turche ormai dominanti non mi abituerò mai.
Varie giovani robuste donnine si aggirano nel parcheggio cercando viaggiatori da allietare, anche questo è frontiera.
Dopo aver fatto felice chi aveva fatto felice l'Ammiraglia vado via, ma dimentico di fare una foto all'esterno. Torno indietro e provvedo dall'altra corsia.
Il ragazzo di prima, che mi aveva salutato mentre ripartivo, mi vede di nuovo e corre da me attraversando la strada saltando l’aiuola in mezzo. Mi chiede se sono un viaggiatore. Francamente non so che rispondere, le etichette non mi sono mai piaciute anche perché sono limitanti, ma sarebbe troppo complesso da spiegare e quindi gli dico di sì. Faccio foto? Sì. Sono su Instagram? No. Dove vado? India, se ci arrivo. Gli spiego che, anche se non su Instagram, scrivo su internet e vuole assolutamente il link anche se gli dico che scrivo in Italiano. Ma, a parte tutto ciò, è il suo profondo sguardo che mi colpisce. Non c'è ammirazione, non c'è invidia, non sta guardando me. Nei suoi occhi c'è il riflesso dei suoi sogni, delle speranze in qualcosa di cui io sono solo la casuale conferma. Ecco, quegli occhi ed il luogo mi fanno capire che lì in quel punto sta iniziando il mio viaggio, con quello sguardo. Forse leggerà queste righe con il traduttore e quindi lo saluto e gli auguro di avere la forza di provare a realizzare tutto ciò che sogna.
Costeggio l'ampio letto di un fiume che attraversa le pianure e le larghe gole di questo altipiano. Cerco il nome. Eufrate. Di fianco a me scorre la storia.
Dopo una cinquantina forse più di chilometri, l'Eufrate soffre costretto all'interno di un ampio bacino idrico. La Turchia ha il vantaggio dell'inizio del suo scorrere.
Faccio una lunga deviazione per provare l'auto anche su strade all'interno che, a parte una sterrata molto pietrosa fatta per tagliare, restano buone ed asfaltate anche se tra i monti e di collegamento tra piccolissimi agglomerati di 4 o 5 fattorie. Maps.me non mi fa sbagliare neanche un bivio. Si fa buio. Mi fermo per una foto. Il contadino della casa vicina mi viene incontro. Un piccolo uomo, nel senso della statura, con un viso e degli occhi sorprendenti. Quando gli stringo la mano la sento enorme, dura, una mano che racconta una vita.
Ho però esagerato con la deviazione e gli ultimi 100 chilometri li faccio con il buio che non è affatto un problema, ma si fa tardi e domattina vorrei comunque ripartire molto presto. Inoltre devo di nuovo andare piano a causa di altre forti salite. Erzurum si scorge ad almeno una ventina di chilometri e già dalle luci si capisce che si tratta di una vera città. Due strutture molto grandi sono completamente illuminate e dominano tutto il resto, sono due scivoli per il salto con gli sci. Siamo a quasi 1900 metri e si sente. Città moderna ed agghindata piacevolmente probabilmente in attesa della stagione sciistica. Le previsioni per adesso mi danno sempre cieli tersi e temperature però che la notte scenderanno abbondantemente sotto lo zero. L'Ammiraglia ha il primo problema, non funziona il clacson.
-------------------------------------------- Giorno 6 – 14 Nov 2019
Mappa del viaggio
Ho lavorato parecchio perché l'impostazione del lavoro con foto e video mi prende un sacco di tempo. Più avanti sarà più facile, spero. Al di fuori dei viaggi fotografo poco e nessun video.
Visto che sono in auto ho un po' di tutto, tranne per la macro che non è un mio interesse e posso fare qualcosa di decente (per me) con quello che ho. Via via ed a secondo dell'utilizzo vedrete gli obiettivi che ho dietro dalle info sulle foto. Per quelli sigma art ho la doc station, ma se dovrò usarla spesso li lascio perdere, non posso stare appresso in continuazione al fuoco. Ottimo Dell XPS 13”, ma non ho tempo nemmeno per stare appresso alle elaborazioni, quindi… quello che viene viene. I video. Quello di ieri era la cosa più veloce che posso mettere in campo. Cellulare e qualche taglio e transizione al volo con l'ottimo Rush di Adobe che sto imparando ad utilizzare. Ho anche una Gopro3+. Sugli aggiornamenti aspettatevi buchi perché non credo proprio di riuscire a farli sempre giornalmente. In caso di forfait ed abbandono per qualunque motivo ed in qualunque momento informerò in qualche modo se la causa dell'abbandono me ne darà la possibilità. Magari chissà, qualcuno seguirà e continuerà da dove mollo. Da che mondo è mondo ha sempre funzionato così. Spero di mostrargli comunque una luuunga strada da ripercorrere. Magari sarà qualcuno che mi sta leggendo.
Veniamo ad Amasya. Sono stato alle tombe che si trovano praticamente sulla mia stanza ed a due musei. Girare per la cittadina non mi attira anche se può essere piacevole per molti. Le Tombe risalgono anche al 400 avanti cristo, pensavo leggermente più recenti. Info dettagliate oggi come oggi sono inutili, basta avere una connessione e leggere. Se poi si ha un interesse particolare verso qualcosa, l'approfondimento non posso essere di certo io a darlo, anche se il discorso cambierà se, chissà, dovessi farcela ad arrivare in India. Ho sviluppato interesse recentemente ed a causa di questo viaggio, verso la tradizione indù. Ma è ancora troppo, troppo, troppo presto e poco, poco, pochissimo probabile. Data al 50% la giocherei al volo.
Quindi, lasciando i sogni nel cassetto, descriverò sempre ovviamente dove sono per delineare il quadro, ma opinioni, sensazioni ed eventuali consigli avranno la priorità.
La salita alle tombe ha gradini molto alti, e molte assi di legno sono rotte. Anche nei siti turistici questo è il tempo dei lavori di restauro aspettando l'alta stagione. Certo che in estate la salita sarebbe sfiancante. Direi che non ne vale la pena. Quello che si vede da vicino è quasi lo stesso di ciò che si vede da sotto e senza la visione panoramica il sito perde parecchio fascino. Le camere mortuarie sono scavate nella roccia ed hanno anche un passaggio ad U dietro, accessibile solo in una, ma aldilà delle varie ipotesi sul loro utilizzo non c'è nulla di nulla, solo un alto cunicolo molto scivoloso perché la roccia è levigata dalle migliaia di turisti che certamente entrano a costatare che non c'è nulla. L'effetto e la visione dal fiume, soprattutto la sera quando tutto viene illuminato, vanno perciò benissimo a mio parere. Sempre vicino al mio hotel, in una delle case ottomane, c'è un piccolo museo in cui sono ricostruiti gli ambienti ed hanno sistemato dei manichini con abbigliamento dell'epoca. Al primo non ero preparato e mi fa venire un colpo. Ampiamente saltabile. Il museo serio si trova invece aldilà del fiume nella parte nuova, ma poco distante. Molti oggetti dell'epoca romana e bizantina, pochi quelli interessanti, sono sistemati in modo ordinato, ma il pezzo forte sono delle mummie o sarebbe meglio dire corpi mummificati del quattordicesimo secolo che forse possono incuriosire anche perché è stato possibile risalire ai personaggi a cui appartengono.
Riassumendo, lo spettacolo di ieri sera con quartiere e tombe illuminate vale certamente la visita, ma il resto è superfluo. Fermo in stanza a riposare e ad organizzare per l'inizio vero del viaggio valutando varie ipotesi, la mente mi si affolla di pensieri. Dubbi di duemila tipi, ma soprattutto la paura che lo stare quasi sempre in luoghi abitati, se non densamente abitati, mi faccia prima o poi venire nausea. Il mio habitat naturale è la natura senza contaminazioni umane ed è soprattutto questo il mio principale stimolo al viaggiare. Non stupitevi quindi se potrà succedermi di rinunciare a qualcosa di fortemente turistico e come si dice “da vedere assolutamente” proprio per essere al limite della sopportazione e preferire altro. Inoltre è proprio in mezzo alla folla che ci si può sentire soli. Veramente da soli si avverte molto meno o per nulla. Pensieri, pensieri, pensieri. Domani riprendo la cavalcata, è meglio. Sono uscito un po' prima di cena per cercare di trovare una ciambellina croccante che ad Istanbul mi aveva fatto impazzire. Halka Tatli (Un viaggio in solitaria 3). La trovo, ne prenderei 10, ma mi fermo a due o rischio le coliche. Ne mangio una immediatamente. Ad Istanbul per strada appena fatte erano migliori, ma è una delizia lo stesso. Crosta dura, cuore tenero imbevuta di acqua e zucchero. Assolutamente da provare. Dopo cena buone e mediamente buone notizie dall'Iran. Una delle buone è che avrò comunque 30 giorni disponibili a partire dalla data d'ingresso perché la data di fine visto si riferisce all'ingresso e questo mi fa cambiare programma. Resterò in Armenia, qui in Turchia, altri 5 giorni per visitare quello che mi ero segnato, ma pensavo di non poter fare. Domani sarà quindi l'ultima vera tappa di trasferimento prima dell'inizio ufficiale del viaggio che a questo punto sarà qui in Turchia. Così, e non scherzo per niente, darò modo all'Ammiraglia di potermi comunicare se se la sente di infilarsi con me in questo buco nero. Esagero…?, lo spero! Comunque da dopodomani si comincia sul serio. Ma, una cosa alla volta. Pensiamo a domani.
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Mappa del viaggio
Sveglia con il buio e partenza con un filo di luce. Voglio proprio allontanarmi dal traffico. Solo a 150 chilometri da Istanbul non si sente più il fiato sul collo delle sue 15 milioni di anime. Altri 100 chilometri e lascio l'autostrada. Il panorama cambia radicalmente. Gli alberi sono decisamente pochi. Si sale. Per qualche centinaio di chilometri si viaggia su un altipiano e la strada tocca anche i 1200 metri. Le bottiglie d'acqua scricchiolano sotto la spinta dell'aria interna che si espande. Il panorama si apre. Mi sento bene. La guida riprende ad essere un piacere. Anche l'Ammiraglia fila via che è una bellezza nonostante ci siano da affrontare salite ripidissime e discese a capofitto. Nel traffico e nel caldo soffriamo entrambi. La Turchia rurale scorre con le sue contraddizioni tra una forte componente religiosa e la ricerca di rapida modernizzazione.
Mi fermo su strada per mangiare quanto avanzato da ieri e prendo dal contenitore di juta qualche capsula di caffè perché ne porto in camera poche alla volta e le ho finite. Sono sigillate e… si sono gonfiate. È ovvio, ma non ci avevo pensato prima. Lo stesso effetto dell'aria interna alle bottiglie d'acqua. Penso che se salgo a 2000 metri ed oltre, e succederà, potrebbero scoppiare tutte insieme come dei popcorn, sarebbe un bel disastro. Le bottiglie le posso aprire ed eliminare il problema, ma queste no.
A poco dalla meta di oggi mi fermo ad una delle decine di bancarelle sulla strada che vendono soprattutto grosse cipolle bianche in grossi sacchi ed attirano clienti con il fumo che fuoriesce dal tubo di sfiato di quelli che sembrano dei samovar. Servono per l'acqua del chai o çay (thè). Io mi fermo per berne un bicchiere. Dato che serve solo per attirare i compratori dei prodotti, il thè non viene venduto. Nemmeno a me che non compro nulla. Il proprietario è un kurdo e lo dice con orgoglio, specificando che un'ampia zona intorno è abitata da kurdi. Fa anche un accenno agli americani, ma si trattiene dal continuare. Io non lo stimolo, ma gli faccio capire come la penso. Arrivano da scuola i figli, tre ed il più piccolo mi si mette in posa per una foto, ma gli dico che non sono lì per quello. Per ringraziare del thè lascio al bambino un piccolo peluche che ho con me. Il padre mi regala a sua volta un grosso frutto tra quelli in vendita e mi dice che lo posso mangiare anche senza sbucciarlo. Non ricordo più il nome in kurdo.
Sto molto lentamente entrando in clima viaggio anche se il vero inizio sarà al prossimo confine. La Turchia è un lusso che non posso permettermi. Il visto iraniano scade il 12 dicembre. Volevo e potevo starci un mese e quindi adesso ogni giorno qui è uno tolto all'Iran.
Arrivo alla mia meta, Amasya. È piuttosto grande e vivace con strade che ricordano Istanbul con un po' meno di vitalità. Ma la zona antica ottomana è strabiliante, dominata dalle Tombe dei Re del Ponto, che sono venuto a vedere, scavate nella parete a strapiombo che si innalza a ridosso delle case. Proprio qui ho prenotato, in uno dei tantissimi hotel ricavati da case ottomane restaurate. Camera 20 euro. Ha grandi finestre sul fiume che passa accanto. I muezzin chiamano alla preghiera. Decido in un secondo che resterò due notti, e pazienza che sarà uno in meno in Iran.
Borgo iperturistico e stradina piena di negozi, ma è fantastica perché…. non ci sono turisti. Mi fanno parcheggiare proprio all'ingresso della salita per le Tombe. Fantascienza in altra stagione.
Mi rilasso ed inizio ad organizzarmi per la documentazione. Le Tombe le visiterò domani.
Esco a fare una passeggiata. Poco prima del buio, mentre piacevolmente costeggio il fiume Yeşilırmak (Fiume verde), la parete di roccia a strapiombo e le Tombe dei Re si illuminano improvvisamente. Non me lo aspettavo e resto per un bel po’ a bocca aperta. La cittadina, il fiume e le Tombe compongono una ipnotica scenografia difficilmente eguagliabile al cui centro spicca la proiezione della orgogliosa mezzaluna turca in campo rosso.
Poco dopo, nella quiete del fuori stagione, i muezzin inseriscono in questo fiabesco scenario la loro melodica vocale colonna sonora e lo spettacolo diviene unico.
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Mappa del viaggio
TURCHIA La nebbia mi ha accompagnato a tratti lungo Serbia e Bulgaria sfocando la campagna giallo bruna autunnale. Pensavo di esserne fuori, invece stamattina avvolge la poca strada che mi separa dal confine turco. Una decina di chilometri prima c'è già la coda ininterrotta dei tir in attesa. La corsia lasciata libera per le auto è talvolta quella destra, altre la sinistra e nella nebbia si deve andare piano perché ci si può trovare un camion fermo davanti all'improvviso nel punto in cui occorre cambiare lato. Alla dogana bulgara tutto ok, unico problema il dover arrivare proprio sotto i caselli per vedere quale è quello con il semaforo verde. La nebbia è sempre abbastanza fitta. Alla dogana turca invece ecco i primi problemi che mi aspettavo solo in Iran. L'anno scorso non era poi stato così difficile passare, oggi è un'altra storia. Dopo vari rimbalzi tra uffici che controllano tutto, anche il numero di telaio e motore, il problema si sposta sul bagaglio e me lo aspettavo come dicevo, ma non qui. Quando apro il portabagagli o gli sportelli dietro, tutto è stipato in un blocco compatto. Una manna per i doganieri. Ho anche tolto l'intero sedile posteriore per avere più spazio possibile. Metà Ammiraglia contiene suoi pezzi di ricambio compresa marmitta completa fino al collettore collegato al motore. Aperto il bagagliaio si vedono quindi svariati tubi che si intersecano a creare mille spazi in cui ho infilato veramente di tutto in un anarchico ordine dettato esclusivamente dai volumi. La percezione di un occhio estraneo mi è chiaramente spiegata dall’incerta espressione dell’addetto alla perquisizione.
Ok, mi dice di tirare fuori tutto. Dopo il mio “noooo” detto però sempre con il sorriso sulle labbra…. devo comunque tirare fuori tutto. Massacrante. Il doganiere resta interdetto quando apre una grossa bustona di juta in cui ho messo 400 capsule di caffè. Già. Ho con me una piccola macchinetta elettrica per l'espresso che porto sempre ed ovunque se mi sposto in auto. Un legame con casa. Gli spiego e ridacchio perché anche questo me l'aspettavo. Altra manna per un doganiere. Comunque sembra gradire l'effetto delle capsule sigillate sul suo braccio infilato completamente dentro a cercare chissà cosa. Mi ricorda Amelie che ama infilare la mano dentro un sacco di legumi. Alla fine però ho poco da sorridere. Dopo aver verificato che non traffico in nulla ed aver estratto dall'Ammiraglia anche tutta la fanaleria al completo che ho con me, candidamente mi dice che in Turchia non si possono importare pezzi di ricambio. Gli dico che devo andare in India e già è improbabile che ci arrivi con, figuriamoci senza ricambi. Niente da fare. Poi mi viene in mente il Carnet de Passage en Douane a cui non avevo pensato perché per la Turchia è necessario solo per particolari veicoli. Forse sono io il particolare veicolo, essendo così carico. Comunque, anche se lo rigirano tra le mani in molti perché non l'hanno evidentemente mai visto, dopo telefonate varie a non so chi e non so dove, la questione si sblocca positivamente. Mi ci vuole mezzora buona per risistemare tutto in auto e dopo, prima di andar via, mi leggo attentamente la istruzioni del Carnet che tanto dall'Iran in poi mi servirà praticamente sempre ed è meglio che cominci subito a controllare che sia compilato correttamente dai doganieri. Chiaramente non è così. Ritorno all'ufficio e gentilmente faccio capire cosa serve. Non si erano nemmeno presi il talloncino che spetta loro come documento del mio passaggio. All'uscita si possono avere problemi se tutto non è perfettamente compilato. Alla fine riparto dopo almeno un'ora e mezza.
Il Carnet si richiede all'ACI e per farlo è necessario stipulare una fideiussione che garantisca una cifra da corrispondere alla motorizzazione estera nel caso il veicolo resti in un'altra nazione. La fideiussione è da fare per una cifra basata sul valore dell'auto stabilito dalla motorizzazione e quindi per veicoli recenti può essere anche di varie decine di migliaia di euro. Per l'Ammiraglia è il minimo sindacale, 2300 euro. La banca, per la fideiussione, mi ha fatto perdere inutilmente quasi un mese sempre rimandandomi di settimana in settimana, dopo di che li ho mandati a quel paese e mi sono rivolto online ad una assicurazione pagando però ben 300 euro. Poi calcolate un mese per avere il Carnet dall'Aci che in ogni caso può dare tutte le informazioni dettagliate.
Bene, sono fuori… no! C'è subito un posto di blocco della stradale con assistenza dell'esercito con barriere antiproiettile. Questi qui hanno un fronte tuttora aperto con chi prima faceva comodo ed adesso è stato mollato. Non continuo a parlarne… per ora. Mi registrano la targa ed il nome che mi fanno pronunciare davanti ad un tablet e credo, ma non sono sicuro, che abbiano registrato la mia voce.
Prima piazzola con ristorante pochi metri dopo. Ricordatevi di evitarla. Cerco la cara sim della Turkcell e mi sparano 140 euro. Mi metto a ridere. Poi, dopo confabulazione, chiedono 40 euro equivalenti a 250 lire turche e poi… me ne vado. Al primo e quasi adiacente rifornimento faccio il pieno e qui cominciamo a ragionare. Meno di un euro al litro. Alla successiva piazzola con ristorante e senza distributore, dove consiglio vivamente di fermarsi, la sim viene 200 lire turche, 33 euro, cara comunque ma adesso ci siamo (13Gb e 500minuti). Accanto c'è anche l'ufficio dove prendere la vignette autostradale ricaricabile valida anche per i ponti sul bosforo ed il tunnel. Altri 34 euro, ma mi assicura che ha un credito che mi basta per arrivare in Iran.
Vengo fuori da tutto tardissimo, addio speranze di fare molta strada. Ho anche perso un'altra ora di fuso orario. Il sole ora mi raggiungerà e lascerà due ore prima rispetto a casa.
Dopo 250 chilometri sono ad Istanbul e l'effetto è quello dell'anno scorso. A decine e decine di chilometri dal centro si ha la sensazione di entrare in qualcosa di gigantesco. Altre megalopoli sono completamente diverse. Los Angeles per esempio, su cui voli per più di mezzora prima di atterrare tanto è estesa, ma da terra non ti rendi conto che è gigantesca perché le abitazioni al di fuori del centro affari sono basse. Qui invece ci sono centinaia di megastrutture al cui confronto il serpentone di Roma è una piccola villetta. Il tutto è comunque nuovo, pulito, organizzato, o almeno è questo che restituisce all'occhio del viandante. Le mega arterie in cui guido arrivano ad avere anche 5 corsie per lato e nonostante ciò è tutto intasato. Code interminabili, una quantità di tir impressionante, ma c'è ordine, solo che spesso si va a passo d'uomo. Per almeno 50 chilometri lo spettacolo non cambia. Non mi fermo. Ho solo voglia di scappare via e non posso perdere giorni anche se in una delle poche città che mi piacciono parecchio. In questa bolgia organizzata attraverso il Bosforo ed entro in Asia. Primo piccolo step del mio viaggio. Da adesso in poi per me è tutto oscuro. Continuo per allontanarmi dalla città, ma dopo un'ora e più sono sempre dentro un gran traffico ed attraverso giganteschi conglomerati urbani satelliti di Istanbul. Non riesco a lasciarmi andare godendo di essere finalmente in Asia. Sono sull'autostrada Istanbul Ankara. I tir riempiono due corsie e sulla terza spesso sorpassano. Le auto sono come moscerini in balia del vento.
Ormai è buio da un po'. Devo fermarmi, anche se non sono riuscito a scrollarmi di dosso Istanbul, e cercare dove dormire. Altra sorpresa. Booking è bloccato. Rapida ricerca, qualcuno dice sì, qualcuno no. Io dico sì. Pare ci siano contenziosi con lo stato turco. Passo a Hotels.com e prenoto, sono stanchissimo. Oltretutto la VPN che ho proprio per superare eventuali filtri di blocco alla rete, blocca tutto anche internet. Ho mandato una richiesta di aiuto, vedremo che mi rispondono. Qui passi, ma in Iran dove il controllo statale sul web pare serio, mi servirebbe proprio. Se non lo sapete, una VPN è un servizio a pagamento che crea una specie di tunnel inaccessibile sul web per farvi collegare ad un insieme di server sparsi per il mondo. Se mi collego al server italiano sembrerà che stia in Italia. Ovviamente ci sono problemi perché, a parte i governi che cercano di ostacolare questa pratica all'interno delle loro nazioni per evitare l'aggiramento dei blocchi, anche grosse compagnie non gradiscono l'impossibilità di tracciarti sempre ed ovunque. Benvenuti nel mondo “libero”.
Ma la giornata non è ancora finita. Con la fedele ed insostituibile Maps.me arrivo senza problemi all'hotel prenotato in un dedalo di strade e sempre nel traffico. Sono ad Izmit, ma non c'è stata alcuna soluzione di continuità da Istanbul. Sono le 19:00. La stanza non è pronta, devono pulirla. Ho la sensazione che la stanza non sia proprio disponibile. Quando scopro che è al quarto piano senza ascensore dico di no. Già stamattina, per scendere da una poco intelligente scala con curve e gradini alti con la mia pesante valigia, ho preso una storta che ancora mi duole e la caviglia è un po' gonfia. Spero non peggiori. Comunque il ragazzo alla reception non era convinto di darmi la stanza, penso fosse la sua ed aveva messo le mani avanti dicendomi che era di un livello peggiore di quella prenotata. Problemi? No! Siamo in Turchia. Fa una telefonata veloce. Mi viene a prendere in auto uno di un altro Hotel. Due euro in più, ma accetto perché la stanza è enorme e con una doccia da re. 20 euro. Chiedo informazioni sulla migliore strada per l'Iran. Non l'avessi mai fatto. Sono in quattro e si scatena la bagarre. Si formano due fazioni che discutono animatamente. Con ben due traduttori, mappe online e cartacee, propongono due percorsi diversi, ma sbagliati entrambi. Mi porterebbero presso un posto di frontiera che non posso attraversare. Lo faccio presente ed alla fine mi indicano la strada che già pensavo di fare. Però è stato divertente.
In stanza, ottima, scopro che con il wifi dell'Hotel non ho Booking bloccato, quindi deve essere la sim Turkcell. Per evitare contrattempi cambio modalità di procedere e prenoto già per la prossima notte. In Iran dovrò probabilmente fare sempre così anche per i controlli di polizia, ma è una situazione che verificherò sul posto.
-------------------------------------------- Giorno 3 – 11 Nov 2019
Mappa del viaggio Prima di dormire ho dovuto fare un safari non fotografico perché dalla spessa e sporca tenda della finestra ogni 15 minuti si alzava in volo una cimice. Ecco spiegati i 13 euro. Probabilmente la stanza non veniva pulita dall'estate. Bah, sciocchezze. Altra sgroppata. Al confine serbo-bulgaro si fa in fretta. Si rientra in EU. Tra le due dogane sei obbligato a percorrere a passo d'uomo uno stretto corridoio tra dei paletti che schizzano sull'auto un liquido probabilmente disinfettante. Non lo ricordavo. L'anno scorso evidentemente non mi sono accorto perché lo schizzo è piccolo e veloce, mentre ricordo perfettamente di essere stato ben innaffiato quando, uscito dalla Turchia, stavo rientrando in Bulgaria dalla parte del Mar Nero. Deve essere una fissa dei bulgari di disinfettare chi entra. Comunque è bene ricordarselo perché con i finestrini aperti lo spruzzo entrerebbe. Mi ha dato la sensazione di una benedizione e non so se devo ridere o meno di questo pensiero.
La Bulgaria è filata via tutta velocemente. Ho perso la prima ora di fuso orario, ora sono un'ora avanti. Volevo lasciare la Bulgaria oggi stesso ed entrare in Turchia, ma arrivo in zona confine quando ormai la luce del giorno sta per lasciarmi. Dovrei fare con il buio tutta la trafila alla frontiera, trovare ed attivare una sim e comprare il bollino autostradale che è un ricaricabile ed è il peggior sistema che ci sia, almeno a mio parere (Un viaggio in solitaria 3). Considerando anche che qui in Bulgaria sarà l'ultima volta che potrò utilizzare la mia sim italiana come a casa, provo a vedere i prezzi per il dormire nei pressi del confine. Trovato a 20 euro dopo aver prima prenotato e subito disdetto un'altra struttura che non mi convinceva. Superpulito, ma una cimice la trovo pure qui. In questo periodo cercano riparo dal freddo incombente e si ficcano dappertutto. La strada d'ingresso al paesetto in cui mi trovo è piena di Game House e Casinò con grandi insegne luccicanti di carte da gioco, donnine in abiti succinti e scritte in turco. C'è bisogno di spiegare? Credo sia superfluo. Il confine è a soli 16km. Il paesino si chiama Svilengrad, non ho tempo e voglia per ricercare la reale etimologia del nome Svilen, ma certo che “Città di Svilen” salta all'occhio dopo aver visto l'ambiente. Devo spegnere al volo il motore stanco e provato da centinaia di chilometri senza sosta ed accostare perché mi chiama al telefono la struttura che ho disdetto. Quando riparto l'Ammiraglia ha dei saltelli, come dei colpi di tosse. Dovrebbe essere la carburazione ed è un difetto di gioventù. Decenni fa mi accadeva di fermarmi ad un casello autostradale dopo molta strada (intendo sempre varie centinaia di chilometri) e mi si spegneva da solo il motore. Nulla, ma ogni alito di farfalla non previsto mi fa rizzare i pochi capelli in testa. Purtroppo per vari motivi soprattutto burocratici ho dovuto rimandare la partenza e sono al limite con il visto iraniano e pakistano e la cosa mi costringe a queste lunghe cavalcate senza sosta che volevo evitare all'Ammiraglia, cavalcate che non si sono ancora concluse. Ceno con il pollo di ieri portato via dal ristorante e… non riesco nuovamente a finirlo. Incredibile e non sono certo una boccuccia di rosa.
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Mappa del viaggio
(questo link aprirà sempre tutti i post, lo ritengo fondamentale)
Parto con molta calma sotto una pioggia battente. 6 gradi che pian piano si scaldano fino agli 11 massimi. Il sud è ancora lontano. L'amaro in bocca si attenua a seguito di incoraggiamenti giunti da varie fonti, al punto che forse è meglio puntualizzare qualcosa.
Ero molto indeciso sul fatto di iniziare a pubblicare i miei scritti in contemporanea con la partenza. Pensavo di aspettare almeno un mesetto per evitare di iniziare qualcosa che magari dovrò interrompere molto velocemente senza aver concluso granché di quanto mi propongo.
Se non prenderete in considerazione il fatto che potreste vedere andare in fumo il lavoro, il tempo ed il denaro investito prima ancora di partire, beh non ci provate nemmeno.
Ho comunque deciso di pubblicare immediatamente. Se dovrò interrompere molto presto, almeno ci avrò provato. Solo fra un paio di mesi il tutto comincerà ad avere senso, fra quattro o cinque ne sarà valsa ampiamente la pena, oltre… beh sarebbe un sogno. Al completare tutto al momento attribuisco una probabilità tra lo zero e l'uno per cento e non è scaramanzia ma freddo ragionamento.
Quindi dico piano con i complimenti, riferendomi ai commenti che mi arrivano direttamente o dal web. Tra i migratori visti anche oggi passare sulla mia testa mi ha quasi fatto commuovere un gruppetto di splendide grandi oche proiettate con il lungo collo disteso verso il richiamo ancestrale del sud. Ai lati dell'autostrada, che taglia la campagna serba, molti grandi rapaci mi hanno fatto tentare qualche scatto e ricordato le difficoltà di queste situazioni ampiamente verificate in altri viaggi soprattutto in Australia. Finché gli passi davanti a 100 km/h restano immobili, ma se rallenti scappano immediatamente.
Salto la piacevole Belgrado, visitata l'anno scorso, e mi fermo a pochi chilometri dall'autostrada in un paesino turistico sulle sponde della Grande Morava.
Inizio anche con le informazioni pratiche di vario genere per chi volesse seguire le mie orme, informazioni che dall'Iran in poi acquisteranno importanza visto che non se ne trovano per niente o quasi in riferimento a spostamenti con un mezzo proprio.
Ieri sera avevo speso 28,50 euro per una doppia con bagno, adesso ben 13 euro per una tripla. Primo pasto al ristorante che si trova esattamente sotto l'affittacamere. Zuppa di pollo molto orientale, insalata molto greca ed una porzione di pollo ai ferri e patatine che sfamerebbe una squadra di calcio. Me la faccio mettere via quasi tutta. Mi servirà domani. Costo circa 9 euro.
-------------------------------------------- Giorno 1 – 09 Nov 2019
Mappa del viaggio
464.200 chilometraggio dell’Ammiraglia alla partenza.
Mentre mi dirigo verso nord per aggirare l'ostacolo Adriatico, piccoli gruppi di migratori mi sorvolano in direzione opposta. Lassù l'unico ostacolo può essere una pallottola di qualche idi-ota quaggiù. Io invece dovrò superare ostacoli fisici e psicologici prima di giungere ai luoghi in cui quest'anno spero di svernare. Abbassandomi dall'Appennino, San Luca mi saluta ricordandomi che è stata la causa del mio nome in una Bologna di 59 anni fa in cui mia madre penosamente soggiornava con me già presente quando ancora il veloce scorrere del conteggio dei miei anni non aveva avuto inizio.
Questa partenza tanto voluta ed inseguita, forse da una vita, mi lascia un sapore amaro in bocca. Il lentissimo distacco terrestre che chilometro dopo chilometro mi allontana da casa per un tempo imprecisato e la nebulosità, l'incertezza dei futuri mesi che nei precedenti viaggi in solitaria erano fonte di energia, oggi li sento addosso come un fardello non semplice da scaricare. Arriveranno certamente in mio soccorso il nuovo, l'imprevisto e la scoperta che però non potranno aiutare chi lascio a casa. Un semplice ringraziamento a mia moglie è ben poca cosa paragonato alla sofferenza che questo inizio di indefinita assenza sta alimentando, sommandosi a recenti dure prove che per quanto positivamente risolte non hanno ancora gioito della parola fine.
Con un pesante carico di pensieri, speranze e dubbi, dopo aver abbandonato l'Italia e raggiunto con Lubiana il punto più a Nord di tutta questa prima parte di viaggio ancora agli inizi, punto il muso dell'Ammiraglia verso sud-est. Venti chilometri circa a sud di Zagabria mi fermo per la prima notte fuori casa ed inizio a scrivere queste prime incerte righe. Aver iniziato senza premesse e senza inquadrare bene quanto mi accingo a vivere può certamente disorientare qualcuno, ma non avevo voglia di lunghe indicazioni orientative anche perché, e me ne scuso, scrivo fondamentalmente per me stesso. Qualcosa però è indispensabile, qualche informazione sommaria che forse più in là approfondirò. Spero si capisca dalle parole non casuali che userò che c'è molto di più del semplice significato delle frasi seguenti.
Già da qualche anno avevo deciso di acquistare un anno della mia vita ed appena è stato economicamente possibile l'ho fatto senza indugio. A 58 anni suonati poteva essere l'ultima chance. Un anno sabbatico da dedicare al luogo in cui sono nato e cresciuto, questo pianeta. L'Asia è una scelta dettata dalla normale impossibilità di muovermi in mesi diversi dai periodi estivi, mesi in cui almeno il Sud è quasi improponibile come meta di viaggio. A questo è da aggiungere la voglia di regalare alla mia auto, fedele ed affidabile compagna da 30 anni, l'Ammiraglia, una avventura finalmente alla sua altezza o in alternativa una fine da ricordare, degna di poche altre quattroruote. L'ottenimento di documenti per l'auto e visti per me è stato snervante, lungo e tanto distante dalle mie utopie da farmi pensare di rinunciare. Nel luogo in cui sono nato non posso muovermi liberamente, ma devo chiedere il permesso a qualcuno e cosa ancora più strana tutti sono contenti di essere rinchiusi perché si sentono al sicuro e cercano strenuamente di difendere poche briciole di illusoria ed ingannevole felicità persuasivamente imposte, difenderle da chi non ha diritto nemmeno a quelle.
Per adesso mi fermo qui.
I primi due viaggi in solitaria, che sono diventati dei libri, li potete leggere senza restrizioni accedendo dal mio sito www.gianlucatomarchiovasta.com menù BOOKS, click sulle immagini dei libri e successivamente su Anteprima.
Le nazioni che sto velocemente scorrendo adesso con l'unico scopo di arrivare velocemente ad Istanbul, porta dell'Asia del Sud, le ho già attraversate con più calma l'anno scorso, sempre con l'Ammiraglia, visitandone alcuni luoghi. Il racconto lo trovate sempre sul mio sito, menù TRAVELS, Un viaggio in solitaria 3 – Est Europa,
mentre su TRAVELS, Un viaggio in solitaria 4 – Anno sabbatico, il resoconto di questo viaggio che sarà anche su www.juzaphoto.com/topic2.php?l=it&t=3375372 . La differenza tra i due scritti potranno essere le foto ed i video pubblicati via via. In linea di massima su Juza immetterò probabilmente più foto di volatili.
Per quanto riguarda invece FaceBook inizieró la pubblicazione anche sulla pagina
www.facebook.com/unviaggioinsolitaria/ , ma dato che ritengo questa piattaforma pessima per seguire questo genere di scritti (e pessima in generale), con molta probabilità smetterò la pubblicazione degli aggiornamenti. In questo viaggio potrete anche seguirmi on the road facilmente e con precisione al link che trovate sotto l'íntestazione in cui, se presenti su Google Maps, potrete vedere con assoluta precisione tutti i luoghi visitati e quelli in cui dormirò. Gli scritti ne risulteranno così parzialmente alleggeriti.