Al confine di Taftan scopro finalmente che Hamid dovrebbe essere un funzionario della dogana avendo qui anche un ufficio. Il condizionale che uso si può capire solo con una esperienza diretta di luoghi e situazioni simili ed in caso contrario risultare totalmente incomprensibile.
Hamid è di enorme aiuto e si occupa di ogni documento e per tutti i suoi servigi non spendo una lira come per la cena di ieri, anzi ho risparmiato con la benzina che non ho pagato. Quindi non posso che unirmi al coro e consigliare anche ad altri di contattarlo se si passa di qua. A me e Silvia si unisce anche un'altra giovanissima ragazza cinese arrivata al confine autonomamente ed Hamid si occupa anche di lei. Avendo l'auto io devo passare attraverso altri uffici e mi separo da loro due. Purtroppo l'aiuto di Hamid termina con il lato iraniano.
PAKISTAN
Le formalità in Pakistan non sono così complesse come mi aspettavo e c'è sempre qualcuno che via via ti dice dove andare. Nei primi ampi saloni, ai banchi di funzionari che espletano varie formalità, sono fianco a fianco con un'umanità in transito che già ora mi permette di capire quale taglio netto ci sia con tutto ciò che si trova ad ovest di questo confine.
Vengo poi preso in carico da quello che dovrebbe essere un poliziotto, senza alcuna divisa e ne vedrò altri persino in abiti tradizionali, che facendomi da staffetta in moto mi porta finalmente oltre la dogana alla stazione di polizia dove ritrovo le ragazze,
e da qui a piedi vengo portato ad un ultimo ufficio per i timbri sul Carnet de Passage.
Queste informazioni le scrivo dettagliatamente perché online di questa frontiera c'è pochissimo, quasi nulla, e molti viaggiatori non vi accennano nemmeno. Chiaramente qui tutto è allo stato liquido e domani potrebbe avere una forma totalmente diversa, questo è sempre e comunque da tener presente.
Per fare una foto al cortile della stazione di polizia metto i piedi dentro un piccolo spazio delimitato da file di sassi ed immediatamente mi dicono di uscirne, è la loro moschea. Quello spazio è sacro ed io con le scarpe lo sto profanando.
Apprendo che è impossibile proseguire senza scorta e che ne organizzeranno per noi una domani mattina, quella di oggi è partita stamattina verso le 9 o le 10 con una coppia di bulgari in auto ed un serbo in bicicletta. Comincio a fare un po' di teatro a cui mi ero preparato. Faccio vedere la carissima, 50 euro a notte, prenotazione di un hotel a Quetta città in cui si arriva con la scorta e parlando con vari funzionari, cercando di capire dall'atteggiamento quali sono i più alti in grado, alla fine riesco ad ottenere che si parta subito… quasi subito. Si va, anche le ragazze sono contente e mi metto tranquillo e concentrato per una lunga veloce guida anche notturna. Dopo un chilometro sosta all'adiacente viaggio di Taftan per il rifornimento. Io non ho problemi.
L'impatto con il Belucistan è duro. Siamo a due passi dall'Afghanistan e qui le etnie si mischiano, ma la curiosità delle mille profonde evidenti differenze con l'Iran sono quasi annullate dal vedere la totale indifferenza verso una vita immersa in una gigantesca umida pattumiera in cui nuotano o volano rifiuti, che qui sarebbero assolutamente superflui, comunque arrivati al seguito di un ipotetico progresso che, solo, non conosce confini e non necessita di visti.
Mi ritornano in mente, e chissà quante altre volte accadrà, i due giovani pastori solitari e sperduti con il pranzo in due fazzoletti intrecciati invece che in una comoda e facilmente reperibile e sostituibile busta di plastica.
Finalmente si parte. La sequenza di cambi di auto, a cui io non sono fortunatamente costretto per via dell'Ammiraglia, e di checkpoint è impressionante. Per i primi 100 chilometri facciamo una sosta mediamente ogni 7 od 8, estenuante. In mezzo si viaggia a non oltre 60 o 70 chilometri orari e l'Ammiraglia soffre per motivi totalmente diversi da quelli attesi. Ai checkpoint, su quaderni approntati in maniera sempre diversa, occorre ogni volta scrivere nome, cognome, numero di passaporto, nazionalità, date di scadenza e validità del visto, e così via. Va peggio dove invece a scrivere è un qualche poliziotto o militare che capisce a stento cosa gli diciamo ed ha difficoltà con i caratteri latini. Fortunatamente, nonostante la grigia giornata annuvolata, il paesaggio di questo deserto mi distoglie dalla monotonia e lentezza dello spezzettato procedere. In alcuni tratti particolarmente ventosi e pianeggianti, da basse dune a volte di tipo sahariano la sabbia si solleva e ricopre tratti di asfalto.
Si è fatto buio e la velocità delle scorte rallenta ulteriormente. Abbiamo percorso solo 250 chilometri dei 650 totali. Andiamo così piano che guidando ho potuto tranquillamente mangiare con un cucchiaio e senza problemi una scatola di fagioli della mia dispensa italiana accompagnandola con del pane arabo iraniano. Non si è versata nemmeno una goccia e non è caduto nessun fagiolo. Metto addirittura la lampada frontale e leggo qualcosa sempre mentre guido tenendo d'occhio l'auto dei Levies, così si chiama la polizia che ci scorta, davanti a me. Questo può forse dare il senso della situazione. Ormai è buio da un pezzo e nemmeno la lettura riesce a tenermi sveglio e distogliermi dalla noia non più mitigata dal panorama che è diventato oscuro. Mi monta la rabbia. Mi fermo a lato strada ed aspetto a vedere che succede. Tornano indietro a cercarmi dopo un po'. Gli spiego che non posso guidare a quella velocità ridicola di notte perché sono stanco e mi addormento. Ok, andremo più veloci… a parole. Nessun sensibile cambiamento. Veramente furibondo e senza problemi a tenere gli occhi aperti, li sorpasso. Immediatamente li distacco anche se non posso andare oltre i 90 chilometri orari per via dei numerosi camion e della strada stretta e spesso dissestata. Li rivedo dopo una quindicina di minuti nello specchietto. Hanno acceso le luci rosse e blu rotanti e mi stanno venendo a riprendere. Mi preparo a ricevere una bella strigliata. Invece mi si mettono dietro, mi segnalano con i fari che ci sono e non mi superano. Mi fanno continuare davanti. Più che aver capito, sanno cosa succederà dopo poco. Questo procedere finalmente adeguato al lungo percorso viene infatti interrotto dopo pochi chilometri. Mi superano e ci fermiamo in uno dei pochi villaggi di media grandezza che si trova all'incirca a metà strada, Dalbandin. C'è un hotel e capisco che non hanno affatto intenzione di andare oltre per oggi. Faccio abbastanza casino spiegando dell'hotel prenotato, dei soldi che perderò, del fatto che alla partenza avevano detto che saremmo arrivati a Quetta. Fanno arrivare da un checkpoint più avanti un più alto in grado, mi dicono di aspettare dieci minuti e che dopo potremo continuare. Balle. Quando arriva non fa altro che ribadirmi comunque gentilmente che non c'è nulla da fare e mi spiega che è pericoloso continuare di notte anche se è molto vago nello spiegare perché. Stavolta non ottengo nulla. Oltretutto fermi qui ci sono anche la coppia di bulgari ed il ciclista serbo partiti da Taftan svariate ore prima.
Le ragazze sono costrette a prendere comunque una stanza perché alla richiesta di mettere la tenda nel parcheggio dell'hotel, chiuso da un robusto cancello, viene loro detto che lì non possono garantire della loro sicurezza. In quella che prendo io scelgo di dormire sì sul letto, ma con il mio sacco a pelo. In bagno lo sciacquone non funziona, lo apro per controllare e dopo un po' mi rendo conto che non ci sono proprio i tubi che portano l'acqua. Una piccola brocca da riempire ad un rubinetto vicino è il vero scarico. Mi farò portare un secchio più grande. Il lavandino non ha scarico e l'acqua viene deposta in terra da un tubo e scorre per qualche metro fino ad un buco che la smista chissà dove. Ovviamente non avrebbe senso che ci fossero acqua calda e riscaldamento. Un divano sfondato completa l'arredamento. La stanza e l'hotel sono una scenografia, dei vecchi e sbiaditi pannelli posticci in cui è solo malamente disegnato lo sconosciuto occidente che arriva in questi luoghi che oltrepassano anche il concetto di frontiera. Sarebbe molto meglio stare sotto una tenda con il deserto come sala da bagno. Nei centri abitati incontrati ho visto la stessa situazione. Dove le costruzioni erano ancora quelle tradizionali di questi luoghi, in mattoni cotti o crudi fatti di terra ed acqua, l'insieme aveva un aspetto gradevole e soprattutto relativamente pulito nonostante l'immensa povertà del vivere. Dove invece c'era una rappresentazione di luoghi così lontani dal quotidiano da non essere per nulla noti, con costruzioni in mattoni di cemento e negozi pieni di coloratissima ma povera mercanzia, e quindi una disponibilità economica certamente superiore, l'unica cosa che risaltava era il degrado. Qui, nonostante gli spazi immensi e vuoti a disposizione, non ho per nulla notato nemmeno la comune pratica del seppellimento dei rifiuti appena fuori dai luoghi abitati, semplicemente il problema sembra non esistere esattamente come non esisteva molti decenni fa nell'assenza di materiali che non fossero organici.
Anche se ancora non ne ho esperienza sono certo che questo non è il Pakistan, queste sono zone presenti quasi ovunque sul pianeta, zone oltre le frontiere e che non necessariamente devono trovarsi isolate geograficamente. La purezza del desertico ed immacolato immenso nord Belucistan non fa che amplificare le sensazioni negative dei vari concentramenti umani.
Sono un tipo abbastanza freddo da non cadere nella trappola della mitizzazione romantica del mio viaggiare, ma se vi chiederete e mi chiederete se tutto ciò intacchi il mio interesse per questi luoghi risponderò che anzi lo amplifica, se vi chiederete e mi chiederete se tutto ciò possa aumentare, come qualcuno ha scritto, la contentezza per una nascita in luoghi in cui questi mondi sono colpevolmente e volontariamente ignorati risponderò che non provo alcun piacere per una vincita al lotto totalmente indipendente dalla mia volontà che anzi dovrebbe essere fonte di maggiore ed invece totalmente inesistente responsabilità ed infine se vi chiederete e mi chiederete se tutto ciò mi faccia attenuare le critiche feroci che spesso faccio al mondo decadente in cui vivo vi risponderò che le accentua perché vedo ed ho sempre visto le sue responsabilità secolari e cito ciò che ho imparato in giovane età da chi è stato per la mia crescita mentale più importante dei miei stessi genitori, “anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti” che vale anche per gli stessi che qui cercano di dare come tutti un senso al vivere e che non mi sogno assolutamente di vedere solo dalla parte di vittime.
Rivedo spesso sul computer, e mi dispiace di non riuscire ancora e chissà fino a quando ad inserire altri filmati, il saluto che casualmente ho registrato di uno dei due pastori già citati e che certamente sto mitizzando al di là del reale a causa dei pochissimi minuti trascorsi con loro. Quello che importa però non è la possibile diversa realtà, ma quanto ne ho ricavato. È stato un saluto finale secco, netto ed immediatamente, di scatto si è girato verso la vallata ed il gregge. Il saluto di chi vuole evitare qualunque cosa possa distoglierlo dal suo mondo, qualcosa di pericoloso che possa attivare in lui pensieri ed azioni e speranze e miti che lo potrebbero distruggere. Una difesa dalla conoscenza e dalla consapevolezza al di fuori dell'immediato e del presente. Altro di cui comunque sa, altro che lo ha portato a possedere un comodo cellulare, altro che certamente è allettante, altro a cui consapevolmente non riuscirebbe a rinunciare.
Spesso ho pensato che il vero problema dell'uomo è proprio la consapevolezza di sé cioè quanto di più esaltato ed esaltante abbiamo di diverso ed unico. Penso spesso romanticamente che gli animali abbiano consapevolmente rinunciato alla consapevolezza per non modificare lo stato metafisico dell'universo. Se la leonessa acquisisse consapevolezza inizierebbe ad uccidere più gazzelle possibile quando in forze per non rischiare di morire di fame in caso di malesseri che le impedissero di cibarsi in futuro e poi probabilmente passerebbe allo scambio per potersi ogni tanto gratificare con della buona carne di canguro portata da oltre oceano. La singola gazzella da parte sua non riuscirebbe ad accettare il suo ruolo di food e cercherebbe magari di organizzarsi con altre per non rischiare giorno dopo giorno di essere uccisa e poi, come potrebbe da essere pacifico accettare un atto che immediatamente moralmente definirebbe e percepirebbe violento e crudele? Il corpo umano, se ne escludiamo la limitata durata, è un altro esempio di stato metafisico. Ogni singola cellula assume un ruolo ben definito ed indispensabile al benessere dell'universo corpo e siamo noi che moralmente diamo più importanza a questa o quella specializzazione cellulare. In realtà abbiamo bisogno che tutte le nostre cellule continuino indisturbate ed inconsapevoli a fare il proprio lavoro che siano le esaltanti e celebrate cerebrali o le poco appariscenti dei tessuti gluteali. Anche qui romanticamente ho sempre interpretato come una presa di coscienza del sé lo svilupparsi di una cellula tumorale, una cellula che non accetta più il proprio ruolo e cerca di sopravanzare in importanza qualunque altra.
Se ho ragione allora l'uomo non è in grado di cogliere alcunché della metafisicità dell'universo e “…gli esseri umani sono un'infezione estesa, un cancro per questo pianeta…” .
I dinosauri hanno dominato il pianeta per 160 milioni di anni e ce lo hanno lasciato senza modificarne il corso, noi in 2 milioni di anni probabilmente non abbiamo ormai più la possibilità di salvarlo da noi stessi. E questa la chiamiamo intelligenza.
L'espresso che riesco a prepararmi perfino in questa posticcia inospitale diroccata replica di occidente mi rinfranca come mai prima e mi mette perfino di buon umore. Tutti provati dalla nottata ripartiamo per gli ultimi 350 chilometri.
La colonna si è arricchita dell'auto dei bulgari e della bicicletta del serbo che intende arrivare a giugno in Giappone per le olimpiadi. Ovviamente la bicicletta viene caricata ed intasa il già precario spazio dei mezzi dei Levies che spesso sono dei pick-up malamente riparati dal vento in cui le ragazze ed il serbo soffrono il freddo.
L'Ammiraglia è la mia oasi. La giornata è oggi piacevolmente soleggiata. Non oso immaginare le temperature estive.
La velocità e le continue interruzioni restano immutate con l'aggiunta di soste per il tè.
Avvicinandosi a Quetta i villaggi migliorano nell'aspetto. Le pompe di benzina moderne sono pochissime ed alcune sono in fase di installazione, molti vendono carburante lungo la strada nelle taniche, io ho le scorte iraniane. Con il sole gli incredibili addobbi dei camion pakistani famosi in tutto il mondo brillano coloratissimi. Sul retro hanno spesso anche il ritratto del conducente.
Check Point e caserme non hanno mai fine. Studenti escono da scuola. Compro e mangio due uova sode da un ambulante ad una sosta. Belle panciute ciminiere sfornano mattoni in cotto. Un solitario negozio è affiancato da una moschea Dogvilliana che sembra disegnata in terra da Von Trier.
Arriviamo a Quetta con il buio, in alcuni tratti siamo andati a 50 orari e sono sfinito. Prima della città apprendo che all'hotel prenotato per ieri, a cui comunque volevo andare per cercare di non perdere la cifra pagata, non possono accompagnarmi perché solo tre hotel di Quetta sono abilitati ad accogliere stranieri. Fortunatamente non ho avuto al momento prelievi sulla carta di credito. Ci porteranno all'Hotel Bloom Star. Bloom… ed immediatamente le mente mi porta a Leopold, Joyce ed all'Ulisse letto molti anni fa e certamente il testo più complesso mai affrontato. Sulla camionetta dei Levies le ragazze ed il serbo sono stipati al punto che l'unico soldato deve tenere in mano il recipiente metallico con un fuoco di legna acceso dentro che poco può contro il freddo ormai intenso della notte.
Da qui in poi non riesco più a fare foto perché devo restar loro incollato a meno di un metro. Appena lo spazio tra noi si allarga di pochi centimetri vi si infilano tutti i veicoli e pedoni circostanti senza alcuna paura di scontrarsi con me o tra loro. L'ingresso a Quetta è una vera e propria odissea e per la prima volta nella mia vita mi chiedo se sarò in grado di affrontare, al timone di quella che mai come ora a ragione chiamo Ammiraglia, il mare in tempesta in cui sono. Migliaia di individui, risciò a motore, moto, biciclette, auto e camion si contendono in un caos senza eguali una piccola strada ai cui lati scintillano botteghe di ogni sorta. L'aria è gioiosa e festante. Le donne a volte solo con gli occhi scoperti hanno, a differenza dell'Iran, vestiti colorati. Il poliziotto con la mano cerca inutilmente di far allontanare tutti quelli che si avvicinano strombazzando a meno di dieci centimetri e penso che è un bene non ci siano ancora veicoli volanti perché almeno da quella direzione sono certo che non arriverà nulla.
Incatenato all'auto dei Levies tra questi impazziti flutti cerco di mantenere la calma per poter almeno ascoltare, senza il filtro cerato e rassicurante dei finestrini che ho parzialmente abbassato, il richiamo pericoloso delle circostanti mille sirene che vorrebbero distrarmi dall'attenzione al mantenimento della rotta. I miei occhi devono restare incollati sull'assenza della targa della mia scorta.
Dopo mezzora di questo procedere ci fermiamo in mezzo al mare formando un piccolo scoglio con i veicoli per poter parlare tra noi. Si va direttamente all'hotel Bloom senza passare dalla stazione di polizia. Il parcheggio privato ci si apre come un porto sicuro che si richiude dietro di noi. Spero vivamente che non sia così sempre in Pakistan ed India.
Pessime notizie. Domani è sabato e fino a lunedì non possiamo avere il NOC, il permesso per stare in Belucistan indispensabile per andar via da Quetta. Nessuna alternativa. Lo stesso dicasi per l'acquisto di una sim che è possibile per noi stranieri solo in grossi centri anch'essi chiusi. Non è finita qui. Con o senza NOC non possiamo comunque mettere nemmeno il naso fuori dall'hotel e mi sarà negato pure il recarmi ad un ristorante di fronte ed a non più di cinque metri dall'ingresso del parcheggio. Io mi rassegno anche perché ho molto da scrivere e lavorare e soprattutto devo fare una sosta che probabilmente non mi sarei concesso volutamente, le ragazze ed il serbo riescono a farsi portare alla stazione di polizia per non pagare le stanze, mentre la coppia bulgara non accetta la situazione, ha un visto che scade il 28 e deve anche riprendere quello iraniano dato che il Pakistan è il punto di arrivo del loro viaggio. Non ottengono ovviamente nulla e si rassegnano anche loro a questa per me confortevole prigionia. Non erano preparati a tutto ciò, è evidente, fanno dei paragoni improponibili con l'Iran. Come dico loro l'Iran, pur con le sue notevoli differenti peculiarità, è ancora fondamentalmente Europa mentre qui ha inizio la vera Asia. La mia amata Penelope dalla nostra Itaca mi fa giustamente osservare che in Iran c'era lo Scià che era legatissimo all'occidente ed è rimasta qualche traccia di questo legame. Devo però chiarire per l'Iran che quanto affermo credo sia quasi impossibile da percepire se scaricati da un volo senza un lento spostamento di terra verso l'est.
La temperatura notturna è sotto lo zero, l'acqua bollente e la stufa a gas che fortunatamente non puzza sono una benedizione. Colazioni, pranzi e cene mi vengono serviti in camera ed a volte li consumo al sole in giardino. Un giardiniere anziano in turbante elimina qualche coraggiosa erbaccia che si ostina a crescere in questo ormai iniziato inverno e, mentre mangio, mi fa sentire un aristocratico inglese di un secolo fa. Letto decente. Niente di lussuoso né di paragonabile agli hotel iraniani, ma c'è l'indispensabile per il comfort e sufficiente pulizia al costo non alto di circa 17 euro a notte chiaramente pasti esclusi. Passo due giorni prevalentemente a scrivere ed a leggere. Qualche blackout elettrico interrompe ogni tanto le comunicazioni. Del terremoto nel nord qui non c'è stata nessuna percezione. Sono sereno e parzialmente rilassato mentre i due bulgari, soprattutto la moglie, passano almeno il primo giorno visibilmente alterati. Non nego che rimarrei ancora e non è detto che non debba farlo per forza. Penso di andare direttamente a Multan invece che a Sukkur, per essere già più a nord, ma fino a lunedì, in questo mondo di poche certezze che non mi disturba, non saprò nulla di preciso e quindi è inutile fare programmi, solo liquide ipotesi.
Verso le 11 veniamo prelevati dai Levies e scortati all'ufficio per ottenere il NOC, il permesso per il Belucistan che ancora non so assolutamente a che serve visto che non ti puoi muovere senza scorta anche possedendolo. Forse per il ritorno. Sono arrivati tutti in moto e quindi io ed i due bulgari dobbiamo stiparci all'interno di un Tuk-Tuk, dei risciò a motore chiusi a tre ruote poco più piccoli di un'ape Piaggio. Giá provati in Cambogia sono divertenti e sgusciano dappertutto. Sono il principale mezzo di trasporto nelle città.
La situazione agli uffici è interessante. Grandi archivi pieni di incartamenti. Ci sono i computer, ma ancora funziona tutto con il cartaceo. Per il permesso non c'è stato alcun passaggio telematico di alcun tipo. Accanto alle scrivanie hanno stufe a gas ormai annerite e deformate dall'uso e soprattutto pentole e grossi fornelli da campeggio con cui prepararsi thè e qualunque altra cosa, comodo. Qui incontro altri viaggiatori.
La gerarchia è evidente e ferrea. Dopo un paio di giri, alla fine siamo condotti da un serissimo mega direttore galattico con enorme scrivania, abbigliamento occidentale e piccola schiera di ossequianti segretari. Con lui restiamo solo per il tempo di una sua firma, ma è chiaramente il passaggio chiave. Nel suo ufficio la stufa è nuova e non ci sono fornelli.
Chi non ha l'auto viene poi condotto alla biglietteria della stazione per prendere il treno. Riesco a rubare una foto ad uno sciuscià a cui permettono di sedersi per terra vicino alla camionetta in cui siamo stipati in 10, solo perché la ragazza cinese vuole farsi lucidare le scarpe.
Chiedo di essere portato ad acquistare una sim e mi scortano fin dentro un ufficio della compagnia telefonica Kong che dovrebbe essere la migliore e con connessione ovunque. Ci sono sei sportelli ed almeno 50 persone in attesa. Mi fanno passare avanti a tutti. La febbre per i cellulari non ha confini. 30 Gb per un mese a circa 10 euro.
Sono ormai le tre ed è ovvio che la prigionia non è finita. Altra notte in hotel, si parte domani mattina scortati. Io ho beccato il fine settimana, ma comunque per arrivare dal confine iraniano ed essere poi fuori dal Belucistan liberi di muoversi occorre calcolare almeno quattro giorni. Enjoy.
Finalmente arriva quello che dovrebbe essere l'ultimo giorno con i Levies.
Io e la coppia Bulgara dopo poco ci uniamo ad un'altra coppia olandese conosciuta ieri agli uffici per il NOC con un bel Toyota sei cilindri in cui dormono anche. Ovviamente il Toyota è privo di elettronica. Questi sono viaggi che sarebbe abbastanza folle affrontare con auto recenti che vengono vendute ormai pubblicizzandone i gadget e non i motori. Non hanno lasciato a casa il loro grosso cane che ogni tanto sporge la testa fuori anche lui incuriosito. Nei paesi islamici i cani, ormai popolarmente visti come impuri, non hanno certamente vita facile. Per qualunque razza alcune centinaia di chilometri possono segnare una casuale immensa differenza di vita.
Fortunatamente i cambi ed i controlli sono adesso di gran lunga inferiori e questo mi costringe però a scattare prevalentemente al volo ed alla cieca mentre procedo. Lo spettacolo che si rappresenta lungo le strade è sempre vario, per me inconsueto ed affascinante.
L'unica auto della carovana che è dotata di elettronica, quella dei Bulgari, comincia ad avere problemi. Dapprima pensano che al rifornimento abbiano loro messo benzina al posto del diesel e vengono quindi trainati dal Toyota, ma poi fortunatamente questa ipotesi viene scartata e si rimettono in marcia. Anche la batteria non ce la fa e si deve far ripartire l'auto collegando a quella del Toyota. Con lo scandinavo commentiamo che la sua e la mia continuerebbero ad andare all'occorrenza anche senza batteria. Alla fine sembra “solo” un problema di filtri aria e carburante che però tende a far arrestare l'auto in attesa di soccorsi e ne fa abbassare notevolmente la potenza. L'olandese è evidentemente esperto e sostituisce ad un certo punto il filtro aria con un pezzo di t-shirt per impedire che l'elettronica non permetta di procedere.
Al confine tra Belucistan e Sindh i Levies ci lasciano nelle mani della normale polizia pakistana. Si è fatto buio ed i cambi scorta, mentre ci avviciniamo a Sukkur, diventano frequenti e sono effettuati al volo senza fermare la colonna. La precedente rallenta e seguiamo la nuova che si è già avviata. A non più di 10 chilometri da Sukkur, in uno strombazzante traffico già intenso e caotico, ci perdiamo la scorta. Ci sono auto private che hanno delle piccole luci lampeggianti rosso-blu come quelle della polizia e clacson che ricordano la sirena. Il bulgaro ad un cambio si mette a seguirne una, ma è evidente che non si tratta della nostra scorta anche perché procede a 100 km/h quando al massimo andavamo a 70. Questo scambio è potuto accadere perché a volte le auto della scorta sono delle normalissime vetture private. Dopo un po' lo sorpasso e lo blocco. Anche gli olandesi si erano accorti dell'errore, ma era meglio restare insieme e quindi come me non si sono fermati. Ormai è buio e dopo aver atteso invano per una decina di minuti l'arrivo della smarrita scorta decidiamo di procedere verso un hotel in mappa a pochi chilometri. Domani si vedrà.
In un anonimo e qui sconosciuto giorno di Natale mi separo dai casuali compagni di viaggio. L'hotel ha comunicato di noi alla polizia che, prima dice di aspettare per scortarci per i non più di 5 chilometri che mancano alla città, poi cambia razionalmente idea. Siamo finalmente liberi. I Bulgari hanno trovato su internet dei rivenditori di ricambi auto e si avviano per primi. Gli olandesi non hanno programmi ed io decido di dirigermi verso Multan. Dopo poco, per la prima volta da solo in Pakistan, imbocco la principale modernissima e recente arteria autostradale del paese che qualche ideogramma che vedo mi fa supporre costruita con il supporto cinese. I rapporti tra i due confinanti paesi devono essere al momento ottimi. La ragazza con gli occhi a mandorla, entrata con me dall'Iran, non aveva avuto necessità di visto.
A velocità di crociera viaggio a circa cinque metri d'altezza rispetto alla campagna circostante. Un terrapieno, interrotto da piccoli sottopassaggi che mettono in comunicazione i due lati altrimenti irrimediabilmente separati, è la base per otto vuote ampie corsie, quattro per ogni verso di marcia compresa quella d'emergenza. Le nuove, poco fantasiose, tutte assolutamente identiche e già completate aree di servizio sono ancora chiuse e solo in un paio ci sono dei furgoni per un veloce pasto, la moschea aperta ed i bagni. Per il rifornimento occorre uscire ai caselli e poi rientrare. I biglietti all'ingresso e la riscossione del pedaggio non sono compito di freddi marchingegni che ti salutano con un metallico e chissà perché solo femminile “Arrivederci”, ma affidati a sorridenti addetti che calorosamente mi augurano buona permanenza in Pakistan ed a volte mi intrattengono in lunghi tentativi di dialogo. Pochissimi conoscono l'inglese.
Costi non paragonabili a quelli italiani, ma nemmeno indifferenti. Per 400 chilometri pago un totale poco superiore ai 10 euro. In ogni caso mi è ormai evidente che i prezzi degli hotel sono mediamente alti, la benzina è poco sotto l'euro al litro e l'economico Iran è ormai un ricordo.
La giornata è padanamente nebbiosa, situazione che resterà pressoché invariata.
Dopo queste necessarie e relativamente interessanti informazioni, veniamo a ciò che invece noto quasi subito ed è totalmente inaspettato ed incredibilmente fruttuoso.
A ridosso della ininterrotta alta rete metallica che corre parallela all'autostrada e che separa due mondi e due tempi lontanissimi tra loro, come impresso su una infinita pellicola, scorre e mi si apre senza veli o interferenze dovute alla mia stessa presenza indagatrice il Pakistan rurale al quale certamente non avrei possibilità di accesso alcuno nemmeno rimanendo qui per mesi. Mi è regalato uno sguardo sopraelevato, privilegiato e soprattutto spesso nascosto nella sua vera portata ai soggetti, che mi fa entrare, grazie ai mezzi fotografici che ho con me, totalmente dentro la vita quotidiana dei campi e delle case dei contadini e delle loro famiglie. Un Pakistan che penso precluso anche agli stessi pakistani dei centri abitati. Dopo un inizio scoraggiante in un paio di piccolissimi villaggi dove la vita si svolge tra i rifiuti, scopro la pulizia oltre che la serenità della campagna i cui sparsi, ma non isolati, occupanti vivono apparentemente in pace con il mondo e con se stessi una certamente povera e dignitosa vita. Una delle poche costanti moralmente negative è la visione del lavoro che è quasi solo femminile con poche eccezioni. A volte gli uomini, che qualche volta controllano e sovraintendono, hanno in mano delle robuste verghe che mi fanno pensare a sferzate di incitamento che spero siano solo nella mia fantasia.
La descrizione delle singole foto della lunga sequenza che segue la lascio ad un lettore che spero attento ai mille particolari più o meno evidenti che evito di sottolineare in modo che ognuno possa coglierne di suoi. Unica nota la riservo alla foto dei bambini che giocano “outside the wall” i quali alla vista del lungo teleobiettivo che fuoriesce dal finestrino, dopo che ho fatto solo un paio di scatti, scappano precipitosamente quasi tutti verso le case alle loro spalle. Una reazione totalmente inaspettata che mi sorprende immensamente e mi fa riflettere, assolutamente identica a quella dei tanti uccelli che casualmente incontro, inconsapevoli del mondo al di fuori delle loro istintive necessità.
Alla fine di questa intensa giornata che da sola, almeno per me, costituirebbe motivo di visita del Pakistan, mi avvio verso l'hotel che dopo una ricerca su internet mi ha convinto maggiormente. Il traffico continua ad essere totalmente incontrollato ed incontrollabile, solo impercettibilmente meno infernale che a Quetta.
All'arrivo un'amara sorpresa, anche a Multan e nel sud del libero e sicuro Punjab in cui sono adesso, solo pochi hotel possono accogliere stranieri. Vengo indirizzato quindi verso il Bling Hotel in cui accetto forzatamente una camera a circa 32 euro a notte. Vorrei rimanerci comunque due notti per visitare la città e qualcosa nei dintorni. Mi dicono che con il buio non posso uscire, ma questo non è un problema.
Santo Stefano in una città considerata sacra dai pakistani credenti, come ho appreso durante una sosta ieri dall'unico che parlava perfettamente inglese dei molti che mi si sono avvicinati durante una sosta. Pare che dal nord in molti si muovano alla volta di Multan per visitare i suoi luoghi sacri. Dopo un veloce check all'Ammiraglia, mentre sto per lasciare l'hotel per un giro in città, mi fermano alla reception e mi dicono che posso uscire, ma solo accompagnato da uno della loro sicurezza. La mia reazione è solo di rabbia e chiedo loro perché ieri sera non mi abbiano informato. Furibondo decido su due piedi di lasciare l'hotel e Multan alla volta di Lahore, non ne posso più di scorte. Con l'Ammiraglia faccio comunque un giro in città. La situazione caotica sulle strade non è razionalmente compatibile con un semplice parcheggio e seguente visita dei luoghi che avevo in mente e che, almeno dall'esterno, non mi sembrano granché. Mi dirigo verso l'autostrada e fortunatamente, capirete tra poco perché, rinuncio anche a tornare indietro per una visita ad un mausoleo 130km a sud saltato ieri per mancanza di tempo. La nebbia è ancor più densa e compatta di ieri.
Faccio il pieno e noto che l'Ammiraglia non regge il minimo ed appena si abbassano i giri del motore si spegne. Strano, ormai ho fatto vari chilometri ed il motore non è più freddo. In autostrada sento che la già poca potenza dei vecchi 1100cc è sensibilmente più bassa del solito. Mi fermo e per tenere il motore accesso devo aprire abbondantemente l'aria. Qualcosa non va di sicuro. Tolgo il tappo del filtro dell'aria e vedo olio dappertutto. Ci siamo. Ecco il primo problema serio. Contatto il mio meccanico tramite Whatsapp. Sta in Cile in viaggio di nozze e mi consiglia intanto di staccare il condotto che va dal tappo dell'olio al filtro dell'aria per non continuare a mandare olio nel carburatore. Mi dice le possibili cause e nessuna è di semplice riparazione. Mi mancano duecento chilometri a Lahore e devo assolutamente arrivarci. L'Ammiraglia non si è mai fermata per strada nemmeno con le fasce rotte e, aggiungendo ogni tanto olio che adesso si sparge sull'asfalto senza fare altri ulteriori danni, entro in città. Con l'aria completamente aperta per non far spegnere continuamente il motore nel traffico mi reco all'Hotel 12J. Pur con una situazione totalmente diversa dalle altre città pakistane, vedo per la prima volta semafori e vigili, ci metto più di un'ora. Niente camere libere. Un gentile tizio che parla inglese e si trova lì per delle foto alle camere da inserire sul suo sito in cui è possibile prenotare online, mi accompagna a piedi ad un hotel vicino anch'esso gestito da lui e mi assicura che è buono e mi farà avere un buon prezzo. Non mi piacciono né le camere né il buon prezzo. Mentre torniamo, in un altro anonimo hotel dei tanti in zona mi fermo io autonomamente ed il prezzo è da furto rispetto alla qualità delle camere. Mi rassegno a ripartire con l'Ammiraglia, ma prima su booking online ne voglio vedere altri. Scopro così che il 12J, nel cui parcheggio sto facendo la ricerca, ha su booking 3 camere libere. Alt! Torno alla reception e mi dicono che non è possibile e mi invitano ad andare avanti nella prenotazione che sarà certamente bloccata successivamente. Completo la prenotazione che in più è non rimborsabile. Ed adesso come la mettiamo? Faccio vedere la conferma. Vanno in crisi. Telefonata al proprietario e dopo gran confabulare e controlli online viene fuori la camera. Miracoli del web. Pure ad un prezzo per qui più che buono di 17 euro circa. Ho finalmente un punto di riferimento. Scarico l'auto per adesso dei soli bagagli, come sempre. Meccanici? Uno a duecento metri. Vado. Capisce al volo di che si tratta. Ok, possibile. Mi chiedono 250 euro per l'intervento. No problem, ma so benissimo che se non aprono il motore la fattibilità ed il costo sono solo dialettica. Scarico tutto il possibile nella camera che fortunatamente è ampia perché da tre posti. L'Ammiraglia stanotte non l'avrò sotto la finestra.
Vado innanzitutto dal meccanico e trovo già il motore totalmente smontato e lo spettacolo dell'Ammiraglia così profanata mi rattrista enormemente. Il danno è il peggiore possibile. Un pistone ha la fascia di guarnizione rotta ed è anche scheggiato e danneggiato. Si parla quindi di necessità del nuovo e non più di riparabile. Diciamo che devo praticamente rifare il motore. Ero preparato mentalmente a questa possibilità. Continuano a ripetermi che è possibile trovare i pistoni nuovi ed altro, ma sarò tranquillo solo dopo che li abbiano trovati, che l'Ammiraglia riprenda a cantare e che continui a farlo per qualche migliaio di chilometri. Purtroppo non ho con me l'albero a camme che avevo trovato in Germania, ma non acquistato, e che sarebbe meglio sostituire. Peccato, ma vediamo prima se trovano i pezzi. Mi riparlano di soldi, non capisco bene, ma è ovvio che la cifra sarà eventualmente diversa dai 250 euro prospettati. Continuano a parlare di 5 giorni per fare tutto. Sarà.
Mi devo recare all'ufficio governativo dove estendere il visto che mi scade il 31 Dicembre. Non distante. Vado a piedi per cominciare a prendere confidenza con il luogo in cui passerò certamente vari giorni. Ad ogni passo farei mille foto e mille domande, ma non ho lo stato d'animo adatto. Solo un venditore di “calia e simenza“ che viene tostata nella sabbia incandescente, con il suo richiamo alla natia Sicilia, mi fa estrarre la Leica per uno scatto veloce.
Mentre passo davanti alla banca in cui so di dover pagare la quota ancora ignota necessaria per ottenere l'estensione, il mondo che al mio sguardo estraneo sembra una totale analogica disorganizzazione mi chiama richiamato proprio dalla mia estraneità. Un addetto davanti alla banca ha i moduli da compilare per il potenziale pagamento e mi aiuterebbe se già sapessi la cifra necessaria. Mi viene in mente il primo incerto e preoccupato approccio con la linea aerea interna in Tanzania in cui la gestione dei voli avveniva solo con il cartaceo e che dopo vari cambi aereo coordinati al secondo e fatti direttamente sulla pista con tanto di velocissimi e perfetti trasferimenti di bagagli, godette della mia incondizionata fiducia che non risultò mai malriposta.
All'ufficio per stranieri ho la buona notizia che, a differenza di quanto mi era stato detto dall'agenzia pakistana di Gilgit, la data di fine validità del visto si riferisce all'ingresso nel paese e quindi ho a disposizione più di un mese ancora dato che il mio ha una durata di 45 giorni. Ho tempo. A sufficienza. Un po' rinfrancato osservo questo pianeta sconosciuto con maggiore attenzione mentre torno in albergo.
Una adorabile gatta, nel caos, nella polvere e nella precaria pulizia della strada, non cede a quanto gli sta intorno e, dopo aver coscienziosamente fatto una piccola buca per i suoi escrementi, la ricopre con cura nascondendoli alla vista ma soprattutto all'olfatto dei rivali nel territorio. Seppur con immensa difficoltà, i gatti sopravvivono certamente meglio dei cani probabilmente tollerati per via della loro funzione derattizzante.
Nel pomeriggio torno dal meccanico. Non hanno trovato i pistoni in due posti, ma stanno cercando da un rivenditore che asseriscono abbia accesso a qualunque cosa si trovi in Pakistan ed ai miei dubbi risponde facendomi vedere una suzuki giapponese che hanno riparato, ma è molto più recente ed il marchio qui è comune e quindi la cosa non mi tranquillizza per niente. Torno in hotel ed a sera Amir, il meccanico, mi viene a trovare e l'unica cosa che mi sembra di capire è che hanno trovato i pistoni e domani pomeriggio mi viene a prendere per portarmi in officina. Ma ci crederò solo quando sarò di nuovo alla guida. Intanto è passato un giorno.
Mi sveglio tardi, resto in hotel in attesa di Amir. Di girare non mi va per niente e poi chissà quanti giorni dovrò stare a Lahore. Ho tempo. Dopo aver vanamente atteso l'arrivo di Amir, nel pomeriggio vado personalmente all'officina. Io la chiamo officina, ma in realtà è qualcosa di completamente diverso. C'è un piccolo rivenditore di accessori auto che mette a disposizione di almeno cinque meccanici, che li condividono, i suoi attrezzi. Le auto da riparare sono posizionate sul piazzale davanti, poggiate all'occorrenza su bassi supporti che le tengono sollevate inclinandole dove necessario. Non esistono elevatori meccanici e credo di non averne visto nemmeno uno nelle migliaia di meccanici osservati al limitare di qualunque centro abitato già a partire dall'est Turchia. Al massimo hanno delle profonde buche sopra le quali viene posizionata l'auto, esattamente come ricordo da noi molti decenni fa. Perciò i clienti arrivano ed un meccanico libero si occupa del guasto. Chiaramente non è una costante e ci sono anche molti meccanici che possono permettersi attrezzi ed officina propri.
Notizie che mi preoccupano sempre di più. Non si trovano pistoni della misura giusta. Avevo purtroppo ragione ad essere dubbioso. Amir continua però a dire che può fare la riparazione. Chiaramente adesso non si parla più di rifare il motore, ma di sostituire l'unico pistone rotto. Mi dice che lo stanno facendo fare apposta e che stasera lo avrà. Mentre parliamo un tizio ben vestito parla al telefono e contemporaneamente spolvera l'Ammiraglia per leggere marca e modello. Si avvicina e tramite uno dei presenti che si sta incaricando di tradurre in Inglese per me quello che dice Amir, mi informa che sarebbe interessato all'acquisto. Mi metto a ridere incredulo e gli dico che non ho affatto intenzione di venderla. Riflettendoci poi, mi dico che forse questo è al momento l'indizio più rassicurante sull'effettiva possibilità di rimetterla in circolazione.
Un altro giorno si avvia alla fine. Vedremo se domani la situazione cambierà nuovamente, come fino adesso è successo, in conseguenza di nuovi sviluppi della trama.
Ero assolutamente cosciente del fatto che avrei avuto questo tipo di problematiche ed adesso sto realmente mettendo a dura prova le convinzioni, che mi hanno indotto a partire, sulla possibilità di un'auto come l'Ammiraglia di poter essere rimessa in sesto in qualche modo. Certo avrei preferito iniziare con qualcosa di meno grave.
Faccio un giro più per noia che per l'effettiva necessità di trovare un cambia valute. A parte una vicina piccola interessante strada disastrata e sporchissima dove si ammassano negozietti di ogni genere accanto alla quale c'è il meccanico, al di là di un grande vialone nel cui spartitraffico è posizionata una schiera di pannelli luminosi che instancabilmente trasmettono pubblicità, è un susseguirsi di tristi luccicanti lussuosissimi hotel, mall, ristoranti e grandi negozi di marche anche occidentali. Ci passeggio in mezzo come farei in qualunque altro luogo simile, tristemente e disperatamente curioso di trovare qualcosa di interessante. Entro perfino in una pizzeria a due piani super moderna con decine di camerieri in divisa ed ordino una pizza al bbq solo per eliminare almeno per stasera il problema cena e non essere costretto a mangiare in camera il comunque ottimo pasto che ordino all'hotel. Fortunatamente ho ancora da pubblicare e scrivere degli ultimi giorni passati nella serena esplorazione delle nascoste parti certamente migliori ed immensamente più importanti e vere di questo mondo sconosciuto.
Domenica. Qui è tutto aperto sempre e comunque, probabilmente sono solo gli uffici a chiudere. A piedi mi dirigo verso l'officina. I contrasti esasperati di questo luogo sono ciò che più colpisce il mio sguardo straniero. Questi cassonetti non distanti dall'hotel in cui vedrò sempre qualcuno frugare, sono svuotati ogni mattina ed anche l'area intorno è ripulita, ma ogni sera tornano ad essere sommersi da una inarrestabile puntuale marea.
Mi dicono che Amir è in giro per il pistone. Mi devo dare una svegliata, tanto non cambia nulla. Una delle più affollate città del mondo con più di 11 milioni di abitanti è a mia disposizione e non ho al momento problemi di tempo. Inizio con la Moschea Badshahi. Il tempo resta sempre nebbioso e freddo. Nei tuk-tuk le porte del guidatore non esistono e quindi non ti salvi dall'aria gelida che ti colpisce in pieno e ti avvolge.
Davanti alla moschea giovani di tutte le età giocano a cricket, sport nazionale retaggio inglese. Il Pakistan ha una delle squadre più forti al mondo.
Devo fare un lunghissimo giro perché alla moschea si accede dal Forte di Lahore ed incrocio casualmente la bottega di un serissimo barbiere senza bottega.
Occorre entrare dal Parco Iqbal che oggi è preso letteralmente d'assalto. Si accede da tornelli presidiati in cui vengono controllati gli zaini e si è perquisiti. C'è anche una piccola tenda in cui controllare le donne. È la prassi. In tutta la città può capitare di dover passare sotto un metal detector anche solo per entrare in un negozio. Ai due ingressi di un grande sottopassaggio stradale, ad esempio, sono stato sondato da poliziotti tramite un metal detector portatile. Il Parco è così esteso che ci sono un trenino e vari piccoli pulmini disponibili a pagamento. Per i romantici anche carrozze trainate da cavalli. I venditori ambulanti di cibarie ed i molti chioschi oggi incasseranno cifre consistenti.
Il Forte è grandissimo e contiene vari ampi padiglioni che incorniciano enormi cortili rettangolari con fontane asciutte al centro. Caratteristica comune di quasi tutto ciò che è visitabile a Lahore è lo stato di semiabbandono. A volte si notano cenni di ristrutturazioni assolutamente inadeguate nel numero e nella portata. L'effetto però, al netto della massa di gente che si aggira per lo più con l'aria da scampagnata, è affascinante e si riescono a percepire gli echi dei tramontati fasti.
All'ingresso della Moschea Badshahi migliaia di scarpe vengono incessantemente scambiate con talloncini numerati unica certezza di un ritrovamento altrimenti impossibile.
Non si possono indossare calzature in tutta l'area della moschea, compreso il gigantesco cortile. Quasi metà dei presenti ha i piedi scalzi, ma non sembra soffrire il contatto con il gelido antico usurato cotto. Qualche solitario seme tostato sfuggito alle fauci di un distratto visitatore mi fa fare un sobbalzo quando finisce sotto la pianta del mio inutilmente calzato piede. Per il resto il cortile sembra fortunatamente ben spazzato e privo di altri piccoli divertimenti per fachiri.
Ci sono varie coppie di sposi con relativa massa di parenti che si contendono le zone più fotogeniche e stavolta nel caos non arricchisco la serie delle foto di sposalizio.
In un'ala della moschea, in un lungo corridoio affacciato sulla folla con decine di fontanelle allineate in attesa di devoti piedi, il lavatoio è probabilmente il luogo meno frequentato e più mistico in questa mondana domenica alla moschea, forse ancor più del pur silenzioso e contrito scorrere di fedeli, a cui mi unisco, davanti alle non certe, ma solo attribuite reliquie di Mohammed Iqbal.
Stanco del bagno di folla mi riaffido ad un gelido tuk-tuk e la mente non più distratta resta bloccata sulle sofferenze dell'Ammiraglia. Trovo Amir che mi fa vedere in foto il pistone nuovo o costruito per me, non ho ancora ben capito, oltre a delle scanalature in un cilindro che costituiscono un altro problema non indifferente da risolvere. Ma come sempre non c'è mai nessun accenno di dubbio nel suo assicurarmi che si può riparare.
Approfitto per prelevare dall'auto alcune capsule di caffè che qui, a soli 180 metri di altezza sul livello del mare, ormai lontane dai turgidi trascorsi d'alta quota sembrano gli attrezzi di Siffredi dopo una dura giornata di lavoro.
Di Amir e della sua rassicurante certezza nessuna traccia. Sta lavorando per me, almeno spero. Il conducente del tuk-tuk di oggi non sa nemmeno dell'esistenza della Moschea di Wazir Khan mio punto di partenza nell'esplorazione di oggi. Non si fida delle mie indicazioni e dopo avermi erroneamente portato alla moschea vista ieri chiede ad un poliziotto e finalmente si convince che la strada che gli dicevo di seguire è corretta. Deve lasciarmi distante dall'ingresso perché non può entrare nella città vecchia in cui si trova la moschea.
Qualunque bazar, casba, suk io abbia visto fino ad oggi non può minimamente essere paragonato al luogo in cui entro ed in cui immediatamente mi perdo. Innanzitutto è una piccola cittadina e puoi percorrere decine di chilometri senza mai ripassare per lo stesso luogo, sempre ammettendo che arrivandoci da un altro lato uno sia in grado di riconoscere di esserci già stato. In molti vicoli, sempre gremitissimi di negozi di ogni specie, due moto fanno fatica a passare. Entrato da uno degli ingressi a nord, dopo qualche centinaio di metri trovo tutto sbarrato e non so più dove andare per proseguire, chiedo e mi viene indicata una scala che mi fa scendere di un livello. Ero quindi entrato da una strada che dopo poco, con l'abbassarsi del terreno, si era trasformata senza darne avviso in alcun modo, in un primo piano senza più sbocchi. In un turbinio di voci, odori, alimenti, oggetti, fuochi, grida, colori, animali, moto, carretti a mano e soprattutto gente, faccio fatica a mantenermi lucido e solo grazie alla mappa ed al gps arrivo alla prima moschea di oggi annegata in questo putrido ed umido inebriante ammasso liquido. Immagino con un brivido cosa possa diventare questo luogo con temperature intorno ai quaranta gradi. La moschea di Wazir Khan ed il suo cortile, da affrontare anche qui con le sole calze, sono un'oasi di relativa pace incastonata tra cadenti ammassate costruzioni. Un ragazzo approfitta delle fontanelle per un gelido shampoo. Nell'area di preghiera qualcuno dorme per terra avvolto in un sacco.
La gente è sempre cordialissima e, a dispetto delle negative impressioni che il luogo certamente può dare, dopo un po' cammino tenendo senza paura la grossa macchina fotografica in mano. Alcuni mi chiedono di far loro una foto. Ogni tanto qualche cadente elegante palazzo in cotto apre uno squarcio su uno dei mille passati di questo luogo. L'elettrificazione, enormemente più recente della pianificazione urbana, non ha trovato spazio che in strada precariamente ed inestricabilmente appesa.
Alla Moschea Sunehri, più piccola ed ancor più confusa in questo labirinto, per la prima volta in vita mia vedo un muezzin, non affacciato dall'alto di un minareto ma al caldo. Davanti ad un microfono diffonde una preghiera che si disperde confusa tra i vocianti vicoletti.
Esco da questo luogo al limitare del parco visitato ieri ed alcuni cocchieri a riposo in questo lunedì privo di gitanti si prestano ad una foto.
Di Amir nessuna traccia. A sera viene a trovarmi in hotel per farmi vedere il pistone nuovo e la testata levigata e priva di imperfezioni. A questo punto pare abbia tutto per rimettere in sesto l'Ammiraglia. Resto comunque devoto a San Tommaso.
Stamattina effettivamente trovo Amir già al lavoro.
Giornata ancora più fredda e nebbiosa. Parto per un lunghissimo giro in tuk-tuk. A 30 chilometri c'è Bahria Town in cui è stata ricostruita la Tour Eiffel. Non so se in scala 1 a 1, ma di certo è gigantesca con tanto di ascensore centrale. Non mi posso avvicinare perché è tutto transennato. Questa sera qui sarà festeggiato in pompa magna il nuovo anno con profusione di fuochi d'artificio. Resto il tempo di qualche scatto a questa autentica stranezza.
La cosa interessante è invece il luogo. Ci sono varie Town come questa nella periferia di Lahore, una specie di urbanizzazione come Milano due o tre. Hanno gli ingressi controllati ed il livello dei palazzi, dei negozi e dei locali è sensibilmente più alto che in città. Anche qui i benestanti preferiscono mantenere le distanze da ciò che li rende tali.
Un lunghissimo assiderato trasferimento in tuk-tuk di una sessantina di chilometri mi porta all'altro capo della città per un complesso di tombe del 1600 di cui il mio autista, che per oggi ho monopolizzato, non conosce minimamente l'esistenza.
L'enorme Caravanserraglio di Akbar con le sue ben 180 stanze disposte a formare un quadrato intorno ad un immenso splendido cortile con secolari contorti fotogenici alberi, è il punto d'ingresso per il Mausoleo di Jehangir.
Il luogo è pieno di vispi scoiattoli ed uno si sta deliziando con un chupa-chupa abbandonato da qualche bambino.
Un altro bel giardino ben tenuto fa arrivare ad una costruzione al cui interno c'è la lineare tomba in gradevole marmo intarsiato.
All'estremità opposta del caravanserraglio la Tomba del fratellastro Asif Khan è in pessimo stato di conservazione e solo qualche frammento di colorata decorazione ne fa comprendere la passata bellezza.
Ad un centinaio di metri, passando per un mercato affollato di gente ed animali, la Tomba di Nur Jahan dello stesso periodo è in ristrutturazione ed i confini cintati del sito sono assediati dalle case del quartiere.
Tornando all'hotel faccio un salto dall'Ammiraglia che, ripulita e con il motore già parzialmente montato, mi fa sperare in un 2020 ancora alla sua guida. Ma mi impongo, ed a ragione visto il livello dei problemi, di non credere nella resurrezione nemmeno ai primi incerti passi dell'ancora ipoteticamente rinnovato veicolo, ma solo dopo almeno duemila chilometri percorsi senza ricadute dal mio Lazzaro.
Del capodanno mi interessa solo che Amir sarà al lavoro.
Mi sveglio più tardi del solito. Ieri sera ho lavorato fino a tarda notte poco disturbato dai pochissimi botti, quasi nulla. Dal meccanico non c'è né lui né la macchina. La sta provando. L'Ammiraglia anche nel 2020 vuole avere un ruolo nella mia vita. Sono abbastanza in tensione, non si sa quando Amir tornerà e magari sta anche girando per qualcosa di ancora non del tutto sistemato. Me ne vado o mi prende l'ansia. Un tuk-tuk per gli Shalimar Gardens in cui non arriverò mai. In una strada mai percorsa fino ad oggi veniamo fermati ad un grande posto di blocco militare. Dopo i controlli mi dicono che io sono a posto, ma il mio autista no e non capisco perché e nemmeno cosa vogliono che faccia, ma alla fine mi dicono di risalire nel tuk-tuk a cui non permettono il passaggio e ci ordinano di tornare indietro. Imposizione veramente assurda visto che siamo in piena città e ci sono migliaia di altre strade, ma potrei non essere a conoscenza di qualcosa. Comunque dopo essere tornato indietro il mio autista, che ha cercato invano di spiegarmi la questione in punjabi o in urdu non saprei, si avvia ovviamente comunque verso la mia meta su una delle mille parallele in cui non ci sono posti di blocco. Veramente senza senso tutta la faccenda e siamo stati fermi almeno dieci minuti davanti a serissimi ed inflessibili militari. Mah.
Telefonata del meccanico. Immediato dietrofront. L'Ammiraglia è pronta e ci salgo per un emozionante giro di verifica in cui Amir mi invita a velocizzare la mia tesa, delicata e preoccupata guida. Ho paura che qualcosa mi si rompa tra le mani. Tutto bene, ma so benissimo che c'è bisogno di ben altri test. Ha cambiato il filtro dell'olio e mi dice di aver bisogno di tre ore per trovare quello dell'aria. Non riesco a restare distaccato e ad utilizzare questo tempo per riprendere l'esplorazione interrotta, quindi semplicemente vado in hotel ed aspetto lì. Puntuale mi porta l'auto. Non capisco se non ha trovato il filtro e ci vuole troppo tempo per averlo oppure se è troppo caro, probabilmente entrambe le cose. In ogni caso ha pulito con la benzina quello vecchio e mi dice che per adesso va benissimo ed in India probabilmente lo trovo più facilmente ed a prezzo più basso. Non ci credo molto, ma c'è poco da fare. Non averne portati con me è stata una vera enorme fesseria, ho pensato a tante cose e non a questi. Mi consiglia di stare attento alla temperatura dell'acqua, credo di capire che il pistone nuovo avrà più attrito, e di fermarmi se va oltre il livello di guardia.
Non ci sarà fino a martedì prossimo perché domani va con la moglie a Multan, si è sposato da solo un mese e penso che questi giorni siano la luna di miele. Incredibile, come il mio meccanico italiano che al momento è in Cile. Casuale prova dell'abisso economico che separa due mondi pur quando i costumi sono identici. In ogni caso l'assenza mi preoccupa. Dopo pochi minuti che è andato via, primo problema. Un faro non ha più il vetro. Riparto per l'officina. Mi dice che è caduto da solo ed è andato in mille pezzi e ci può stare perché è successo anche a me più di una volta con fari vecchi, ma poteva dirmelo. Aveva parlato di luci e non avevo capito, ma poteva mostrarmi il faro. Ho il ricambio e me lo monta. Mi tengo il faro senza vetro che all'occorrenza potrebbe fare comodo visto che adesso non ho più quel pezzo. Mi faccio un altro giro di prova, ma ormai è buio e torno in hotel. Domani farò un test più serio, ma ancora non abbandonerò Lahore.
Metto un po' in sesto l'interno della macchina. Apro il cofano. Il livello dell'acqua è molto sopra il massimo, ne ha messa troppa. Tento di estrarre l'asta per il controllo del livello olio e mi resta in mano anche il tubicino in cui è inserita. Cominciamo bene. È un bel problema perché dal buco l'olio uscirebbe a schizzi. All'officina un amico di Amir fa intervenire un altro meccanico. lo mettono a posto con del silicone, non devo toccarlo fino a domani, ma la posizione in cui sta non mi convince.
Vado finalmente fuori città, non ne potevo più anche se Lahore è interessantissima. Faccio un po' di autostrada a 100km/h e l'Ammiraglia la sento nettamente più elastica nella resa e silenziosa. A 60km c'è Hiran Minar, una grande vasca d'acqua in cui si può navigare affittando un pedalò o fare un breve giro in barca a motore che ha senso solo per chi probabilmente non ha alcuna esperienza di mare. Al centro un bel padiglione. Il tutto fu edificato più di 400 anni fa in memoria di un cervo. Con intorno un grezzo ed invernale piccolo spoglio parco è meta di gita, come tutti i luoghi simili, per i pakistani in cerca di tregua dal caos onnipresente di qualunque agglomerato urbano. Non irrinunciabile. Per i locali il prezzo dell'ingresso è come all'incirca ovunque di 20 rupie, mentre gli stranieri pagano praticamente sempre 500 rupie, all'incirca 3 euro e mezzo non proprio una sciocchezza visto che occorre pagare quasi ovunque.
Tutto intorno il panorama è arricchito da decine di ciminiere fumanti che sfornano continuamente mattoni. Mi ci fermo davanti per delle foto e vengo immediatamente invitato a visitarne una. La cottura avviene in due grandi spazi, usati alternativamente, in cui il calore viene convogliato. Mentre uno si riempie con i mattoni crudi portati a dorso d'asino, l'altro viene svuotato a mano dopo la cottura.
La temperatura dell'acqua effettivamente sale oltre i livelli abituali, ma non al punto da impensierire. La prima prova seria del nuovo corso dell'Ammiraglia non ha evidenziato problemi.
Torno in hotel e con un tuk-tuk mi reco al Santuario di Data Ganj Bakhsh, un poeta Sufi dell'anno mille molto famoso e venerato. Il sufismo ed i Sufi, per dirla in poche parole, sono il lato mistico dell'Islam aggiungerei Sunnita, ed i seguaci ricercano l'Assoluto, Dio, Allah, in se stessi perché questi è l'uno e qualsiasi essere non è che un suo riflesso.
Penso di assistere solo a dei canti sacri di devozione, i Qawwali, che mettono in comunicazione con Dio, ed invece mi ritrovo con centinaia di fedeli a condividere gomito a gomito riti in cui non mi perdo d'animo solo perché allenato da anni di feste di S.Agata.
Approfitto per esortare chi legge a programmare un viaggetto a Catania in occasione di questa festa che non ha eguali in Italia ed in Europa leggevo che forse solo la Semana Santa di Siviglia può reggere il confronto. In ogni caso a due passi c'è la possibilità di assistere a qualcosa di unico che difficilmente si dimenticherà. Basta andare dal 3 al 5 Febbraio giorni finali della festa, farsi consigliare sui migliori passaggi da vedere e buttarsi nella folla senza paura. Sono date fisse non importa che giorno della settimana siano. La festa in realtà inizia un mese prima, ma i due ultimi giorni sono il clou. Non ve ne pentirete, garantisco personalmente.
All'esterno i controlli sono severissimi e non si possono introdurre borse o macchine fotografiche, io riesco ad intrufolare la Leica, comunque sono ammessi i cellulari e con questi è possibile fare foto e filmati.
Solo un paio di descrizioni necessarie per capire meglio il video. La tomba del poeta è letteralmente assalita solo per un tocco con la mano o un selfie molto poco mistico. Uno della confraternita mi nota e mi fa andare avanti per poter vedere la tomba e chiaramente fare una donazione. La sosta alle finestrelle che si affacciano sull'area della tomba, in cui vedo dei privilegiati probabilmente paganti, è solo di qualche secondo. Un morto, coperto da un telo e fiori, su un letto di metallo portato a braccia viene introdotto per avere la benedizione del santo ed anche a lui sono concessi solo pochi secondi. Durante il Qawwali di un ragazzo con una voce abbastanza coinvolgente, altri della confraternita preparano sacchetti di dolciumi che verranno poi distribuiti gratuitamente insieme a tanto altro cibo. Scendo al piano inferiore dove ai lavatoi si ammassano i fedeli scalzi per una indispensabile lavata di piedi. Il pavimento è pieno di resti di cibo di vario genere e lo sento appiccicoso sotto le calze che certamente non potrò riutilizzare prima di una seria disincrostata. Nella stessa grande sala si distribuisce cibo che cerco di ottenere anch'io spingendo a tutta forza in mezzo ad una marea ondeggiante e sempre in procinto di rovinare per terra. Ognuno ha in mano un sacchetto di plastica che viene afferrato, riempito del cibo in quel momento disponibile e restituito. C'è una inutile fila, ma è più un assalto all'arma bianca in ordine sparso. Quando conquisto la prima linea, con in una mano il sacchetto e nell'altra il cellulare, quello che doveva essere riso è finito ed iniziano a riempire i sacchetti con qualcosa di liquido che non so cosa sia e che mi fa rinunciare alla lotta.
Esausto mi infilo in un tuk-tuk e, arrivato in stanza, crollo sfinito senza la forza di scrivere nulla.
Carico tutto in macchina. Dopo aver ieri costatato che l'Ammiraglia al momento non ha ricadute immediate, voglio arrivare ad Islamabad e sull'autostrada viaggiare per circa 400 chilometri a velocità costante. Una sorta di primo rodaggio. Come previsto la posizione in cui è stato messo il tubicino della sonda del livello olio non permette alcuna verifica. Rivado all'officina e stavolta, con calma ed impiegando più tempo lo rimettono penso correttamente, ma lo saprò solo domani.
A 150 chilometri da Islamabad ha termine l'immensa nebbiosa pianura coltivata e si incontrano un paio di basse cime con delle salite non ripidissime, ma sensibili, che l'Ammiraglia sembra superare con una agilità che non ricordavo. Ho deciso di restare in Pakistan almeno fino a martedì prossimo quando Amir sarà tornato e potrà dare un'ultima controllata prima di passare in India. L'assenza di problemi e di rilevanti incontri mi permette di parlare di guida ed hotel in modo più dettagliato.
Retaggio inglese è la guida a sinistra. Per me non è una novità, ma è in assoluto la prima volta con un'auto a guida a sinistra. È molto meno problematico e non ho avuto esitazioni già dai primi chilometri all'ingresso in Pakistan. Il motivo è semplice, i comandi non sono invertiti. In altre occasioni, per giorni, ogni volta che dovevo mettere la freccia azionavo i tergicristalli.
Gli hotel lasciano parecchio a desiderare e sono piuttosto cari. Il problema primario è la pulizia e, perché sia chiara questa indicazione, specifico che io sono un acerrimo contestatore della paranoia italiana al riguardo che, esattamente come l'utilizzo spropositato di antibiotici, fa rapidamente evolvere generazioni più agguerrite di germi e contemporaneamente abbassare le difese immunitarie. Quindi, quando dico che il livello di pulizia è basso intendo che la maggior parte delle persone che conosco non ci entrerebbe nemmeno. Lenzuola ed asciugamani sono piccoli, spesso accettabilmente puliti, ma sempre indelebilmente macchiati da precedenti innumerevoli usi e con vari piccoli buchi. L'acqua calda è sempre presente almeno al livello degli alberghi che scelgo che è comunque basso. A volte ci sono dei black-out elettrici che però non dipendono dagli hotel. Il livello dei pasti ordinati è sempre stato più che buono, mentre le colazioni se comprese nel prezzo sono scarsissime. Il riscaldamento normalmente non c'è o si paga a parte e consiste quasi sempre in una semplice piccola stufa elettrica od a gas. Arredamenti e bagni quasi sempre vecchi e malandati. Rivalutandolo adesso, l'Hotel Bloom di Quetta aveva un ottimo rapporto qualità-prezzo. Gli hotel che scelgo si aggirano sui 20 euro a notte e, per avere dei comfort diciamo discreti dovrei salire ad almeno 40 o 50 a notte, mentre per standard prossimi a quelli occidentali occorrono più di 100 euro a notte. Io parlo di cifre per un singolo, se cambia qualcosa per una coppia non saprei. Le stanze singole comunque esistono raramente e ho quasi sempre matrimoniali.
L'ingresso ad Islamabad è totalmente differente da quello nelle altre città. Anche in periferia ci sono costruzioni gradevoli basse e molte ville con il filo spinato sugli alti muri di delimitazione mi fanno pensare alle metropoli sudamericane. Efficienti vigili con il cappello dirigono un traffico di sole auto ben incolonnate e qualche moto. La cosa che immediatamente si nota è la totale assenza dei tuk-tuk che da soli costituiscono almeno l'80% della caoticità. È un altro Pakistan.
Vado al centro Nikon per far pulire il sensore della Nikon D810 e mi dicono che dovrebbero mandarla a Lahor. Sul sito Nikon non risultava ci fosse un centro a Lahore. Devo rinunciare per adesso.
La città è divisa in settori numerati ed in ognuno sono presenti un po' tutti i servizi principali e le abitazioni. Non c'è un ben definito centro quindi. Rawalpindi è una differente città ormai fusa completamente con Islamabad, ma per il momento non ne so nulla.
Dov'è il centro Nikon è un settore a nord ipermoderno ed iperricco ed ipercaro e nei locali che non sfigurerebbero nelle più belle capitali europee molte ragazze in giro da sole hanno i capelli curati e scoperti. Chi vi si aggira è abbigliato elegantemente ed io sono l'unico a portare il Pakol, il cappello Afghano dei Pashtun diffusissimo ovunque. Settori poco interessanti. Un bar frequentato da tanta bella gente in ghingheri si chiama Cannoli. Entro e quelli in vendita non sono nemmeno un lontano ricordo. Gli faccio vedere in foto dei veri cannoli, ma è evidente che non sanno nulla del nome che hanno dato al locale e nemmeno sembrano granché interessati. Business, business, business non c'è altro nella testa. Addio Pakistan.
Nel settore dove ho invece l'albergo la situazione è più o meno simile a quella ormai familiare, al netto però del caos che qui è inesistente ed ho la possibilità di aggirarmi concentrando l'attenzione sulle varie attività. In un ristorante due giovani mi chiedono il link alle foto e ci chiacchiero un po'. Uno, come molti altri incontrati, mi dice di avere il fratello in Italia ad Aosta. Il gestore di una rosticceria in cui sono cotti alla brace dei polli mi invita ad assaggiarli decantandone la bontà ed effettivamente sono squisiti. Ci tornerò domani. Non mi fa pagare nulla e stiamo a chiacchierare per un bel po' seduti ad un tavolo. Una persona deliziosa che, come molti altri, è felice di vedere europei che tranquillamente si aggirano visitando il suo malamente conosciuto paese. Spessissimo vengo fermato solo perché vogliono farsi un selfie con me, come se fossi una celebrità.
L'altra faccia però è sempre presente a ricordarmi che questo resta un paese per pochi se lo si vuole visitare senza restare in qualche torre d'avorio di un costosissimo hotel. Sotto le lenzuola sento dei pizzichi e comincio a grattarmi. Non vedo nulla, ma scendo in auto a prendere il potente anti-insetti da giungla che mi servirà più avanti e ne spruzzo un bel po' direttamente sotto le coltri comunque già umide per il freddo. Tranquillamente adesso posso scrivere e dormire senza più molestie.
Anche questa notte dormirò qui. Da un meccanico mi viene detto dove a Rawalpindi posso trovare il filtro dell'aria. Ci devo provare. Quando ci arrivo, a non più di 10 chilometri, ritrovo il solito Pakistan ed i soliti tuk-tuk in numero però comunque decisamente inferiore. Niente da fare. Non ne trovo di adattabili. Durante questa giornata passata interamente in coda all'interno del solito traffico infernale, in uno dei laboratori in cui artigianalmente vengono prodotte le decorazioni per i camion, ne compro una piccola per l'Ammiraglia, un uccello in latta smaltata. Noto spuntare dalle case dei piccoli templi che con l'Islam c'entrano poco. Sono degli antichi templi indù che adesso, assolutamente non segnalati e con le case che li hanno soffocati e che vedo hanno anche utilizzato gli spazi un tempo sacri, sono assolutamente inaccessibili. Un pezzo di storia che nuova storia ha divelto. Un ragazzino in alto con un aquilone mi fa fare l'unica foto di oggi.
Tornando all'hotel l'Ammiraglia fa fatica e procede facendo dei saltelli dovuti certamente alla carburazione. Tolgo il filtro dell'aria ed i problemi scompaiono confermando i miei sospetti. Ho percorso circa 600 chilometri da quando lo sporco vecchio filtro è stato riposizionato e già è intasato. Ho un bel problema. Forse ho sbagliato a non passare subito in India. Lo faccio pulire con l'aria compressa e lo rimetto e non ho più i problemi di prima, ma ci faccio solo pochi chilometri. Vedremo domani. Questa nuova incognita mi getta in uno stato d'animo pessimo e la calca di gente smette di essere interessante. A quasi due mesi dalla partenza, ormai lontano da sereni luoghi isolati da attraversare sull'Ammiraglia in perfetta efficienza, ho un forte calo di motivazioni nonostante la positiva soluzione del grave guasto e l'enormemente meno grave problema del filtro mi appare insormontabile e foriero di guai e soprattutto stress. Devo fermarmi per un po', ma non qui in Pakistan. Ad aggravare lo stato d'animo le notizie internazionali che arrivano mi confermano solo che l'idiozia è la principale caratteristica degli umani, soprattutto di quelli che vogliono a tutti i costi avere una ribalta da cui esibire il proprio essere superiori. Potrei avere la strada tagliata per un ancora lontano ed incerto ritorno. Se non potessi ripassare dall'Iran, magari potrei affrontare l'Afghanistan che è qui a poca distanza, comunque è ancora troppo presto sempre se questa storia durerà veramente molto a lungo.
Non vado a Peshawar, nelle cui vicinanze c'è un villaggio interdetto agli stranieri che potrei provare a raggiungere comunque, perché ho necessità di uscire dalle città. Da Islamabad parte una autostrada che nelle intenzioni quando completata dovrebbe sostituire la mitica Karakoram Highway. La costruzione è diretta e probabilmente anche finanziata dalla Cina e stavolta ne sono certo perché è scritto a chiare lettere e vedo anche occhi a mandorla che osservano, sotto caschetti protettivi, operai pakistani sotto Pakol. Al momento è completata e transitabile solo fino a Mansehra, ma già sui cartelli sono riportate località più lontane. Solo il vedere qualche altura alberata, pur con una notevole presenza di fabbricati, mi rasserena. Uscendo però sulla vera Karakoram Hwy il traffico torna ad essere il solito e qui in più la strada è stretta e spesso dissestata con un'alta presenza di camion per superare i quali tutti, anch'io, si buttano sull'altra corsia anche in curve cieche ed anche con mezzi che procedono in senso contrario. Si strombazza e si rallenta cercando di non fare dei frontali. Non ho ancora probabilmente detto che qui in Pakistan nessuno guarda il cellulare durante la guida, è umanamente impossibile. Lo estraggono solo se totalmente fermi ed imbottigliati.
Quando poi si attraversano grossi centri come Mansehra ci si può mettere un'ora per percorrere 4 o 5 chilometri. Le idee che avevo sulla strada da percorrere sono totalmente irrealizzabili. Torno indietro fino ad Abbottabad per un hotel che sembra migliore degli ultimi e costa infatti di più. Devo infilarmi in un vicolo strettissimo in cui rompo il vetro dello specchietto e tocco sotto un paio di volte tanto è dissestata quella che non chiamerei strada. Basta! Caccio un urlo liberatorio e ne esco mandando a quel paese l'Hotel. Sulla strada ce ne sono tantissimi ed al primo che mi sembra buono sento quanto mi chiedono. La stanza è la migliore ad oggi dell'intero viaggio ed ho il riscaldamento. 6000 rupie che riesco a portare a 5500, ma non meno. 33 euro. Il doppio di quello di Islamabad, ma ne ho bisogno. Mi accompagnano da un vetraio che mi fa un non rifinito specchietto nuovo che riattacco con il mio silicone. Almeno questa l'ho risolta a razzo. Una doccia come si deve ed esco.
Grandi negozi luccicanti e piccole rivendite sono ammassati e si succedono senza alcun ordine. I vuoti che ogni tanto si aprono hanno la funzione di discarica. Occorre fare lo slalom tra le auto parcheggiate ovunque, quelle che sono in movimento e gli scoli giganteschi dell'acqua che dall'odore sembrano anche fogne. E comunque il tutto non ha affatto un aspetto deprimente da cui vorresti fuggire. Di certo però non mangerei nei localini pie dan l'eau.
Anche qui, come già successo ad Islamabad più volte e mi ero dimenticato di scriverne, noto in strada che chiede denaro un travestito. Con il velo, truccato e vestito da donna. Non che della questione mi importi qualcosa, visto che in questo campo come in altri penso che la libertà di ognuno debba essere legata solo al consenso del partner ed alla sua capacità di esprimerlo, ma è rilevante perché sono in un paese musulmano. Non ne so altro e non ho indagato. In India mi sembra di aver letto che la comunità omosessuale ha ottenuto da poco una specie di status di casta, ma lì è questione comunque difficile, ma ben diversa.
Mi fermo a prendere due porzioni di ceci bolliti insaporiti con creme e spezie varie ed un ragazzo, saputo che sono italiano, mi porta al negozio del fratello che commercia con l'Italia ed è già venuto tre volte a Prato. Commercio di Kashmir e tessuti. Con Mr. Muhammad Asghar e l'amico Mr. Syed Jamal Shah che mi va di citare, parliamo ininterrottamente per un'ora e mezza.
Una discussione aperta che spazia dal Pakistan, per il quale esprimo sia lodi che dure critiche che condividono apprezzando la mia franchezza, alla politica internazionale ed all'economia mondiale. Con le dovute anche rilevanti differenze, le idee, le preoccupazioni, le critiche, le aspirazioni, ciò che passa per la mente alle genti del mondo che non hanno la preoccupazione giornaliera di come sfamarsi o di come primeggiare o di come affossare altri simili, ha il comune denominatore della serenità globale del vivere. Poi è ovvio che del passaggio dalle parole alle scelte quotidiane non posso saperne nulla, ma in testa quelle idee ci sono ed è certamente difficile agire poi ignorandole consapevolmente.
Mi sto rilassando e mi sto staccando per un po' dallo scoprire e dal fotografare per prepararmi al nuovo inizio che sarà l'ingresso in India.
Decido di restare ancora una notte.
Mi alzo e con calma mi metto in movimento. Stamattina piove abbondantemente. Non è la stagione adatta a questi luoghi. Torno a Mansehra dove decido di fermarmi da un fornito gommista. Ad Islamabad, sull'asciutto, in due frenate non al limite ho slittato sull'asfalto. Ho già percorso 16000 chilometri e l'enorme esperienza accumulata in Australia riguardo all'usura dei pneumatici sulle sterrate mi aveva già fatto pensare che era ora di un cambio gomme. Potrei andare ancora avanti, ma in questa stagione e nei luoghi in cui mi recherò prima di fiondarmi nell'India del Sud preferisco non correre rischi. Cambio tutte le quattro ruote ed almeno le posteriori sono certo che le rivenderanno come usate. 115 euro tutto. Cinesi, nuove, non rigommate, non invernali che mi dicono di poter usare per 65000 chilometri su asfalto. Probabilmente vero solo se fossi disposto anche ad andare con le slick come le formula 1. Non hanno alcun macchinario, nemmeno l'avvitatore a pistola.
Riparto e l'Ammiraglia sobbalza ed oscilla anche alla bassissima velocità del traffico che mi fa impiegare quasi un'ora per tornare da quello che non era un gommista, ma un semplice rivenditore di pneumatici. Dal gommista mi ci accompagnano. Intanto due ruote sono montate male e qui, con le macchine, le rimontano correttamente. Passando all'equilibratura vedo che i cerchioni sono ben storti. Già in Italia avevo preso i migliori, ma non perfetti, tra quelli dell'Ammiraglia e di un'altra auto identica che posseggo. Per dare un'aggiustata serve parecchio piombo. Mi dicono, ignorando oltretutto quali percorsi accidentati ho fatto, che in Pakistan un cerchione dura mediamente un anno e mi raccontano di turisti in Toyota con due cerchioni distrutti. Qui cerchioni per l'Ammiraglia nemmeno l'ombra, si vedrà. Intanto non sobbalzo più, ma è già quasi buio e non riesco ad andare sull'autostrada per provare a velocità più elevate. Nuovamente filtro intasato e problemi mentre torno. Stavolta faccio dei piccoli buchi all'interno del filtro che non dovrebbero comunque far entrare granché di sporco, ma permettere un migliore passaggio d'aria. Il risultato c'è, ma sarà da vedere per quanto ci andrò avanti. Prima di attivarmi per una spedizione dall'Italia che penso di poter organizzare da solo devo essere in India e provare se trovo qualcosa. Il motore invece va benissimo e non ho alcun problema. Inizia a scendere una neve fortunatamente annacquata. The winter is coming. Ho fatto bene a cambiare le gomme. Ad Abbottabad gli enormi scoli dell'acqua sono straripati in vari punti e per strada si vedono scorrere fiumi di immondizia.
Sono in viaggio già alle 7 e mezza per cercare di evitare il caos ed immettermi subito in autostrada. Ho tanti chilometri da fare e potrei essere costretto a delle soste impreviste a causa del filtro, spero non del motore. Tempo pessimo, piove e poche centinaia di metri più in alto ha nevicato. La Karakoram Hwy deve aspettare. Gomme nuove e cerchioni storti non vanno molto d'accordo, ma dopo un paio di centinaia di chilometri iniziano a fare conoscenza e le vibrazioni calano sensibilmente. Comunque questo non mi ferma, nemmeno se le ruote diventassero quadrate e dovessi guidare con il Parkinson. A Lilla, dato che il filtro dell'aria sembra aver deciso di non ostacolare i miei piani, esco per una visita per cui all'andata non avevo avuto tempo. Percorro 25 chilometri su una piacevolissima strada di campagna, dissestata il giusto, che attraversa solo due piccolissimi villaggi mentre per il resto le abitazioni sono gradevolmente disseminate tra i campi in cui ferve l'attività.
Sono i primi chilometri, escludendo autostrade e scortato Belucistan, in cui guido rilassato godendomi anche le scene che mi si pongono dinanzi. Su un camion stanno coprendo per il trasporto il motivo della mia deviazione, grossi blocchi di sale che brillano al sole. La pioggia me la sono lasciata alle spalle insieme alle alture.
A Khewra c'è la seconda miniera di sale più grande al mondo aperta ed attiva da secoli. Il commercio del sale estratto risale all'era Mughal quindi al sedicesimo secolo, ma per la scoperta del giacimento tocca riandare ad Alessandro Magno. Miniera tuttora attiva.
Il giro all'interno costa ben 20 dollari per gli stranieri e si svolge al settimo dei 16 livelli esistenti. Oggi non è in funzione il trenino perché ci sono pochi turisti, tutti pakistani ovviamente tranne me. Mi accompagna una guida anche se ho ripetuto più volte che non capisco l'inglese, unica arma efficace per far desistere i più insistenti, ma qui sembra che occorra essere comunque accompagnati. Prima di arrivare al sale si attraversa un interessante spesso strato di roccia multicolore.
Anche se qui non lo dicono, ma ad una mia domanda la guida conferma, se andate all'erboristeria all'angolo e chiedete una confezione di Himalayan salt vi daranno un sale quasi sempre rosa che proviene da questa miniera e che con l'Himalaya ha pochissimo a che vedere. Sale Pakistano o Sale di Khewra lo comprereste? Il colore ne determina la qualità, dal migliore rosa al bianco, al rosso. I tunnel e le grotte in cui si è completamente all'interno del visivamente vellutato sale, che viene lasciato per il 50 per cento a sorreggere le volte, sono splendidi.
Varie caverne sono ricolme dell'acqua piovana che filtra dalla montagna e viene poi pompata artificialmente all'esterno. Per attrarre l'occhio dei turisti hanno costruito delle strutture francamente senza senso illuminate oltretutto con luci multicolori che mi aumentano significativamente la difficoltà fotografica. Visivamente comunque l'effetto dei mattoni di sale traslucidi retroilluminati è notevole. La moschea costruita dai minatori 55 anni fa è l'unica piccola costruzione che merita una citazione.
Gli ultimi 200 chilometri mi riportano a Lahore in cui per riabbassare il budget e provare un'altra sistemazione, ho prenotato in un B&B a 13 euro. Passo dall'officina, anche se il meccanico non c'è, per cercare aiuto per il filtro. Lascio quello vecchio a chi domani proverà a trovarlo a Lahore. In un ricco quartiere con tanto di controlli di polizia all'ingresso ed in cui c'è solo qualche tuk-tuk fermo all'angolo come fosse un taxi, scortato da un domestico tuttofare che chiama “il cinese” il padrone che sento solo tramite WhatsApp, entro in una ricca villa con un enorme cancello che si richiude alle spalle dell'Ammiraglia. La sistemazione sarebbe anche buona e certamente più pulita di vari hotel, ma scopro che non c'è l'acqua calda. Farfugliamenti vari del cinese, incavolatura mia più per la manfrina che per la mancanza, e resto comunque una notte solo perché è tardi e non ho voglia di rimettermi in moto. Freddo intenso in stanza, niente riscaldamento ma questo era ovvio. Esco per comprare da mangiare. Gran negozio con clienti bene e commessi male che obbediscono ad ordini impartiti con decisione e portano la spesa direttamente all'auto dell'elegante avventore. Detto per inciso a Lahore ho visto auto che nella targa sotto i numeri riportavano la scritta “Avvocato” ed una con “Avvocato della Corte Suprema” che mi facevano venire voglia di un'aggiunta adeguata con il pennarello indelebile. Un quartiere di sgradevole gente con la puzza sotto al naso.
Amir mi ha chiamato per dirmi che all'officina ci sarà questa sera. Abbandono volentieri i quartieri alti non perché siano alti, ma per gli atteggiamenti osservati. Stanza all'hotel dove per una settimana ho atteso la guarigione dell'Ammiraglia. Vado al Centro Nikon. Un black-out non permette al laboratorio di pulirmi subito il sensore, non c'è verso. Relativamente vicina c'è l'Anglicana Chiesa della Resurrezione che è più una curiosità ed in cui trovo un po' di Natale.
Black-out infinito, desisto. All'officina mi hanno trovato un filtro simile, ma che comunque non entra. Dopo averlo rigirato tra le mani lo acquisto lo stesso dato che costa solo 3 euro e mezzo e, sotto sguardi interrogativi, comincio a modificarlo con la pinza. Dopo una buona mezzora di lavoro riesco nell'intento di farlo entrare dove non voleva. Ho un filtro nuovo non perfetto, ma abbastanza efficace. Si è fatto buio e non ho voglia di mettermi in giro per provarlo un po' più a lungo. Vedremo domani. Amir mi comunica che ci sarà domattina.
Con l'intento principale di fare qualche chilometro con il nuovo filtro, vado ai Giardini Shalimar. In una Lahore che non ha più segreti riesco a muovermi bene evitando ed aggirando le zone e le strade che so intasate. I giardini sono una delle ultime attrattive che mi manca di vedere. Posso dire di conoscere Lahore meglio di Londra o Parigi e di tante altre città anche italiane.
Sui giardini non c'è molto da sottolineare. Simili nella struttura ad altri luoghi visitati sono ormai immersi nel tessuto urbano e ne costituiscono un'oasi in cui passeggiare tra i molti scoiattoli. La caratteristica più interessante sono le immense fontane, purtroppo asciutte, che sono collegate tra loro da una rete di canali che sfruttano le diversità di livello dei vari grandi giardini. Con queste in funzione lo spettacolo sarebbe grandioso.
Al centro Nikon finalmente lascio la D810 che riprenderò con il sensore pulito nel pomeriggio. Ad un incrocio fotografo come prova uno dei travestiti di cui parlavo giorni fa. Forse è solo un espediente per ottenere denaro, ma certamente è qualcosa di totalmente inaspettato anche se non siamo nella penisola arabica.
Faccio solo una piccolissima considerazione su questa curiosità e sul Pakistan. Io ho girato esattamente come farei in Italia ed ho incontrato solo gentilezza e disponibilità all'aiuto. Mi sono posto una domanda, relativamente al soggetto in foto: se fosse ad un incrocio in Italia sarebbe tranquillo e non importunato come vedo qui nel pericoloso e fondamentalista Pakistan?
Due pulcette e ciuffi di capelli in stanza e nella doccia non sono nulla anche se alla lunga stressano e le macchie su lenzuola ed asciugamani comunque quasi sempre puliti sono più un problema psicologico.
L'avere dinanzi agli occhi fiumi di immondizia che scorrono in cui escrementi che non ho comunque visto sarebbero la componente meno preoccupante, invece che leggere sul giornale diligentemente gettato nella differenziata di lontani oceani di plastica e continuare a vivere nello stesso modo sfoggiando sempre nuovi piccoli ormai inutili business ecologici spesso solo diversamente inquinanti, per come la vedo io sono lo stesso identico problema e non certo un miglioramento.
Amir mi controlla il motore, riregistra le punterie e verifica l'assenza di perdite. Finalmente capisco che il pistone è sempre quello mio che è stato sistemato. Il filtro dell'aria può andare, ma devo comunque cercare quello corretto. Lo saluto e lo ringrazio e gli do appuntamento per Aprile o Maggio.
Faccio lavare per bene l'Ammiraglia esternamente e sotto e mentalmente riconsidero la sua situazione.
Il motore è sempre quello originale, anche se ringiovanito da un lifting, ed è una cosa che mi fa piacere. Il filtro dell'aria è arrangiato, ma sembra efficiente. I pneumatici sono nuovi. Il clacson è adesso un doppia tromba pakistano installato per poter competere su strada. Il guidatore è anch'esso originale e senza lifting.
Devo dire che tutto sommato dopo due mesi dalla partenza posso essere soddisfatto di come domani entrerò, cosa che anche i fatti hanno dimostrato essere assolutamente non scontata, nel primo dei due paesi che dall'inizio considero meta principe di questo viaggio, l'India.
Giorno 41 – 19 Dic 2019
Mappa del viaggio
Al confine di Taftan scopro finalmente che Hamid dovrebbe essere un funzionario della dogana avendo qui anche un ufficio. Il condizionale che uso si può capire solo con una esperienza diretta di luoghi e situazioni simili ed in caso contrario risultare totalmente incomprensibile.
Hamid è di enorme aiuto e si occupa di ogni documento e per tutti i suoi servigi non spendo una lira come per la cena di ieri, anzi ho risparmiato con la benzina che non ho pagato. Quindi non posso che unirmi al coro e consigliare anche ad altri di contattarlo se si passa di qua. A me e Silvia si unisce anche un'altra giovanissima ragazza cinese arrivata al confine autonomamente ed Hamid si occupa anche di lei. Avendo l'auto io devo passare attraverso altri uffici e mi separo da loro due. Purtroppo l'aiuto di Hamid termina con il lato iraniano.
PAKISTAN
Le formalità in Pakistan non sono così complesse come mi aspettavo e c'è sempre qualcuno che via via ti dice dove andare. Nei primi ampi saloni, ai banchi di funzionari che espletano varie formalità, sono fianco a fianco con un'umanità in transito che già ora mi permette di capire quale taglio netto ci sia con tutto ciò che si trova ad ovest di questo confine.
Vengo poi preso in carico da quello che dovrebbe essere un poliziotto, senza alcuna divisa e ne vedrò altri persino in abiti tradizionali, che facendomi da staffetta in moto mi porta finalmente oltre la dogana alla stazione di polizia dove ritrovo le ragazze,
e da qui a piedi vengo portato ad un ultimo ufficio per i timbri sul Carnet de Passage.
Queste informazioni le scrivo dettagliatamente perché online di questa frontiera c'è pochissimo, quasi nulla, e molti viaggiatori non vi accennano nemmeno. Chiaramente qui tutto è allo stato liquido e domani potrebbe avere una forma totalmente diversa, questo è sempre e comunque da tener presente.
Per fare una foto al cortile della stazione di polizia metto i piedi dentro un piccolo spazio delimitato da file di sassi ed immediatamente mi dicono di uscirne, è la loro moschea. Quello spazio è sacro ed io con le scarpe lo sto profanando.
Apprendo che è impossibile proseguire senza scorta e che ne organizzeranno per noi una domani mattina, quella di oggi è partita stamattina verso le 9 o le 10 con una coppia di bulgari in auto ed un serbo in bicicletta. Comincio a fare un po' di teatro a cui mi ero preparato. Faccio vedere la carissima, 50 euro a notte, prenotazione di un hotel a Quetta città in cui si arriva con la scorta e parlando con vari funzionari, cercando di capire dall'atteggiamento quali sono i più alti in grado, alla fine riesco ad ottenere che si parta subito… quasi subito. Si va, anche le ragazze sono contente e mi metto tranquillo e concentrato per una lunga veloce guida anche notturna. Dopo un chilometro sosta all'adiacente viaggio di Taftan per il rifornimento. Io non ho problemi.
L'impatto con il Belucistan è duro. Siamo a due passi dall'Afghanistan e qui le etnie si mischiano, ma la curiosità delle mille profonde evidenti differenze con l'Iran sono quasi annullate dal vedere la totale indifferenza verso una vita immersa in una gigantesca umida pattumiera in cui nuotano o volano rifiuti, che qui sarebbero assolutamente superflui, comunque arrivati al seguito di un ipotetico progresso che, solo, non conosce confini e non necessita di visti.
Mi ritornano in mente, e chissà quante altre volte accadrà, i due giovani pastori solitari e sperduti con il pranzo in due fazzoletti intrecciati invece che in una comoda e facilmente reperibile e sostituibile busta di plastica.
Finalmente si parte. La sequenza di cambi di auto, a cui io non sono fortunatamente costretto per via dell'Ammiraglia, e di checkpoint è impressionante. Per i primi 100 chilometri facciamo una sosta mediamente ogni 7 od 8, estenuante. In mezzo si viaggia a non oltre 60 o 70 chilometri orari e l'Ammiraglia soffre per motivi totalmente diversi da quelli attesi. Ai checkpoint, su quaderni approntati in maniera sempre diversa, occorre ogni volta scrivere nome, cognome, numero di passaporto, nazionalità, date di scadenza e validità del visto, e così via. Va peggio dove invece a scrivere è un qualche poliziotto o militare che capisce a stento cosa gli diciamo ed ha difficoltà con i caratteri latini. Fortunatamente, nonostante la grigia giornata annuvolata, il paesaggio di questo deserto mi distoglie dalla monotonia e lentezza dello spezzettato procedere. In alcuni tratti particolarmente ventosi e pianeggianti, da basse dune a volte di tipo sahariano la sabbia si solleva e ricopre tratti di asfalto.
Si è fatto buio e la velocità delle scorte rallenta ulteriormente. Abbiamo percorso solo 250 chilometri dei 650 totali. Andiamo così piano che guidando ho potuto tranquillamente mangiare con un cucchiaio e senza problemi una scatola di fagioli della mia dispensa italiana accompagnandola con del pane arabo iraniano. Non si è versata nemmeno una goccia e non è caduto nessun fagiolo. Metto addirittura la lampada frontale e leggo qualcosa sempre mentre guido tenendo d'occhio l'auto dei Levies, così si chiama la polizia che ci scorta, davanti a me. Questo può forse dare il senso della situazione. Ormai è buio da un pezzo e nemmeno la lettura riesce a tenermi sveglio e distogliermi dalla noia non più mitigata dal panorama che è diventato oscuro. Mi monta la rabbia. Mi fermo a lato strada ed aspetto a vedere che succede. Tornano indietro a cercarmi dopo un po'. Gli spiego che non posso guidare a quella velocità ridicola di notte perché sono stanco e mi addormento. Ok, andremo più veloci… a parole. Nessun sensibile cambiamento. Veramente furibondo e senza problemi a tenere gli occhi aperti, li sorpasso. Immediatamente li distacco anche se non posso andare oltre i 90 chilometri orari per via dei numerosi camion e della strada stretta e spesso dissestata. Li rivedo dopo una quindicina di minuti nello specchietto. Hanno acceso le luci rosse e blu rotanti e mi stanno venendo a riprendere. Mi preparo a ricevere una bella strigliata. Invece mi si mettono dietro, mi segnalano con i fari che ci sono e non mi superano. Mi fanno continuare davanti. Più che aver capito, sanno cosa succederà dopo poco. Questo procedere finalmente adeguato al lungo percorso viene infatti interrotto dopo pochi chilometri. Mi superano e ci fermiamo in uno dei pochi villaggi di media grandezza che si trova all'incirca a metà strada, Dalbandin. C'è un hotel e capisco che non hanno affatto intenzione di andare oltre per oggi. Faccio abbastanza casino spiegando dell'hotel prenotato, dei soldi che perderò, del fatto che alla partenza avevano detto che saremmo arrivati a Quetta. Fanno arrivare da un checkpoint più avanti un più alto in grado, mi dicono di aspettare dieci minuti e che dopo potremo continuare. Balle. Quando arriva non fa altro che ribadirmi comunque gentilmente che non c'è nulla da fare e mi spiega che è pericoloso continuare di notte anche se è molto vago nello spiegare perché. Stavolta non ottengo nulla. Oltretutto fermi qui ci sono anche la coppia di bulgari ed il ciclista serbo partiti da Taftan svariate ore prima.
Le ragazze sono costrette a prendere comunque una stanza perché alla richiesta di mettere la tenda nel parcheggio dell'hotel, chiuso da un robusto cancello, viene loro detto che lì non possono garantire della loro sicurezza. In quella che prendo io scelgo di dormire sì sul letto, ma con il mio sacco a pelo. In bagno lo sciacquone non funziona, lo apro per controllare e dopo un po' mi rendo conto che non ci sono proprio i tubi che portano l'acqua. Una piccola brocca da riempire ad un rubinetto vicino è il vero scarico. Mi farò portare un secchio più grande. Il lavandino non ha scarico e l'acqua viene deposta in terra da un tubo e scorre per qualche metro fino ad un buco che la smista chissà dove. Ovviamente non avrebbe senso che ci fossero acqua calda e riscaldamento. Un divano sfondato completa l'arredamento. La stanza e l'hotel sono una scenografia, dei vecchi e sbiaditi pannelli posticci in cui è solo malamente disegnato lo sconosciuto occidente che arriva in questi luoghi che oltrepassano anche il concetto di frontiera. Sarebbe molto meglio stare sotto una tenda con il deserto come sala da bagno. Nei centri abitati incontrati ho visto la stessa situazione. Dove le costruzioni erano ancora quelle tradizionali di questi luoghi, in mattoni cotti o crudi fatti di terra ed acqua, l'insieme aveva un aspetto gradevole e soprattutto relativamente pulito nonostante l'immensa povertà del vivere. Dove invece c'era una rappresentazione di luoghi così lontani dal quotidiano da non essere per nulla noti, con costruzioni in mattoni di cemento e negozi pieni di coloratissima ma povera mercanzia, e quindi una disponibilità economica certamente superiore, l'unica cosa che risaltava era il degrado. Qui, nonostante gli spazi immensi e vuoti a disposizione, non ho per nulla notato nemmeno la comune pratica del seppellimento dei rifiuti appena fuori dai luoghi abitati, semplicemente il problema sembra non esistere esattamente come non esisteva molti decenni fa nell'assenza di materiali che non fossero organici.
Anche se ancora non ne ho esperienza sono certo che questo non è il Pakistan, queste sono zone presenti quasi ovunque sul pianeta, zone oltre le frontiere e che non necessariamente devono trovarsi isolate geograficamente. La purezza del desertico ed immacolato immenso nord Belucistan non fa che amplificare le sensazioni negative dei vari concentramenti umani.
**********************************************************************************
Sono un tipo abbastanza freddo da non cadere nella trappola della mitizzazione romantica del mio viaggiare, ma se vi chiederete e mi chiederete se tutto ciò intacchi il mio interesse per questi luoghi risponderò che anzi lo amplifica, se vi chiederete e mi chiederete se tutto ciò possa aumentare, come qualcuno ha scritto, la contentezza per una nascita in luoghi in cui questi mondi sono colpevolmente e volontariamente ignorati risponderò che non provo alcun piacere per una vincita al lotto totalmente indipendente dalla mia volontà che anzi dovrebbe essere fonte di maggiore ed invece totalmente inesistente responsabilità ed infine se vi chiederete e mi chiederete se tutto ciò mi faccia attenuare le critiche feroci che spesso faccio al mondo decadente in cui vivo vi risponderò che le accentua perché vedo ed ho sempre visto le sue responsabilità secolari e cito ciò che ho imparato in giovane età da chi è stato per la mia crescita mentale più importante dei miei stessi genitori, “anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti” che vale anche per gli stessi che qui cercano di dare come tutti un senso al vivere e che non mi sogno assolutamente di vedere solo dalla parte di vittime.
Rivedo spesso sul computer, e mi dispiace di non riuscire ancora e chissà fino a quando ad inserire altri filmati, il saluto che casualmente ho registrato di uno dei due pastori già citati e che certamente sto mitizzando al di là del reale a causa dei pochissimi minuti trascorsi con loro. Quello che importa però non è la possibile diversa realtà, ma quanto ne ho ricavato. È stato un saluto finale secco, netto ed immediatamente, di scatto si è girato verso la vallata ed il gregge. Il saluto di chi vuole evitare qualunque cosa possa distoglierlo dal suo mondo, qualcosa di pericoloso che possa attivare in lui pensieri ed azioni e speranze e miti che lo potrebbero distruggere. Una difesa dalla conoscenza e dalla consapevolezza al di fuori dell'immediato e del presente. Altro di cui comunque sa, altro che lo ha portato a possedere un comodo cellulare, altro che certamente è allettante, altro a cui consapevolmente non riuscirebbe a rinunciare.
Spesso ho pensato che il vero problema dell'uomo è proprio la consapevolezza di sé cioè quanto di più esaltato ed esaltante abbiamo di diverso ed unico. Penso spesso romanticamente che gli animali abbiano consapevolmente rinunciato alla consapevolezza per non modificare lo stato metafisico dell'universo. Se la leonessa acquisisse consapevolezza inizierebbe ad uccidere più gazzelle possibile quando in forze per non rischiare di morire di fame in caso di malesseri che le impedissero di cibarsi in futuro e poi probabilmente passerebbe allo scambio per potersi ogni tanto gratificare con della buona carne di canguro portata da oltre oceano. La singola gazzella da parte sua non riuscirebbe ad accettare il suo ruolo di food e cercherebbe magari di organizzarsi con altre per non rischiare giorno dopo giorno di essere uccisa e poi, come potrebbe da essere pacifico accettare un atto che immediatamente moralmente definirebbe e percepirebbe violento e crudele? Il corpo umano, se ne escludiamo la limitata durata, è un altro esempio di stato metafisico. Ogni singola cellula assume un ruolo ben definito ed indispensabile al benessere dell'universo corpo e siamo noi che moralmente diamo più importanza a questa o quella specializzazione cellulare. In realtà abbiamo bisogno che tutte le nostre cellule continuino indisturbate ed inconsapevoli a fare il proprio lavoro che siano le esaltanti e celebrate cerebrali o le poco appariscenti dei tessuti gluteali. Anche qui romanticamente ho sempre interpretato come una presa di coscienza del sé lo svilupparsi di una cellula tumorale, una cellula che non accetta più il proprio ruolo e cerca di sopravanzare in importanza qualunque altra.
Se ho ragione allora l'uomo non è in grado di cogliere alcunché della metafisicità dell'universo e “…gli esseri umani sono un'infezione estesa, un cancro per questo pianeta…” .
I dinosauri hanno dominato il pianeta per 160 milioni di anni e ce lo hanno lasciato senza modificarne il corso, noi in 2 milioni di anni probabilmente non abbiamo ormai più la possibilità di salvarlo da noi stessi. E questa la chiamiamo intelligenza.
*********************************************************************************
Giorno 42 – 20 Dic 2019
Mappa del viaggio
L'espresso che riesco a prepararmi perfino in questa posticcia inospitale diroccata replica di occidente mi rinfranca come mai prima e mi mette perfino di buon umore. Tutti provati dalla nottata ripartiamo per gli ultimi 350 chilometri.
La colonna si è arricchita dell'auto dei bulgari e della bicicletta del serbo che intende arrivare a giugno in Giappone per le olimpiadi. Ovviamente la bicicletta viene caricata ed intasa il già precario spazio dei mezzi dei Levies che spesso sono dei pick-up malamente riparati dal vento in cui le ragazze ed il serbo soffrono il freddo.
L'Ammiraglia è la mia oasi. La giornata è oggi piacevolmente soleggiata. Non oso immaginare le temperature estive.
La velocità e le continue interruzioni restano immutate con l'aggiunta di soste per il tè.
Avvicinandosi a Quetta i villaggi migliorano nell'aspetto. Le pompe di benzina moderne sono pochissime ed alcune sono in fase di installazione, molti vendono carburante lungo la strada nelle taniche, io ho le scorte iraniane. Con il sole gli incredibili addobbi dei camion pakistani famosi in tutto il mondo brillano coloratissimi. Sul retro hanno spesso anche il ritratto del conducente.
Check Point e caserme non hanno mai fine. Studenti escono da scuola. Compro e mangio due uova sode da un ambulante ad una sosta. Belle panciute ciminiere sfornano mattoni in cotto. Un solitario negozio è affiancato da una moschea Dogvilliana che sembra disegnata in terra da Von Trier.
Arriviamo a Quetta con il buio, in alcuni tratti siamo andati a 50 orari e sono sfinito. Prima della città apprendo che all'hotel prenotato per ieri, a cui comunque volevo andare per cercare di non perdere la cifra pagata, non possono accompagnarmi perché solo tre hotel di Quetta sono abilitati ad accogliere stranieri. Fortunatamente non ho avuto al momento prelievi sulla carta di credito. Ci porteranno all'Hotel Bloom Star. Bloom… ed immediatamente le mente mi porta a Leopold, Joyce ed all'Ulisse letto molti anni fa e certamente il testo più complesso mai affrontato. Sulla camionetta dei Levies le ragazze ed il serbo sono stipati al punto che l'unico soldato deve tenere in mano il recipiente metallico con un fuoco di legna acceso dentro che poco può contro il freddo ormai intenso della notte.
Da qui in poi non riesco più a fare foto perché devo restar loro incollato a meno di un metro. Appena lo spazio tra noi si allarga di pochi centimetri vi si infilano tutti i veicoli e pedoni circostanti senza alcuna paura di scontrarsi con me o tra loro. L'ingresso a Quetta è una vera e propria odissea e per la prima volta nella mia vita mi chiedo se sarò in grado di affrontare, al timone di quella che mai come ora a ragione chiamo Ammiraglia, il mare in tempesta in cui sono. Migliaia di individui, risciò a motore, moto, biciclette, auto e camion si contendono in un caos senza eguali una piccola strada ai cui lati scintillano botteghe di ogni sorta. L'aria è gioiosa e festante. Le donne a volte solo con gli occhi scoperti hanno, a differenza dell'Iran, vestiti colorati. Il poliziotto con la mano cerca inutilmente di far allontanare tutti quelli che si avvicinano strombazzando a meno di dieci centimetri e penso che è un bene non ci siano ancora veicoli volanti perché almeno da quella direzione sono certo che non arriverà nulla.
Incatenato all'auto dei Levies tra questi impazziti flutti cerco di mantenere la calma per poter almeno ascoltare, senza il filtro cerato e rassicurante dei finestrini che ho parzialmente abbassato, il richiamo pericoloso delle circostanti mille sirene che vorrebbero distrarmi dall'attenzione al mantenimento della rotta. I miei occhi devono restare incollati sull'assenza della targa della mia scorta.
Dopo mezzora di questo procedere ci fermiamo in mezzo al mare formando un piccolo scoglio con i veicoli per poter parlare tra noi. Si va direttamente all'hotel Bloom senza passare dalla stazione di polizia. Il parcheggio privato ci si apre come un porto sicuro che si richiude dietro di noi. Spero vivamente che non sia così sempre in Pakistan ed India.
Pessime notizie. Domani è sabato e fino a lunedì non possiamo avere il NOC, il permesso per stare in Belucistan indispensabile per andar via da Quetta. Nessuna alternativa. Lo stesso dicasi per l'acquisto di una sim che è possibile per noi stranieri solo in grossi centri anch'essi chiusi. Non è finita qui. Con o senza NOC non possiamo comunque mettere nemmeno il naso fuori dall'hotel e mi sarà negato pure il recarmi ad un ristorante di fronte ed a non più di cinque metri dall'ingresso del parcheggio. Io mi rassegno anche perché ho molto da scrivere e lavorare e soprattutto devo fare una sosta che probabilmente non mi sarei concesso volutamente, le ragazze ed il serbo riescono a farsi portare alla stazione di polizia per non pagare le stanze, mentre la coppia bulgara non accetta la situazione, ha un visto che scade il 28 e deve anche riprendere quello iraniano dato che il Pakistan è il punto di arrivo del loro viaggio. Non ottengono ovviamente nulla e si rassegnano anche loro a questa per me confortevole prigionia. Non erano preparati a tutto ciò, è evidente, fanno dei paragoni improponibili con l'Iran. Come dico loro l'Iran, pur con le sue notevoli differenti peculiarità, è ancora fondamentalmente Europa mentre qui ha inizio la vera Asia. La mia amata Penelope dalla nostra Itaca mi fa giustamente osservare che in Iran c'era lo Scià che era legatissimo all'occidente ed è rimasta qualche traccia di questo legame. Devo però chiarire per l'Iran che quanto affermo credo sia quasi impossibile da percepire se scaricati da un volo senza un lento spostamento di terra verso l'est.
Giorni 43 e 44 – 21 e 22 Dic 2019
Mappa del viaggio
La mia prigionia.
La temperatura notturna è sotto lo zero, l'acqua bollente e la stufa a gas che fortunatamente non puzza sono una benedizione. Colazioni, pranzi e cene mi vengono serviti in camera ed a volte li consumo al sole in giardino. Un giardiniere anziano in turbante elimina qualche coraggiosa erbaccia che si ostina a crescere in questo ormai iniziato inverno e, mentre mangio, mi fa sentire un aristocratico inglese di un secolo fa. Letto decente. Niente di lussuoso né di paragonabile agli hotel iraniani, ma c'è l'indispensabile per il comfort e sufficiente pulizia al costo non alto di circa 17 euro a notte chiaramente pasti esclusi. Passo due giorni prevalentemente a scrivere ed a leggere. Qualche blackout elettrico interrompe ogni tanto le comunicazioni. Del terremoto nel nord qui non c'è stata nessuna percezione. Sono sereno e parzialmente rilassato mentre i due bulgari, soprattutto la moglie, passano almeno il primo giorno visibilmente alterati. Non nego che rimarrei ancora e non è detto che non debba farlo per forza. Penso di andare direttamente a Multan invece che a Sukkur, per essere già più a nord, ma fino a lunedì, in questo mondo di poche certezze che non mi disturba, non saprò nulla di preciso e quindi è inutile fare programmi, solo liquide ipotesi.
Giorno 45 – 23 Dic 2019
Mappa del viaggio
Verso le 11 veniamo prelevati dai Levies e scortati all'ufficio per ottenere il NOC, il permesso per il Belucistan che ancora non so assolutamente a che serve visto che non ti puoi muovere senza scorta anche possedendolo. Forse per il ritorno. Sono arrivati tutti in moto e quindi io ed i due bulgari dobbiamo stiparci all'interno di un Tuk-Tuk, dei risciò a motore chiusi a tre ruote poco più piccoli di un'ape Piaggio. Giá provati in Cambogia sono divertenti e sgusciano dappertutto. Sono il principale mezzo di trasporto nelle città.
La situazione agli uffici è interessante. Grandi archivi pieni di incartamenti. Ci sono i computer, ma ancora funziona tutto con il cartaceo. Per il permesso non c'è stato alcun passaggio telematico di alcun tipo. Accanto alle scrivanie hanno stufe a gas ormai annerite e deformate dall'uso e soprattutto pentole e grossi fornelli da campeggio con cui prepararsi thè e qualunque altra cosa, comodo. Qui incontro altri viaggiatori.
La gerarchia è evidente e ferrea. Dopo un paio di giri, alla fine siamo condotti da un serissimo mega direttore galattico con enorme scrivania, abbigliamento occidentale e piccola schiera di ossequianti segretari. Con lui restiamo solo per il tempo di una sua firma, ma è chiaramente il passaggio chiave. Nel suo ufficio la stufa è nuova e non ci sono fornelli.
Chi non ha l'auto viene poi condotto alla biglietteria della stazione per prendere il treno. Riesco a rubare una foto ad uno sciuscià a cui permettono di sedersi per terra vicino alla camionetta in cui siamo stipati in 10, solo perché la ragazza cinese vuole farsi lucidare le scarpe.
Chiedo di essere portato ad acquistare una sim e mi scortano fin dentro un ufficio della compagnia telefonica Kong che dovrebbe essere la migliore e con connessione ovunque. Ci sono sei sportelli ed almeno 50 persone in attesa. Mi fanno passare avanti a tutti. La febbre per i cellulari non ha confini. 30 Gb per un mese a circa 10 euro.
Sono ormai le tre ed è ovvio che la prigionia non è finita. Altra notte in hotel, si parte domani mattina scortati. Io ho beccato il fine settimana, ma comunque per arrivare dal confine iraniano ed essere poi fuori dal Belucistan liberi di muoversi occorre calcolare almeno quattro giorni. Enjoy.
Giorno 46 – 24 Dic 2019
Mappa del viaggio
Finalmente arriva quello che dovrebbe essere l'ultimo giorno con i Levies.
Io e la coppia Bulgara dopo poco ci uniamo ad un'altra coppia olandese conosciuta ieri agli uffici per il NOC con un bel Toyota sei cilindri in cui dormono anche. Ovviamente il Toyota è privo di elettronica. Questi sono viaggi che sarebbe abbastanza folle affrontare con auto recenti che vengono vendute ormai pubblicizzandone i gadget e non i motori. Non hanno lasciato a casa il loro grosso cane che ogni tanto sporge la testa fuori anche lui incuriosito. Nei paesi islamici i cani, ormai popolarmente visti come impuri, non hanno certamente vita facile. Per qualunque razza alcune centinaia di chilometri possono segnare una casuale immensa differenza di vita.
Fortunatamente i cambi ed i controlli sono adesso di gran lunga inferiori e questo mi costringe però a scattare prevalentemente al volo ed alla cieca mentre procedo. Lo spettacolo che si rappresenta lungo le strade è sempre vario, per me inconsueto ed affascinante.
L'unica auto della carovana che è dotata di elettronica, quella dei Bulgari, comincia ad avere problemi. Dapprima pensano che al rifornimento abbiano loro messo benzina al posto del diesel e vengono quindi trainati dal Toyota, ma poi fortunatamente questa ipotesi viene scartata e si rimettono in marcia. Anche la batteria non ce la fa e si deve far ripartire l'auto collegando a quella del Toyota. Con lo scandinavo commentiamo che la sua e la mia continuerebbero ad andare all'occorrenza anche senza batteria. Alla fine sembra “solo” un problema di filtri aria e carburante che però tende a far arrestare l'auto in attesa di soccorsi e ne fa abbassare notevolmente la potenza. L'olandese è evidentemente esperto e sostituisce ad un certo punto il filtro aria con un pezzo di t-shirt per impedire che l'elettronica non permetta di procedere.
Al confine tra Belucistan e Sindh i Levies ci lasciano nelle mani della normale polizia pakistana. Si è fatto buio ed i cambi scorta, mentre ci avviciniamo a Sukkur, diventano frequenti e sono effettuati al volo senza fermare la colonna. La precedente rallenta e seguiamo la nuova che si è già avviata. A non più di 10 chilometri da Sukkur, in uno strombazzante traffico già intenso e caotico, ci perdiamo la scorta. Ci sono auto private che hanno delle piccole luci lampeggianti rosso-blu come quelle della polizia e clacson che ricordano la sirena. Il bulgaro ad un cambio si mette a seguirne una, ma è evidente che non si tratta della nostra scorta anche perché procede a 100 km/h quando al massimo andavamo a 70. Questo scambio è potuto accadere perché a volte le auto della scorta sono delle normalissime vetture private. Dopo un po' lo sorpasso e lo blocco. Anche gli olandesi si erano accorti dell'errore, ma era meglio restare insieme e quindi come me non si sono fermati. Ormai è buio e dopo aver atteso invano per una decina di minuti l'arrivo della smarrita scorta decidiamo di procedere verso un hotel in mappa a pochi chilometri. Domani si vedrà.
Giorno 47 – 25 Dic 2019
Mappa del viaggio
In un anonimo e qui sconosciuto giorno di Natale mi separo dai casuali compagni di viaggio. L'hotel ha comunicato di noi alla polizia che, prima dice di aspettare per scortarci per i non più di 5 chilometri che mancano alla città, poi cambia razionalmente idea. Siamo finalmente liberi. I Bulgari hanno trovato su internet dei rivenditori di ricambi auto e si avviano per primi. Gli olandesi non hanno programmi ed io decido di dirigermi verso Multan. Dopo poco, per la prima volta da solo in Pakistan, imbocco la principale modernissima e recente arteria autostradale del paese che qualche ideogramma che vedo mi fa supporre costruita con il supporto cinese. I rapporti tra i due confinanti paesi devono essere al momento ottimi. La ragazza con gli occhi a mandorla, entrata con me dall'Iran, non aveva avuto necessità di visto.
A velocità di crociera viaggio a circa cinque metri d'altezza rispetto alla campagna circostante. Un terrapieno, interrotto da piccoli sottopassaggi che mettono in comunicazione i due lati altrimenti irrimediabilmente separati, è la base per otto vuote ampie corsie, quattro per ogni verso di marcia compresa quella d'emergenza. Le nuove, poco fantasiose, tutte assolutamente identiche e già completate aree di servizio sono ancora chiuse e solo in un paio ci sono dei furgoni per un veloce pasto, la moschea aperta ed i bagni. Per il rifornimento occorre uscire ai caselli e poi rientrare. I biglietti all'ingresso e la riscossione del pedaggio non sono compito di freddi marchingegni che ti salutano con un metallico e chissà perché solo femminile “Arrivederci”, ma affidati a sorridenti addetti che calorosamente mi augurano buona permanenza in Pakistan ed a volte mi intrattengono in lunghi tentativi di dialogo. Pochissimi conoscono l'inglese.
Costi non paragonabili a quelli italiani, ma nemmeno indifferenti. Per 400 chilometri pago un totale poco superiore ai 10 euro. In ogni caso mi è ormai evidente che i prezzi degli hotel sono mediamente alti, la benzina è poco sotto l'euro al litro e l'economico Iran è ormai un ricordo.
La giornata è padanamente nebbiosa, situazione che resterà pressoché invariata.
Dopo queste necessarie e relativamente interessanti informazioni, veniamo a ciò che invece noto quasi subito ed è totalmente inaspettato ed incredibilmente fruttuoso.
A ridosso della ininterrotta alta rete metallica che corre parallela all'autostrada e che separa due mondi e due tempi lontanissimi tra loro, come impresso su una infinita pellicola, scorre e mi si apre senza veli o interferenze dovute alla mia stessa presenza indagatrice il Pakistan rurale al quale certamente non avrei possibilità di accesso alcuno nemmeno rimanendo qui per mesi. Mi è regalato uno sguardo sopraelevato, privilegiato e soprattutto spesso nascosto nella sua vera portata ai soggetti, che mi fa entrare, grazie ai mezzi fotografici che ho con me, totalmente dentro la vita quotidiana dei campi e delle case dei contadini e delle loro famiglie. Un Pakistan che penso precluso anche agli stessi pakistani dei centri abitati. Dopo un inizio scoraggiante in un paio di piccolissimi villaggi dove la vita si svolge tra i rifiuti, scopro la pulizia oltre che la serenità della campagna i cui sparsi, ma non isolati, occupanti vivono apparentemente in pace con il mondo e con se stessi una certamente povera e dignitosa vita. Una delle poche costanti moralmente negative è la visione del lavoro che è quasi solo femminile con poche eccezioni. A volte gli uomini, che qualche volta controllano e sovraintendono, hanno in mano delle robuste verghe che mi fanno pensare a sferzate di incitamento che spero siano solo nella mia fantasia.
La descrizione delle singole foto della lunga sequenza che segue la lascio ad un lettore che spero attento ai mille particolari più o meno evidenti che evito di sottolineare in modo che ognuno possa coglierne di suoi. Unica nota la riservo alla foto dei bambini che giocano “outside the wall” i quali alla vista del lungo teleobiettivo che fuoriesce dal finestrino, dopo che ho fatto solo un paio di scatti, scappano precipitosamente quasi tutti verso le case alle loro spalle. Una reazione totalmente inaspettata che mi sorprende immensamente e mi fa riflettere, assolutamente identica a quella dei tanti uccelli che casualmente incontro, inconsapevoli del mondo al di fuori delle loro istintive necessità.
Alla fine di questa intensa giornata che da sola, almeno per me, costituirebbe motivo di visita del Pakistan, mi avvio verso l'hotel che dopo una ricerca su internet mi ha convinto maggiormente. Il traffico continua ad essere totalmente incontrollato ed incontrollabile, solo impercettibilmente meno infernale che a Quetta.
All'arrivo un'amara sorpresa, anche a Multan e nel sud del libero e sicuro Punjab in cui sono adesso, solo pochi hotel possono accogliere stranieri. Vengo indirizzato quindi verso il Bling Hotel in cui accetto forzatamente una camera a circa 32 euro a notte. Vorrei rimanerci comunque due notti per visitare la città e qualcosa nei dintorni. Mi dicono che con il buio non posso uscire, ma questo non è un problema.
Giorno 48 – 26 Dic 2019
Mappa del viaggio
Santo Stefano in una città considerata sacra dai pakistani credenti, come ho appreso durante una sosta ieri dall'unico che parlava perfettamente inglese dei molti che mi si sono avvicinati durante una sosta. Pare che dal nord in molti si muovano alla volta di Multan per visitare i suoi luoghi sacri. Dopo un veloce check all'Ammiraglia, mentre sto per lasciare l'hotel per un giro in città, mi fermano alla reception e mi dicono che posso uscire, ma solo accompagnato da uno della loro sicurezza. La mia reazione è solo di rabbia e chiedo loro perché ieri sera non mi abbiano informato. Furibondo decido su due piedi di lasciare l'hotel e Multan alla volta di Lahore, non ne posso più di scorte. Con l'Ammiraglia faccio comunque un giro in città. La situazione caotica sulle strade non è razionalmente compatibile con un semplice parcheggio e seguente visita dei luoghi che avevo in mente e che, almeno dall'esterno, non mi sembrano granché. Mi dirigo verso l'autostrada e fortunatamente, capirete tra poco perché, rinuncio anche a tornare indietro per una visita ad un mausoleo 130km a sud saltato ieri per mancanza di tempo. La nebbia è ancor più densa e compatta di ieri.
Faccio il pieno e noto che l'Ammiraglia non regge il minimo ed appena si abbassano i giri del motore si spegne. Strano, ormai ho fatto vari chilometri ed il motore non è più freddo. In autostrada sento che la già poca potenza dei vecchi 1100cc è sensibilmente più bassa del solito. Mi fermo e per tenere il motore accesso devo aprire abbondantemente l'aria. Qualcosa non va di sicuro. Tolgo il tappo del filtro dell'aria e vedo olio dappertutto. Ci siamo. Ecco il primo problema serio. Contatto il mio meccanico tramite Whatsapp. Sta in Cile in viaggio di nozze e mi consiglia intanto di staccare il condotto che va dal tappo dell'olio al filtro dell'aria per non continuare a mandare olio nel carburatore. Mi dice le possibili cause e nessuna è di semplice riparazione. Mi mancano duecento chilometri a Lahore e devo assolutamente arrivarci. L'Ammiraglia non si è mai fermata per strada nemmeno con le fasce rotte e, aggiungendo ogni tanto olio che adesso si sparge sull'asfalto senza fare altri ulteriori danni, entro in città. Con l'aria completamente aperta per non far spegnere continuamente il motore nel traffico mi reco all'Hotel 12J. Pur con una situazione totalmente diversa dalle altre città pakistane, vedo per la prima volta semafori e vigili, ci metto più di un'ora. Niente camere libere. Un gentile tizio che parla inglese e si trova lì per delle foto alle camere da inserire sul suo sito in cui è possibile prenotare online, mi accompagna a piedi ad un hotel vicino anch'esso gestito da lui e mi assicura che è buono e mi farà avere un buon prezzo. Non mi piacciono né le camere né il buon prezzo. Mentre torniamo, in un altro anonimo hotel dei tanti in zona mi fermo io autonomamente ed il prezzo è da furto rispetto alla qualità delle camere. Mi rassegno a ripartire con l'Ammiraglia, ma prima su booking online ne voglio vedere altri. Scopro così che il 12J, nel cui parcheggio sto facendo la ricerca, ha su booking 3 camere libere. Alt! Torno alla reception e mi dicono che non è possibile e mi invitano ad andare avanti nella prenotazione che sarà certamente bloccata successivamente. Completo la prenotazione che in più è non rimborsabile. Ed adesso come la mettiamo? Faccio vedere la conferma. Vanno in crisi. Telefonata al proprietario e dopo gran confabulare e controlli online viene fuori la camera. Miracoli del web. Pure ad un prezzo per qui più che buono di 17 euro circa. Ho finalmente un punto di riferimento. Scarico l'auto per adesso dei soli bagagli, come sempre. Meccanici? Uno a duecento metri. Vado. Capisce al volo di che si tratta. Ok, possibile. Mi chiedono 250 euro per l'intervento. No problem, ma so benissimo che se non aprono il motore la fattibilità ed il costo sono solo dialettica. Scarico tutto il possibile nella camera che fortunatamente è ampia perché da tre posti. L'Ammiraglia stanotte non l'avrò sotto la finestra.
Giorno 49 – 27 Dic 2019
Mappa del viaggio
Vado innanzitutto dal meccanico e trovo già il motore totalmente smontato e lo spettacolo dell'Ammiraglia così profanata mi rattrista enormemente. Il danno è il peggiore possibile. Un pistone ha la fascia di guarnizione rotta ed è anche scheggiato e danneggiato. Si parla quindi di necessità del nuovo e non più di riparabile. Diciamo che devo praticamente rifare il motore. Ero preparato mentalmente a questa possibilità. Continuano a ripetermi che è possibile trovare i pistoni nuovi ed altro, ma sarò tranquillo solo dopo che li abbiano trovati, che l'Ammiraglia riprenda a cantare e che continui a farlo per qualche migliaio di chilometri. Purtroppo non ho con me l'albero a camme che avevo trovato in Germania, ma non acquistato, e che sarebbe meglio sostituire. Peccato, ma vediamo prima se trovano i pezzi. Mi riparlano di soldi, non capisco bene, ma è ovvio che la cifra sarà eventualmente diversa dai 250 euro prospettati. Continuano a parlare di 5 giorni per fare tutto. Sarà.
Mi devo recare all'ufficio governativo dove estendere il visto che mi scade il 31 Dicembre. Non distante. Vado a piedi per cominciare a prendere confidenza con il luogo in cui passerò certamente vari giorni. Ad ogni passo farei mille foto e mille domande, ma non ho lo stato d'animo adatto. Solo un venditore di “calia e simenza“ che viene tostata nella sabbia incandescente, con il suo richiamo alla natia Sicilia, mi fa estrarre la Leica per uno scatto veloce.
Mentre passo davanti alla banca in cui so di dover pagare la quota ancora ignota necessaria per ottenere l'estensione, il mondo che al mio sguardo estraneo sembra una totale analogica disorganizzazione mi chiama richiamato proprio dalla mia estraneità. Un addetto davanti alla banca ha i moduli da compilare per il potenziale pagamento e mi aiuterebbe se già sapessi la cifra necessaria. Mi viene in mente il primo incerto e preoccupato approccio con la linea aerea interna in Tanzania in cui la gestione dei voli avveniva solo con il cartaceo e che dopo vari cambi aereo coordinati al secondo e fatti direttamente sulla pista con tanto di velocissimi e perfetti trasferimenti di bagagli, godette della mia incondizionata fiducia che non risultò mai malriposta.
All'ufficio per stranieri ho la buona notizia che, a differenza di quanto mi era stato detto dall'agenzia pakistana di Gilgit, la data di fine validità del visto si riferisce all'ingresso nel paese e quindi ho a disposizione più di un mese ancora dato che il mio ha una durata di 45 giorni. Ho tempo. A sufficienza. Un po' rinfrancato osservo questo pianeta sconosciuto con maggiore attenzione mentre torno in albergo.
Una adorabile gatta, nel caos, nella polvere e nella precaria pulizia della strada, non cede a quanto gli sta intorno e, dopo aver coscienziosamente fatto una piccola buca per i suoi escrementi, la ricopre con cura nascondendoli alla vista ma soprattutto all'olfatto dei rivali nel territorio. Seppur con immensa difficoltà, i gatti sopravvivono certamente meglio dei cani probabilmente tollerati per via della loro funzione derattizzante.
Nel pomeriggio torno dal meccanico. Non hanno trovato i pistoni in due posti, ma stanno cercando da un rivenditore che asseriscono abbia accesso a qualunque cosa si trovi in Pakistan ed ai miei dubbi risponde facendomi vedere una suzuki giapponese che hanno riparato, ma è molto più recente ed il marchio qui è comune e quindi la cosa non mi tranquillizza per niente. Torno in hotel ed a sera Amir, il meccanico, mi viene a trovare e l'unica cosa che mi sembra di capire è che hanno trovato i pistoni e domani pomeriggio mi viene a prendere per portarmi in officina. Ma ci crederò solo quando sarò di nuovo alla guida. Intanto è passato un giorno.
Giorno 50 – 28 Dic 2019
Mappa del viaggio
Mi sveglio tardi, resto in hotel in attesa di Amir. Di girare non mi va per niente e poi chissà quanti giorni dovrò stare a Lahore. Ho tempo. Dopo aver vanamente atteso l'arrivo di Amir, nel pomeriggio vado personalmente all'officina. Io la chiamo officina, ma in realtà è qualcosa di completamente diverso. C'è un piccolo rivenditore di accessori auto che mette a disposizione di almeno cinque meccanici, che li condividono, i suoi attrezzi. Le auto da riparare sono posizionate sul piazzale davanti, poggiate all'occorrenza su bassi supporti che le tengono sollevate inclinandole dove necessario. Non esistono elevatori meccanici e credo di non averne visto nemmeno uno nelle migliaia di meccanici osservati al limitare di qualunque centro abitato già a partire dall'est Turchia. Al massimo hanno delle profonde buche sopra le quali viene posizionata l'auto, esattamente come ricordo da noi molti decenni fa. Perciò i clienti arrivano ed un meccanico libero si occupa del guasto. Chiaramente non è una costante e ci sono anche molti meccanici che possono permettersi attrezzi ed officina propri.
Notizie che mi preoccupano sempre di più. Non si trovano pistoni della misura giusta. Avevo purtroppo ragione ad essere dubbioso. Amir continua però a dire che può fare la riparazione. Chiaramente adesso non si parla più di rifare il motore, ma di sostituire l'unico pistone rotto. Mi dice che lo stanno facendo fare apposta e che stasera lo avrà. Mentre parliamo un tizio ben vestito parla al telefono e contemporaneamente spolvera l'Ammiraglia per leggere marca e modello. Si avvicina e tramite uno dei presenti che si sta incaricando di tradurre in Inglese per me quello che dice Amir, mi informa che sarebbe interessato all'acquisto. Mi metto a ridere incredulo e gli dico che non ho affatto intenzione di venderla. Riflettendoci poi, mi dico che forse questo è al momento l'indizio più rassicurante sull'effettiva possibilità di rimetterla in circolazione.
Un altro giorno si avvia alla fine. Vedremo se domani la situazione cambierà nuovamente, come fino adesso è successo, in conseguenza di nuovi sviluppi della trama.
Ero assolutamente cosciente del fatto che avrei avuto questo tipo di problematiche ed adesso sto realmente mettendo a dura prova le convinzioni, che mi hanno indotto a partire, sulla possibilità di un'auto come l'Ammiraglia di poter essere rimessa in sesto in qualche modo. Certo avrei preferito iniziare con qualcosa di meno grave.
Faccio un giro più per noia che per l'effettiva necessità di trovare un cambia valute. A parte una vicina piccola interessante strada disastrata e sporchissima dove si ammassano negozietti di ogni genere accanto alla quale c'è il meccanico, al di là di un grande vialone nel cui spartitraffico è posizionata una schiera di pannelli luminosi che instancabilmente trasmettono pubblicità, è un susseguirsi di tristi luccicanti lussuosissimi hotel, mall, ristoranti e grandi negozi di marche anche occidentali. Ci passeggio in mezzo come farei in qualunque altro luogo simile, tristemente e disperatamente curioso di trovare qualcosa di interessante. Entro perfino in una pizzeria a due piani super moderna con decine di camerieri in divisa ed ordino una pizza al bbq solo per eliminare almeno per stasera il problema cena e non essere costretto a mangiare in camera il comunque ottimo pasto che ordino all'hotel. Fortunatamente ho ancora da pubblicare e scrivere degli ultimi giorni passati nella serena esplorazione delle nascoste parti certamente migliori ed immensamente più importanti e vere di questo mondo sconosciuto.
Giorno 51 – 29 Dic 2019
Mappa del viaggio
Domenica. Qui è tutto aperto sempre e comunque, probabilmente sono solo gli uffici a chiudere. A piedi mi dirigo verso l'officina. I contrasti esasperati di questo luogo sono ciò che più colpisce il mio sguardo straniero. Questi cassonetti non distanti dall'hotel in cui vedrò sempre qualcuno frugare, sono svuotati ogni mattina ed anche l'area intorno è ripulita, ma ogni sera tornano ad essere sommersi da una inarrestabile puntuale marea.
Mi dicono che Amir è in giro per il pistone. Mi devo dare una svegliata, tanto non cambia nulla. Una delle più affollate città del mondo con più di 11 milioni di abitanti è a mia disposizione e non ho al momento problemi di tempo. Inizio con la Moschea Badshahi. Il tempo resta sempre nebbioso e freddo. Nei tuk-tuk le porte del guidatore non esistono e quindi non ti salvi dall'aria gelida che ti colpisce in pieno e ti avvolge.
Davanti alla moschea giovani di tutte le età giocano a cricket, sport nazionale retaggio inglese. Il Pakistan ha una delle squadre più forti al mondo.
Devo fare un lunghissimo giro perché alla moschea si accede dal Forte di Lahore ed incrocio casualmente la bottega di un serissimo barbiere senza bottega.
Occorre entrare dal Parco Iqbal che oggi è preso letteralmente d'assalto. Si accede da tornelli presidiati in cui vengono controllati gli zaini e si è perquisiti. C'è anche una piccola tenda in cui controllare le donne. È la prassi. In tutta la città può capitare di dover passare sotto un metal detector anche solo per entrare in un negozio. Ai due ingressi di un grande sottopassaggio stradale, ad esempio, sono stato sondato da poliziotti tramite un metal detector portatile. Il Parco è così esteso che ci sono un trenino e vari piccoli pulmini disponibili a pagamento. Per i romantici anche carrozze trainate da cavalli. I venditori ambulanti di cibarie ed i molti chioschi oggi incasseranno cifre consistenti.
Il Forte è grandissimo e contiene vari ampi padiglioni che incorniciano enormi cortili rettangolari con fontane asciutte al centro. Caratteristica comune di quasi tutto ciò che è visitabile a Lahore è lo stato di semiabbandono. A volte si notano cenni di ristrutturazioni assolutamente inadeguate nel numero e nella portata. L'effetto però, al netto della massa di gente che si aggira per lo più con l'aria da scampagnata, è affascinante e si riescono a percepire gli echi dei tramontati fasti.
All'ingresso della Moschea Badshahi migliaia di scarpe vengono incessantemente scambiate con talloncini numerati unica certezza di un ritrovamento altrimenti impossibile.
Non si possono indossare calzature in tutta l'area della moschea, compreso il gigantesco cortile. Quasi metà dei presenti ha i piedi scalzi, ma non sembra soffrire il contatto con il gelido antico usurato cotto. Qualche solitario seme tostato sfuggito alle fauci di un distratto visitatore mi fa fare un sobbalzo quando finisce sotto la pianta del mio inutilmente calzato piede. Per il resto il cortile sembra fortunatamente ben spazzato e privo di altri piccoli divertimenti per fachiri.
Ci sono varie coppie di sposi con relativa massa di parenti che si contendono le zone più fotogeniche e stavolta nel caos non arricchisco la serie delle foto di sposalizio.
In un'ala della moschea, in un lungo corridoio affacciato sulla folla con decine di fontanelle allineate in attesa di devoti piedi, il lavatoio è probabilmente il luogo meno frequentato e più mistico in questa mondana domenica alla moschea, forse ancor più del pur silenzioso e contrito scorrere di fedeli, a cui mi unisco, davanti alle non certe, ma solo attribuite reliquie di Mohammed Iqbal.
Stanco del bagno di folla mi riaffido ad un gelido tuk-tuk e la mente non più distratta resta bloccata sulle sofferenze dell'Ammiraglia. Trovo Amir che mi fa vedere in foto il pistone nuovo o costruito per me, non ho ancora ben capito, oltre a delle scanalature in un cilindro che costituiscono un altro problema non indifferente da risolvere. Ma come sempre non c'è mai nessun accenno di dubbio nel suo assicurarmi che si può riparare.
Approfitto per prelevare dall'auto alcune capsule di caffè che qui, a soli 180 metri di altezza sul livello del mare, ormai lontane dai turgidi trascorsi d'alta quota sembrano gli attrezzi di Siffredi dopo una dura giornata di lavoro.
Giorno 52 – 30 Dic 2019
Mappa del viaggio
Di Amir e della sua rassicurante certezza nessuna traccia. Sta lavorando per me, almeno spero. Il conducente del tuk-tuk di oggi non sa nemmeno dell'esistenza della Moschea di Wazir Khan mio punto di partenza nell'esplorazione di oggi. Non si fida delle mie indicazioni e dopo avermi erroneamente portato alla moschea vista ieri chiede ad un poliziotto e finalmente si convince che la strada che gli dicevo di seguire è corretta. Deve lasciarmi distante dall'ingresso perché non può entrare nella città vecchia in cui si trova la moschea.
Qualunque bazar, casba, suk io abbia visto fino ad oggi non può minimamente essere paragonato al luogo in cui entro ed in cui immediatamente mi perdo. Innanzitutto è una piccola cittadina e puoi percorrere decine di chilometri senza mai ripassare per lo stesso luogo, sempre ammettendo che arrivandoci da un altro lato uno sia in grado di riconoscere di esserci già stato. In molti vicoli, sempre gremitissimi di negozi di ogni specie, due moto fanno fatica a passare. Entrato da uno degli ingressi a nord, dopo qualche centinaio di metri trovo tutto sbarrato e non so più dove andare per proseguire, chiedo e mi viene indicata una scala che mi fa scendere di un livello. Ero quindi entrato da una strada che dopo poco, con l'abbassarsi del terreno, si era trasformata senza darne avviso in alcun modo, in un primo piano senza più sbocchi. In un turbinio di voci, odori, alimenti, oggetti, fuochi, grida, colori, animali, moto, carretti a mano e soprattutto gente, faccio fatica a mantenermi lucido e solo grazie alla mappa ed al gps arrivo alla prima moschea di oggi annegata in questo putrido ed umido inebriante ammasso liquido. Immagino con un brivido cosa possa diventare questo luogo con temperature intorno ai quaranta gradi. La moschea di Wazir Khan ed il suo cortile, da affrontare anche qui con le sole calze, sono un'oasi di relativa pace incastonata tra cadenti ammassate costruzioni. Un ragazzo approfitta delle fontanelle per un gelido shampoo. Nell'area di preghiera qualcuno dorme per terra avvolto in un sacco.
La gente è sempre cordialissima e, a dispetto delle negative impressioni che il luogo certamente può dare, dopo un po' cammino tenendo senza paura la grossa macchina fotografica in mano. Alcuni mi chiedono di far loro una foto. Ogni tanto qualche cadente elegante palazzo in cotto apre uno squarcio su uno dei mille passati di questo luogo. L'elettrificazione, enormemente più recente della pianificazione urbana, non ha trovato spazio che in strada precariamente ed inestricabilmente appesa.
Alla Moschea Sunehri, più piccola ed ancor più confusa in questo labirinto, per la prima volta in vita mia vedo un muezzin, non affacciato dall'alto di un minareto ma al caldo. Davanti ad un microfono diffonde una preghiera che si disperde confusa tra i vocianti vicoletti.
Esco da questo luogo al limitare del parco visitato ieri ed alcuni cocchieri a riposo in questo lunedì privo di gitanti si prestano ad una foto.
Di Amir nessuna traccia. A sera viene a trovarmi in hotel per farmi vedere il pistone nuovo e la testata levigata e priva di imperfezioni. A questo punto pare abbia tutto per rimettere in sesto l'Ammiraglia. Resto comunque devoto a San Tommaso.
Giorno 53 – 31 Dic 2019
Mappa del viaggio
Stamattina effettivamente trovo Amir già al lavoro.
Giornata ancora più fredda e nebbiosa. Parto per un lunghissimo giro in tuk-tuk. A 30 chilometri c'è Bahria Town in cui è stata ricostruita la Tour Eiffel. Non so se in scala 1 a 1, ma di certo è gigantesca con tanto di ascensore centrale. Non mi posso avvicinare perché è tutto transennato. Questa sera qui sarà festeggiato in pompa magna il nuovo anno con profusione di fuochi d'artificio. Resto il tempo di qualche scatto a questa autentica stranezza.
La cosa interessante è invece il luogo. Ci sono varie Town come questa nella periferia di Lahore, una specie di urbanizzazione come Milano due o tre. Hanno gli ingressi controllati ed il livello dei palazzi, dei negozi e dei locali è sensibilmente più alto che in città. Anche qui i benestanti preferiscono mantenere le distanze da ciò che li rende tali.
Un lunghissimo assiderato trasferimento in tuk-tuk di una sessantina di chilometri mi porta all'altro capo della città per un complesso di tombe del 1600 di cui il mio autista, che per oggi ho monopolizzato, non conosce minimamente l'esistenza.
L'enorme Caravanserraglio di Akbar con le sue ben 180 stanze disposte a formare un quadrato intorno ad un immenso splendido cortile con secolari contorti fotogenici alberi, è il punto d'ingresso per il Mausoleo di Jehangir.
Il luogo è pieno di vispi scoiattoli ed uno si sta deliziando con un chupa-chupa abbandonato da qualche bambino.
Un altro bel giardino ben tenuto fa arrivare ad una costruzione al cui interno c'è la lineare tomba in gradevole marmo intarsiato.
All'estremità opposta del caravanserraglio la Tomba del fratellastro Asif Khan è in pessimo stato di conservazione e solo qualche frammento di colorata decorazione ne fa comprendere la passata bellezza.
Ad un centinaio di metri, passando per un mercato affollato di gente ed animali, la Tomba di Nur Jahan dello stesso periodo è in ristrutturazione ed i confini cintati del sito sono assediati dalle case del quartiere.
Tornando all'hotel faccio un salto dall'Ammiraglia che, ripulita e con il motore già parzialmente montato, mi fa sperare in un 2020 ancora alla sua guida. Ma mi impongo, ed a ragione visto il livello dei problemi, di non credere nella resurrezione nemmeno ai primi incerti passi dell'ancora ipoteticamente rinnovato veicolo, ma solo dopo almeno duemila chilometri percorsi senza ricadute dal mio Lazzaro.
Del capodanno mi interessa solo che Amir sarà al lavoro.
Giorno 54 – 1 Gen 2020
Mappa del viaggio
Mi sveglio più tardi del solito. Ieri sera ho lavorato fino a tarda notte poco disturbato dai pochissimi botti, quasi nulla. Dal meccanico non c'è né lui né la macchina. La sta provando. L'Ammiraglia anche nel 2020 vuole avere un ruolo nella mia vita. Sono abbastanza in tensione, non si sa quando Amir tornerà e magari sta anche girando per qualcosa di ancora non del tutto sistemato. Me ne vado o mi prende l'ansia. Un tuk-tuk per gli Shalimar Gardens in cui non arriverò mai. In una strada mai percorsa fino ad oggi veniamo fermati ad un grande posto di blocco militare. Dopo i controlli mi dicono che io sono a posto, ma il mio autista no e non capisco perché e nemmeno cosa vogliono che faccia, ma alla fine mi dicono di risalire nel tuk-tuk a cui non permettono il passaggio e ci ordinano di tornare indietro. Imposizione veramente assurda visto che siamo in piena città e ci sono migliaia di altre strade, ma potrei non essere a conoscenza di qualcosa. Comunque dopo essere tornato indietro il mio autista, che ha cercato invano di spiegarmi la questione in punjabi o in urdu non saprei, si avvia ovviamente comunque verso la mia meta su una delle mille parallele in cui non ci sono posti di blocco. Veramente senza senso tutta la faccenda e siamo stati fermi almeno dieci minuti davanti a serissimi ed inflessibili militari. Mah.
Telefonata del meccanico. Immediato dietrofront. L'Ammiraglia è pronta e ci salgo per un emozionante giro di verifica in cui Amir mi invita a velocizzare la mia tesa, delicata e preoccupata guida. Ho paura che qualcosa mi si rompa tra le mani. Tutto bene, ma so benissimo che c'è bisogno di ben altri test. Ha cambiato il filtro dell'olio e mi dice di aver bisogno di tre ore per trovare quello dell'aria. Non riesco a restare distaccato e ad utilizzare questo tempo per riprendere l'esplorazione interrotta, quindi semplicemente vado in hotel ed aspetto lì. Puntuale mi porta l'auto. Non capisco se non ha trovato il filtro e ci vuole troppo tempo per averlo oppure se è troppo caro, probabilmente entrambe le cose. In ogni caso ha pulito con la benzina quello vecchio e mi dice che per adesso va benissimo ed in India probabilmente lo trovo più facilmente ed a prezzo più basso. Non ci credo molto, ma c'è poco da fare. Non averne portati con me è stata una vera enorme fesseria, ho pensato a tante cose e non a questi. Mi consiglia di stare attento alla temperatura dell'acqua, credo di capire che il pistone nuovo avrà più attrito, e di fermarmi se va oltre il livello di guardia.
Non ci sarà fino a martedì prossimo perché domani va con la moglie a Multan, si è sposato da solo un mese e penso che questi giorni siano la luna di miele. Incredibile, come il mio meccanico italiano che al momento è in Cile. Casuale prova dell'abisso economico che separa due mondi pur quando i costumi sono identici. In ogni caso l'assenza mi preoccupa. Dopo pochi minuti che è andato via, primo problema. Un faro non ha più il vetro. Riparto per l'officina. Mi dice che è caduto da solo ed è andato in mille pezzi e ci può stare perché è successo anche a me più di una volta con fari vecchi, ma poteva dirmelo. Aveva parlato di luci e non avevo capito, ma poteva mostrarmi il faro. Ho il ricambio e me lo monta. Mi tengo il faro senza vetro che all'occorrenza potrebbe fare comodo visto che adesso non ho più quel pezzo. Mi faccio un altro giro di prova, ma ormai è buio e torno in hotel. Domani farò un test più serio, ma ancora non abbandonerò Lahore.
Giorno 55 – 2 Gen 2020
Mappa del viaggio
Metto un po' in sesto l'interno della macchina. Apro il cofano. Il livello dell'acqua è molto sopra il massimo, ne ha messa troppa. Tento di estrarre l'asta per il controllo del livello olio e mi resta in mano anche il tubicino in cui è inserita. Cominciamo bene. È un bel problema perché dal buco l'olio uscirebbe a schizzi. All'officina un amico di Amir fa intervenire un altro meccanico. lo mettono a posto con del silicone, non devo toccarlo fino a domani, ma la posizione in cui sta non mi convince.
Vado finalmente fuori città, non ne potevo più anche se Lahore è interessantissima. Faccio un po' di autostrada a 100km/h e l'Ammiraglia la sento nettamente più elastica nella resa e silenziosa. A 60km c'è Hiran Minar, una grande vasca d'acqua in cui si può navigare affittando un pedalò o fare un breve giro in barca a motore che ha senso solo per chi probabilmente non ha alcuna esperienza di mare. Al centro un bel padiglione. Il tutto fu edificato più di 400 anni fa in memoria di un cervo. Con intorno un grezzo ed invernale piccolo spoglio parco è meta di gita, come tutti i luoghi simili, per i pakistani in cerca di tregua dal caos onnipresente di qualunque agglomerato urbano. Non irrinunciabile. Per i locali il prezzo dell'ingresso è come all'incirca ovunque di 20 rupie, mentre gli stranieri pagano praticamente sempre 500 rupie, all'incirca 3 euro e mezzo non proprio una sciocchezza visto che occorre pagare quasi ovunque.
Tutto intorno il panorama è arricchito da decine di ciminiere fumanti che sfornano continuamente mattoni. Mi ci fermo davanti per delle foto e vengo immediatamente invitato a visitarne una. La cottura avviene in due grandi spazi, usati alternativamente, in cui il calore viene convogliato. Mentre uno si riempie con i mattoni crudi portati a dorso d'asino, l'altro viene svuotato a mano dopo la cottura.
La temperatura dell'acqua effettivamente sale oltre i livelli abituali, ma non al punto da impensierire. La prima prova seria del nuovo corso dell'Ammiraglia non ha evidenziato problemi.
Torno in hotel e con un tuk-tuk mi reco al Santuario di Data Ganj Bakhsh, un poeta Sufi dell'anno mille molto famoso e venerato. Il sufismo ed i Sufi, per dirla in poche parole, sono il lato mistico dell'Islam aggiungerei Sunnita, ed i seguaci ricercano l'Assoluto, Dio, Allah, in se stessi perché questi è l'uno e qualsiasi essere non è che un suo riflesso.
Penso di assistere solo a dei canti sacri di devozione, i Qawwali, che mettono in comunicazione con Dio, ed invece mi ritrovo con centinaia di fedeli a condividere gomito a gomito riti in cui non mi perdo d'animo solo perché allenato da anni di feste di S.Agata.
Approfitto per esortare chi legge a programmare un viaggetto a Catania in occasione di questa festa che non ha eguali in Italia ed in Europa leggevo che forse solo la Semana Santa di Siviglia può reggere il confronto. In ogni caso a due passi c'è la possibilità di assistere a qualcosa di unico che difficilmente si dimenticherà. Basta andare dal 3 al 5 Febbraio giorni finali della festa, farsi consigliare sui migliori passaggi da vedere e buttarsi nella folla senza paura. Sono date fisse non importa che giorno della settimana siano. La festa in realtà inizia un mese prima, ma i due ultimi giorni sono il clou. Non ve ne pentirete, garantisco personalmente.
All'esterno i controlli sono severissimi e non si possono introdurre borse o macchine fotografiche, io riesco ad intrufolare la Leica, comunque sono ammessi i cellulari e con questi è possibile fare foto e filmati.
Solo un paio di descrizioni necessarie per capire meglio il video. La tomba del poeta è letteralmente assalita solo per un tocco con la mano o un selfie molto poco mistico. Uno della confraternita mi nota e mi fa andare avanti per poter vedere la tomba e chiaramente fare una donazione. La sosta alle finestrelle che si affacciano sull'area della tomba, in cui vedo dei privilegiati probabilmente paganti, è solo di qualche secondo. Un morto, coperto da un telo e fiori, su un letto di metallo portato a braccia viene introdotto per avere la benedizione del santo ed anche a lui sono concessi solo pochi secondi. Durante il Qawwali di un ragazzo con una voce abbastanza coinvolgente, altri della confraternita preparano sacchetti di dolciumi che verranno poi distribuiti gratuitamente insieme a tanto altro cibo. Scendo al piano inferiore dove ai lavatoi si ammassano i fedeli scalzi per una indispensabile lavata di piedi. Il pavimento è pieno di resti di cibo di vario genere e lo sento appiccicoso sotto le calze che certamente non potrò riutilizzare prima di una seria disincrostata. Nella stessa grande sala si distribuisce cibo che cerco di ottenere anch'io spingendo a tutta forza in mezzo ad una marea ondeggiante e sempre in procinto di rovinare per terra. Ognuno ha in mano un sacchetto di plastica che viene afferrato, riempito del cibo in quel momento disponibile e restituito. C'è una inutile fila, ma è più un assalto all'arma bianca in ordine sparso. Quando conquisto la prima linea, con in una mano il sacchetto e nell'altra il cellulare, quello che doveva essere riso è finito ed iniziano a riempire i sacchetti con qualcosa di liquido che non so cosa sia e che mi fa rinunciare alla lotta.
Esausto mi infilo in un tuk-tuk e, arrivato in stanza, crollo sfinito senza la forza di scrivere nulla.
Giorno 56 – 3 Gen 2020
Mappa del viaggio
Carico tutto in macchina. Dopo aver ieri costatato che l'Ammiraglia al momento non ha ricadute immediate, voglio arrivare ad Islamabad e sull'autostrada viaggiare per circa 400 chilometri a velocità costante. Una sorta di primo rodaggio. Come previsto la posizione in cui è stato messo il tubicino della sonda del livello olio non permette alcuna verifica. Rivado all'officina e stavolta, con calma ed impiegando più tempo lo rimettono penso correttamente, ma lo saprò solo domani.
A 150 chilometri da Islamabad ha termine l'immensa nebbiosa pianura coltivata e si incontrano un paio di basse cime con delle salite non ripidissime, ma sensibili, che l'Ammiraglia sembra superare con una agilità che non ricordavo. Ho deciso di restare in Pakistan almeno fino a martedì prossimo quando Amir sarà tornato e potrà dare un'ultima controllata prima di passare in India. L'assenza di problemi e di rilevanti incontri mi permette di parlare di guida ed hotel in modo più dettagliato.
Retaggio inglese è la guida a sinistra. Per me non è una novità, ma è in assoluto la prima volta con un'auto a guida a sinistra. È molto meno problematico e non ho avuto esitazioni già dai primi chilometri all'ingresso in Pakistan. Il motivo è semplice, i comandi non sono invertiti. In altre occasioni, per giorni, ogni volta che dovevo mettere la freccia azionavo i tergicristalli.
Gli hotel lasciano parecchio a desiderare e sono piuttosto cari. Il problema primario è la pulizia e, perché sia chiara questa indicazione, specifico che io sono un acerrimo contestatore della paranoia italiana al riguardo che, esattamente come l'utilizzo spropositato di antibiotici, fa rapidamente evolvere generazioni più agguerrite di germi e contemporaneamente abbassare le difese immunitarie. Quindi, quando dico che il livello di pulizia è basso intendo che la maggior parte delle persone che conosco non ci entrerebbe nemmeno. Lenzuola ed asciugamani sono piccoli, spesso accettabilmente puliti, ma sempre indelebilmente macchiati da precedenti innumerevoli usi e con vari piccoli buchi. L'acqua calda è sempre presente almeno al livello degli alberghi che scelgo che è comunque basso. A volte ci sono dei black-out elettrici che però non dipendono dagli hotel. Il livello dei pasti ordinati è sempre stato più che buono, mentre le colazioni se comprese nel prezzo sono scarsissime. Il riscaldamento normalmente non c'è o si paga a parte e consiste quasi sempre in una semplice piccola stufa elettrica od a gas. Arredamenti e bagni quasi sempre vecchi e malandati. Rivalutandolo adesso, l'Hotel Bloom di Quetta aveva un ottimo rapporto qualità-prezzo. Gli hotel che scelgo si aggirano sui 20 euro a notte e, per avere dei comfort diciamo discreti dovrei salire ad almeno 40 o 50 a notte, mentre per standard prossimi a quelli occidentali occorrono più di 100 euro a notte. Io parlo di cifre per un singolo, se cambia qualcosa per una coppia non saprei. Le stanze singole comunque esistono raramente e ho quasi sempre matrimoniali.
L'ingresso ad Islamabad è totalmente differente da quello nelle altre città. Anche in periferia ci sono costruzioni gradevoli basse e molte ville con il filo spinato sugli alti muri di delimitazione mi fanno pensare alle metropoli sudamericane. Efficienti vigili con il cappello dirigono un traffico di sole auto ben incolonnate e qualche moto. La cosa che immediatamente si nota è la totale assenza dei tuk-tuk che da soli costituiscono almeno l'80% della caoticità. È un altro Pakistan.
Vado al centro Nikon per far pulire il sensore della Nikon D810 e mi dicono che dovrebbero mandarla a Lahor. Sul sito Nikon non risultava ci fosse un centro a Lahore. Devo rinunciare per adesso.
La città è divisa in settori numerati ed in ognuno sono presenti un po' tutti i servizi principali e le abitazioni. Non c'è un ben definito centro quindi. Rawalpindi è una differente città ormai fusa completamente con Islamabad, ma per il momento non ne so nulla.
Dov'è il centro Nikon è un settore a nord ipermoderno ed iperricco ed ipercaro e nei locali che non sfigurerebbero nelle più belle capitali europee molte ragazze in giro da sole hanno i capelli curati e scoperti. Chi vi si aggira è abbigliato elegantemente ed io sono l'unico a portare il Pakol, il cappello Afghano dei Pashtun diffusissimo ovunque. Settori poco interessanti. Un bar frequentato da tanta bella gente in ghingheri si chiama Cannoli. Entro e quelli in vendita non sono nemmeno un lontano ricordo. Gli faccio vedere in foto dei veri cannoli, ma è evidente che non sanno nulla del nome che hanno dato al locale e nemmeno sembrano granché interessati. Business, business, business non c'è altro nella testa. Addio Pakistan.
Nel settore dove ho invece l'albergo la situazione è più o meno simile a quella ormai familiare, al netto però del caos che qui è inesistente ed ho la possibilità di aggirarmi concentrando l'attenzione sulle varie attività. In un ristorante due giovani mi chiedono il link alle foto e ci chiacchiero un po'. Uno, come molti altri incontrati, mi dice di avere il fratello in Italia ad Aosta. Il gestore di una rosticceria in cui sono cotti alla brace dei polli mi invita ad assaggiarli decantandone la bontà ed effettivamente sono squisiti. Ci tornerò domani. Non mi fa pagare nulla e stiamo a chiacchierare per un bel po' seduti ad un tavolo. Una persona deliziosa che, come molti altri, è felice di vedere europei che tranquillamente si aggirano visitando il suo malamente conosciuto paese. Spessissimo vengo fermato solo perché vogliono farsi un selfie con me, come se fossi una celebrità.
L'altra faccia però è sempre presente a ricordarmi che questo resta un paese per pochi se lo si vuole visitare senza restare in qualche torre d'avorio di un costosissimo hotel. Sotto le lenzuola sento dei pizzichi e comincio a grattarmi. Non vedo nulla, ma scendo in auto a prendere il potente anti-insetti da giungla che mi servirà più avanti e ne spruzzo un bel po' direttamente sotto le coltri comunque già umide per il freddo. Tranquillamente adesso posso scrivere e dormire senza più molestie.
Giorno 57 – 4 Gen 2020
Mappa del viaggio
Anche questa notte dormirò qui. Da un meccanico mi viene detto dove a Rawalpindi posso trovare il filtro dell'aria. Ci devo provare. Quando ci arrivo, a non più di 10 chilometri, ritrovo il solito Pakistan ed i soliti tuk-tuk in numero però comunque decisamente inferiore. Niente da fare. Non ne trovo di adattabili. Durante questa giornata passata interamente in coda all'interno del solito traffico infernale, in uno dei laboratori in cui artigianalmente vengono prodotte le decorazioni per i camion, ne compro una piccola per l'Ammiraglia, un uccello in latta smaltata. Noto spuntare dalle case dei piccoli templi che con l'Islam c'entrano poco. Sono degli antichi templi indù che adesso, assolutamente non segnalati e con le case che li hanno soffocati e che vedo hanno anche utilizzato gli spazi un tempo sacri, sono assolutamente inaccessibili. Un pezzo di storia che nuova storia ha divelto. Un ragazzino in alto con un aquilone mi fa fare l'unica foto di oggi.
Tornando all'hotel l'Ammiraglia fa fatica e procede facendo dei saltelli dovuti certamente alla carburazione. Tolgo il filtro dell'aria ed i problemi scompaiono confermando i miei sospetti. Ho percorso circa 600 chilometri da quando lo sporco vecchio filtro è stato riposizionato e già è intasato. Ho un bel problema. Forse ho sbagliato a non passare subito in India. Lo faccio pulire con l'aria compressa e lo rimetto e non ho più i problemi di prima, ma ci faccio solo pochi chilometri. Vedremo domani. Questa nuova incognita mi getta in uno stato d'animo pessimo e la calca di gente smette di essere interessante. A quasi due mesi dalla partenza, ormai lontano da sereni luoghi isolati da attraversare sull'Ammiraglia in perfetta efficienza, ho un forte calo di motivazioni nonostante la positiva soluzione del grave guasto e l'enormemente meno grave problema del filtro mi appare insormontabile e foriero di guai e soprattutto stress. Devo fermarmi per un po', ma non qui in Pakistan. Ad aggravare lo stato d'animo le notizie internazionali che arrivano mi confermano solo che l'idiozia è la principale caratteristica degli umani, soprattutto di quelli che vogliono a tutti i costi avere una ribalta da cui esibire il proprio essere superiori. Potrei avere la strada tagliata per un ancora lontano ed incerto ritorno. Se non potessi ripassare dall'Iran, magari potrei affrontare l'Afghanistan che è qui a poca distanza, comunque è ancora troppo presto sempre se questa storia durerà veramente molto a lungo.
Giorni 58 e 59 – 5 e 6 Gen 2020
Mappa del viaggio
Non vado a Peshawar, nelle cui vicinanze c'è un villaggio interdetto agli stranieri che potrei provare a raggiungere comunque, perché ho necessità di uscire dalle città. Da Islamabad parte una autostrada che nelle intenzioni quando completata dovrebbe sostituire la mitica Karakoram Highway. La costruzione è diretta e probabilmente anche finanziata dalla Cina e stavolta ne sono certo perché è scritto a chiare lettere e vedo anche occhi a mandorla che osservano, sotto caschetti protettivi, operai pakistani sotto Pakol. Al momento è completata e transitabile solo fino a Mansehra, ma già sui cartelli sono riportate località più lontane. Solo il vedere qualche altura alberata, pur con una notevole presenza di fabbricati, mi rasserena. Uscendo però sulla vera Karakoram Hwy il traffico torna ad essere il solito e qui in più la strada è stretta e spesso dissestata con un'alta presenza di camion per superare i quali tutti, anch'io, si buttano sull'altra corsia anche in curve cieche ed anche con mezzi che procedono in senso contrario. Si strombazza e si rallenta cercando di non fare dei frontali. Non ho ancora probabilmente detto che qui in Pakistan nessuno guarda il cellulare durante la guida, è umanamente impossibile. Lo estraggono solo se totalmente fermi ed imbottigliati.
Quando poi si attraversano grossi centri come Mansehra ci si può mettere un'ora per percorrere 4 o 5 chilometri. Le idee che avevo sulla strada da percorrere sono totalmente irrealizzabili. Torno indietro fino ad Abbottabad per un hotel che sembra migliore degli ultimi e costa infatti di più. Devo infilarmi in un vicolo strettissimo in cui rompo il vetro dello specchietto e tocco sotto un paio di volte tanto è dissestata quella che non chiamerei strada. Basta! Caccio un urlo liberatorio e ne esco mandando a quel paese l'Hotel. Sulla strada ce ne sono tantissimi ed al primo che mi sembra buono sento quanto mi chiedono. La stanza è la migliore ad oggi dell'intero viaggio ed ho il riscaldamento. 6000 rupie che riesco a portare a 5500, ma non meno. 33 euro. Il doppio di quello di Islamabad, ma ne ho bisogno. Mi accompagnano da un vetraio che mi fa un non rifinito specchietto nuovo che riattacco con il mio silicone. Almeno questa l'ho risolta a razzo. Una doccia come si deve ed esco.
Grandi negozi luccicanti e piccole rivendite sono ammassati e si succedono senza alcun ordine. I vuoti che ogni tanto si aprono hanno la funzione di discarica. Occorre fare lo slalom tra le auto parcheggiate ovunque, quelle che sono in movimento e gli scoli giganteschi dell'acqua che dall'odore sembrano anche fogne. E comunque il tutto non ha affatto un aspetto deprimente da cui vorresti fuggire. Di certo però non mangerei nei localini pie dan l'eau.
Anche qui, come già successo ad Islamabad più volte e mi ero dimenticato di scriverne, noto in strada che chiede denaro un travestito. Con il velo, truccato e vestito da donna. Non che della questione mi importi qualcosa, visto che in questo campo come in altri penso che la libertà di ognuno debba essere legata solo al consenso del partner ed alla sua capacità di esprimerlo, ma è rilevante perché sono in un paese musulmano. Non ne so altro e non ho indagato. In India mi sembra di aver letto che la comunità omosessuale ha ottenuto da poco una specie di status di casta, ma lì è questione comunque difficile, ma ben diversa.
Mi fermo a prendere due porzioni di ceci bolliti insaporiti con creme e spezie varie ed un ragazzo, saputo che sono italiano, mi porta al negozio del fratello che commercia con l'Italia ed è già venuto tre volte a Prato. Commercio di Kashmir e tessuti. Con Mr. Muhammad Asghar e l'amico Mr. Syed Jamal Shah che mi va di citare, parliamo ininterrottamente per un'ora e mezza.
Una discussione aperta che spazia dal Pakistan, per il quale esprimo sia lodi che dure critiche che condividono apprezzando la mia franchezza, alla politica internazionale ed all'economia mondiale. Con le dovute anche rilevanti differenze, le idee, le preoccupazioni, le critiche, le aspirazioni, ciò che passa per la mente alle genti del mondo che non hanno la preoccupazione giornaliera di come sfamarsi o di come primeggiare o di come affossare altri simili, ha il comune denominatore della serenità globale del vivere. Poi è ovvio che del passaggio dalle parole alle scelte quotidiane non posso saperne nulla, ma in testa quelle idee ci sono ed è certamente difficile agire poi ignorandole consapevolmente.
Mi sto rilassando e mi sto staccando per un po' dallo scoprire e dal fotografare per prepararmi al nuovo inizio che sarà l'ingresso in India.
Decido di restare ancora una notte.
Mi alzo e con calma mi metto in movimento. Stamattina piove abbondantemente. Non è la stagione adatta a questi luoghi. Torno a Mansehra dove decido di fermarmi da un fornito gommista. Ad Islamabad, sull'asciutto, in due frenate non al limite ho slittato sull'asfalto. Ho già percorso 16000 chilometri e l'enorme esperienza accumulata in Australia riguardo all'usura dei pneumatici sulle sterrate mi aveva già fatto pensare che era ora di un cambio gomme. Potrei andare ancora avanti, ma in questa stagione e nei luoghi in cui mi recherò prima di fiondarmi nell'India del Sud preferisco non correre rischi. Cambio tutte le quattro ruote ed almeno le posteriori sono certo che le rivenderanno come usate. 115 euro tutto. Cinesi, nuove, non rigommate, non invernali che mi dicono di poter usare per 65000 chilometri su asfalto. Probabilmente vero solo se fossi disposto anche ad andare con le slick come le formula 1. Non hanno alcun macchinario, nemmeno l'avvitatore a pistola.
Riparto e l'Ammiraglia sobbalza ed oscilla anche alla bassissima velocità del traffico che mi fa impiegare quasi un'ora per tornare da quello che non era un gommista, ma un semplice rivenditore di pneumatici. Dal gommista mi ci accompagnano. Intanto due ruote sono montate male e qui, con le macchine, le rimontano correttamente. Passando all'equilibratura vedo che i cerchioni sono ben storti. Già in Italia avevo preso i migliori, ma non perfetti, tra quelli dell'Ammiraglia e di un'altra auto identica che posseggo. Per dare un'aggiustata serve parecchio piombo. Mi dicono, ignorando oltretutto quali percorsi accidentati ho fatto, che in Pakistan un cerchione dura mediamente un anno e mi raccontano di turisti in Toyota con due cerchioni distrutti. Qui cerchioni per l'Ammiraglia nemmeno l'ombra, si vedrà. Intanto non sobbalzo più, ma è già quasi buio e non riesco ad andare sull'autostrada per provare a velocità più elevate. Nuovamente filtro intasato e problemi mentre torno. Stavolta faccio dei piccoli buchi all'interno del filtro che non dovrebbero comunque far entrare granché di sporco, ma permettere un migliore passaggio d'aria. Il risultato c'è, ma sarà da vedere per quanto ci andrò avanti. Prima di attivarmi per una spedizione dall'Italia che penso di poter organizzare da solo devo essere in India e provare se trovo qualcosa. Il motore invece va benissimo e non ho alcun problema. Inizia a scendere una neve fortunatamente annacquata. The winter is coming. Ho fatto bene a cambiare le gomme. Ad Abbottabad gli enormi scoli dell'acqua sono straripati in vari punti e per strada si vedono scorrere fiumi di immondizia.
Mi metto in camera a scrivere e non esco più.
Giorno 60 – 7 Gen 2020
Mappa del viaggio
Sono in viaggio già alle 7 e mezza per cercare di evitare il caos ed immettermi subito in autostrada. Ho tanti chilometri da fare e potrei essere costretto a delle soste impreviste a causa del filtro, spero non del motore. Tempo pessimo, piove e poche centinaia di metri più in alto ha nevicato. La Karakoram Hwy deve aspettare. Gomme nuove e cerchioni storti non vanno molto d'accordo, ma dopo un paio di centinaia di chilometri iniziano a fare conoscenza e le vibrazioni calano sensibilmente. Comunque questo non mi ferma, nemmeno se le ruote diventassero quadrate e dovessi guidare con il Parkinson. A Lilla, dato che il filtro dell'aria sembra aver deciso di non ostacolare i miei piani, esco per una visita per cui all'andata non avevo avuto tempo. Percorro 25 chilometri su una piacevolissima strada di campagna, dissestata il giusto, che attraversa solo due piccolissimi villaggi mentre per il resto le abitazioni sono gradevolmente disseminate tra i campi in cui ferve l'attività.
Sono i primi chilometri, escludendo autostrade e scortato Belucistan, in cui guido rilassato godendomi anche le scene che mi si pongono dinanzi. Su un camion stanno coprendo per il trasporto il motivo della mia deviazione, grossi blocchi di sale che brillano al sole. La pioggia me la sono lasciata alle spalle insieme alle alture.
A Khewra c'è la seconda miniera di sale più grande al mondo aperta ed attiva da secoli. Il commercio del sale estratto risale all'era Mughal quindi al sedicesimo secolo, ma per la scoperta del giacimento tocca riandare ad Alessandro Magno. Miniera tuttora attiva.
Il giro all'interno costa ben 20 dollari per gli stranieri e si svolge al settimo dei 16 livelli esistenti. Oggi non è in funzione il trenino perché ci sono pochi turisti, tutti pakistani ovviamente tranne me. Mi accompagna una guida anche se ho ripetuto più volte che non capisco l'inglese, unica arma efficace per far desistere i più insistenti, ma qui sembra che occorra essere comunque accompagnati. Prima di arrivare al sale si attraversa un interessante spesso strato di roccia multicolore.
Anche se qui non lo dicono, ma ad una mia domanda la guida conferma, se andate all'erboristeria all'angolo e chiedete una confezione di Himalayan salt vi daranno un sale quasi sempre rosa che proviene da questa miniera e che con l'Himalaya ha pochissimo a che vedere. Sale Pakistano o Sale di Khewra lo comprereste? Il colore ne determina la qualità, dal migliore rosa al bianco, al rosso. I tunnel e le grotte in cui si è completamente all'interno del visivamente vellutato sale, che viene lasciato per il 50 per cento a sorreggere le volte, sono splendidi.
Varie caverne sono ricolme dell'acqua piovana che filtra dalla montagna e viene poi pompata artificialmente all'esterno. Per attrarre l'occhio dei turisti hanno costruito delle strutture francamente senza senso illuminate oltretutto con luci multicolori che mi aumentano significativamente la difficoltà fotografica. Visivamente comunque l'effetto dei mattoni di sale traslucidi retroilluminati è notevole. La moschea costruita dai minatori 55 anni fa è l'unica piccola costruzione che merita una citazione.
Gli ultimi 200 chilometri mi riportano a Lahore in cui per riabbassare il budget e provare un'altra sistemazione, ho prenotato in un B&B a 13 euro. Passo dall'officina, anche se il meccanico non c'è, per cercare aiuto per il filtro. Lascio quello vecchio a chi domani proverà a trovarlo a Lahore. In un ricco quartiere con tanto di controlli di polizia all'ingresso ed in cui c'è solo qualche tuk-tuk fermo all'angolo come fosse un taxi, scortato da un domestico tuttofare che chiama “il cinese” il padrone che sento solo tramite WhatsApp, entro in una ricca villa con un enorme cancello che si richiude alle spalle dell'Ammiraglia. La sistemazione sarebbe anche buona e certamente più pulita di vari hotel, ma scopro che non c'è l'acqua calda. Farfugliamenti vari del cinese, incavolatura mia più per la manfrina che per la mancanza, e resto comunque una notte solo perché è tardi e non ho voglia di rimettermi in moto. Freddo intenso in stanza, niente riscaldamento ma questo era ovvio. Esco per comprare da mangiare. Gran negozio con clienti bene e commessi male che obbediscono ad ordini impartiti con decisione e portano la spesa direttamente all'auto dell'elegante avventore. Detto per inciso a Lahore ho visto auto che nella targa sotto i numeri riportavano la scritta “Avvocato” ed una con “Avvocato della Corte Suprema” che mi facevano venire voglia di un'aggiunta adeguata con il pennarello indelebile. Un quartiere di sgradevole gente con la puzza sotto al naso.
Giorno 61 – 8 Gen 2020
Mappa del viaggio
Amir mi ha chiamato per dirmi che all'officina ci sarà questa sera. Abbandono volentieri i quartieri alti non perché siano alti, ma per gli atteggiamenti osservati. Stanza all'hotel dove per una settimana ho atteso la guarigione dell'Ammiraglia. Vado al Centro Nikon. Un black-out non permette al laboratorio di pulirmi subito il sensore, non c'è verso. Relativamente vicina c'è l'Anglicana Chiesa della Resurrezione che è più una curiosità ed in cui trovo un po' di Natale.
Black-out infinito, desisto. All'officina mi hanno trovato un filtro simile, ma che comunque non entra. Dopo averlo rigirato tra le mani lo acquisto lo stesso dato che costa solo 3 euro e mezzo e, sotto sguardi interrogativi, comincio a modificarlo con la pinza. Dopo una buona mezzora di lavoro riesco nell'intento di farlo entrare dove non voleva. Ho un filtro nuovo non perfetto, ma abbastanza efficace. Si è fatto buio e non ho voglia di mettermi in giro per provarlo un po' più a lungo. Vedremo domani. Amir mi comunica che ci sarà domattina.
Giorno 62 – 9 Gen 2020
Mappa del viaggio
Con l'intento principale di fare qualche chilometro con il nuovo filtro, vado ai Giardini Shalimar. In una Lahore che non ha più segreti riesco a muovermi bene evitando ed aggirando le zone e le strade che so intasate. I giardini sono una delle ultime attrattive che mi manca di vedere. Posso dire di conoscere Lahore meglio di Londra o Parigi e di tante altre città anche italiane.
Sui giardini non c'è molto da sottolineare. Simili nella struttura ad altri luoghi visitati sono ormai immersi nel tessuto urbano e ne costituiscono un'oasi in cui passeggiare tra i molti scoiattoli. La caratteristica più interessante sono le immense fontane, purtroppo asciutte, che sono collegate tra loro da una rete di canali che sfruttano le diversità di livello dei vari grandi giardini. Con queste in funzione lo spettacolo sarebbe grandioso.
Al centro Nikon finalmente lascio la D810 che riprenderò con il sensore pulito nel pomeriggio. Ad un incrocio fotografo come prova uno dei travestiti di cui parlavo giorni fa. Forse è solo un espediente per ottenere denaro, ma certamente è qualcosa di totalmente inaspettato anche se non siamo nella penisola arabica.
Faccio solo una piccolissima considerazione su questa curiosità e sul Pakistan. Io ho girato esattamente come farei in Italia ed ho incontrato solo gentilezza e disponibilità all'aiuto. Mi sono posto una domanda, relativamente al soggetto in foto: se fosse ad un incrocio in Italia sarebbe tranquillo e non importunato come vedo qui nel pericoloso e fondamentalista Pakistan?
Due pulcette e ciuffi di capelli in stanza e nella doccia non sono nulla anche se alla lunga stressano e le macchie su lenzuola ed asciugamani comunque quasi sempre puliti sono più un problema psicologico.
L'avere dinanzi agli occhi fiumi di immondizia che scorrono in cui escrementi che non ho comunque visto sarebbero la componente meno preoccupante, invece che leggere sul giornale diligentemente gettato nella differenziata di lontani oceani di plastica e continuare a vivere nello stesso modo sfoggiando sempre nuovi piccoli ormai inutili business ecologici spesso solo diversamente inquinanti, per come la vedo io sono lo stesso identico problema e non certo un miglioramento.
Amir mi controlla il motore, riregistra le punterie e verifica l'assenza di perdite. Finalmente capisco che il pistone è sempre quello mio che è stato sistemato. Il filtro dell'aria può andare, ma devo comunque cercare quello corretto. Lo saluto e lo ringrazio e gli do appuntamento per Aprile o Maggio.
Faccio lavare per bene l'Ammiraglia esternamente e sotto e mentalmente riconsidero la sua situazione.
Il motore è sempre quello originale, anche se ringiovanito da un lifting, ed è una cosa che mi fa piacere. Il filtro dell'aria è arrangiato, ma sembra efficiente. I pneumatici sono nuovi. Il clacson è adesso un doppia tromba pakistano installato per poter competere su strada. Il guidatore è anch'esso originale e senza lifting.
Devo dire che tutto sommato dopo due mesi dalla partenza posso essere soddisfatto di come domani entrerò, cosa che anche i fatti hanno dimostrato essere assolutamente non scontata, nel primo dei due paesi che dall'inizio considero meta principe di questo viaggio, l'India.