464.200 chilometraggio dell’Ammiraglia alla partenza.
Mentre mi dirigo verso nord per aggirare l'ostacolo Adriatico, piccoli gruppi di migratori mi sorvolano in direzione opposta. Lassù l'unico ostacolo può essere una pallottola di qualche idi-ota quaggiù. Io invece dovrò superare ostacoli fisici e psicologici prima di giungere ai luoghi in cui quest'anno spero di svernare.
Abbassandomi dall'Appennino, San Luca mi saluta ricordandomi che è stata la causa del mio nome in una Bologna di 59 anni fa in cui mia madre penosamente soggiornava con me già presente quando ancora il veloce scorrere del conteggio dei miei anni non aveva avuto inizio.
Questa partenza tanto voluta ed inseguita, forse da una vita, mi lascia un sapore amaro in bocca. Il lentissimo distacco terrestre che chilometro dopo chilometro mi allontana da casa per un tempo imprecisato e la nebulosità, l'incertezza dei futuri mesi che nei precedenti viaggi in solitaria erano fonte di energia, oggi li sento addosso come un fardello non semplice da scaricare. Arriveranno certamente in mio soccorso il nuovo, l'imprevisto e la scoperta che però non potranno aiutare chi lascio a casa. Un semplice ringraziamento a mia moglie è ben poca cosa paragonato alla sofferenza che questo inizio di indefinita assenza sta alimentando, sommandosi a recenti dure prove che per quanto positivamente risolte non hanno ancora gioito della parola fine.
Con un pesante carico di pensieri, speranze e dubbi, dopo aver abbandonato l'Italia e raggiunto con Lubiana il punto più a Nord di tutta questa prima parte di viaggio ancora agli inizi, punto il muso dell'Ammiraglia verso sud-est. Venti chilometri circa a sud di Zagabria mi fermo per la prima notte fuori casa ed inizio a scrivere queste prime incerte righe.
Aver iniziato senza premesse e senza inquadrare bene quanto mi accingo a vivere può certamente disorientare qualcuno, ma non avevo voglia di lunghe indicazioni orientative anche perché, e me ne scuso, scrivo fondamentalmente per me stesso. Qualcosa però è indispensabile, qualche informazione sommaria che forse più in là approfondirò. Spero si capisca dalle parole non casuali che userò che c'è molto di più del semplice significato delle frasi seguenti.
Già da qualche anno avevo deciso di acquistare un anno della mia vita ed appena è stato economicamente possibile l'ho fatto senza indugio. A 58 anni suonati poteva essere l'ultima chance. Un anno sabbatico da dedicare al luogo in cui sono nato e cresciuto, questo pianeta. L'Asia è una scelta dettata dalla normale impossibilità di muovermi in mesi diversi dai periodi estivi, mesi in cui almeno il Sud è quasi improponibile come meta di viaggio. A questo è da aggiungere la voglia di regalare alla mia auto, fedele ed affidabile compagna da 30 anni, l'Ammiraglia, una avventura finalmente alla sua altezza o in alternativa una fine da ricordare, degna di poche altre quattroruote.
L'ottenimento di documenti per l'auto e visti per me è stato snervante, lungo e tanto distante dalle mie utopie da farmi pensare di rinunciare. Nel luogo in cui sono nato non posso muovermi liberamente, ma devo chiedere il permesso a qualcuno e cosa ancora più strana tutti sono contenti di essere rinchiusi perché si sentono al sicuro e cercano strenuamente di difendere poche briciole di illusoria ed ingannevole felicità persuasivamente imposte, difenderle da chi non ha diritto nemmeno a quelle.
Per adesso mi fermo qui.
I primi due viaggi in solitaria, che sono diventati dei libri, li potete leggere senza restrizioni accedendo dal mio sito www.gianlucatomarchiovasta.com menù BOOKS, click sulle immagini dei libri e successivamente su Anteprima.
Le nazioni che sto velocemente scorrendo adesso con l'unico scopo di arrivare velocemente ad Istanbul, porta dell'Asia del Sud, le ho già attraversate con più calma l'anno scorso, sempre con l'Ammiraglia, visitandone alcuni luoghi. Il racconto lo trovate sempre sul mio sito, menù TRAVELS, Un viaggio in solitaria 3 – Est Europa,
mentre su TRAVELS, Un viaggio in solitaria 4 – Anno sabbatico, il resoconto di questo viaggio che sarà anche su www.juzaphoto.com/topic2.php?l=it&t=3375372 . La differenza tra i due scritti potranno essere le foto ed i video pubblicati via via. In linea di massima su Juza immetterò probabilmente più foto di volatili.
Per quanto riguarda invece FaceBook inizieró la pubblicazione anche sulla pagina
www.facebook.com/unviaggioinsolitaria/ , ma dato che ritengo questa piattaforma pessima per seguire questo genere di scritti (e pessima in generale), con molta probabilità smetterò la pubblicazione degli aggiornamenti.
In questo viaggio potrete anche seguirmi on the road facilmente e con precisione al link che trovate sotto l'íntestazione in cui, se presenti su Google Maps, potrete vedere con assoluta precisione tutti i luoghi visitati e quelli in cui dormirò. Gli scritti ne risulteranno così parzialmente alleggeriti.
(questo link aprirà sempre tutti i post, lo ritengo fondamentale)
Parto con molta calma sotto una pioggia battente. 6 gradi che pian piano si scaldano fino agli 11 massimi. Il sud è ancora lontano. L'amaro in bocca si attenua a seguito di incoraggiamenti giunti da varie fonti, al punto che forse è meglio puntualizzare qualcosa.
Ero molto indeciso sul fatto di iniziare a pubblicare i miei scritti in contemporanea con la partenza. Pensavo di aspettare almeno un mesetto per evitare di iniziare qualcosa che magari dovrò interrompere molto velocemente senza aver concluso granché di quanto mi propongo.
Se non prenderete in considerazione il fatto che potreste vedere andare in fumo il lavoro, il tempo ed il denaro investito prima ancora di partire, beh non ci provate nemmeno.
Ho comunque deciso di pubblicare immediatamente. Se dovrò interrompere molto presto, almeno ci avrò provato. Solo fra un paio di mesi il tutto comincerà ad avere senso, fra quattro o cinque ne sarà valsa ampiamente la pena, oltre… beh sarebbe un sogno. Al completare tutto al momento attribuisco una probabilità tra lo zero e l'uno per cento e non è scaramanzia ma freddo ragionamento.
Quindi dico piano con i complimenti, riferendomi ai commenti che mi arrivano direttamente o dal web.
Tra i migratori visti anche oggi passare sulla mia testa mi ha quasi fatto commuovere un gruppetto di splendide grandi oche proiettate con il lungo collo disteso verso il richiamo ancestrale del sud. Ai lati dell'autostrada, che taglia la campagna serba, molti grandi rapaci mi hanno fatto tentare qualche scatto e ricordato le difficoltà di queste situazioni ampiamente verificate in altri viaggi soprattutto in Australia. Finché gli passi davanti a 100 km/h restano immobili, ma se rallenti scappano immediatamente.
Salto la piacevole Belgrado, visitata l'anno scorso, e mi fermo a pochi chilometri dall'autostrada in un paesino turistico sulle sponde della Grande Morava.
Inizio anche con le informazioni pratiche di vario genere per chi volesse seguire le mie orme, informazioni che dall'Iran in poi acquisteranno importanza visto che non se ne trovano per niente o quasi in riferimento a spostamenti con un mezzo proprio.
Ieri sera avevo speso 28,50 euro per una doppia con bagno, adesso ben 13 euro per una tripla. Primo pasto al ristorante che si trova esattamente sotto l'affittacamere. Zuppa di pollo molto orientale, insalata molto greca ed una porzione di pollo ai ferri e patatine che sfamerebbe una squadra di calcio. Me la faccio mettere via quasi tutta. Mi servirà domani. Costo circa 9 euro.
Mappa del viaggio
Prima di dormire ho dovuto fare un safari non fotografico perché dalla spessa e sporca tenda della finestra ogni 15 minuti si alzava in volo una cimice. Ecco spiegati i 13 euro. Probabilmente la stanza non veniva pulita dall'estate. Bah, sciocchezze. Altra sgroppata. Al confine serbo-bulgaro si fa in fretta. Si rientra in EU. Tra le due dogane sei obbligato a percorrere a passo d'uomo uno stretto corridoio tra dei paletti che schizzano sull'auto un liquido probabilmente disinfettante. Non lo ricordavo. L'anno scorso evidentemente non mi sono accorto perché lo schizzo è piccolo e veloce, mentre ricordo perfettamente di essere stato ben innaffiato quando, uscito dalla Turchia, stavo rientrando in Bulgaria dalla parte del Mar Nero. Deve essere una fissa dei bulgari di disinfettare chi entra. Comunque è bene ricordarselo perché con i finestrini aperti lo spruzzo entrerebbe. Mi ha dato la sensazione di una benedizione e non so se devo ridere o meno di questo pensiero.
La Bulgaria è filata via tutta velocemente. Ho perso la prima ora di fuso orario, ora sono un'ora avanti. Volevo lasciare la Bulgaria oggi stesso ed entrare in Turchia, ma arrivo in zona confine quando ormai la luce del giorno sta per lasciarmi. Dovrei fare con il buio tutta la trafila alla frontiera, trovare ed attivare una sim e comprare il bollino autostradale che è un ricaricabile ed è il peggior sistema che ci sia, almeno a mio parere (Un viaggio in solitaria 3).
Considerando anche che qui in Bulgaria sarà l'ultima volta che potrò utilizzare la mia sim italiana come a casa, provo a vedere i prezzi per il dormire nei pressi del confine. Trovato a 20 euro dopo aver prima prenotato e subito disdetto un'altra struttura che non mi convinceva. Superpulito, ma una cimice la trovo pure qui. In questo periodo cercano riparo dal freddo incombente e si ficcano dappertutto. La strada d'ingresso al paesetto in cui mi trovo è piena di Game House e Casinò con grandi insegne luccicanti di carte da gioco, donnine in abiti succinti e scritte in turco. C'è bisogno di spiegare? Credo sia superfluo. Il confine è a soli 16km. Il paesino si chiama Svilengrad, non ho tempo e voglia per ricercare la reale etimologia del nome Svilen, ma certo che “Città di Svilen” salta all'occhio dopo aver visto l'ambiente.
Devo spegnere al volo il motore stanco e provato da centinaia di chilometri senza sosta ed accostare perché mi chiama al telefono la struttura che ho disdetto. Quando riparto l'Ammiraglia ha dei saltelli, come dei colpi di tosse. Dovrebbe essere la carburazione ed è un difetto di gioventù. Decenni fa mi accadeva di fermarmi ad un casello autostradale dopo molta strada (intendo sempre varie centinaia di chilometri) e mi si spegneva da solo il motore. Nulla, ma ogni alito di farfalla non previsto mi fa rizzare i pochi capelli in testa. Purtroppo per vari motivi soprattutto burocratici ho dovuto rimandare la partenza e sono al limite con il visto iraniano e pakistano e la cosa mi costringe a queste lunghe cavalcate senza sosta che volevo evitare all'Ammiraglia, cavalcate che non si sono ancora concluse.
Ceno con il pollo di ieri portato via dal ristorante e… non riesco nuovamente a finirlo. Incredibile e non sono certo una boccuccia di rosa.
TURCHIA
La nebbia mi ha accompagnato a tratti lungo Serbia e Bulgaria sfocando la campagna giallo bruna autunnale. Pensavo di esserne fuori, invece stamattina avvolge la poca strada che mi separa dal confine turco. Una decina di chilometri prima c'è già la coda ininterrotta dei tir in attesa. La corsia lasciata libera per le auto è talvolta quella destra, altre la sinistra e nella nebbia si deve andare piano perché ci si può trovare un camion fermo davanti all'improvviso nel punto in cui occorre cambiare lato. Alla dogana bulgara tutto ok, unico problema il dover arrivare proprio sotto i caselli per vedere quale è quello con il semaforo verde. La nebbia è sempre abbastanza fitta.
Alla dogana turca invece ecco i primi problemi che mi aspettavo solo in Iran. L'anno scorso non era poi stato così difficile passare, oggi è un'altra storia. Dopo vari rimbalzi tra uffici che controllano tutto, anche il numero di telaio e motore, il problema si sposta sul bagaglio e me lo aspettavo come dicevo, ma non qui. Quando apro il portabagagli o gli sportelli dietro, tutto è stipato in un blocco compatto. Una manna per i doganieri. Ho anche tolto l'intero sedile posteriore per avere più spazio possibile. Metà Ammiraglia contiene suoi pezzi di ricambio compresa marmitta completa fino al collettore collegato al motore. Aperto il bagagliaio si vedono quindi svariati tubi che si intersecano a creare mille spazi in cui ho infilato veramente di tutto in un anarchico ordine dettato esclusivamente dai volumi. La percezione di un occhio estraneo mi è chiaramente spiegata dall’incerta espressione dell’addetto alla perquisizione.
Ok, mi dice di tirare fuori tutto. Dopo il mio “noooo” detto però sempre con il sorriso sulle labbra…. devo comunque tirare fuori tutto. Massacrante. Il doganiere resta interdetto quando apre una grossa bustona di juta in cui ho messo 400 capsule di caffè. Già. Ho con me una piccola macchinetta elettrica per l'espresso che porto sempre ed ovunque se mi sposto in auto. Un legame con casa. Gli spiego e ridacchio perché anche questo me l'aspettavo. Altra manna per un doganiere. Comunque sembra gradire l'effetto delle capsule sigillate sul suo braccio infilato completamente dentro a cercare chissà cosa. Mi ricorda Amelie che ama infilare la mano dentro un sacco di legumi. Alla fine però ho poco da sorridere. Dopo aver verificato che non traffico in nulla ed aver estratto dall'Ammiraglia anche tutta la fanaleria al completo che ho con me, candidamente mi dice che in Turchia non si possono importare pezzi di ricambio. Gli dico che devo andare in India e già è improbabile che ci arrivi con, figuriamoci senza ricambi. Niente da fare. Poi mi viene in mente il Carnet de Passage en Douane a cui non avevo pensato perché per la Turchia è necessario solo per particolari veicoli. Forse sono io il particolare veicolo, essendo così carico. Comunque, anche se lo rigirano tra le mani in molti perché non l'hanno evidentemente mai visto, dopo telefonate varie a non so chi e non so dove, la questione si sblocca positivamente. Mi ci vuole mezzora buona per risistemare tutto in auto e dopo, prima di andar via, mi leggo attentamente la istruzioni del Carnet che tanto dall'Iran in poi mi servirà praticamente sempre ed è meglio che cominci subito a controllare che sia compilato correttamente dai doganieri. Chiaramente non è così. Ritorno all'ufficio e gentilmente faccio capire cosa serve. Non si erano nemmeno presi il talloncino che spetta loro come documento del mio passaggio. All'uscita si possono avere problemi se tutto non è perfettamente compilato. Alla fine riparto dopo almeno un'ora e mezza.
Il Carnet si richiede all'ACI e per farlo è necessario stipulare una fideiussione che garantisca una cifra da corrispondere alla motorizzazione estera nel caso il veicolo resti in un'altra nazione. La fideiussione è da fare per una cifra basata sul valore dell'auto stabilito dalla motorizzazione e quindi per veicoli recenti può essere anche di varie decine di migliaia di euro. Per l'Ammiraglia è il minimo sindacale, 2300 euro. La banca, per la fideiussione, mi ha fatto perdere inutilmente quasi un mese sempre rimandandomi di settimana in settimana, dopo di che li ho mandati a quel paese e mi sono rivolto online ad una assicurazione pagando però ben 300 euro. Poi calcolate un mese per avere il Carnet dall'Aci che in ogni caso può dare tutte le informazioni dettagliate.
Bene, sono fuori… no! C'è subito un posto di blocco della stradale con assistenza dell'esercito con barriere antiproiettile. Questi qui hanno un fronte tuttora aperto con chi prima faceva comodo ed adesso è stato mollato. Non continuo a parlarne… per ora. Mi registrano la targa ed il nome che mi fanno pronunciare davanti ad un tablet e credo, ma non sono sicuro, che abbiano registrato la mia voce.
Prima piazzola con ristorante pochi metri dopo. Ricordatevi di evitarla. Cerco la cara sim della Turkcell e mi sparano 140 euro. Mi metto a ridere. Poi, dopo confabulazione, chiedono 40 euro equivalenti a 250 lire turche e poi… me ne vado. Al primo e quasi adiacente rifornimento faccio il pieno e qui cominciamo a ragionare. Meno di un euro al litro. Alla successiva piazzola con ristorante e senza distributore, dove consiglio vivamente di fermarsi, la sim viene 200 lire turche, 33 euro, cara comunque ma adesso ci siamo (13Gb e 500minuti). Accanto c'è anche l'ufficio dove prendere la vignette autostradale ricaricabile valida anche per i ponti sul bosforo ed il tunnel. Altri 34 euro, ma mi assicura che ha un credito che mi basta per arrivare in Iran.
Vengo fuori da tutto tardissimo, addio speranze di fare molta strada. Ho anche perso un'altra ora di fuso orario. Il sole ora mi raggiungerà e lascerà due ore prima rispetto a casa.
Dopo 250 chilometri sono ad Istanbul e l'effetto è quello dell'anno scorso. A decine e decine di chilometri dal centro si ha la sensazione di entrare in qualcosa di gigantesco. Altre megalopoli sono completamente diverse. Los Angeles per esempio, su cui voli per più di mezzora prima di atterrare tanto è estesa, ma da terra non ti rendi conto che è gigantesca perché le abitazioni al di fuori del centro affari sono basse. Qui invece ci sono centinaia di megastrutture al cui confronto il serpentone di Roma è una piccola villetta. Il tutto è comunque nuovo, pulito, organizzato, o almeno è questo che restituisce all'occhio del viandante. Le mega arterie in cui guido arrivano ad avere anche 5 corsie per lato e nonostante ciò è tutto intasato. Code interminabili, una quantità di tir impressionante, ma c'è ordine, solo che spesso si va a passo d'uomo. Per almeno 50 chilometri lo spettacolo non cambia. Non mi fermo. Ho solo voglia di scappare via e non posso perdere giorni anche se in una delle poche città che mi piacciono parecchio. In questa bolgia organizzata attraverso il Bosforo ed entro in Asia. Primo piccolo step del mio viaggio. Da adesso in poi per me è tutto oscuro. Continuo per allontanarmi dalla città, ma dopo un'ora e più sono sempre dentro un gran traffico ed attraverso giganteschi conglomerati urbani satelliti di Istanbul. Non riesco a lasciarmi andare godendo di essere finalmente in Asia. Sono sull'autostrada Istanbul Ankara. I tir riempiono due corsie e sulla terza spesso sorpassano. Le auto sono come moscerini in balia del vento.
Ormai è buio da un po'. Devo fermarmi, anche se non sono riuscito a scrollarmi di dosso Istanbul, e cercare dove dormire. Altra sorpresa. Booking è bloccato. Rapida ricerca, qualcuno dice sì, qualcuno no. Io dico sì. Pare ci siano contenziosi con lo stato turco. Passo a Hotels.com e prenoto, sono stanchissimo. Oltretutto la VPN che ho proprio per superare eventuali filtri di blocco alla rete, blocca tutto anche internet. Ho mandato una richiesta di aiuto, vedremo che mi rispondono. Qui passi, ma in Iran dove il controllo statale sul web pare serio, mi servirebbe proprio.
Se non lo sapete, una VPN è un servizio a pagamento che crea una specie di tunnel inaccessibile sul web per farvi collegare ad un insieme di server sparsi per il mondo. Se mi collego al server italiano sembrerà che stia in Italia. Ovviamente ci sono problemi perché, a parte i governi che cercano di ostacolare questa pratica all'interno delle loro nazioni per evitare l'aggiramento dei blocchi, anche grosse compagnie non gradiscono l'impossibilità di tracciarti sempre ed ovunque. Benvenuti nel mondo “libero”.
Ma la giornata non è ancora finita. Con la fedele ed insostituibile Maps.me arrivo senza problemi all'hotel prenotato in un dedalo di strade e sempre nel traffico. Sono ad Izmit, ma non c'è stata alcuna soluzione di continuità da Istanbul. Sono le 19:00. La stanza non è pronta, devono pulirla. Ho la sensazione che la stanza non sia proprio disponibile. Quando scopro che è al quarto piano senza ascensore dico di no. Già stamattina, per scendere da una poco intelligente scala con curve e gradini alti con la mia pesante valigia, ho preso una storta che ancora mi duole e la caviglia è un po' gonfia. Spero non peggiori. Comunque il ragazzo alla reception non era convinto di darmi la stanza, penso fosse la sua ed aveva messo le mani avanti dicendomi che era di un livello peggiore di quella prenotata. Problemi? No! Siamo in Turchia. Fa una telefonata veloce. Mi viene a prendere in auto uno di un altro Hotel. Due euro in più, ma accetto perché la stanza è enorme e con una doccia da re. 20 euro. Chiedo informazioni sulla migliore strada per l'Iran. Non l'avessi mai fatto. Sono in quattro e si scatena la bagarre. Si formano due fazioni che discutono animatamente. Con ben due traduttori, mappe online e cartacee, propongono due percorsi diversi, ma sbagliati entrambi. Mi porterebbero presso un posto di frontiera che non posso attraversare. Lo faccio presente ed alla fine mi indicano la strada che già pensavo di fare. Però è stato divertente.
In stanza, ottima, scopro che con il wifi dell'Hotel non ho Booking bloccato, quindi deve essere la sim Turkcell. Per evitare contrattempi cambio modalità di procedere e prenoto già per la prossima notte. In Iran dovrò probabilmente fare sempre così anche per i controlli di polizia, ma è una situazione che verificherò sul posto.
Sveglia con il buio e partenza con un filo di luce. Voglio proprio allontanarmi dal traffico. Solo a 150 chilometri da Istanbul non si sente più il fiato sul collo delle sue 15 milioni di anime. Altri 100 chilometri e lascio l'autostrada. Il panorama cambia radicalmente. Gli alberi sono decisamente pochi. Si sale. Per qualche centinaio di chilometri si viaggia su un altipiano e la strada tocca anche i 1200 metri. Le bottiglie d'acqua scricchiolano sotto la spinta dell'aria interna che si espande. Il panorama si apre. Mi sento bene. La guida riprende ad essere un piacere. Anche l'Ammiraglia fila via che è una bellezza nonostante ci siano da affrontare salite ripidissime e discese a capofitto. Nel traffico e nel caldo soffriamo entrambi. La Turchia rurale scorre con le sue contraddizioni tra una forte componente religiosa e la ricerca di rapida modernizzazione.
Mi fermo su strada per mangiare quanto avanzato da ieri e prendo dal contenitore di juta qualche capsula di caffè perché ne porto in camera poche alla volta e le ho finite. Sono sigillate e… si sono gonfiate. È ovvio, ma non ci avevo pensato prima. Lo stesso effetto dell'aria interna alle bottiglie d'acqua. Penso che se salgo a 2000 metri ed oltre, e succederà, potrebbero scoppiare tutte insieme come dei popcorn, sarebbe un bel disastro. Le bottiglie le posso aprire ed eliminare il problema, ma queste no.
A poco dalla meta di oggi mi fermo ad una delle decine di bancarelle sulla strada che vendono soprattutto grosse cipolle bianche in grossi sacchi ed attirano clienti con il fumo che fuoriesce dal tubo di sfiato di quelli che sembrano dei samovar. Servono per l'acqua del chai o çay (thè). Io mi fermo per berne un bicchiere. Dato che serve solo per attirare i compratori dei prodotti, il thè non viene venduto. Nemmeno a me che non compro nulla. Il proprietario è un kurdo e lo dice con orgoglio, specificando che un'ampia zona intorno è abitata da kurdi. Fa anche un accenno agli americani, ma si trattiene dal continuare. Io non lo stimolo, ma gli faccio capire come la penso. Arrivano da scuola i figli, tre ed il più piccolo mi si mette in posa per una foto, ma gli dico che non sono lì per quello. Per ringraziare del thè lascio al bambino un piccolo peluche che ho con me. Il padre mi regala a sua volta un grosso frutto tra quelli in vendita e mi dice che lo posso mangiare anche senza sbucciarlo. Non ricordo più il nome in kurdo.
Sto molto lentamente entrando in clima viaggio anche se il vero inizio sarà al prossimo confine. La Turchia è un lusso che non posso permettermi. Il visto iraniano scade il 12 dicembre. Volevo e potevo starci un mese e quindi adesso ogni giorno qui è uno tolto all'Iran.
Arrivo alla mia meta, Amasya. È piuttosto grande e vivace con strade che ricordano Istanbul con un po' meno di vitalità. Ma la zona antica ottomana è strabiliante, dominata dalle Tombe dei Re del Ponto, che sono venuto a vedere, scavate nella parete a strapiombo che si innalza a ridosso delle case. Proprio qui ho prenotato, in uno dei tantissimi hotel ricavati da case ottomane restaurate. Camera 20 euro. Ha grandi finestre sul fiume che passa accanto. I muezzin chiamano alla preghiera. Decido in un secondo che resterò due notti, e pazienza che sarà uno in meno in Iran.
Borgo iperturistico e stradina piena di negozi, ma è fantastica perché…. non ci sono turisti. Mi fanno parcheggiare proprio all'ingresso della salita per le Tombe. Fantascienza in altra stagione.
Mi rilasso ed inizio ad organizzarmi per la documentazione. Le Tombe le visiterò domani.
Esco a fare una passeggiata. Poco prima del buio, mentre piacevolmente costeggio il fiume Yeşilırmak(Fiume verde), la parete di roccia a strapiombo e le Tombe dei Re si illuminano improvvisamente. Non me lo aspettavo e resto per un bel po’ a bocca aperta. La cittadina, il fiume e le Tombe compongono una ipnotica scenografia difficilmente eguagliabile al cui centro spicca la proiezione della orgogliosa mezzaluna turca in campo rosso.
Poco dopo, nella quiete del fuori stagione, i muezzin inseriscono in questo fiabesco scenario la loro melodica vocale colonna sonora e lo spettacolo diviene unico.
Ho lavorato parecchio perché l'impostazione del lavoro con foto e video mi prende un sacco di tempo. Più avanti sarà più facile, spero. Al di fuori dei viaggi fotografo poco e nessun video.
Visto che sono in auto ho un po' di tutto, tranne per la macro che non è un mio interesse e posso fare qualcosa di decente (per me) con quello che ho. Via via ed a secondo dell'utilizzo vedrete gli obiettivi che ho dietro dalle info sulle foto. Per quelli sigma art ho la doc station, ma se dovrò usarla spesso li lascio perdere, non posso stare appresso in continuazione al fuoco. Ottimo Dell XPS 13”, ma non ho tempo nemmeno per stare appresso alle elaborazioni, quindi… quello che viene viene. I video. Quello di ieri era la cosa più veloce che posso mettere in campo. Cellulare e qualche taglio e transizione al volo con l'ottimo Rush di Adobe che sto imparando ad utilizzare. Ho anche una Gopro3+. Sugli aggiornamenti aspettatevi buchi perché non credo proprio di riuscire a farli sempre giornalmente. In caso di forfait ed abbandono per qualunque motivo ed in qualunque momento informerò in qualche modo se la causa dell'abbandono me ne darà la possibilità. Magari chissà, qualcuno seguirà e continuerà da dove mollo. Da che mondo è mondo ha sempre funzionato così. Spero di mostrargli comunque una luuunga strada da ripercorrere. Magari sarà qualcuno che mi sta leggendo.
Veniamo ad Amasya. Sono stato alle tombe che si trovano praticamente sulla mia stanza ed a due musei. Girare per la cittadina non mi attira anche se può essere piacevole per molti. Le Tombe risalgono anche al 400 avanti cristo, pensavo leggermente più recenti. Info dettagliate oggi come oggi sono inutili, basta avere una connessione e leggere. Se poi si ha un interesse particolare verso qualcosa, l'approfondimento non posso essere di certo io a darlo, anche se il discorso cambierà se, chissà, dovessi farcela ad arrivare in India. Ho sviluppato interesse recentemente ed a causa di questo viaggio, verso la tradizione indù. Ma è ancora troppo, troppo, troppo presto e poco, poco, pochissimo probabile. Data al 50% la giocherei al volo.
Quindi, lasciando i sogni nel cassetto, descriverò sempre ovviamente dove sono per delineare il quadro, ma opinioni, sensazioni ed eventuali consigli avranno la priorità.
La salita alle tombe ha gradini molto alti, e molte assi di legno sono rotte. Anche nei siti turistici questo è il tempo dei lavori di restauro aspettando l'alta stagione. Certo che in estate la salita sarebbe sfiancante. Direi che non ne vale la pena. Quello che si vede da vicino è quasi lo stesso di ciò che si vede da sotto e senza la visione panoramica il sito perde parecchio fascino. Le camere mortuarie sono scavate nella roccia ed hanno anche un passaggio ad U dietro, accessibile solo in una, ma aldilà delle varie ipotesi sul loro utilizzo non c'è nulla di nulla, solo un alto cunicolo molto scivoloso perché la roccia è levigata dalle migliaia di turisti che certamente entrano a costatare che non c'è nulla. L'effetto e la visione dal fiume, soprattutto la sera quando tutto viene illuminato, vanno perciò benissimo a mio parere. Sempre vicino al mio hotel, in una delle case ottomane, c'è un piccolo museo in cui sono ricostruiti gli ambienti ed hanno sistemato dei manichini con abbigliamento dell'epoca. Al primo non ero preparato e mi fa venire un colpo. Ampiamente saltabile. Il museo serio si trova invece aldilà del fiume nella parte nuova, ma poco distante. Molti oggetti dell'epoca romana e bizantina, pochi quelli interessanti, sono sistemati in modo ordinato, ma il pezzo forte sono delle mummie o sarebbe meglio dire corpi mummificati del quattordicesimo secolo che forse possono incuriosire anche perché è stato possibile risalire ai personaggi a cui appartengono.
Riassumendo, lo spettacolo di ieri sera con quartiere e tombe illuminate vale certamente la visita, ma il resto è superfluo.
Fermo in stanza a riposare e ad organizzare per l'inizio vero del viaggio valutando varie ipotesi, la mente mi si affolla di pensieri. Dubbi di duemila tipi, ma soprattutto la paura che lo stare quasi sempre in luoghi abitati, se non densamente abitati, mi faccia prima o poi venire nausea. Il mio habitat naturale è la natura senza contaminazioni umane ed è soprattutto questo il mio principale stimolo al viaggiare. Non stupitevi quindi se potrà succedermi di rinunciare a qualcosa di fortemente turistico e come si dice “da vedere assolutamente” proprio per essere al limite della sopportazione e preferire altro. Inoltre è proprio in mezzo alla folla che ci si può sentire soli. Veramente da soli si avverte molto meno o per nulla. Pensieri, pensieri, pensieri. Domani riprendo la cavalcata, è meglio.
Sono uscito un po' prima di cena per cercare di trovare una ciambellina croccante che ad Istanbul mi aveva fatto impazzire. Halka Tatli (Un viaggio in solitaria 3). La trovo, ne prenderei 10, ma mi fermo a due o rischio le coliche. Ne mangio una immediatamente. Ad Istanbul per strada appena fatte erano migliori, ma è una delizia lo stesso. Crosta dura, cuore tenero imbevuta di acqua e zucchero. Assolutamente da provare. Dopo cena buone e mediamente buone notizie dall'Iran. Una delle buone è che avrò comunque 30 giorni disponibili a partire dalla data d'ingresso perché la data di fine visto si riferisce all'ingresso e questo mi fa cambiare programma. Resterò in Armenia, qui in Turchia, altri 5 giorni per visitare quello che mi ero segnato, ma pensavo di non poter fare.
Domani sarà quindi l'ultima vera tappa di trasferimento prima dell'inizio ufficiale del viaggio che a questo punto sarà qui in Turchia. Così, e non scherzo per niente, darò modo all'Ammiraglia di potermi comunicare se se la sente di infilarsi con me in questo buco nero. Esagero…?, lo spero! Comunque da dopodomani si comincia sul serio. Ma, una cosa alla volta. Pensiamo a domani.
Quando mi rimetto in marcia i venditori di souvenir stanno ancora sistemando le bancarelle su strada. Il paesaggio dopo poco si trasforma. Ero tra colline di roccia affiorante parzialmente coperte da alberi imbruniti dall'autunno e pian piano gli alberi scompaiono restando confinati solo ad avvallamenti e letti di fiumi. Forti salite e poche discese. Sole accecante, nessuna nuvola, ma c'è freddo al punto che devo accendere il riscaldamento. A cadenza regolare una pattuglia della stradale si scorge in lontananza, ma quasi sempre avvicinandosi si scopre che è solo un pannello di legno. L'illusione ottica funziona perfettamente. Da notare che ho scritto quasi sempre, perché a volte è una pattuglia vera, quindi occorre stare attenti ai limiti. Non è un mio problema. In lontananza, su alte vette, vedo per la prima volta la neve.
Si è scortati ai fianchi da basse colline brulle che prima si innalzano subito a ridosso della strada, poi pian piano si allargano facendo apparire immense distese. Su una di queste, in ombra, delle strisce di neve a poche decine di metri da me mi fanno trasalire. Ma a che altezza sono? Verifico immediatamente. 1600 metri. Caspita. Gli altipiani. Per i seguenti 300 chilometri, fino all'arrivo, rarissimamente scenderò al di sotto dei mille e cinquecento metri, arrivando a toccare i 2200. Si possono non vedere costruzioni per vari chilometri, silenzio, traffico inesistente. A volte delle piccole chiazze d'acqua mi fanno fermare per l'avifauna, ma questi non sono certo luoghi in cui svernare. Solo folaghe e poco altro. Il panorama è ormai quello della frontiera, nel senso di limite ultimo, di confine del mondo, di disabitato. Il mio ambiente. Spengo anche la musica per assaporare appieno il piacere della guida, l'Ammiraglia canta serena con voce invecchiata, ma intonata. La nostra piccola ed ingolfata Europa quasi ignora tutto ciò, Europa di cui qui ancora si sente il profumo. Sono tre anni dall'Australia e le sensazioni intense che non riesco ad arginare mi svelano il mio stato di astinenza malamente celato dalla quotidianità.
Ho fame. Vedo una Lokanta. Un paio di autobus a lunga percorrenza hanno sbarcato i pochi viaggiatori. Uno stanzone pieno di tavoli dove mangiare ed un banco di cibo caldo. Sono tutti gentilissimi e quasi mi scortano spiegandomi le pietanze e servendomi le mie scelte. Anche uno yogurt squisito che mi consigliano di mischiare con del riso. Un ragazzo sui 18-20 anni è l'unico a parlare inglese, ma interviene solo con qualche parola, timoroso di sopravanzare il fiume di parole in turco degli altri. Mi siedo ad un tavolo alla vetrata. Davanti a me le poche mercanzie allineate in scaffali di legno che odorano di altri tempi, sull'ultimo in alto dei grandi peluche chiusi nel cellophane guardano ed aspettano tristemente chissà da quanto tempo che qualcuno doni loro una casa, un letto, un bimbo. A fianco, fuori dalla vetrata, la mia cavalcatura si riposa e quasi mi sorride. Sullo sfondo l'Armenia. Distolgo lo sguardo dall'Ammiraglia per mangiare e quando riguardo fuori un uomo armato di una scopa con attaccato un tubo dell'acqua la sta pulendo. Non solo i vetri, ma anche tutta la carrozzeria. Un car wash non richiesto, certamente usuale. La scopa la libera dalla polvere e le regala delle delicate grattatine. Immagino stia facendo le fusa.
Ai bagni un omino chiede 1 lira. Non sono per schizzinosi e forse nemmeno per gente normale, ma ho visto di molto peggio. Fortunatamente c'è un box con tazza occidentale, alle turche ormai dominanti non mi abituerò mai.
Varie giovani robuste donnine si aggirano nel parcheggio cercando viaggiatori da allietare, anche questo è frontiera.
Dopo aver fatto felice chi aveva fatto felice l'Ammiraglia vado via, ma dimentico di fare una foto all'esterno. Torno indietro e provvedo dall'altra corsia.
Il ragazzo di prima, che mi aveva salutato mentre ripartivo, mi vede di nuovo e corre da me attraversando la strada saltando l’aiuola in mezzo. Mi chiede se sono un viaggiatore. Francamente non so che rispondere, le etichette non mi sono mai piaciute anche perché sono limitanti, ma sarebbe troppo complesso da spiegare e quindi gli dico di sì. Faccio foto? Sì. Sono su Instagram? No. Dove vado? India, se ci arrivo. Gli spiego che, anche se non su Instagram, scrivo su internet e vuole assolutamente il link anche se gli dico che scrivo in Italiano. Ma, a parte tutto ciò, è il suo profondo sguardo che mi colpisce. Non c'è ammirazione, non c'è invidia, non sta guardando me. Nei suoi occhi c'è il riflesso dei suoi sogni, delle speranze in qualcosa di cui io sono solo la casuale conferma. Ecco, quegli occhi ed il luogo mi fanno capire che lì in quel punto sta iniziando il mio viaggio, con quello sguardo. Forse leggerà queste righe con il traduttore e quindi lo saluto e gli auguro di avere la forza di provare a realizzare tutto ciò che sogna.
Costeggio l'ampio letto di un fiume che attraversa le pianure e le larghe gole di questo altipiano. Cerco il nome. Eufrate. Di fianco a me scorre la storia.
Dopo una cinquantina forse più di chilometri, l'Eufrate soffre costretto all'interno di un ampio bacino idrico. La Turchia ha il vantaggio dell'inizio del suo scorrere.
Faccio una lunga deviazione per provare l'auto anche su strade all'interno che, a parte una sterrata molto pietrosa fatta per tagliare, restano buone ed asfaltate anche se tra i monti e di collegamento tra piccolissimi agglomerati di 4 o 5 fattorie. Maps.me non mi fa sbagliare neanche un bivio. Si fa buio. Mi fermo per una foto. Il contadino della casa vicina mi viene incontro. Un piccolo uomo, nel senso della statura, con un viso e degli occhi sorprendenti. Quando gli stringo la mano la sento enorme, dura, una mano che racconta una vita.
Ho però esagerato con la deviazione e gli ultimi 100 chilometri li faccio con il buio che non è affatto un problema, ma si fa tardi e domattina vorrei comunque ripartire molto presto. Inoltre devo di nuovo andare piano a causa di altre forti salite. Erzurum si scorge ad almeno una ventina di chilometri e già dalle luci si capisce che si tratta di una vera città. Due strutture molto grandi sono completamente illuminate e dominano tutto il resto, sono due scivoli per il salto con gli sci. Siamo a quasi 1900 metri e si sente. Città moderna ed agghindata piacevolmente probabilmente in attesa della stagione sciistica. Le previsioni per adesso mi danno sempre cieli tersi e temperature però che la notte scenderanno abbondantemente sotto lo zero. L'Ammiraglia ha il primo problema, non funziona il clacson.
Ho già fatto un paio di rabbocchi di olio, normalissimo per un motore anziano ed anche comodo perché non devi mai fare il cambio olio. Per la prima volta anche l'acqua del raffreddamento si è abbassata, con le salite impegnative che sto facendo è ovvio. È una cosa positiva perché così rabbocco con l'antigelo che ho con me. Il cavo della tromba del clacson è irrigidito dal freddo, lo smuovo un po' e lo piego varie volte per farlo sgranchire. Rifunziona.
La strada mi costringe a fermarmi varie volte per delle belle formazioni rocciose. Si scende inizialmente e poi si risale passando per una insolita zona alberata di conifere. Sembra un po' il trentino. Risuperati i 2000 metri si ridiscende fino ai quasi 1800 della steppa sterminata in cui è collocata Kars. Arrivando faccio una prova di utilizzo GoPro, devo riprenderci la mano.
Spruzzi di neve sono presenti sui rilievi circostanti. Certamente non puo' essere neve dell'altra stagione e quindi vuol dire che qui ha già nevicato. Le previsioni però si mantengono incoraggianti. Intendiamoci, adoro la neve ed anche guidarci sopra, ma il livello di difficoltà qui mi è sconosciuto. Sono zone in cui la neve può bloccare tutto, quindi dovrebbero anche essere attrezzati. Dispersi nel giallo dominante ed immobile, villaggi e grosse mandrie sono affascinanti.
Kars è piccola e caotica. Il clacson serve… per i pedoni. Giorni fa avevo criticato guidatori che per passare intimorivano i pedoni con colpi decisi di clacson, ma qui devo farlo anch'io, si fiondano in strada ovunque, anche ai semafori quando io ho verde e loro rosso. Una moto della polisi passa tranquillamente con il rosso. Paese che vai… Alla periferia ed anche in centro dei casermoni effettivamente hanno un'aria russa retaggio di passate dominazioni, ma francamente se non l'avessi letto non l'avrei notato.
Dopo aver posato la valigia in hotel mi dirigo verso la mia meta principale. La città di Ani un migliaio abbondante di anni fa ha ospitato fino a 100.000 persone. Ci sono una decina di strutture evidenti anche se parzialmente crollate. Lo spettacolo è però scenograficamente rilevante. Il silenzio è immediatamente percepibile, in questa stagione senza turisti. La cima degli edifici, sparsi ed isolati su un'area molto ampia, affiora dalle leggere sopraelevazioni del terreno create da ambienti non ancora esplorati.
Al limitare della città un profondo e sinuoso canyon fa giungere il suono delle acque sottostanti.
Ciò che dona fascino a questo luogo umano è quindi, come spesso accade, la natura in cui è inserito. È ormai quasi buio e non ho potuto fare buone foto in buona luce, ma tornerò domani. Nel muro in alto sulla porta d'ingresso che attraversa le cadenti mura, una svastica ricorda della capacità dell'uomo di dare ai simboli, e non solo a quelli, il significato che più loro aggrada a secondo dei propri mutevoli pruriti elevati a dogmi quasi sempre con l'intento di sottomettere.
A poca distanza dall'hotel mi reco, già in auto, ad un antico ponte proprio sotto il Castello di Kars ed accanto ad una moschea costruita con lo stesso materiale. Una scura roccia lavica a me familiare essendo nato alle pendici dell'Etna. I miei spessi pantaloni australiani si gelano indurendosi. Non c'è nessuno e mi metto in auto un paio di jeans foderati di pile che stavo per lasciare a casa. Chi mi conosce resterà certamente stupito e capirà che fa veramente freddo.
Avevo scritto che i limiti di velocità non erano un mio problema. Poco dopo aver preso l'Ammiraglia, ancora in città, mi ferma una pattuglia della stradale. Controllano tutto dei documenti con telefonate a qualche ufficio centrale. Varie domande e varie richieste di spiegazioni per decifrare il datato libretto di circolazione. Il poliziotto è un gentilissimo giovanotto che si sforza di farmi capire. Il controllo è veloce anche perché sia io che lui usiamo i traduttori dei nostri cellulari. Finito il controllo mi contesta 57km/h con un limite di 50. Per farla breve finisce fortunatamente in un nulla di fatto, come dicevo è veramente gentilissimo. Per finire mi chiede dove sto andando e mi lascia proseguire. L'episodio mi da l'occasione di sottolineare come in giro, in queste ottime e larghe strade solitarie che invitano a correre, spesso si incontrano pattuglie dotate di rilevatori di velocità ed è impossibile vederle prima di essere a tiro dei radar. Ieri ne ho vista una che monitorava il traffico e probabilmente controllava anche la velocità dei mezzi, con due droni.
La strada che percorro verso nord mi fa riandare ai 2200 metri che dovrebbe essere la quota massima su strada di questo immenso altopiano che mediamente si trova ai 1800 metri. Direzione Cildir Lake.
In un villaggio una partita di calcio fra ragazzi si svolge in un luogo che… non trovo le parole, forse non esistono. Giudicate voi.
Purtroppo riesco a fare solo due scatti perché il mio arrivo ha l'effetto di un palese rigore negato dall'arbitro alla squadra di casa. Partita sospesa a tempo indeterminato. Avrei voluto avere con me il mantello dell'invisibilità. La foto la dedico a Gabriele Salvatores e, nel mio piccolo, “A tutti quelli che stanno scappando”.
Breve sosta al Castello del Diavolo che, arroccato su una roccia a strapiombo su una ennesima alta gola, ricorda molti luoghi italici. Per arrivarci una sterrata breve. In fondo non c'è parcheggio e nemmeno spazio per girare. Trovo 2 auto e ne arriveranno altre due. L'ammiraglia è sufficientemente alta da terra per consentirmi manovre impossibili alle altre auto. I turchi approvano.
Il giro intorno al lago, che non mi aspettavo così grande, è un piacere per la guida e per gli occhi. Tranne il villaggio di Cildir non ci sono infrastrutture o costruzioni. Accendo la musica e mi diverto su questa lunga strada sinuosa ed ondulata senza curve cieche. Unico neo, ho il sole il faccia.
Il sole! Devo fare in fretta perché si sta abbassando velocemente e devo tornare ad Ani. Per la foto che volevo fare arrivo con 10 minuti di ritardo, non di più. Il rudere in basso dentro il canyon è già irrimediabilmente in ombra. Peccato.
Ieri non mi ero spinto verso la parte sud del sito. Il canyon da questo lato ha decine e decine di grotte sulle pareti. Veramente scenografico. Ani è imperdibile.
Sulla strada del ritorno anche stasera i lampioni esaltano una nebbia sottile e bassa. Quando la si attraversa però, un odore acre racconta di poveri inverni vanamente addolciti da magre stufe sfamate non certo con appetitoso legno. I fumi si alzano dai tetti di tutti i piccoli nuclei che si incontrano e soffocano l'aria altrimenti leggera della notte.
A sera, in un locale popolare vicino l'hotel, provo il lahmacun turco. Una sottile focaccina con carne e verdure. Non vedo pizzerie, cosa rara in qualunque parte del mondo ormai, probabilmente proprio perché hanno il lahmacun.
L'acqua in macchina stamattina la trovo gelata. Il cambio è duro perchè anche l'olio si è addensato. Tutto normale e consueto. Lascio Kars con calma e mi avvio verso sud. La strada per Kagizman è la più isolata ed anche la più piccola percorsa su questo altipiano, con solo due corsie una per ogni verso di marcia. Se ne vedono a tratti vari chilometri che si snodano nella steppa, traffico inesistente. La terza volpe vista ad oggi attraversa la strada di corsa e si allontana prima di poter pensare di fotografarla. Allo scoperto la vedo andare verso un villaggio non lontano, solitaria interruzione dell'uniformità del paesaggio. Dietro, a decine di chilometri, una catena di vette innevate sfocate dalla forte luce solare. Mi fermo perché penso che abbandonerò prima o poi questo desertico paradiso ereticamente profanato da parecchia sporcizia sparsa ai lati della strada. Ogni tanto la si vede accumulata in zone delimitate che poi ciclicamente verranno ricoperte da uno strato di terra, prassi comune a parecchie aree desertiche del mondo. Mi fermo perché mi viene voglia di scrivere qui e perché devo integrare quanto scritto e pubblicato ieri con ciò che potrebbe cadere nell'oblio. Mi fermo perché mi passa accanto, in questo nulla che è tutto, un autoblindo che vuole ricondurmi al tutto che è nulla. Resto fermo a scrivere per almeno un'ora cercando parole nel vuoto che mi circonda.
Una telefonata pubblicitaria dall'Italia mi cancella brutalmente e definitivamente questo momento.
Lasciato l'altipiano di Kars si scende fino ai 1000m, ma quasi subito si risale con una panoramica strada in parte rifatta ed in parte ancora sterrata che porta velocemente a 2400 metri. Scendo per far riposare l'Ammiraglia e godere della vista dell'altopiano appena lasciato a nord. Subito dopo il passo, dall'altra parte, verso est un enorme massiccio in lontananza domina tutto. Dalla mappa capisco che sto guardando gli oltre 5000 metri del Monte Ararat. Si ridiscende, ma non sono mai al di sotto dei 1600 metri. L'asfalto è un grossolano bitume adatto a gelo e neve. Molti dei posti di blocco, che spesso si trovano all'inizio dei centri più grandi, adesso sono gestiti dall'esercito. Mitra imbracciati ed a volte un mezzo blindato. I controlli sono frequenti. Fortunatamente incrocio anche piacevoli formazioni militarmente inquadrate.
Mentre mi avvicino al Lago di Van sono sempre più accecato dal sole ormai basso che si riflette su questa immensa distesa d'acqua salata. Con l'ultima luce del giorno riesco ancora a vedere le creste bianche di neve dei monti che lo circondano. Vengo nuovamente fermato dalla polizia, ma stavolta mi lasciano andare immediatamente appena vedono che sono straniero. Non mi chiedono nemmeno il passaporto. Un veloce giro perlustrativo ad Ahlat per capire cosa vedere domani e sono nel caos di Tatvan. C'è persino un grande Carrefour.
Con la luce del giorno Tatvan appare diversa, gradevole. Il colpo d'occhio sul Lago di Van non lascia indifferenti. Devo visitare un paio di luoghi.
Noto, accanto alla strada, un piccolo cimitero con delle tombe chiuse tra ringhiere di metallo che le fanno sembrare delle culle. Sarebbe solo curioso se non fosse che immediatamente mi rimandano a qualcosa di lontanissimo, agli altipiani del Cile dove, nel primo viaggio in solitaria, incontrai tombe della stessa fattura, ma prevalentemente in legno. Lì risalivano alla fine dell'ottocento, qui il cimitero è ancora utilizzato. (Foto presente anche su juza)
La Altinsac Kilisesi (chiesa) si raggiunge dopo un centinaio di chilometri verso est sempre sulla costa sud. Sulla cartina sembra di non essersi mossi tanto il lago è grande. Si prende una sterrata bloccata da due militari, francamente non saprei dire perché. Controllano chi sono e mi fanno passare. La costa della piccola penisola in cui mi sto incuneando è meravigliosa, degna della migliore isola greca. Il colore delle acque ricorda quello dei bacini originati dallo scioglimento di ghiacciai. Arrivo al villaggio di Altinsac e chiedo della strada per la Kilisesi.
Mi inerpico con l'Ammiraglia fino a mezza costa della collinetta in cima alla quale ci sono i ruderi che cerco. Per andare oltre ci vorrebbero le ridotte.
L'ultimo strappo, anche a piedi, è impegnativo ma breve. Quello che è strabiliante non è tanto la chiesa quanto il luogo totalmente isolato ed il panorama sul lago e sui monti innevati intorno. Il clima è magnifico.
Altra tappa, forse la più famosa. La Akdamar Kilisesi si trova su un'isoletta e ci sono vari traghetti turistici con cui arrivarci. Non ho tempo, devo arrivare ad Ahlat con la luce del tramonto. Devo allora inventarmi una foto dalla riva.
Sono vicino ad un altro cimitero simile a quello di Ahlat, Gevas, ma ne tralascio la descrizione perché semplicemente non regge il confronto. Qui però ho la conferma definitiva di qualcosa che, nei giorni precedenti, vari piccoli roghi apparentemente accesi senza alcun senso mi avevano portato a pensare. Ricordate quanto ho scritto sul fumo che ogni sera avvolge tutto? Sono date alle fiamme, nei piccoli centri fuori dalle città, anche le immondizie. Di qualunque tipo. Non giudico ed invito a non giudicare però seduti su comodi salotti in un mondo altro. Magari “se capirai se li cercherai fino in fondo, se non sono gigli son pur sempre figli vittime di questo mondo”.
Corro, dovrei farcela, il sole è ancora alto. Devo ripassare da Tatvan. Incontro ben tre posti di blocco praticamente consecutivi, due dell'esercito ed uno della polizia. In uno il blindato a lato strada è anche un lanciamissili. Sono posti di blocco seri, devi incolonnarti ed aspettare il tuo turno. Controllano tutti senza eccezioni. Perdo un sacco di tempo, ma ce la farei ancora se non fosse per il traffico di Tatvan. Esattamente come ad Ani arrivo con 10 minuti di ritardo. Nel sito, un grande cimitero selgiuchide, ci sono centinaia di pietre tombali decorate infilate nel terreno. La bellezza del luogo mi fa aumentare la rabbia. Faccio qualche scatto di cui non sono affatto contento.
Due sposini lì per qualche foto di rito mi danno l'occasione per qualcosa che abbia senso.
Deve essere il mese dei matrimoni, ne ho visti almeno cinque. Le auto degli sposi sono sempre decorate con lunghi veli che avvolgono completamente la carrozzeria sia in lunghezza che in larghezza. Mentre me ne vado, varie centinaia di taccole si allontanano in volo. Anche da noi, almeno in centro Italia, sono una presenza costante in luoghi che trasudano di antico. La via principale di Tatvan è divisa in due da una lunghissima fila di pini probabilmente d'aleppo che dopo il tramonto si riempiono del chiassoso vociare di migliaia di quelle taccole. Un vociare che il frastuono del traffico non copre, nell'indifferenza però degli assuefatti abitanti.
Vedo dei ragazzi che mangiano l'Halka Tatlisi. Veloce sguardo intorno ed individuo una pasticceria che fa solo questi e Tulumba Tatlisi. Prendo 4 Halka ed una decina di piccoli Tulumba. Fra non molto abbandono la Turchia ed è forse l'ultima occasione.
Prima di lasciare Tatvan, mi faccio indicare un meccanico. Penso di conoscere la causa di quel rumore sordo che a volte sento quando procedo lentamente, ma non posso permettermi di tralasciare nulla. Trovo un meccanico ed a gesti, versi e traduttore mi faccio controllare sospensioni e marmitta. Non c'è alcun problema, ma non riesco ad andar via. Vogliono assolutamente che faccia colazione e mi sieda insieme a loro, non c'è verso. Spiego che ho già mangiato, ma un bicchiere di cay non posso rifiutarlo. Mi fanno sedere insieme e come loro su una latta d'olio rovesciata e sono risate, pacche sulle spalle e strette di mano continue insieme a mille domande.
Ripasso per Ahlat, ma ancora arrabbiato per il ritardo di ieri sera e con la luce dura che c'è adesso decido di non fermarmi. Ci ritornerò con calma con mia moglie in un altro momento.
Il rumore che mi ha fatto cercare un meccanico è quasi certamente causato da un pesante pezzo di ricambio che ho inserito all'interno del cerchione di una delle mie due ruote di scorta posizionata sotto l'Ammiraglia.
Scene visivamente estranee mi parlano di un mondo simile, ma già distante dal mio.
La strada verso nord sale fino a portarmi a quasi 2600 metri e qui, oltre alle capsule del caffè ed alle bottiglie d'acqua, anch'io ho la percezione dell'altura. Incontro una zona di sciara che con una cima innevata ed un ampio cono di cratere sullo sfondo mi ricorda i panorami dell'infanzia sotto l'Etna
Finita la salita, dietro una curva che mi conduce al di là di questo passo, come un miraggio mi appaiono le cime gemelle del Grande e Piccolo Ararat.
In un cielo completamente sgombro da nuvole, dominano su tutto. Credo che non esista posto ed angolazione migliore per ammirarle, arenate in una arrugginita arida distesa imbevuta di mito sulla quale mi sporgo.
Mi tuffo, sotto lo sguardo del primo dei giganti che incontrerò in questo viaggio, ai 1600 metri di Dogubayazit da cui domani proverò a lasciarmi alle spalle, non con animo sereno, anche il debole profumo di Europa che ancora arriva fino a me. È presto, ma devo organizzarmi bene vista la situazione non prevista che c'è in Iran. Non so se e quando potrò continuare questo racconto, ma continuerò a documentare. A meno di imprevisti dovrei rimanerci circa un mese.
Sono l'unico ospite di un ottimo grande hotel. Devo attraversare un largo, lungo e silenzioso corridoio con moquette rossa e le porte delle camere ai due lati. Immagino di veder spuntare in fondo un piccolo triciclo guidato da un silenzioso bambino. Fuori non c'è ancora la neve, ma stavolta forse è meglio che mia moglie non sia qui.
Al confine regna il caos. Le auto sono inesistenti, siamo solo un paio, ma ci sono tir dappertutto ed in ordine sparso. Faccio una gran fatica anche solo a scorgere tra i tir le indicazioni per le auto ed un paio di volte devo tornare indietro ed aggirarne alcuni che bloccano completamente il passaggio. Anarchia totale. Un tizio che parla inglese mi istruisce ed aiuta sul da farsi. Chiederà 10 euro per il disturbo e mi propone di cambiare euro in rial. Rifiuto, ma per levarmelo di torno cambio fortunatamente solo 10 euro ad un cambio che è all'incirca quello visibile su internet e si rivelerà essere almeno la metà di quello reale. Occorre scendere dall'auto ed andare a degli uffici. Le abituali dogane dove accosti e dal finestrino porgi i documenti qui non sanno cosa siano. Da una parte mi timbrano l'uscita sul passaporto, da un'altra riempiono il Carnet de Passage sempre per l'uscita dalla Turchia. Ci sono due grandi cancelli paralleli distanti tra loro 30 centimetri al massimo, uno nero turco sempre aperto ed uno bianco iraniano sempre chiuso. Dopo qualche minuto due militari iraniani si accorgono che c'è qualcuno di inusuale e mi aprono.
IRAN
Il primo approccio informale con uno di questi lo racconto solo perché farà felici i miei nipoti. Da dove vieni? Italia. Che città? Roma. Ohhh, Franciesco Toti. Big, big. E va beh.
Mi portano a degli uffici dove sembra di essere alla stazione dei pullman con decine di persone con fagotti giganteschi che aspettano in file improbabili. Vengo preso in carico da uno che si dichiara funzionario del governo, mi fa vedere un tesserino scritto in farsi totalmente inutile per me, e parla abbastanza bene inglese. È lui che si occupa di tutto, io aspetto soltanto. Sono tranquillo solo perché la cosa è citata sulla Lonely Planet. In una pausa mi propone di cambiare euro. Anche qui cerco di tergiversare, ma poi capisco che non mi sta fregando perché mi spiega bene come stanno le cose. Il cambio fatto in Turchia, fortunatamente solo di 10 euro, corrisponde a quello bancario ed è esattamente la metà di quello diciamo libero. Verificherò solo in seguito che anche qui conviene cambiare solo un centinaio di euro per avere contante a sufficienza per un po'. Negli hotel ho poi avuto cambi fino al 30% migliori e nei bazar probabilmente si otterrebbe ancora di più, ma questa opzione mi è stata ampiamente sconsigliata da tante persone e non ho verificato. Da come facciamo lo scambio si capisce che non fa qualcosa di legalissimo, anche se tutti certamente ne sono a conoscenza. Ricevo un pacco di banconote di grosso taglio che ci vorrebbe una busta. Un funzionario viene a controllare il numero identificativo di carrozzeria e motore e mi chiede se ho alcool. Quando dico no… mi chiede perché? Ma che vuol dire perché? Senza aver dovuto nemmeno scaricare l'auto e senza dover fare una assicurazione per l'Ammiraglia perché in Iran vale la nostra carta verde, non so quanti lo sanno, dopo un'ora ho finito tutto. Il tizio, dicendomi che è per un'altra persona che effettivamente però ha provveduto ad un documento, si prende ben 35 euro per il disturbo e vi assicuro che vista la situazione sono ben spesi. Mi accompagna anche fuori dall'ultimo lontano cancello dove occorre consegnare un foglio rilasciato dai doganieri e mi consiglia di allontanarmi immediatamente da Bagarzan, città di confine, che dice piena di gente che cerca di fregare chi arriva. Comunque, avendo tre notti prenotate a Maku a 25 chilometri, seguo il consiglio. Anche perché mi occorrerà un po' di tempo per capire bene come muovermi. Intanto è andata via un'altra mezzora di fuso orario.
A Maku, mentre sono con lo sguardo all'insù per cercare l'insegna dell'Hotel che Maps.me mi dà a 50 metri dal luogo esatto, imprecisione fatale, con una delle ruote davanti finisco penzoloni dentro un canale di scolo. Non mi sono per nulla accorto, anche perché finora ero rimasto su grandi arterie, che ai lati delle strade ci sono enormi canali scoperti larghi anche fino a 70-80 centimetri ed altrettanto profondi. Un gran botto anche se procedevo a passo d'uomo. Non faccio in tempo a scendere dall'auto per capire cosa è successo che già si è fermato un tizio per soccorrermi. Capisce immediatamente il problema e ferma un'altra auto con due uomini ed in tre, mentre io metto la retromarcia, sollevano e liberano l'Ammiraglia. Non sono passati che 3 minuti. Chiedo dell'hotel ed un vecchietto che guardava la scena mi fa capire che mi ci porta. Libero un po' l'intasato sedile davanti e si siede scomodamente accanto a me indicandomi a gesti la direzione da prendere. All'hotel scende e ritorna indietro a piedi. Beh, a parte la frontiera che ovunque è un mondo a sé stante, gli iraniani mi si presentano esattamente come avevo letto di loro.
Fortunatamente l'Ammiraglia non è come una delle sculettanti plasticose siliconate sgallettate moderne, ma un bel duro blocco ferroso. Non ha fatto una piega, mi guarda solo un po' di traverso ed ha ragione.
All'hotel mi confermano che internet non va per niente. Non hanno nemmeno connessione telefonica per l'estero, ma mi indicano un coffee-tel per chiamare in Italia. Mentre vado mi fermo a comprare una sim Irancell al negozio a 20 metri. Una signora con un vistoso trucco, unghie finte da far invidia ad una Drag Queen e capelli curati che fuoriescono vezzosi dal velo, mi fa sedere ed attendere che sbrighi la pratica. Serve il passaporto e, alla fine, dopo avermi fatto firmare un foglio, tira fuori un tampone di inchiostro e devo lasciare l'impronta dell'indice accanto ad ognuna delle due firme. Poi mi indica dove vanamente provo a pulirmi. Mi aspetto quasi che adesso si passi al patto di sangue con la compagnia telefonica. Al momento posso solo chiamare in Iran, cosa che mi sarà utile e sono pronto per quando tornerà internet, se tornerà. Costo 5 euro.
Il coffee-tel è chiuso. Davanti ci sono madre e figlia con rigido abbigliamento ortodosso nero che copre tutto tranne il viso. Provo comunque a chiedere quando apre il posto, visto che le scritte sono per me incomprensibili. La ragazza, che conosce qualche parola di inglese, guarda la vetrina e mi informa, per nulla intimorita dallo sconosciuto uomo occidentale che le rivolge la parola, che non c'è alcun orario scritto. C'è invece un numero di telefono che digita sul mio cellulare parlando poi lei stessa con il titolare ed infine mi comunica che aprirà alle 4. La madre ridacchia palesemente compiaciuta delle capacità della figlia. Ringraziamenti e saluti vari anche se senza strette di mano.
Prima di tornare in hotel vedo un piccolissimo locale dove, dalle foto, capisco che si vende qualcosa da mangiare. Entro. C'è solo un posto a sedere. Il titolare, persona squisita e cordiale cosa che mi sembra di intuire sarà una costante, mi fa vedere qualcosa di rotondo che mi sembra una focaccina. Quante? Se me lo chiede vuol dire che si può prenderne più di una, allora ordino due di non so cosa. Ci sono le Pepsi e le Coca-Cola prodotte in Iran alla faccia dell'embargo. Ordino anche una pepsi. Mi fa sedere sull'unica sedia e mi offre del cay nell'attesa. Alla fine ho due lunghi panini con verdure varie e quella che avevo scambiata per una focaccina, dopo una gran fatica fatta con il traduttore, scopro che è carne di capra tritata. Praticamente un hamburger che viene cotto alla piastra, spezzettato ed inserito ad infarcire una lunga baguette. Insomma una specie di McDonald. Mangio nel mio locale privato uno dei buonissimi panini, bevo la pepsi e ne prendo un'altra da portare via. Quando chiedo di pagare mi risponde che non devo pagare nulla, e dopo un microsecondo mi ricordo che è una forma di cortesia consueta, il Ta'arof, e mi tocca insistere due volte prima che mi dica la cifra che comunque si aspettava di ricevere. Pago per tutto la bellezza di 1,80 euro e ci cenerò.
Al Coffee-tel che apre puntualmente alle 4, un buffo tizio che sembra un robusto moschettiere con baffetti parigini e capelli lunghi mi dice che nemmeno lui ha connessione per telefonare all'estero e mi da un foglietto con il nome in farsi di un posto a circa 500 metri dove potrei avere fortuna. Vado a piedi perché non mi ricordo cosa dire ai taxi per fare la corsa da solo senza che carichino altri passeggeri sul tragitto che, se donne, innescherebbero un girotondo finalizzato a non farle sedere accanto ad uomini non appartenenti al suo nucleo familiare e poi sono praticamente appena arrivato e mi devo ancora orizzontare, quindi meglio uno spostamento lento ed esplorativo. Chiedo più volte facendo vedere il foglietto ed arrivo nel seminterrato di un edificio di recente costruzione dove c'è lo studio di una fotografa, cosa che capirò dopo un po'. C'è una stupenda ragazza dagli occhi verdi, senza trucco, senza velo e con i jeans, che mi accoglie come fossi un amico non visto da molto tempo e mi dice che il posto è quello giusto e devo aspettare un attimo perché sta arrivando il fratello che capisce un po' di inglese. Lo chiama e poco dopo arriva con moglie e figlia. Si siedono con calma accanto e me. Sono tutti sorridenti e come felici di vedermi. Ovunque vai la prima cosa che ti dicono è, si sieda e l'impressione è che le discussioni o qualunque altra cosa vadano fatte con calma e seduti. Persino uno dei negozianti a cui ho fatto vedere il biglietto e chiesto indicazioni mi ha invitato prima a sedermi con lui.
Quando mi dice che non ha modo di farmi telefonare all'estero è realmente rattristato ed aggiunge che mi porterà lui stesso dove pensa sia possibile. Faccio per alzarmi, da stupido nevrotico occidentale, e fortunatamente capisco al volo che qui ci sono cose molto più importanti dei problemi da risolvere. Mentre parlavamo, la ragazza, anche lei con delle unghie finte chilometriche, ha preparato il cay e servito dei dolcetti squisiti, specialità di Urmia, che mi spiegano aver comprato ieri perché hanno dovuto andarci per lavoro. Chiacchieriamo come vecchi amici per almeno 20 minuti. Lui e la sorella sono dei turchi iracheni. Mi spiega che ci sono varie etnie in Iran che coesistono. La moglie che è persiana partecipa discretamente alla discussione e scopro che la fotografa è proprio lei. Anch'io ovviamente racconto un po' di me. Ora è lui che si alza e mi dice di seguirlo, l'ospitalità è stata onorata da entrambi. E noi? Mi viene in mente l'immagine di un pesce spada nell'affannoso inseguimento di un'esca al traino. Penso però anche, per contrasto, che se continua così diventerò teinomane.
Salgo sulla sua auto e vuole innanzitutto andare al mio albergo a chiedere perché un hotel per turisti non abbia telefoni che possano chiamare l'estero. Dopo che si sono parlati è incredulo perché gli confermano che è proprio questa la situazione, ma non riesco a capire se è una conseguenza dei problemi di questi giorni o meno. Mi porta allora ad un altro hotel dove scende, chiedendomi di aspettare in auto. Mi sarebbe comunque impossibile scendere perché cadrei in uno scolo dell'acqua che sembra la Fossa delle Marianne. Niente. Da Maku non si riesce a telefonare all'estero da un luogo pubblico. Mi riporta al mio albergo e si scusa incredibilmente più volte per non essere riuscito a risolvere il mio problema mentre io non smetto di ringraziarlo per la sua immensa gentilezza. Mi porge infine persino il suo cellulare offrendomi di telefonare con quello in Italia. Sono veramente colpito. Chiaramente rifiuto dicendogli che anch'io posso farlo con il mio e che provavo solo a non spendere una cifra molto alta. Ci lasciamo, ma prima vuole un indirizzo da cui poter vedere almeno le mie foto se non leggere gli scritti.
Se il governo non riapre l'accesso ad internet, almeno finché starò a Maku, potrò comunicare solo tramite la mia sim italiana a 6euro/m.
Maku è una piccola cittadina incastonata in uno scenario che farebbe andare in visibilio John Ford.
Mi dirigo verso la Cappella di Dzor Dzor. L'inizio del mio viaggio in questo paese islamico sarà dedicato ad alcune delle più belle chiese cattoliche armene. Si risale un costone di roccia e dalla cima, in lontananza, si scorge l'Ararat. Dal confine saranno almeno 25-30 chilometri ed ho un paio di tacche di segnale sul cellulare australiano in cui ho inserito la sim turca proprio per fare una prova. Purtroppo non aggancia la connessione dati. Pazienza. La cappella, detta anche della Vergine Maria, si trova in una posizione altamente scenografica, ma la luce è pessima e sono controsole.
In zona non ci sono quasi abitazioni, ho incontrato solo qualche contadino intento a preparare il terreno per la futura semina. Mentre ripercorro a ritroso la solitaria e panoramica strada sterrata che conduce alla chiesa, mi vengono lentamente incontro chiacchierando serenamente due donne del luogo, penso madre e figlia. Quando mi incrociano, dopo avermi salutato, mi fanno capire che possono prepararmi da mangiare e mi invitano a seguirle. Dire che l'offerta mi coglie totalmente impreparato è eufemistico, resto totalmente interdetto e non so che dire. Riesco solo ad affidarmi ad un istinto affinato in decenni di fredda vita occidentale che mi fa scattare un totalmente ingiustificato allarme interno: sai ancora troppo poco di questo mondo, non accettare. Continuando serenamente a chiacchierare proseguono verso la chiesa.
Sulla strada del ritorno, ritrovata la capacità di valutare senza preconcetti, mi pento di non aver accettato il loro invito. Sono qui per questo ed occasioni così non devo lasciarmele scappare. Me ne ricorderò.
Quando nuovamente mi trovo in posizione dominante su Maku e l'orizzonte aperto in direzione del confine, riprovo con la linea turca. Stavolta, dopo qualche minuto, il miracolo già visto varie volte in luoghi assolutamente sperduti nell'outback australiano, si ripete. Le due tacche di linea diventano 4G ed ho finalmente un internet non bloccato. Assolutamente incredibile. Posso comunicare con casa tramite chiamata WhatsApp. Sarà una lunga discussione tranquillizzante.
Il problema è soprattutto la ricerca degli hotel. In Iran, per via dell'embargo, non funziona nessuno dei classici siti di prenotazione come Booking ed inoltre le carte di credito non iraniane non possono essere usate. Io mi sono appoggiato al sito dell'agenzia iraniana 1stquest in cui è possibile prenotare e pagare online con qualunque carta di credito. L'agenzia la consiglio per qualunque tipo di viaggio in Iran. Con la situazione di questi giorni non riesco però né ad accedere al loro sito né a comunicare con WhatsApp o con la mail. Non resta che telefonare. Domani. Ho ancora altre due notti a Maku prenotate dalla Turchia.
Per gli aggiornamenti e per riparlare con casa, penso di tornare qui su domani e provare ad inserirli. Quando sarò andato via da Maku, se la situazione non cambierà, non potrò inventarmi più nulla.
Velocemente ridiscendo e mi sposto a sud-ovest per visitare la Qareh Kalisa o Chiesa di San Taddeo, letteralmente nel nulla. Per arrivarci, dopo esser sceso a 1000 metri, si risale velocemente ai 1800 di un ennesimo immenso altipiano deserto. Le chiese sono da visitare anche solo per godere dei luoghi e nel caso della Qareh Kalisa la strada per arrivarci può già essere lo scopo della visita.
Vado via. L'Ammiraglia avanza senza ostacoli scontrandosi continuamente con le scure macchie delle nuvole che si divertono ad interporsi tra lei e la fine dell'alta piana, come a suggerirle di restare.
All'hotel vedo tre grosse superaccessoriate jeep ed i proprietari chiaramente non iraniani. Sono dei tedeschi che stanno andando nei deserti del centro sud. Chiacchieriamo un po'. Dei luoghi intorno non sanno assolutamente nulla nonostante abbia l'impressione che almeno uno di loro non sia la prima volta che viene in Iran. Molti dei viaggi più o meno lunghi di cui ho letto avevano più la caratteristica di raid, come quelli di gruppo organizzati ad esempio verso la Mongolia. Non ne sono attratto. Mi sembrerebbe non di scoprire o capire, ma solo di utilizzare i luoghi attraversati per scopi che nulla hanno a che vedere con essi. Ma non voglio criticare troppo. Diciamo che la mia filosofia del viaggiare è molto diversa. Già il solo essere qui e conoscere chi non potrà mai fare altrettanto nella sua vita costituisce per me un enorme compromesso.
Mentre parliamo, ad un accenno sulla situazione di questi giorni, uno dei tedeschi dice che lui ha la connessione internet tramite il wifi dell'Hotel. Veloce verifica. Sì. Purtroppo però, dopo indagine accurata, la situazione è migliorata solo di poco. La sim irancell è sempre bloccata e con il wifi posso solo utilizzare qualche app, mentre Google, Youtube e vari motori di ricerca non si caricano. Posso ora parlare con casa dall'Hotel, ma per il resto ancora nulla o quasi.
Stamattina sono riuscito ad attivare sul computer la VPN sul wifi dell'hotel, mentre con il cellulare non è possibile. Aggiro quindi i blocchi e finalmente accedo a tutto. Sul sito dell'agenzia gli hotel di Tabriz non hanno più camere disponibili. Ok, non mi resta che telefonare e questo posso farlo anche in giro. Vado per la distante Kalisa Darreh Sham o Chiesa di Santo Stefano. Il sito è elegante e funzionale. Sulla ripida salita a piedi che porta alla chiesa ci sono dei bei terrazzamenti alberati ed in pietra con cascatelle d'acqua e persino un piccolo laghetto con pesci ed anatre.
La chiesa è certamente da vedere, ma ancora una volta è il percorso per arrivare che merita una descrizione. Provenendo da nord si costeggia la frontiera con l'Azerbaigian che segue il percorso del fiume Aras. Inizialmente il paesaggio è piatto e stavolta poco piacevole perché trasmette l'idea di abbandonato più che quella di desertico. Quando però il fiume si incunea nella valle omonima, il contrasto fra le selvagge aride pareti e l'acqua del fiume lascia senza parole. La Valle di Aras è un luogo da non perdere.
Sulla sponda opposta l'Azerbaigian ed una interminabile recinzione dove spesso si vedono postazioni militari ormai in disuso. Ho passato due gate vuoti e senza controllo militare, in un altro invece non mi fermano nemmeno. Sono a Jolfa, ma noto qualcosa di anomalo. Accosto e chiedo dove siamo. Azerbaigian. Cavolo, ho passato la frontiera senza accorgermene. Jolfa è una città a metà tra le due nazioni. Se guardate una mappa noterete che qui c'è un pezzetto di Azerbaigian staccato dal resto della nazione. In mezzo c'è l'Armenia. Fino a vent'anni fa qui si combatteva proprio tra Azerbaigian ed Armenia per il possesso di questo territorio. Dietro front. Nel frattempo ho telefonato all'agenzia e chiesto di prenotarmi tre notti a Tabriz. Adesso hanno anche il mio numero iraniano. Nel pomeriggio mi richiamano. Mi hanno trovato posto, hanno prima telefonato al mio hotel a Maku per accertarsi che anche stasera potessi accedere al web, mi telefonano poi dicendomi che mi hanno mandato una mail con il link per vedere l'hotel e quello per pagare online. Dopo aver saldato mi arriva mail di conferma e subito dopo mi telefonano nuovamente per confermare anche a voce. Perfetti. Mi saranno molto d'aiuto.
Lascio Maku dopo tre giorni in cui ho iniziato a riprogrammare me stesso in funzione dell'Iran e mi dirigo a sud verso il cuore del paese. Un lungo giro mi porta sulle rive del Lago di Orumiyeh, un altro mare interno morente. Probabilmente destinato a scomparire tra deviazioni di affluenti e forte diminuzione delle precipitazioni, entrambe cause umane… cause umane.
Mi chiedo se mai qualcuno ha fatto una riflessione sull'aggettivo umano. Con una arroganza senza confini gli umani hanno dato all'aggettivo umano il significato di buono, compassionevole ecc. ecc. ecc. Tutte le accezioni positive possibili confluiscono nel significato che diamo a questa parola. Mi viene in mente solo la genialità del fantozziano “Ma come è umano lei…” che implicitamente denuncia quella che per me è una delle principali dimostrazioni della protervia dell'umanità. Forse esistono o sono esistite lingue in cui il termine che specifica la specie non sia anche investito di tutti i significati positivi possibili, lo spero. Dovrò indagare.
Meglio che torni al lago. In una giornata non limpida, con una luce che annulla colori e contorni, mi si presenta come una piatta distesa bianca senza confini dentro la quale vedo file di camion che ulteriormente la svuotano della sua ultima ricchezza, il sale.
Dietro una curva ho la visione improvvisa di un panorama quasi extraterrestre. Immediatamente imbocco una breve sterrata che intuisco mi condurrà in alto dove potrò averne una visuale sgombra. Dei giganteschi massi sono come appoggiati in attesa di qualcosa o qualcuno, solitari e frutto di chissà quali cataclismi contrastano con l'immobilità in cui sono immersi.
Un ponte consente di oltrepassare il lago senza costringere ad un lunghissimo aggiramento. Si paga un pedaggio. Proprio in mezzo aspettano alcuni venditori di sale probabilmente abusivi ed uno di loro mi regala un piccolo cristallo di quest'ultima ricchezza del Lago di Orumiyeh.
Mi dirigo verso la mia meta. Tabriz. Fino a questo momento ho rilevato qualcosa di totalmente inaspettato. Ci sono molti meno problemi negli spostamenti rispetto alla Turchia. Al momento non ho incontrato alcun posto di blocco militare e solo un paio di controlli della polizia. Non sono mai stato fermato. Non c'è nemmeno la paranoia dei limiti di velocità e per una buona ragione. Sulle strade ci sono migliaia di dossi artificiali, la maggior parte dei quali è così alta che devi per forza fermarti per poterli oltrepassare. Ovunque ci sia un incrocio, uno svincolo, un villaggio, una caserma, un posto di polizia, un qualunque motivo che comporti il dover procedere a velocità ridotta, ci sono i dossi. Dentro i paesi sono continui e si procede a singhiozzo accelerando e fermandosi davanti ad ognuno. A cosa servono le multe quindi? Se non rispetti i limiti rompi un asse. Molti poi nemmeno si vedono, ma dopo un po' capisci che ci sono sempre. Appena vedi un cartello di limite a 50 km/h sai che ti conviene rallentare. Semplice ed efficace. Non ci sono invece davanti alle strisce pedonali che francamente non capisco perché continuino a dipingere per terra dato che non sono rilevanti per nessuno, nemmeno per i pedoni.
Tabriz è una grande città ed il traffico inizia già ad una quindicina di chilometri dal centro. Ho letto che gli iraniani sono dei pessimi guidatori. Non sono completamente d'accordo. Forse l'unica cosa veramente negativa è la totale assenza del concetto di distanza di sicurezza. Nel traffico gli spostamenti di corsia repentini per sopravanzare gli altri sono esattamente come sul raccordo anulare, solo che qui lo fanno praticamente tutti e sono quindi continui incastri di auto che si rompono e si ricompongono senza sosta. Per guidare così devi essere sveglio e vigile. Un invito a nozze. Mi viene in mente mio padre che, quando ancora non ero in età da patente mi ripeteva spesso, “in una raggiante Catania”, che chi avesse imparato a guidare lì avrebbe potuto guidare in tutto il mondo. Chiaramente non significa che non farai mai incidenti. In ogni caso mi diverto e sorrido spesso vedendo le facce incredule ed interrogative di quelli che vedono un'auto sconosciuta guidata da uno straniero che si muove esattamente come loro.
Una breve uscita già nel buio della sera mi da una immagine positiva di Tabriz. Strade e vetrine moderne e luccicanti inframmezzate da ogni sorta di localini dove mangiare sono una piacevolissima cornice alla mia prima esplorazione. Sono stanco perché stanotte ho dormito poco per scrivere e pubblicare dopo qualche giorno di astinenza forzata, ma mi distacco comunque con difficoltà. Prima però entro in uno di questi minuscoli locali ed ordino degli spiedini di carne ed uno di pomodori che mi vengono cotti alla brace e serviti con ampie strisce di pane arabo. Si poggia tutto sul pane e lo si arrotola, mangiando poi comodamente con le mani. Delizioso.
Mi sveglio ed apro le tende delle alte vetrate della mia stanza. Si affacciano su un incrocio trafficatissimo e stanotte ho dormito con i tappi, ma non è un problema. Disteso sul letto vedo perfettamente passanti e mezzi che si mischiano in un nuovo inizio di giornata come tanti. Oggi l'Ammiraglia resterà parcheggiata al coperto ed al caldo del parcheggio privato dell'Hotel.
Solo Bazar.
Ho con me la piccola tascabile ormai anziana, ma Leica e se gli scatti soffriranno della poca luce a disposizione, pazienza. La presenza di un qualunque obiettivo è sempre un elemento falsificante della realtà, farò il possibile per non influenzare il luogo a costo di non scattare per niente. Nel vecchio, sporco e poco appetibile zaino che uso in queste circostanze, zaino il cui interno però ho completamente imbottito, poca altra apparecchiatura invadente. Entro nella corrente di questo luogo millenario citato da Marco Polo, come mi suggerisce mia moglie, e mi lascio guidare dal caso. Mi aspetto molto dai suoi ben 24 caravanserragli, piazzette alberate, colori, profumi e rumori di cui ho letto e che sono una caratteristica comune di bazar e mercati non occidentali, ma quello che non mi aspetto è l'eleganza di questo luogo, un tripudio di cotto da far invidia ad un senese.
La ricchezza e la fastosità delle esposizioni non ha eguali nella mia esperienza. Le compravendite continue di ogni sorta di mercanzia nota od ignota non hanno sosta. Sono nel cuore pulsante di questa città, cuore giovane e forte privo di aritmie. Non c'è nemmeno l'ombra di un turista. Con il cappuccio sulla testa per il freddo che si insinua all'interno dei lunghi corridoi, vengo anche poco notato come estraneo. Faccio qualche rispettoso scatto, ma ce ne vorrebbero migliaia. Centinaia di carrelli trainati a mano si intersecano senza sosta, unico mezzo di trasporto possibile in questo labirinto, guidati velocemente nella folla al grido di Jalla! Jalla! Ogni tanto anche una moto cerca di aprirsi un varco. Ci sono centinaia di gatti, ovunque, che vengono tollerati anche quando si infilano dentro i negozi di alimenti in una ricerca, quasi sempre ripagata, di cibo. I restauri che vedo in alcune sezioni probabilmente non hanno mai fine. Molti negozianti hanno il tradizionale cappello di astracan azero, sento casualmente salutare con shalom e vedo vari carretti che trasportano zampe di maiale, sì avete letto bene, di maiale. In albergo mi diranno poi che ci sono anche cristiani. Magari quelli erano gli zamponi per Natale. L'islam in questo inizio di Iran è molto meno visibile che in Turchia. Non ho ancora sentito un solo muezzin nonostante abbia visto anche un paio di Imam aggirarsi tra la folla non interessati però alle mercanzie. Una piccola macina elettrica per il sesamo ne estrae un denso olio che viene immediatamente venduto.
Mi fermo ad osservare un forno a pozzo circolare sulle cui pareti viene attaccata la pasta distesa che in pochi secondi si cuoce.
Le molte piazzette alberate al centro dei caravanserragli sono un ottimo posto per sedersi a riposare continuando ad esplorare con lo sguardo questo mondo mai domo. Oppure si può scegliere una rilassante fumata di narghilè
e se siete degli integralisti potreste desiderarne uno a forma di Kalashnikov.
Ma queste sono solo briciole di questa intensa giornata.
L'atmosfera che si respira può rimandare solo, almeno nella mia esperienza, a quello di Istanbul comunque molto meno elegante ed interessante. Lì il luogo è intriso, in ogni sua espressione, della consapevolezza di un fascino internazionale da cui non è in grado di affrancarsi, qui c'è invece quella di una inestimabile perla che per svelarsi deve essere prima scoperta.
Se non siete mai andati ad Istanbul al Gran Bazar consiglio di farlo prima di decidere di venire a Tabriz, come in una degustazione di formaggi in cui è necessario iniziare da quello meno saporito.
Entro in un bel ristorante per una buona zuppa guarnita con chicchi di Barberry o Crespino, pianta di cui non conoscevo l'esistenza né tantomeno che fosse usata in cucina. Chiedo se posso restare un po' oltre il tempo del pasto e scrivo queste righe mentre sulla grande vetrata di fronte a me, che si affaccia su uno degli innumerevoli corridoi del Bazar, appaiono e scompaiono come dal finestrino di un treno vite, pensieri, problemi ed affari a me ignoti.
Prima dell'Hotel mi reco alla segnalata Moschea del Bazar che ha l'unica caratteristica interessante nella struttura anch'essa in mattoni di cotto. Mi siedo per un po' a leggere al caldo e nel silenzio appena macchiato dalle leggere voci di studenti che probabilmente declamano il corano e salutano con un cenno me, infedele.
Giornata persa e figlia femmina. Sarebbe nottata persa, ma mi serve così.
Vado a Maraqeh o Maragheh per cercare di vedere delle torri funerarie che la Lonely Planet cita soltanto senza dare indicazioni su come trovarle. Dovrebbero essere Zoroastriane e vado solo perché è un argomento che mi interessa particolarmente. Non le trovo. Inutile chiedere, nessuno mi sa dire nulla. Ci sono anche i resti di un importante osservatorio, ma il sito è in pessimo stato di conservazione, sembra abbandonato a se stesso e non c'è quasi nulla da vedere. Dopo aver fatto molti chilometri in una brutta zona ricca di industrie, chilometri oltretutto poco piacevoli e per niente rilassanti per via dei numerosi tir, torno indietro per Kandovan e come al solito arrivo poco dopo che il sole ha lasciato il luogo. Oggi non ci siamo proprio. Sarà che ho i nervi, sarà che sono stato in Cappadocia, ma Kandovan non mi colpisce. Per arrivarci sono salito a 2200 metri e si sente. Vado via dopo cinque minuti. Rivedendo però l'unica foto fatta, direi che vale la pena venirci se si è a Tabriz. Le formazioni rocciose scavate per farne abitazioni sono suggestive. Una visione panoramica del sito è però quasi impossibile per via di case moderne, pali, alberi, cavi, ripetitori, ed in basso negozietti turistici.
Sta facendo buio. Sono sulla grande superstrada che mi porta in centro, c'è moltissimo traffico. Faccio l'iraniano al volante, anche qualcosina peggio.
Quando sto per accendere le luci mi blocco un secondo, tutti i mezzi intorno a me hanno i fari spenti. Comincio a prestare attenzione alla cosa ed effettivamente nessuno, nemmeno i molti Tir ed autocarri, ha acceso le luci. Qualche giorno fa su una strada solitaria all'incirca alla stessa ora, dopo aver acceso le luci come d'abitudine, da una delle poche auto che mi venivano incontro mi hanno fatto dei segni veementi. Ho controllato se avessi inavvertitamente inserito gli abbaglianti e poi ho anche controllato a sera se avessi i fari alti. Nulla, ed avevo dimenticato l'episodio. Voleva certamente farmi capire di spegnere i fari.
È ormai quasi buio ed alcuni iniziano con le luci di posizione, mentre i primi fari accesi li vedo solo quando diventano indispensabili. Lo spettacolo del traffico caotico all'imbrunire senza luci è così lontano dalle mie, nostre abitudini che per la prima volta mi sento veramente estraneo a ciò che mi circonda. Incredibile, non c'erano riusciti la lingua, il cibo, il panorama, e mille altre caratteristiche certamente più significative. Non riesco nemmeno più a muovermi nel traffico come prima, come loro.
Quella che evidentemente è una norma del loro codice stradale non è del tutto sbagliata. Al crepuscolo si ha la visibilità peggiore della giornata, ed i fari accesi peggiorano effettivamente la situazione per quelli che incrociamo non essendo peraltro affato d'aiuto a noi. Succedeva lo stesso in Australia. Per avvistare meglio eventuali pericolosi attraversamenti di wallabies, non venivano accesi i fari fin quasi al buio completo.
Faccio il pieno per domani. La benzina la pago alla cifra massima cioè 30000 rial al litro, o 3000 toman che è un'altra unità di misura e qualche volta fa confondere. Parliamo di circa 30 centesimi che per me sono una manna, ma un mese fa costava 8 centesimi al litro ed ecco spiegate le veementi proteste. Un aumento del 400 per cento. Per fare rifornimento ognuno ha una tessera nella quale vengono registrati i litri di carburante acquistati perché un certo numero di litri al mese sono scontati a 15 centesimi. Per me straniero la tessera è quella del benzinaio ed il costo è quindi sempre quello massimo.
Sta facendo buio e devo tornare in Hotel per poter pagare online una prenotazione, richiesta all'agenzia, per i prossimi tre giorni. Questo problema di internet bloccato mi da sui nervi, ma oggi è giornata di nervi. Vorrei e dovrei arrivare prima della chiusura dell'agenzia in modo da avere conferma immediata. Ovviamente non accade ed anzi non riesco ad accedere ad internet nemmeno con il wifi. Poi fortunatamente la situazione si sblocca.
Comunque come dicevo, giornata persa e figlia femmina.
Mi sveglio molto presto, l'aver scritto poco e lavorato una sola foto mi ha permesso di non fare tardi come al solito. Ogni tanto ne avrò bisogno. Il traffico inizia ad impazzire verso le dieci ed i negozi non aprono prima di quest'ora. Mi dirigo verso sud come ieri, ma su una strada diversa, per la prima volta una autostrada. Nessun biglietto d'ingresso, si paga all'uscita, o almeno pagano gli iraniani. Ben quattro dei cinque casellanti con cui ho a che fare, appena vedono che sono straniero, mi fanno proseguire con un sorriso. Se non fosse per l'unico che mi ha fatto pagare penserei a qualcosa di istituzionalizzato, invece evidentemente possono farlo ed è una cortesia verso di me. Uno mi saluta anche con un Welcome in Iran. Magari lo fanno anche con quelli che conoscono…
Sull'autostrada, a differenza delle brutte zone di ieri, non solo non c'è per niente traffico, ma attraverso un territorio senza industrie e pochi centri abitati. Oggi la guida ridiventa un piacere. Resto sempre sugli altipiani che sembrano non avere mai fine, mai sotto quota 1500 metri, spesso sopra 1800. La destinazione finale è Zanjan, ma prima ho intenzione di passare per uno dei più importanti centri spirituali dello zoroastrismo. Devo uscire dall'autostrada e proseguire su una secondaria. Inizialmente non capisco come mai Maps.me mi dia un tempo di percorrenza equivalente ad una velocità media di non più di 50km/h, poi mi rendo conto. La strada si innalza bruscamente.
Supero i 2000 metri e la neve imbianca tutto tranne la striscia d'asfalto che grigia la attraversa. Senza cime vicine più alte il panorama si estende vastissimo davanti a me, non piatto, frastagliato di rilievi che l'Ammiraglia fluidamente supera uno dopo l'altro zigzagando. Si oscilla placidamente, senza strappi, tra i 2200 ed i 2400 metri di quota. Il territorio è isolatissimo, un'auto o un camioncino ogni tanto, quasi nessuna costruzione. Purtroppo devo dire che l'indicatore più affidabile del livello di isolamento è la quantità di immondizia ai lati della strada. Qui è praticamente assente. La guida però non è rilassante come vorrei e devo anche spegnere la musica per concentrarmi di più. L'asfalto non è sempre in buone condizioni interrotto in molti tratti da duri e sassosi sterrati. Quando mancano ancora 80 chilometri alla meta il tempo di percorrenza stimato è di ben 2 ore.
Alla fine di una sassosa discesa, in un piccolo avvallamento, due ragazzi sono seduti in mezzo a molti cani a poca distanza dal loro gregge di pecore dalla lana scura. Mi fermo a chiedere. Si erano anche fatti capire senza, ma con il traduttore ho la conferma che la strada più avanti è bloccata e non posso arrivare a destinazione da qui. Le poche auto che passano sono di un villaggio poco oltre. Devo invertire la rotta, ma mi sta bene così. Questa strada in quota è meravigliosa e sono anzi contento di rifarla all'indietro. Mi tirano quasi fuori dall'auto, non posso andarmene, non più. Neve e freddo, ma i momenti che passo con loro mi scaldano più del fuoco su cui giace l'antica teiera in ghisa da cui mi versano il cay. Resto in maniche di camicia. Questi due giovanissimi pastori dell'Asia, certamente in questa stagione non erranti per dover ricondurre al riparo le greggi, parlano al cellulare mi sembra di capire dell'incontro con me. Hanno un loro mondo e non riesco a capire se sono interessati ad altro, al mio. Le domande sono quelle della cordialità. Altri spesso mettono la testa dentro l'auto per vedere cosa ho con me, pensando di chi sa che tesoro, loro no. C'è in tutto ciò un groviglio di mito e di moderno.
Faccio delle riprese poggiando il cellulare sull'auto e non pensandoci più e due scatti molto veloci in pochi secondi riponendo immediatamente la macchina fotografica in auto. Vorrei essere come un viaggiatore del tempo ed impormi di non modificare nulla che possa variare il futuro di questo luogo. Vorrei che tutto scorresse dopo di me, inconsapevole di me. Per ringraziarli del thè ho loro dato delle barrette di cereali che porto dall'Italia. Le aprono e con un gesto assolutamente naturale, che non palesa dubbi, affidano al vento l'incarto che si perde nella brughiera. Ho fallito.
Vorrebbero che restassi di più, ma devo andare. Mi offrono persino il loro pasto avvolto in due fazzoletti incrociati annodati, come era uso da noi molti decenni fa.
Non è solo il dolce sapore del thè ad accompagnarmi sulla silenziosa strada del ritorno. Ridiscendo a quote non innevate e mi dirigo verso Zanjan. Non ho il tempo di fare oggi il lungo giro a cui sono costretto dall'interrotta strada tra le vette. Rientrato nell'autostrada per i primi 50 chilometri guido incredulo tra formazioni rocciose multiformi e multicolori spettacolari. Non ne ho letto da nessuna parte e la scoperta amplifica le emozioni.
Sono sull'autostrada e tuttavia riesco a passare da un lato all'altro portando l'Ammiraglia su percorsi e sottopassi per greggi. Un villaggio di case di fango che sbordanti travi di legno compattano a sostegno di un tetto, è immerso in uno scenario lunare. Farebbe svenire un tour operator, ma nulla rimanda a contatti invasivi nonostante si trovi a ridosso dell'autostrada. La vita che vedo svolgersi, ad eccezione dei mezzi di trasporto, potrebbe essere la stessa di un secolo fa.
Nonostante non abbia concluso quanto programmato, oggi mi avvio verso una nuova mutevole casa provvisoria ben sazio di conoscenza, ma non di cibo. Non esco però, devo lavorare. Mi faccio dare del pane arabo e ceno con una scatoletta di tonno ed una di lenticchie della fornita dispensa che mi porto dietro. Li metto sulle mattonelle di pane che avvolgo e comodamente addento. Se qualcuno ne sarà sorpreso è solo perché mi immagina in vacanza.
“Non sono mai stato più lontano dallo stare….” …in vacanza.
Stanotte ha piovuto, poco. C'è freddo. Cielo bianco lattiginoso. Non si è ancora scaldato l'abitacolo che forti strappi mi portano oltre i duemila metri. Panorama spettacolare, ma non regge il confronto con ieri. Le dure salite non sono addolcite da sinuose curve che aumentando i chilometri ne facilitano l'ascesa. La vetta dei ripidi alti monti è raggiunta con strade maschie, dritte, che si impennano e costringono a velocità da funerale. I numerosi tir, che fanno la spola dalle miniere, procedono a passo d'uomo se carichi, sia in salita che in discesa. Spesso sono costretto ai 40 km/h della seconda ed in un caso devo ricorrere alla prima. Mi sembra di essere su una funicolare.
Poco prima del sito archeologico si raggiunge quota 2600 dove mi apro il passaggio tra le goccianti bianche basse nuvole poggiate a protezione dalla luce solare.
Le poche sparse rovine di Takht-e Soleyman, contenute da una crollante e parziale cinta muraria, non mi emozionano come invece l'arrivare fin qui. La conquista di Takht-e Soleyman ha certamente più sapore del premio finale.
All'interno, a parte alcuni bassi edifici dell'amministrazione che potevano essere costruiti da un'altra parte, la cosa certamente più interessante è un piccolo lago, profondo più di cento metri, di acqua sulfurea tiepida che sgorga ancor oggi dal fondo. L'acqua, continuamente rinnovata dalla sorgente perenne, viene incanalata e condotta chissà dove. Lo specchio d'acqua fu certamente il motivo della scelta del luogo.
Stavo per iniziare a scrivere qualcosa sullo Zoroastrismo originario che mi interessa perché unica dottrina, insieme alla tradizione indù, a contenere un concetto del male completamente indipendente dal bene. Poi mi sono fermato perché quello che chiamavo accenno stava necessariamente richiedendo un paio di pagine e non era ancora concluso. Questi argomenti che reputo fondamentali e portanti del mio viaggio, soprattutto in riferimento alla tradizione metafisica indù li inserirò dopo il viaggio nel libro o libri, dipende dalla durata, che certamente seguiranno.
Quindi solo accenni lampo. Fu proprio per il dualismo alla pari bene-male e per il vedere nella loro lotta la fonte di tutto che Nietzsche scelse il profeta Zarathustra come voce dei suoi concetti nel “Così parlò Zarathustra” che fu una mia lettura post adolescenziale… stavo già messo male.
Nel credo zoroastriano il bene è Ahura Mazda che viene adorato semplicemente con buoni pensieri, parole ed azioni, il male è Ahreman ovvero, non ridete, lo Spirito Maleodorante. Gli zoroastriani esistono tuttora anche se alcune comunità hanno modificato l'originale dottrina in vario modo. Centri principali sono Teheran, Mumbai e Londra. In India si chiamano “Parsi”. Zoroastriano era Freddy Mercury e lo è anche Zubin Mehta.
A proposito di Spirito Maleodorante nei prossimi giorni devo cercare una lavanderia.
Tornato a Zanjan vado al Museo Archeologico, chiuso. Sono invece aperti tutti i negozi, c'è una folla di gente in giro e le auto sono parcheggiate anche in terza fila. Una situazione che qui mi attirerebbe anche, ma non riesco a trovare posto e desisto. Tornando all'Hotel individuo, non certo con i cartelli, un lavaggio auto. L'Ammiraglia, con la pioggerella e le sterrate, è diventata letteralmente marrone e dal lunotto posteriore non vedo quasi più nulla. In Australia ho pagato ben 300 dollari per togliere la rossa terra dell'outback dall'auto, record difficilmente superabile, qui stabilisco il record opposto, 1 euro.
Spirito Maleodorante deve essere per il governo iraniano YouTube, e come dargli torto? È l'unico sito a cui continuo a non avere accesso nemmeno con la VPN, o meglio accedo ma non riesco a caricare i video. Peccato perché quello di ieri mi piace. Quando ne avrò la possibilità li inserirò. WhatsApp è stato ripristinato anche sulle sim che però continuano ad essere bloccate per qualunque altra cosa. Per pubblicare devo accedere ad un wifi ed usare la VPN.
Giorno 1 – 09 Nov 2019
Mappa del viaggio
464.200 chilometraggio dell’Ammiraglia alla partenza.
Mentre mi dirigo verso nord per aggirare l'ostacolo Adriatico, piccoli gruppi di migratori mi sorvolano in direzione opposta. Lassù l'unico ostacolo può essere una pallottola di qualche idi-ota quaggiù. Io invece dovrò superare ostacoli fisici e psicologici prima di giungere ai luoghi in cui quest'anno spero di svernare. Abbassandomi dall'Appennino, San Luca mi saluta ricordandomi che è stata la causa del mio nome in una Bologna di 59 anni fa in cui mia madre penosamente soggiornava con me già presente quando ancora il veloce scorrere del conteggio dei miei anni non aveva avuto inizio.
Questa partenza tanto voluta ed inseguita, forse da una vita, mi lascia un sapore amaro in bocca. Il lentissimo distacco terrestre che chilometro dopo chilometro mi allontana da casa per un tempo imprecisato e la nebulosità, l'incertezza dei futuri mesi che nei precedenti viaggi in solitaria erano fonte di energia, oggi li sento addosso come un fardello non semplice da scaricare. Arriveranno certamente in mio soccorso il nuovo, l'imprevisto e la scoperta che però non potranno aiutare chi lascio a casa. Un semplice ringraziamento a mia moglie è ben poca cosa paragonato alla sofferenza che questo inizio di indefinita assenza sta alimentando, sommandosi a recenti dure prove che per quanto positivamente risolte non hanno ancora gioito della parola fine.
Con un pesante carico di pensieri, speranze e dubbi, dopo aver abbandonato l'Italia e raggiunto con Lubiana il punto più a Nord di tutta questa prima parte di viaggio ancora agli inizi, punto il muso dell'Ammiraglia verso sud-est. Venti chilometri circa a sud di Zagabria mi fermo per la prima notte fuori casa ed inizio a scrivere queste prime incerte righe. Aver iniziato senza premesse e senza inquadrare bene quanto mi accingo a vivere può certamente disorientare qualcuno, ma non avevo voglia di lunghe indicazioni orientative anche perché, e me ne scuso, scrivo fondamentalmente per me stesso. Qualcosa però è indispensabile, qualche informazione sommaria che forse più in là approfondirò. Spero si capisca dalle parole non casuali che userò che c'è molto di più del semplice significato delle frasi seguenti.
Già da qualche anno avevo deciso di acquistare un anno della mia vita ed appena è stato economicamente possibile l'ho fatto senza indugio. A 58 anni suonati poteva essere l'ultima chance. Un anno sabbatico da dedicare al luogo in cui sono nato e cresciuto, questo pianeta. L'Asia è una scelta dettata dalla normale impossibilità di muovermi in mesi diversi dai periodi estivi, mesi in cui almeno il Sud è quasi improponibile come meta di viaggio. A questo è da aggiungere la voglia di regalare alla mia auto, fedele ed affidabile compagna da 30 anni, l'Ammiraglia, una avventura finalmente alla sua altezza o in alternativa una fine da ricordare, degna di poche altre quattroruote. L'ottenimento di documenti per l'auto e visti per me è stato snervante, lungo e tanto distante dalle mie utopie da farmi pensare di rinunciare. Nel luogo in cui sono nato non posso muovermi liberamente, ma devo chiedere il permesso a qualcuno e cosa ancora più strana tutti sono contenti di essere rinchiusi perché si sentono al sicuro e cercano strenuamente di difendere poche briciole di illusoria ed ingannevole felicità persuasivamente imposte, difenderle da chi non ha diritto nemmeno a quelle.
Per adesso mi fermo qui.
I primi due viaggi in solitaria, che sono diventati dei libri, li potete leggere senza restrizioni accedendo dal mio sito www.gianlucatomarchiovasta.com menù BOOKS, click sulle immagini dei libri e successivamente su Anteprima.
Le nazioni che sto velocemente scorrendo adesso con l'unico scopo di arrivare velocemente ad Istanbul, porta dell'Asia del Sud, le ho già attraversate con più calma l'anno scorso, sempre con l'Ammiraglia, visitandone alcuni luoghi. Il racconto lo trovate sempre sul mio sito, menù TRAVELS, Un viaggio in solitaria 3 – Est Europa,
mentre su TRAVELS, Un viaggio in solitaria 4 – Anno sabbatico, il resoconto di questo viaggio che sarà anche su www.juzaphoto.com/topic2.php?l=it&t=3375372 . La differenza tra i due scritti potranno essere le foto ed i video pubblicati via via. In linea di massima su Juza immetterò probabilmente più foto di volatili.
Per quanto riguarda invece FaceBook inizieró la pubblicazione anche sulla pagina
www.facebook.com/unviaggioinsolitaria/ , ma dato che ritengo questa piattaforma pessima per seguire questo genere di scritti (e pessima in generale), con molta probabilità smetterò la pubblicazione degli aggiornamenti. In questo viaggio potrete anche seguirmi on the road facilmente e con precisione al link che trovate sotto l'íntestazione in cui, se presenti su Google Maps, potrete vedere con assoluta precisione tutti i luoghi visitati e quelli in cui dormirò. Gli scritti ne risulteranno così parzialmente alleggeriti.
Giorno 2 – 10 Nov 2019
Mappa del viaggio
(questo link aprirà sempre tutti i post, lo ritengo fondamentale)
Parto con molta calma sotto una pioggia battente. 6 gradi che pian piano si scaldano fino agli 11 massimi. Il sud è ancora lontano. L'amaro in bocca si attenua a seguito di incoraggiamenti giunti da varie fonti, al punto che forse è meglio puntualizzare qualcosa.
Ero molto indeciso sul fatto di iniziare a pubblicare i miei scritti in contemporanea con la partenza. Pensavo di aspettare almeno un mesetto per evitare di iniziare qualcosa che magari dovrò interrompere molto velocemente senza aver concluso granché di quanto mi propongo.
Se non prenderete in considerazione il fatto che potreste vedere andare in fumo il lavoro, il tempo ed il denaro investito prima ancora di partire, beh non ci provate nemmeno.
Ho comunque deciso di pubblicare immediatamente. Se dovrò interrompere molto presto, almeno ci avrò provato. Solo fra un paio di mesi il tutto comincerà ad avere senso, fra quattro o cinque ne sarà valsa ampiamente la pena, oltre… beh sarebbe un sogno. Al completare tutto al momento attribuisco una probabilità tra lo zero e l'uno per cento e non è scaramanzia ma freddo ragionamento.
Quindi dico piano con i complimenti, riferendomi ai commenti che mi arrivano direttamente o dal web. Tra i migratori visti anche oggi passare sulla mia testa mi ha quasi fatto commuovere un gruppetto di splendide grandi oche proiettate con il lungo collo disteso verso il richiamo ancestrale del sud. Ai lati dell'autostrada, che taglia la campagna serba, molti grandi rapaci mi hanno fatto tentare qualche scatto e ricordato le difficoltà di queste situazioni ampiamente verificate in altri viaggi soprattutto in Australia. Finché gli passi davanti a 100 km/h restano immobili, ma se rallenti scappano immediatamente.
Salto la piacevole Belgrado, visitata l'anno scorso, e mi fermo a pochi chilometri dall'autostrada in un paesino turistico sulle sponde della Grande Morava.
Inizio anche con le informazioni pratiche di vario genere per chi volesse seguire le mie orme, informazioni che dall'Iran in poi acquisteranno importanza visto che non se ne trovano per niente o quasi in riferimento a spostamenti con un mezzo proprio.
Ieri sera avevo speso 28,50 euro per una doppia con bagno, adesso ben 13 euro per una tripla. Primo pasto al ristorante che si trova esattamente sotto l'affittacamere. Zuppa di pollo molto orientale, insalata molto greca ed una porzione di pollo ai ferri e patatine che sfamerebbe una squadra di calcio. Me la faccio mettere via quasi tutta. Mi servirà domani. Costo circa 9 euro.
Giorno 3 – 11 Nov 2019
Mappa del viaggio Prima di dormire ho dovuto fare un safari non fotografico perché dalla spessa e sporca tenda della finestra ogni 15 minuti si alzava in volo una cimice. Ecco spiegati i 13 euro. Probabilmente la stanza non veniva pulita dall'estate. Bah, sciocchezze. Altra sgroppata. Al confine serbo-bulgaro si fa in fretta. Si rientra in EU. Tra le due dogane sei obbligato a percorrere a passo d'uomo uno stretto corridoio tra dei paletti che schizzano sull'auto un liquido probabilmente disinfettante. Non lo ricordavo. L'anno scorso evidentemente non mi sono accorto perché lo schizzo è piccolo e veloce, mentre ricordo perfettamente di essere stato ben innaffiato quando, uscito dalla Turchia, stavo rientrando in Bulgaria dalla parte del Mar Nero. Deve essere una fissa dei bulgari di disinfettare chi entra. Comunque è bene ricordarselo perché con i finestrini aperti lo spruzzo entrerebbe. Mi ha dato la sensazione di una benedizione e non so se devo ridere o meno di questo pensiero.
La Bulgaria è filata via tutta velocemente. Ho perso la prima ora di fuso orario, ora sono un'ora avanti. Volevo lasciare la Bulgaria oggi stesso ed entrare in Turchia, ma arrivo in zona confine quando ormai la luce del giorno sta per lasciarmi. Dovrei fare con il buio tutta la trafila alla frontiera, trovare ed attivare una sim e comprare il bollino autostradale che è un ricaricabile ed è il peggior sistema che ci sia, almeno a mio parere (Un viaggio in solitaria 3). Considerando anche che qui in Bulgaria sarà l'ultima volta che potrò utilizzare la mia sim italiana come a casa, provo a vedere i prezzi per il dormire nei pressi del confine. Trovato a 20 euro dopo aver prima prenotato e subito disdetto un'altra struttura che non mi convinceva. Superpulito, ma una cimice la trovo pure qui. In questo periodo cercano riparo dal freddo incombente e si ficcano dappertutto. La strada d'ingresso al paesetto in cui mi trovo è piena di Game House e Casinò con grandi insegne luccicanti di carte da gioco, donnine in abiti succinti e scritte in turco. C'è bisogno di spiegare? Credo sia superfluo. Il confine è a soli 16km. Il paesino si chiama Svilengrad, non ho tempo e voglia per ricercare la reale etimologia del nome Svilen, ma certo che “Città di Svilen” salta all'occhio dopo aver visto l'ambiente. Devo spegnere al volo il motore stanco e provato da centinaia di chilometri senza sosta ed accostare perché mi chiama al telefono la struttura che ho disdetto. Quando riparto l'Ammiraglia ha dei saltelli, come dei colpi di tosse. Dovrebbe essere la carburazione ed è un difetto di gioventù. Decenni fa mi accadeva di fermarmi ad un casello autostradale dopo molta strada (intendo sempre varie centinaia di chilometri) e mi si spegneva da solo il motore. Nulla, ma ogni alito di farfalla non previsto mi fa rizzare i pochi capelli in testa. Purtroppo per vari motivi soprattutto burocratici ho dovuto rimandare la partenza e sono al limite con il visto iraniano e pakistano e la cosa mi costringe a queste lunghe cavalcate senza sosta che volevo evitare all'Ammiraglia, cavalcate che non si sono ancora concluse. Ceno con il pollo di ieri portato via dal ristorante e… non riesco nuovamente a finirlo. Incredibile e non sono certo una boccuccia di rosa.
Giorno 4 – 12 Nov 2019
Mappa del viaggio
TURCHIA La nebbia mi ha accompagnato a tratti lungo Serbia e Bulgaria sfocando la campagna giallo bruna autunnale. Pensavo di esserne fuori, invece stamattina avvolge la poca strada che mi separa dal confine turco. Una decina di chilometri prima c'è già la coda ininterrotta dei tir in attesa. La corsia lasciata libera per le auto è talvolta quella destra, altre la sinistra e nella nebbia si deve andare piano perché ci si può trovare un camion fermo davanti all'improvviso nel punto in cui occorre cambiare lato. Alla dogana bulgara tutto ok, unico problema il dover arrivare proprio sotto i caselli per vedere quale è quello con il semaforo verde. La nebbia è sempre abbastanza fitta. Alla dogana turca invece ecco i primi problemi che mi aspettavo solo in Iran. L'anno scorso non era poi stato così difficile passare, oggi è un'altra storia. Dopo vari rimbalzi tra uffici che controllano tutto, anche il numero di telaio e motore, il problema si sposta sul bagaglio e me lo aspettavo come dicevo, ma non qui. Quando apro il portabagagli o gli sportelli dietro, tutto è stipato in un blocco compatto. Una manna per i doganieri. Ho anche tolto l'intero sedile posteriore per avere più spazio possibile. Metà Ammiraglia contiene suoi pezzi di ricambio compresa marmitta completa fino al collettore collegato al motore. Aperto il bagagliaio si vedono quindi svariati tubi che si intersecano a creare mille spazi in cui ho infilato veramente di tutto in un anarchico ordine dettato esclusivamente dai volumi. La percezione di un occhio estraneo mi è chiaramente spiegata dall’incerta espressione dell’addetto alla perquisizione.
Ok, mi dice di tirare fuori tutto. Dopo il mio “noooo” detto però sempre con il sorriso sulle labbra…. devo comunque tirare fuori tutto. Massacrante. Il doganiere resta interdetto quando apre una grossa bustona di juta in cui ho messo 400 capsule di caffè. Già. Ho con me una piccola macchinetta elettrica per l'espresso che porto sempre ed ovunque se mi sposto in auto. Un legame con casa. Gli spiego e ridacchio perché anche questo me l'aspettavo. Altra manna per un doganiere. Comunque sembra gradire l'effetto delle capsule sigillate sul suo braccio infilato completamente dentro a cercare chissà cosa. Mi ricorda Amelie che ama infilare la mano dentro un sacco di legumi. Alla fine però ho poco da sorridere. Dopo aver verificato che non traffico in nulla ed aver estratto dall'Ammiraglia anche tutta la fanaleria al completo che ho con me, candidamente mi dice che in Turchia non si possono importare pezzi di ricambio. Gli dico che devo andare in India e già è improbabile che ci arrivi con, figuriamoci senza ricambi. Niente da fare. Poi mi viene in mente il Carnet de Passage en Douane a cui non avevo pensato perché per la Turchia è necessario solo per particolari veicoli. Forse sono io il particolare veicolo, essendo così carico. Comunque, anche se lo rigirano tra le mani in molti perché non l'hanno evidentemente mai visto, dopo telefonate varie a non so chi e non so dove, la questione si sblocca positivamente. Mi ci vuole mezzora buona per risistemare tutto in auto e dopo, prima di andar via, mi leggo attentamente la istruzioni del Carnet che tanto dall'Iran in poi mi servirà praticamente sempre ed è meglio che cominci subito a controllare che sia compilato correttamente dai doganieri. Chiaramente non è così. Ritorno all'ufficio e gentilmente faccio capire cosa serve. Non si erano nemmeno presi il talloncino che spetta loro come documento del mio passaggio. All'uscita si possono avere problemi se tutto non è perfettamente compilato. Alla fine riparto dopo almeno un'ora e mezza.
Il Carnet si richiede all'ACI e per farlo è necessario stipulare una fideiussione che garantisca una cifra da corrispondere alla motorizzazione estera nel caso il veicolo resti in un'altra nazione. La fideiussione è da fare per una cifra basata sul valore dell'auto stabilito dalla motorizzazione e quindi per veicoli recenti può essere anche di varie decine di migliaia di euro. Per l'Ammiraglia è il minimo sindacale, 2300 euro. La banca, per la fideiussione, mi ha fatto perdere inutilmente quasi un mese sempre rimandandomi di settimana in settimana, dopo di che li ho mandati a quel paese e mi sono rivolto online ad una assicurazione pagando però ben 300 euro. Poi calcolate un mese per avere il Carnet dall'Aci che in ogni caso può dare tutte le informazioni dettagliate.
Bene, sono fuori… no! C'è subito un posto di blocco della stradale con assistenza dell'esercito con barriere antiproiettile. Questi qui hanno un fronte tuttora aperto con chi prima faceva comodo ed adesso è stato mollato. Non continuo a parlarne… per ora. Mi registrano la targa ed il nome che mi fanno pronunciare davanti ad un tablet e credo, ma non sono sicuro, che abbiano registrato la mia voce.
Prima piazzola con ristorante pochi metri dopo. Ricordatevi di evitarla. Cerco la cara sim della Turkcell e mi sparano 140 euro. Mi metto a ridere. Poi, dopo confabulazione, chiedono 40 euro equivalenti a 250 lire turche e poi… me ne vado. Al primo e quasi adiacente rifornimento faccio il pieno e qui cominciamo a ragionare. Meno di un euro al litro. Alla successiva piazzola con ristorante e senza distributore, dove consiglio vivamente di fermarsi, la sim viene 200 lire turche, 33 euro, cara comunque ma adesso ci siamo (13Gb e 500minuti). Accanto c'è anche l'ufficio dove prendere la vignette autostradale ricaricabile valida anche per i ponti sul bosforo ed il tunnel. Altri 34 euro, ma mi assicura che ha un credito che mi basta per arrivare in Iran.
Vengo fuori da tutto tardissimo, addio speranze di fare molta strada. Ho anche perso un'altra ora di fuso orario. Il sole ora mi raggiungerà e lascerà due ore prima rispetto a casa.
Dopo 250 chilometri sono ad Istanbul e l'effetto è quello dell'anno scorso. A decine e decine di chilometri dal centro si ha la sensazione di entrare in qualcosa di gigantesco. Altre megalopoli sono completamente diverse. Los Angeles per esempio, su cui voli per più di mezzora prima di atterrare tanto è estesa, ma da terra non ti rendi conto che è gigantesca perché le abitazioni al di fuori del centro affari sono basse. Qui invece ci sono centinaia di megastrutture al cui confronto il serpentone di Roma è una piccola villetta. Il tutto è comunque nuovo, pulito, organizzato, o almeno è questo che restituisce all'occhio del viandante. Le mega arterie in cui guido arrivano ad avere anche 5 corsie per lato e nonostante ciò è tutto intasato. Code interminabili, una quantità di tir impressionante, ma c'è ordine, solo che spesso si va a passo d'uomo. Per almeno 50 chilometri lo spettacolo non cambia. Non mi fermo. Ho solo voglia di scappare via e non posso perdere giorni anche se in una delle poche città che mi piacciono parecchio. In questa bolgia organizzata attraverso il Bosforo ed entro in Asia. Primo piccolo step del mio viaggio. Da adesso in poi per me è tutto oscuro. Continuo per allontanarmi dalla città, ma dopo un'ora e più sono sempre dentro un gran traffico ed attraverso giganteschi conglomerati urbani satelliti di Istanbul. Non riesco a lasciarmi andare godendo di essere finalmente in Asia. Sono sull'autostrada Istanbul Ankara. I tir riempiono due corsie e sulla terza spesso sorpassano. Le auto sono come moscerini in balia del vento.
Ormai è buio da un po'. Devo fermarmi, anche se non sono riuscito a scrollarmi di dosso Istanbul, e cercare dove dormire. Altra sorpresa. Booking è bloccato. Rapida ricerca, qualcuno dice sì, qualcuno no. Io dico sì. Pare ci siano contenziosi con lo stato turco. Passo a Hotels.com e prenoto, sono stanchissimo. Oltretutto la VPN che ho proprio per superare eventuali filtri di blocco alla rete, blocca tutto anche internet. Ho mandato una richiesta di aiuto, vedremo che mi rispondono. Qui passi, ma in Iran dove il controllo statale sul web pare serio, mi servirebbe proprio. Se non lo sapete, una VPN è un servizio a pagamento che crea una specie di tunnel inaccessibile sul web per farvi collegare ad un insieme di server sparsi per il mondo. Se mi collego al server italiano sembrerà che stia in Italia. Ovviamente ci sono problemi perché, a parte i governi che cercano di ostacolare questa pratica all'interno delle loro nazioni per evitare l'aggiramento dei blocchi, anche grosse compagnie non gradiscono l'impossibilità di tracciarti sempre ed ovunque. Benvenuti nel mondo “libero”.
Ma la giornata non è ancora finita. Con la fedele ed insostituibile Maps.me arrivo senza problemi all'hotel prenotato in un dedalo di strade e sempre nel traffico. Sono ad Izmit, ma non c'è stata alcuna soluzione di continuità da Istanbul. Sono le 19:00. La stanza non è pronta, devono pulirla. Ho la sensazione che la stanza non sia proprio disponibile. Quando scopro che è al quarto piano senza ascensore dico di no. Già stamattina, per scendere da una poco intelligente scala con curve e gradini alti con la mia pesante valigia, ho preso una storta che ancora mi duole e la caviglia è un po' gonfia. Spero non peggiori. Comunque il ragazzo alla reception non era convinto di darmi la stanza, penso fosse la sua ed aveva messo le mani avanti dicendomi che era di un livello peggiore di quella prenotata. Problemi? No! Siamo in Turchia. Fa una telefonata veloce. Mi viene a prendere in auto uno di un altro Hotel. Due euro in più, ma accetto perché la stanza è enorme e con una doccia da re. 20 euro. Chiedo informazioni sulla migliore strada per l'Iran. Non l'avessi mai fatto. Sono in quattro e si scatena la bagarre. Si formano due fazioni che discutono animatamente. Con ben due traduttori, mappe online e cartacee, propongono due percorsi diversi, ma sbagliati entrambi. Mi porterebbero presso un posto di frontiera che non posso attraversare. Lo faccio presente ed alla fine mi indicano la strada che già pensavo di fare. Però è stato divertente.
In stanza, ottima, scopro che con il wifi dell'Hotel non ho Booking bloccato, quindi deve essere la sim Turkcell. Per evitare contrattempi cambio modalità di procedere e prenoto già per la prossima notte. In Iran dovrò probabilmente fare sempre così anche per i controlli di polizia, ma è una situazione che verificherò sul posto.
Giorno 5 – 13 Nov 2019
Mappa del viaggio
Sveglia con il buio e partenza con un filo di luce. Voglio proprio allontanarmi dal traffico. Solo a 150 chilometri da Istanbul non si sente più il fiato sul collo delle sue 15 milioni di anime. Altri 100 chilometri e lascio l'autostrada. Il panorama cambia radicalmente. Gli alberi sono decisamente pochi. Si sale. Per qualche centinaio di chilometri si viaggia su un altipiano e la strada tocca anche i 1200 metri. Le bottiglie d'acqua scricchiolano sotto la spinta dell'aria interna che si espande. Il panorama si apre. Mi sento bene. La guida riprende ad essere un piacere. Anche l'Ammiraglia fila via che è una bellezza nonostante ci siano da affrontare salite ripidissime e discese a capofitto. Nel traffico e nel caldo soffriamo entrambi. La Turchia rurale scorre con le sue contraddizioni tra una forte componente religiosa e la ricerca di rapida modernizzazione.
Mi fermo su strada per mangiare quanto avanzato da ieri e prendo dal contenitore di juta qualche capsula di caffè perché ne porto in camera poche alla volta e le ho finite. Sono sigillate e… si sono gonfiate. È ovvio, ma non ci avevo pensato prima. Lo stesso effetto dell'aria interna alle bottiglie d'acqua. Penso che se salgo a 2000 metri ed oltre, e succederà, potrebbero scoppiare tutte insieme come dei popcorn, sarebbe un bel disastro. Le bottiglie le posso aprire ed eliminare il problema, ma queste no.
A poco dalla meta di oggi mi fermo ad una delle decine di bancarelle sulla strada che vendono soprattutto grosse cipolle bianche in grossi sacchi ed attirano clienti con il fumo che fuoriesce dal tubo di sfiato di quelli che sembrano dei samovar. Servono per l'acqua del chai o çay (thè). Io mi fermo per berne un bicchiere. Dato che serve solo per attirare i compratori dei prodotti, il thè non viene venduto. Nemmeno a me che non compro nulla. Il proprietario è un kurdo e lo dice con orgoglio, specificando che un'ampia zona intorno è abitata da kurdi. Fa anche un accenno agli americani, ma si trattiene dal continuare. Io non lo stimolo, ma gli faccio capire come la penso. Arrivano da scuola i figli, tre ed il più piccolo mi si mette in posa per una foto, ma gli dico che non sono lì per quello. Per ringraziare del thè lascio al bambino un piccolo peluche che ho con me. Il padre mi regala a sua volta un grosso frutto tra quelli in vendita e mi dice che lo posso mangiare anche senza sbucciarlo. Non ricordo più il nome in kurdo.
Sto molto lentamente entrando in clima viaggio anche se il vero inizio sarà al prossimo confine. La Turchia è un lusso che non posso permettermi. Il visto iraniano scade il 12 dicembre. Volevo e potevo starci un mese e quindi adesso ogni giorno qui è uno tolto all'Iran.
Arrivo alla mia meta, Amasya. È piuttosto grande e vivace con strade che ricordano Istanbul con un po' meno di vitalità. Ma la zona antica ottomana è strabiliante, dominata dalle Tombe dei Re del Ponto, che sono venuto a vedere, scavate nella parete a strapiombo che si innalza a ridosso delle case. Proprio qui ho prenotato, in uno dei tantissimi hotel ricavati da case ottomane restaurate. Camera 20 euro. Ha grandi finestre sul fiume che passa accanto. I muezzin chiamano alla preghiera. Decido in un secondo che resterò due notti, e pazienza che sarà uno in meno in Iran.
Borgo iperturistico e stradina piena di negozi, ma è fantastica perché…. non ci sono turisti. Mi fanno parcheggiare proprio all'ingresso della salita per le Tombe. Fantascienza in altra stagione.
Mi rilasso ed inizio ad organizzarmi per la documentazione. Le Tombe le visiterò domani.
Esco a fare una passeggiata. Poco prima del buio, mentre piacevolmente costeggio il fiume Yeşilırmak (Fiume verde), la parete di roccia a strapiombo e le Tombe dei Re si illuminano improvvisamente. Non me lo aspettavo e resto per un bel po’ a bocca aperta. La cittadina, il fiume e le Tombe compongono una ipnotica scenografia difficilmente eguagliabile al cui centro spicca la proiezione della orgogliosa mezzaluna turca in campo rosso.
Poco dopo, nella quiete del fuori stagione, i muezzin inseriscono in questo fiabesco scenario la loro melodica vocale colonna sonora e lo spettacolo diviene unico.
Giorno 6 – 14 Nov 2019
Mappa del viaggio
Ho lavorato parecchio perché l'impostazione del lavoro con foto e video mi prende un sacco di tempo. Più avanti sarà più facile, spero. Al di fuori dei viaggi fotografo poco e nessun video.
Visto che sono in auto ho un po' di tutto, tranne per la macro che non è un mio interesse e posso fare qualcosa di decente (per me) con quello che ho. Via via ed a secondo dell'utilizzo vedrete gli obiettivi che ho dietro dalle info sulle foto. Per quelli sigma art ho la doc station, ma se dovrò usarla spesso li lascio perdere, non posso stare appresso in continuazione al fuoco. Ottimo Dell XPS 13”, ma non ho tempo nemmeno per stare appresso alle elaborazioni, quindi… quello che viene viene. I video. Quello di ieri era la cosa più veloce che posso mettere in campo. Cellulare e qualche taglio e transizione al volo con l'ottimo Rush di Adobe che sto imparando ad utilizzare. Ho anche una Gopro3+. Sugli aggiornamenti aspettatevi buchi perché non credo proprio di riuscire a farli sempre giornalmente. In caso di forfait ed abbandono per qualunque motivo ed in qualunque momento informerò in qualche modo se la causa dell'abbandono me ne darà la possibilità. Magari chissà, qualcuno seguirà e continuerà da dove mollo. Da che mondo è mondo ha sempre funzionato così. Spero di mostrargli comunque una luuunga strada da ripercorrere. Magari sarà qualcuno che mi sta leggendo.
Veniamo ad Amasya. Sono stato alle tombe che si trovano praticamente sulla mia stanza ed a due musei. Girare per la cittadina non mi attira anche se può essere piacevole per molti. Le Tombe risalgono anche al 400 avanti cristo, pensavo leggermente più recenti. Info dettagliate oggi come oggi sono inutili, basta avere una connessione e leggere. Se poi si ha un interesse particolare verso qualcosa, l'approfondimento non posso essere di certo io a darlo, anche se il discorso cambierà se, chissà, dovessi farcela ad arrivare in India. Ho sviluppato interesse recentemente ed a causa di questo viaggio, verso la tradizione indù. Ma è ancora troppo, troppo, troppo presto e poco, poco, pochissimo probabile. Data al 50% la giocherei al volo.
Quindi, lasciando i sogni nel cassetto, descriverò sempre ovviamente dove sono per delineare il quadro, ma opinioni, sensazioni ed eventuali consigli avranno la priorità.
La salita alle tombe ha gradini molto alti, e molte assi di legno sono rotte. Anche nei siti turistici questo è il tempo dei lavori di restauro aspettando l'alta stagione. Certo che in estate la salita sarebbe sfiancante. Direi che non ne vale la pena. Quello che si vede da vicino è quasi lo stesso di ciò che si vede da sotto e senza la visione panoramica il sito perde parecchio fascino. Le camere mortuarie sono scavate nella roccia ed hanno anche un passaggio ad U dietro, accessibile solo in una, ma aldilà delle varie ipotesi sul loro utilizzo non c'è nulla di nulla, solo un alto cunicolo molto scivoloso perché la roccia è levigata dalle migliaia di turisti che certamente entrano a costatare che non c'è nulla. L'effetto e la visione dal fiume, soprattutto la sera quando tutto viene illuminato, vanno perciò benissimo a mio parere. Sempre vicino al mio hotel, in una delle case ottomane, c'è un piccolo museo in cui sono ricostruiti gli ambienti ed hanno sistemato dei manichini con abbigliamento dell'epoca. Al primo non ero preparato e mi fa venire un colpo. Ampiamente saltabile. Il museo serio si trova invece aldilà del fiume nella parte nuova, ma poco distante. Molti oggetti dell'epoca romana e bizantina, pochi quelli interessanti, sono sistemati in modo ordinato, ma il pezzo forte sono delle mummie o sarebbe meglio dire corpi mummificati del quattordicesimo secolo che forse possono incuriosire anche perché è stato possibile risalire ai personaggi a cui appartengono.
Riassumendo, lo spettacolo di ieri sera con quartiere e tombe illuminate vale certamente la visita, ma il resto è superfluo. Fermo in stanza a riposare e ad organizzare per l'inizio vero del viaggio valutando varie ipotesi, la mente mi si affolla di pensieri. Dubbi di duemila tipi, ma soprattutto la paura che lo stare quasi sempre in luoghi abitati, se non densamente abitati, mi faccia prima o poi venire nausea. Il mio habitat naturale è la natura senza contaminazioni umane ed è soprattutto questo il mio principale stimolo al viaggiare. Non stupitevi quindi se potrà succedermi di rinunciare a qualcosa di fortemente turistico e come si dice “da vedere assolutamente” proprio per essere al limite della sopportazione e preferire altro. Inoltre è proprio in mezzo alla folla che ci si può sentire soli. Veramente da soli si avverte molto meno o per nulla. Pensieri, pensieri, pensieri. Domani riprendo la cavalcata, è meglio. Sono uscito un po' prima di cena per cercare di trovare una ciambellina croccante che ad Istanbul mi aveva fatto impazzire. Halka Tatli (Un viaggio in solitaria 3). La trovo, ne prenderei 10, ma mi fermo a due o rischio le coliche. Ne mangio una immediatamente. Ad Istanbul per strada appena fatte erano migliori, ma è una delizia lo stesso. Crosta dura, cuore tenero imbevuta di acqua e zucchero. Assolutamente da provare. Dopo cena buone e mediamente buone notizie dall'Iran. Una delle buone è che avrò comunque 30 giorni disponibili a partire dalla data d'ingresso perché la data di fine visto si riferisce all'ingresso e questo mi fa cambiare programma. Resterò in Armenia, qui in Turchia, altri 5 giorni per visitare quello che mi ero segnato, ma pensavo di non poter fare. Domani sarà quindi l'ultima vera tappa di trasferimento prima dell'inizio ufficiale del viaggio che a questo punto sarà qui in Turchia. Così, e non scherzo per niente, darò modo all'Ammiraglia di potermi comunicare se se la sente di infilarsi con me in questo buco nero. Esagero…?, lo spero! Comunque da dopodomani si comincia sul serio. Ma, una cosa alla volta. Pensiamo a domani.
Giorno 7 – 15 Nov 2019
Mappa del viaggio
Quando mi rimetto in marcia i venditori di souvenir stanno ancora sistemando le bancarelle su strada. Il paesaggio dopo poco si trasforma. Ero tra colline di roccia affiorante parzialmente coperte da alberi imbruniti dall'autunno e pian piano gli alberi scompaiono restando confinati solo ad avvallamenti e letti di fiumi. Forti salite e poche discese. Sole accecante, nessuna nuvola, ma c'è freddo al punto che devo accendere il riscaldamento. A cadenza regolare una pattuglia della stradale si scorge in lontananza, ma quasi sempre avvicinandosi si scopre che è solo un pannello di legno. L'illusione ottica funziona perfettamente. Da notare che ho scritto quasi sempre, perché a volte è una pattuglia vera, quindi occorre stare attenti ai limiti. Non è un mio problema. In lontananza, su alte vette, vedo per la prima volta la neve.
Si è scortati ai fianchi da basse colline brulle che prima si innalzano subito a ridosso della strada, poi pian piano si allargano facendo apparire immense distese. Su una di queste, in ombra, delle strisce di neve a poche decine di metri da me mi fanno trasalire. Ma a che altezza sono? Verifico immediatamente. 1600 metri. Caspita. Gli altipiani. Per i seguenti 300 chilometri, fino all'arrivo, rarissimamente scenderò al di sotto dei mille e cinquecento metri, arrivando a toccare i 2200. Si possono non vedere costruzioni per vari chilometri, silenzio, traffico inesistente. A volte delle piccole chiazze d'acqua mi fanno fermare per l'avifauna, ma questi non sono certo luoghi in cui svernare. Solo folaghe e poco altro. Il panorama è ormai quello della frontiera, nel senso di limite ultimo, di confine del mondo, di disabitato. Il mio ambiente. Spengo anche la musica per assaporare appieno il piacere della guida, l'Ammiraglia canta serena con voce invecchiata, ma intonata. La nostra piccola ed ingolfata Europa quasi ignora tutto ciò, Europa di cui qui ancora si sente il profumo. Sono tre anni dall'Australia e le sensazioni intense che non riesco ad arginare mi svelano il mio stato di astinenza malamente celato dalla quotidianità.
Ho fame. Vedo una Lokanta. Un paio di autobus a lunga percorrenza hanno sbarcato i pochi viaggiatori. Uno stanzone pieno di tavoli dove mangiare ed un banco di cibo caldo. Sono tutti gentilissimi e quasi mi scortano spiegandomi le pietanze e servendomi le mie scelte. Anche uno yogurt squisito che mi consigliano di mischiare con del riso. Un ragazzo sui 18-20 anni è l'unico a parlare inglese, ma interviene solo con qualche parola, timoroso di sopravanzare il fiume di parole in turco degli altri. Mi siedo ad un tavolo alla vetrata. Davanti a me le poche mercanzie allineate in scaffali di legno che odorano di altri tempi, sull'ultimo in alto dei grandi peluche chiusi nel cellophane guardano ed aspettano tristemente chissà da quanto tempo che qualcuno doni loro una casa, un letto, un bimbo. A fianco, fuori dalla vetrata, la mia cavalcatura si riposa e quasi mi sorride. Sullo sfondo l'Armenia. Distolgo lo sguardo dall'Ammiraglia per mangiare e quando riguardo fuori un uomo armato di una scopa con attaccato un tubo dell'acqua la sta pulendo. Non solo i vetri, ma anche tutta la carrozzeria. Un car wash non richiesto, certamente usuale. La scopa la libera dalla polvere e le regala delle delicate grattatine. Immagino stia facendo le fusa.
Ai bagni un omino chiede 1 lira. Non sono per schizzinosi e forse nemmeno per gente normale, ma ho visto di molto peggio. Fortunatamente c'è un box con tazza occidentale, alle turche ormai dominanti non mi abituerò mai.
Varie giovani robuste donnine si aggirano nel parcheggio cercando viaggiatori da allietare, anche questo è frontiera.
Dopo aver fatto felice chi aveva fatto felice l'Ammiraglia vado via, ma dimentico di fare una foto all'esterno. Torno indietro e provvedo dall'altra corsia.
Il ragazzo di prima, che mi aveva salutato mentre ripartivo, mi vede di nuovo e corre da me attraversando la strada saltando l’aiuola in mezzo. Mi chiede se sono un viaggiatore. Francamente non so che rispondere, le etichette non mi sono mai piaciute anche perché sono limitanti, ma sarebbe troppo complesso da spiegare e quindi gli dico di sì. Faccio foto? Sì. Sono su Instagram? No. Dove vado? India, se ci arrivo. Gli spiego che, anche se non su Instagram, scrivo su internet e vuole assolutamente il link anche se gli dico che scrivo in Italiano. Ma, a parte tutto ciò, è il suo profondo sguardo che mi colpisce. Non c'è ammirazione, non c'è invidia, non sta guardando me. Nei suoi occhi c'è il riflesso dei suoi sogni, delle speranze in qualcosa di cui io sono solo la casuale conferma. Ecco, quegli occhi ed il luogo mi fanno capire che lì in quel punto sta iniziando il mio viaggio, con quello sguardo. Forse leggerà queste righe con il traduttore e quindi lo saluto e gli auguro di avere la forza di provare a realizzare tutto ciò che sogna.
Costeggio l'ampio letto di un fiume che attraversa le pianure e le larghe gole di questo altipiano. Cerco il nome. Eufrate. Di fianco a me scorre la storia.
Dopo una cinquantina forse più di chilometri, l'Eufrate soffre costretto all'interno di un ampio bacino idrico. La Turchia ha il vantaggio dell'inizio del suo scorrere.
Faccio una lunga deviazione per provare l'auto anche su strade all'interno che, a parte una sterrata molto pietrosa fatta per tagliare, restano buone ed asfaltate anche se tra i monti e di collegamento tra piccolissimi agglomerati di 4 o 5 fattorie. Maps.me non mi fa sbagliare neanche un bivio. Si fa buio. Mi fermo per una foto. Il contadino della casa vicina mi viene incontro. Un piccolo uomo, nel senso della statura, con un viso e degli occhi sorprendenti. Quando gli stringo la mano la sento enorme, dura, una mano che racconta una vita.
Ho però esagerato con la deviazione e gli ultimi 100 chilometri li faccio con il buio che non è affatto un problema, ma si fa tardi e domattina vorrei comunque ripartire molto presto. Inoltre devo di nuovo andare piano a causa di altre forti salite. Erzurum si scorge ad almeno una ventina di chilometri e già dalle luci si capisce che si tratta di una vera città. Due strutture molto grandi sono completamente illuminate e dominano tutto il resto, sono due scivoli per il salto con gli sci. Siamo a quasi 1900 metri e si sente. Città moderna ed agghindata piacevolmente probabilmente in attesa della stagione sciistica. Le previsioni per adesso mi danno sempre cieli tersi e temperature però che la notte scenderanno abbondantemente sotto lo zero. L'Ammiraglia ha il primo problema, non funziona il clacson.
Giorno 8 – 16 Nov 2019
Mappa del viaggio
Ho già fatto un paio di rabbocchi di olio, normalissimo per un motore anziano ed anche comodo perché non devi mai fare il cambio olio. Per la prima volta anche l'acqua del raffreddamento si è abbassata, con le salite impegnative che sto facendo è ovvio. È una cosa positiva perché così rabbocco con l'antigelo che ho con me. Il cavo della tromba del clacson è irrigidito dal freddo, lo smuovo un po' e lo piego varie volte per farlo sgranchire. Rifunziona.
La strada mi costringe a fermarmi varie volte per delle belle formazioni rocciose. Si scende inizialmente e poi si risale passando per una insolita zona alberata di conifere. Sembra un po' il trentino. Risuperati i 2000 metri si ridiscende fino ai quasi 1800 della steppa sterminata in cui è collocata Kars. Arrivando faccio una prova di utilizzo GoPro, devo riprenderci la mano.
Spruzzi di neve sono presenti sui rilievi circostanti. Certamente non puo' essere neve dell'altra stagione e quindi vuol dire che qui ha già nevicato. Le previsioni però si mantengono incoraggianti. Intendiamoci, adoro la neve ed anche guidarci sopra, ma il livello di difficoltà qui mi è sconosciuto. Sono zone in cui la neve può bloccare tutto, quindi dovrebbero anche essere attrezzati. Dispersi nel giallo dominante ed immobile, villaggi e grosse mandrie sono affascinanti.
Kars è piccola e caotica. Il clacson serve… per i pedoni. Giorni fa avevo criticato guidatori che per passare intimorivano i pedoni con colpi decisi di clacson, ma qui devo farlo anch'io, si fiondano in strada ovunque, anche ai semafori quando io ho verde e loro rosso. Una moto della polisi passa tranquillamente con il rosso. Paese che vai… Alla periferia ed anche in centro dei casermoni effettivamente hanno un'aria russa retaggio di passate dominazioni, ma francamente se non l'avessi letto non l'avrei notato.
Dopo aver posato la valigia in hotel mi dirigo verso la mia meta principale. La città di Ani un migliaio abbondante di anni fa ha ospitato fino a 100.000 persone. Ci sono una decina di strutture evidenti anche se parzialmente crollate. Lo spettacolo è però scenograficamente rilevante. Il silenzio è immediatamente percepibile, in questa stagione senza turisti. La cima degli edifici, sparsi ed isolati su un'area molto ampia, affiora dalle leggere sopraelevazioni del terreno create da ambienti non ancora esplorati.
Al limitare della città un profondo e sinuoso canyon fa giungere il suono delle acque sottostanti.
Ciò che dona fascino a questo luogo umano è quindi, come spesso accade, la natura in cui è inserito. È ormai quasi buio e non ho potuto fare buone foto in buona luce, ma tornerò domani. Nel muro in alto sulla porta d'ingresso che attraversa le cadenti mura, una svastica ricorda della capacità dell'uomo di dare ai simboli, e non solo a quelli, il significato che più loro aggrada a secondo dei propri mutevoli pruriti elevati a dogmi quasi sempre con l'intento di sottomettere.
Giorno 9 – 17 Nov 2019
Mappa del viaggio
A poca distanza dall'hotel mi reco, già in auto, ad un antico ponte proprio sotto il Castello di Kars ed accanto ad una moschea costruita con lo stesso materiale. Una scura roccia lavica a me familiare essendo nato alle pendici dell'Etna. I miei spessi pantaloni australiani si gelano indurendosi. Non c'è nessuno e mi metto in auto un paio di jeans foderati di pile che stavo per lasciare a casa. Chi mi conosce resterà certamente stupito e capirà che fa veramente freddo.
Avevo scritto che i limiti di velocità non erano un mio problema. Poco dopo aver preso l'Ammiraglia, ancora in città, mi ferma una pattuglia della stradale. Controllano tutto dei documenti con telefonate a qualche ufficio centrale. Varie domande e varie richieste di spiegazioni per decifrare il datato libretto di circolazione. Il poliziotto è un gentilissimo giovanotto che si sforza di farmi capire. Il controllo è veloce anche perché sia io che lui usiamo i traduttori dei nostri cellulari. Finito il controllo mi contesta 57km/h con un limite di 50. Per farla breve finisce fortunatamente in un nulla di fatto, come dicevo è veramente gentilissimo. Per finire mi chiede dove sto andando e mi lascia proseguire. L'episodio mi da l'occasione di sottolineare come in giro, in queste ottime e larghe strade solitarie che invitano a correre, spesso si incontrano pattuglie dotate di rilevatori di velocità ed è impossibile vederle prima di essere a tiro dei radar. Ieri ne ho vista una che monitorava il traffico e probabilmente controllava anche la velocità dei mezzi, con due droni.
La strada che percorro verso nord mi fa riandare ai 2200 metri che dovrebbe essere la quota massima su strada di questo immenso altopiano che mediamente si trova ai 1800 metri. Direzione Cildir Lake.
In un villaggio una partita di calcio fra ragazzi si svolge in un luogo che… non trovo le parole, forse non esistono. Giudicate voi.
Purtroppo riesco a fare solo due scatti perché il mio arrivo ha l'effetto di un palese rigore negato dall'arbitro alla squadra di casa. Partita sospesa a tempo indeterminato. Avrei voluto avere con me il mantello dell'invisibilità. La foto la dedico a Gabriele Salvatores e, nel mio piccolo, “A tutti quelli che stanno scappando”.
Breve sosta al Castello del Diavolo che, arroccato su una roccia a strapiombo su una ennesima alta gola, ricorda molti luoghi italici. Per arrivarci una sterrata breve. In fondo non c'è parcheggio e nemmeno spazio per girare. Trovo 2 auto e ne arriveranno altre due. L'ammiraglia è sufficientemente alta da terra per consentirmi manovre impossibili alle altre auto. I turchi approvano.
Il giro intorno al lago, che non mi aspettavo così grande, è un piacere per la guida e per gli occhi. Tranne il villaggio di Cildir non ci sono infrastrutture o costruzioni. Accendo la musica e mi diverto su questa lunga strada sinuosa ed ondulata senza curve cieche. Unico neo, ho il sole il faccia.
Il sole! Devo fare in fretta perché si sta abbassando velocemente e devo tornare ad Ani. Per la foto che volevo fare arrivo con 10 minuti di ritardo, non di più. Il rudere in basso dentro il canyon è già irrimediabilmente in ombra. Peccato.
Ieri non mi ero spinto verso la parte sud del sito. Il canyon da questo lato ha decine e decine di grotte sulle pareti. Veramente scenografico. Ani è imperdibile.
Sulla strada del ritorno anche stasera i lampioni esaltano una nebbia sottile e bassa. Quando la si attraversa però, un odore acre racconta di poveri inverni vanamente addolciti da magre stufe sfamate non certo con appetitoso legno. I fumi si alzano dai tetti di tutti i piccoli nuclei che si incontrano e soffocano l'aria altrimenti leggera della notte.
A sera, in un locale popolare vicino l'hotel, provo il lahmacun turco. Una sottile focaccina con carne e verdure. Non vedo pizzerie, cosa rara in qualunque parte del mondo ormai, probabilmente proprio perché hanno il lahmacun.
Giorno 10 – 18 Nov 2019
Mappa del viaggio
L'acqua in macchina stamattina la trovo gelata. Il cambio è duro perchè anche l'olio si è addensato. Tutto normale e consueto. Lascio Kars con calma e mi avvio verso sud. La strada per Kagizman è la più isolata ed anche la più piccola percorsa su questo altipiano, con solo due corsie una per ogni verso di marcia. Se ne vedono a tratti vari chilometri che si snodano nella steppa, traffico inesistente. La terza volpe vista ad oggi attraversa la strada di corsa e si allontana prima di poter pensare di fotografarla. Allo scoperto la vedo andare verso un villaggio non lontano, solitaria interruzione dell'uniformità del paesaggio. Dietro, a decine di chilometri, una catena di vette innevate sfocate dalla forte luce solare. Mi fermo perché penso che abbandonerò prima o poi questo desertico paradiso ereticamente profanato da parecchia sporcizia sparsa ai lati della strada. Ogni tanto la si vede accumulata in zone delimitate che poi ciclicamente verranno ricoperte da uno strato di terra, prassi comune a parecchie aree desertiche del mondo. Mi fermo perché mi viene voglia di scrivere qui e perché devo integrare quanto scritto e pubblicato ieri con ciò che potrebbe cadere nell'oblio. Mi fermo perché mi passa accanto, in questo nulla che è tutto, un autoblindo che vuole ricondurmi al tutto che è nulla. Resto fermo a scrivere per almeno un'ora cercando parole nel vuoto che mi circonda.
Una telefonata pubblicitaria dall'Italia mi cancella brutalmente e definitivamente questo momento.
Lasciato l'altipiano di Kars si scende fino ai 1000m, ma quasi subito si risale con una panoramica strada in parte rifatta ed in parte ancora sterrata che porta velocemente a 2400 metri. Scendo per far riposare l'Ammiraglia e godere della vista dell'altopiano appena lasciato a nord. Subito dopo il passo, dall'altra parte, verso est un enorme massiccio in lontananza domina tutto. Dalla mappa capisco che sto guardando gli oltre 5000 metri del Monte Ararat. Si ridiscende, ma non sono mai al di sotto dei 1600 metri. L'asfalto è un grossolano bitume adatto a gelo e neve. Molti dei posti di blocco, che spesso si trovano all'inizio dei centri più grandi, adesso sono gestiti dall'esercito. Mitra imbracciati ed a volte un mezzo blindato. I controlli sono frequenti. Fortunatamente incrocio anche piacevoli formazioni militarmente inquadrate.
Mentre mi avvicino al Lago di Van sono sempre più accecato dal sole ormai basso che si riflette su questa immensa distesa d'acqua salata. Con l'ultima luce del giorno riesco ancora a vedere le creste bianche di neve dei monti che lo circondano. Vengo nuovamente fermato dalla polizia, ma stavolta mi lasciano andare immediatamente appena vedono che sono straniero. Non mi chiedono nemmeno il passaporto. Un veloce giro perlustrativo ad Ahlat per capire cosa vedere domani e sono nel caos di Tatvan. C'è persino un grande Carrefour.
Giorno 11 – 19 Nov 2019
Mappa del viaggio
Con la luce del giorno Tatvan appare diversa, gradevole. Il colpo d'occhio sul Lago di Van non lascia indifferenti. Devo visitare un paio di luoghi.
Noto, accanto alla strada, un piccolo cimitero con delle tombe chiuse tra ringhiere di metallo che le fanno sembrare delle culle. Sarebbe solo curioso se non fosse che immediatamente mi rimandano a qualcosa di lontanissimo, agli altipiani del Cile dove, nel primo viaggio in solitaria, incontrai tombe della stessa fattura, ma prevalentemente in legno. Lì risalivano alla fine dell'ottocento, qui il cimitero è ancora utilizzato. (Foto presente anche su juza)
La Altinsac Kilisesi (chiesa) si raggiunge dopo un centinaio di chilometri verso est sempre sulla costa sud. Sulla cartina sembra di non essersi mossi tanto il lago è grande. Si prende una sterrata bloccata da due militari, francamente non saprei dire perché. Controllano chi sono e mi fanno passare. La costa della piccola penisola in cui mi sto incuneando è meravigliosa, degna della migliore isola greca. Il colore delle acque ricorda quello dei bacini originati dallo scioglimento di ghiacciai. Arrivo al villaggio di Altinsac e chiedo della strada per la Kilisesi.
Mi inerpico con l'Ammiraglia fino a mezza costa della collinetta in cima alla quale ci sono i ruderi che cerco. Per andare oltre ci vorrebbero le ridotte.
L'ultimo strappo, anche a piedi, è impegnativo ma breve. Quello che è strabiliante non è tanto la chiesa quanto il luogo totalmente isolato ed il panorama sul lago e sui monti innevati intorno. Il clima è magnifico.
Altra tappa, forse la più famosa. La Akdamar Kilisesi si trova su un'isoletta e ci sono vari traghetti turistici con cui arrivarci. Non ho tempo, devo arrivare ad Ahlat con la luce del tramonto. Devo allora inventarmi una foto dalla riva.
Sono vicino ad un altro cimitero simile a quello di Ahlat, Gevas, ma ne tralascio la descrizione perché semplicemente non regge il confronto. Qui però ho la conferma definitiva di qualcosa che, nei giorni precedenti, vari piccoli roghi apparentemente accesi senza alcun senso mi avevano portato a pensare. Ricordate quanto ho scritto sul fumo che ogni sera avvolge tutto? Sono date alle fiamme, nei piccoli centri fuori dalle città, anche le immondizie. Di qualunque tipo. Non giudico ed invito a non giudicare però seduti su comodi salotti in un mondo altro. Magari “se capirai se li cercherai fino in fondo, se non sono gigli son pur sempre figli vittime di questo mondo”.
Corro, dovrei farcela, il sole è ancora alto. Devo ripassare da Tatvan. Incontro ben tre posti di blocco praticamente consecutivi, due dell'esercito ed uno della polizia. In uno il blindato a lato strada è anche un lanciamissili. Sono posti di blocco seri, devi incolonnarti ed aspettare il tuo turno. Controllano tutti senza eccezioni. Perdo un sacco di tempo, ma ce la farei ancora se non fosse per il traffico di Tatvan. Esattamente come ad Ani arrivo con 10 minuti di ritardo. Nel sito, un grande cimitero selgiuchide, ci sono centinaia di pietre tombali decorate infilate nel terreno. La bellezza del luogo mi fa aumentare la rabbia. Faccio qualche scatto di cui non sono affatto contento.
Due sposini lì per qualche foto di rito mi danno l'occasione per qualcosa che abbia senso.
Deve essere il mese dei matrimoni, ne ho visti almeno cinque. Le auto degli sposi sono sempre decorate con lunghi veli che avvolgono completamente la carrozzeria sia in lunghezza che in larghezza. Mentre me ne vado, varie centinaia di taccole si allontanano in volo. Anche da noi, almeno in centro Italia, sono una presenza costante in luoghi che trasudano di antico. La via principale di Tatvan è divisa in due da una lunghissima fila di pini probabilmente d'aleppo che dopo il tramonto si riempiono del chiassoso vociare di migliaia di quelle taccole. Un vociare che il frastuono del traffico non copre, nell'indifferenza però degli assuefatti abitanti.
Vedo dei ragazzi che mangiano l'Halka Tatlisi. Veloce sguardo intorno ed individuo una pasticceria che fa solo questi e Tulumba Tatlisi. Prendo 4 Halka ed una decina di piccoli Tulumba. Fra non molto abbandono la Turchia ed è forse l'ultima occasione.
Giorno 12 – 20 Nov 2019
Mappa del viaggio
Prima di lasciare Tatvan, mi faccio indicare un meccanico. Penso di conoscere la causa di quel rumore sordo che a volte sento quando procedo lentamente, ma non posso permettermi di tralasciare nulla. Trovo un meccanico ed a gesti, versi e traduttore mi faccio controllare sospensioni e marmitta. Non c'è alcun problema, ma non riesco ad andar via. Vogliono assolutamente che faccia colazione e mi sieda insieme a loro, non c'è verso. Spiego che ho già mangiato, ma un bicchiere di cay non posso rifiutarlo. Mi fanno sedere insieme e come loro su una latta d'olio rovesciata e sono risate, pacche sulle spalle e strette di mano continue insieme a mille domande.
Ripasso per Ahlat, ma ancora arrabbiato per il ritardo di ieri sera e con la luce dura che c'è adesso decido di non fermarmi. Ci ritornerò con calma con mia moglie in un altro momento.
Il rumore che mi ha fatto cercare un meccanico è quasi certamente causato da un pesante pezzo di ricambio che ho inserito all'interno del cerchione di una delle mie due ruote di scorta posizionata sotto l'Ammiraglia.
Scene visivamente estranee mi parlano di un mondo simile, ma già distante dal mio.
La strada verso nord sale fino a portarmi a quasi 2600 metri e qui, oltre alle capsule del caffè ed alle bottiglie d'acqua, anch'io ho la percezione dell'altura. Incontro una zona di sciara che con una cima innevata ed un ampio cono di cratere sullo sfondo mi ricorda i panorami dell'infanzia sotto l'Etna
Finita la salita, dietro una curva che mi conduce al di là di questo passo, come un miraggio mi appaiono le cime gemelle del Grande e Piccolo Ararat.
In un cielo completamente sgombro da nuvole, dominano su tutto. Credo che non esista posto ed angolazione migliore per ammirarle, arenate in una arrugginita arida distesa imbevuta di mito sulla quale mi sporgo.
Mi tuffo, sotto lo sguardo del primo dei giganti che incontrerò in questo viaggio, ai 1600 metri di Dogubayazit da cui domani proverò a lasciarmi alle spalle, non con animo sereno, anche il debole profumo di Europa che ancora arriva fino a me. È presto, ma devo organizzarmi bene vista la situazione non prevista che c'è in Iran. Non so se e quando potrò continuare questo racconto, ma continuerò a documentare. A meno di imprevisti dovrei rimanerci circa un mese.
Sono l'unico ospite di un ottimo grande hotel. Devo attraversare un largo, lungo e silenzioso corridoio con moquette rossa e le porte delle camere ai due lati. Immagino di veder spuntare in fondo un piccolo triciclo guidato da un silenzioso bambino. Fuori non c'è ancora la neve, ma stavolta forse è meglio che mia moglie non sia qui.
Giorno 13 – 21 Nov 2019
Mappa del viaggio
Al confine regna il caos. Le auto sono inesistenti, siamo solo un paio, ma ci sono tir dappertutto ed in ordine sparso. Faccio una gran fatica anche solo a scorgere tra i tir le indicazioni per le auto ed un paio di volte devo tornare indietro ed aggirarne alcuni che bloccano completamente il passaggio. Anarchia totale. Un tizio che parla inglese mi istruisce ed aiuta sul da farsi. Chiederà 10 euro per il disturbo e mi propone di cambiare euro in rial. Rifiuto, ma per levarmelo di torno cambio fortunatamente solo 10 euro ad un cambio che è all'incirca quello visibile su internet e si rivelerà essere almeno la metà di quello reale. Occorre scendere dall'auto ed andare a degli uffici. Le abituali dogane dove accosti e dal finestrino porgi i documenti qui non sanno cosa siano. Da una parte mi timbrano l'uscita sul passaporto, da un'altra riempiono il Carnet de Passage sempre per l'uscita dalla Turchia. Ci sono due grandi cancelli paralleli distanti tra loro 30 centimetri al massimo, uno nero turco sempre aperto ed uno bianco iraniano sempre chiuso. Dopo qualche minuto due militari iraniani si accorgono che c'è qualcuno di inusuale e mi aprono.
IRAN
Il primo approccio informale con uno di questi lo racconto solo perché farà felici i miei nipoti. Da dove vieni? Italia. Che città? Roma. Ohhh, Franciesco Toti. Big, big. E va beh.
Mi portano a degli uffici dove sembra di essere alla stazione dei pullman con decine di persone con fagotti giganteschi che aspettano in file improbabili. Vengo preso in carico da uno che si dichiara funzionario del governo, mi fa vedere un tesserino scritto in farsi totalmente inutile per me, e parla abbastanza bene inglese. È lui che si occupa di tutto, io aspetto soltanto. Sono tranquillo solo perché la cosa è citata sulla Lonely Planet. In una pausa mi propone di cambiare euro. Anche qui cerco di tergiversare, ma poi capisco che non mi sta fregando perché mi spiega bene come stanno le cose. Il cambio fatto in Turchia, fortunatamente solo di 10 euro, corrisponde a quello bancario ed è esattamente la metà di quello diciamo libero. Verificherò solo in seguito che anche qui conviene cambiare solo un centinaio di euro per avere contante a sufficienza per un po'. Negli hotel ho poi avuto cambi fino al 30% migliori e nei bazar probabilmente si otterrebbe ancora di più, ma questa opzione mi è stata ampiamente sconsigliata da tante persone e non ho verificato. Da come facciamo lo scambio si capisce che non fa qualcosa di legalissimo, anche se tutti certamente ne sono a conoscenza. Ricevo un pacco di banconote di grosso taglio che ci vorrebbe una busta. Un funzionario viene a controllare il numero identificativo di carrozzeria e motore e mi chiede se ho alcool. Quando dico no… mi chiede perché? Ma che vuol dire perché? Senza aver dovuto nemmeno scaricare l'auto e senza dover fare una assicurazione per l'Ammiraglia perché in Iran vale la nostra carta verde, non so quanti lo sanno, dopo un'ora ho finito tutto. Il tizio, dicendomi che è per un'altra persona che effettivamente però ha provveduto ad un documento, si prende ben 35 euro per il disturbo e vi assicuro che vista la situazione sono ben spesi. Mi accompagna anche fuori dall'ultimo lontano cancello dove occorre consegnare un foglio rilasciato dai doganieri e mi consiglia di allontanarmi immediatamente da Bagarzan, città di confine, che dice piena di gente che cerca di fregare chi arriva. Comunque, avendo tre notti prenotate a Maku a 25 chilometri, seguo il consiglio. Anche perché mi occorrerà un po' di tempo per capire bene come muovermi. Intanto è andata via un'altra mezzora di fuso orario.
A Maku, mentre sono con lo sguardo all'insù per cercare l'insegna dell'Hotel che Maps.me mi dà a 50 metri dal luogo esatto, imprecisione fatale, con una delle ruote davanti finisco penzoloni dentro un canale di scolo. Non mi sono per nulla accorto, anche perché finora ero rimasto su grandi arterie, che ai lati delle strade ci sono enormi canali scoperti larghi anche fino a 70-80 centimetri ed altrettanto profondi. Un gran botto anche se procedevo a passo d'uomo. Non faccio in tempo a scendere dall'auto per capire cosa è successo che già si è fermato un tizio per soccorrermi. Capisce immediatamente il problema e ferma un'altra auto con due uomini ed in tre, mentre io metto la retromarcia, sollevano e liberano l'Ammiraglia. Non sono passati che 3 minuti. Chiedo dell'hotel ed un vecchietto che guardava la scena mi fa capire che mi ci porta. Libero un po' l'intasato sedile davanti e si siede scomodamente accanto a me indicandomi a gesti la direzione da prendere. All'hotel scende e ritorna indietro a piedi. Beh, a parte la frontiera che ovunque è un mondo a sé stante, gli iraniani mi si presentano esattamente come avevo letto di loro.
Fortunatamente l'Ammiraglia non è come una delle sculettanti plasticose siliconate sgallettate moderne, ma un bel duro blocco ferroso. Non ha fatto una piega, mi guarda solo un po' di traverso ed ha ragione.
All'hotel mi confermano che internet non va per niente. Non hanno nemmeno connessione telefonica per l'estero, ma mi indicano un coffee-tel per chiamare in Italia. Mentre vado mi fermo a comprare una sim Irancell al negozio a 20 metri. Una signora con un vistoso trucco, unghie finte da far invidia ad una Drag Queen e capelli curati che fuoriescono vezzosi dal velo, mi fa sedere ed attendere che sbrighi la pratica. Serve il passaporto e, alla fine, dopo avermi fatto firmare un foglio, tira fuori un tampone di inchiostro e devo lasciare l'impronta dell'indice accanto ad ognuna delle due firme. Poi mi indica dove vanamente provo a pulirmi. Mi aspetto quasi che adesso si passi al patto di sangue con la compagnia telefonica. Al momento posso solo chiamare in Iran, cosa che mi sarà utile e sono pronto per quando tornerà internet, se tornerà. Costo 5 euro.
Il coffee-tel è chiuso. Davanti ci sono madre e figlia con rigido abbigliamento ortodosso nero che copre tutto tranne il viso. Provo comunque a chiedere quando apre il posto, visto che le scritte sono per me incomprensibili. La ragazza, che conosce qualche parola di inglese, guarda la vetrina e mi informa, per nulla intimorita dallo sconosciuto uomo occidentale che le rivolge la parola, che non c'è alcun orario scritto. C'è invece un numero di telefono che digita sul mio cellulare parlando poi lei stessa con il titolare ed infine mi comunica che aprirà alle 4. La madre ridacchia palesemente compiaciuta delle capacità della figlia. Ringraziamenti e saluti vari anche se senza strette di mano.
Prima di tornare in hotel vedo un piccolissimo locale dove, dalle foto, capisco che si vende qualcosa da mangiare. Entro. C'è solo un posto a sedere. Il titolare, persona squisita e cordiale cosa che mi sembra di intuire sarà una costante, mi fa vedere qualcosa di rotondo che mi sembra una focaccina. Quante? Se me lo chiede vuol dire che si può prenderne più di una, allora ordino due di non so cosa. Ci sono le Pepsi e le Coca-Cola prodotte in Iran alla faccia dell'embargo. Ordino anche una pepsi. Mi fa sedere sull'unica sedia e mi offre del cay nell'attesa. Alla fine ho due lunghi panini con verdure varie e quella che avevo scambiata per una focaccina, dopo una gran fatica fatta con il traduttore, scopro che è carne di capra tritata. Praticamente un hamburger che viene cotto alla piastra, spezzettato ed inserito ad infarcire una lunga baguette. Insomma una specie di McDonald. Mangio nel mio locale privato uno dei buonissimi panini, bevo la pepsi e ne prendo un'altra da portare via. Quando chiedo di pagare mi risponde che non devo pagare nulla, e dopo un microsecondo mi ricordo che è una forma di cortesia consueta, il Ta'arof, e mi tocca insistere due volte prima che mi dica la cifra che comunque si aspettava di ricevere. Pago per tutto la bellezza di 1,80 euro e ci cenerò.
Al Coffee-tel che apre puntualmente alle 4, un buffo tizio che sembra un robusto moschettiere con baffetti parigini e capelli lunghi mi dice che nemmeno lui ha connessione per telefonare all'estero e mi da un foglietto con il nome in farsi di un posto a circa 500 metri dove potrei avere fortuna. Vado a piedi perché non mi ricordo cosa dire ai taxi per fare la corsa da solo senza che carichino altri passeggeri sul tragitto che, se donne, innescherebbero un girotondo finalizzato a non farle sedere accanto ad uomini non appartenenti al suo nucleo familiare e poi sono praticamente appena arrivato e mi devo ancora orizzontare, quindi meglio uno spostamento lento ed esplorativo. Chiedo più volte facendo vedere il foglietto ed arrivo nel seminterrato di un edificio di recente costruzione dove c'è lo studio di una fotografa, cosa che capirò dopo un po'. C'è una stupenda ragazza dagli occhi verdi, senza trucco, senza velo e con i jeans, che mi accoglie come fossi un amico non visto da molto tempo e mi dice che il posto è quello giusto e devo aspettare un attimo perché sta arrivando il fratello che capisce un po' di inglese. Lo chiama e poco dopo arriva con moglie e figlia. Si siedono con calma accanto e me. Sono tutti sorridenti e come felici di vedermi. Ovunque vai la prima cosa che ti dicono è, si sieda e l'impressione è che le discussioni o qualunque altra cosa vadano fatte con calma e seduti. Persino uno dei negozianti a cui ho fatto vedere il biglietto e chiesto indicazioni mi ha invitato prima a sedermi con lui.
Quando mi dice che non ha modo di farmi telefonare all'estero è realmente rattristato ed aggiunge che mi porterà lui stesso dove pensa sia possibile. Faccio per alzarmi, da stupido nevrotico occidentale, e fortunatamente capisco al volo che qui ci sono cose molto più importanti dei problemi da risolvere. Mentre parlavamo, la ragazza, anche lei con delle unghie finte chilometriche, ha preparato il cay e servito dei dolcetti squisiti, specialità di Urmia, che mi spiegano aver comprato ieri perché hanno dovuto andarci per lavoro. Chiacchieriamo come vecchi amici per almeno 20 minuti. Lui e la sorella sono dei turchi iracheni. Mi spiega che ci sono varie etnie in Iran che coesistono. La moglie che è persiana partecipa discretamente alla discussione e scopro che la fotografa è proprio lei. Anch'io ovviamente racconto un po' di me. Ora è lui che si alza e mi dice di seguirlo, l'ospitalità è stata onorata da entrambi. E noi? Mi viene in mente l'immagine di un pesce spada nell'affannoso inseguimento di un'esca al traino. Penso però anche, per contrasto, che se continua così diventerò teinomane.
Salgo sulla sua auto e vuole innanzitutto andare al mio albergo a chiedere perché un hotel per turisti non abbia telefoni che possano chiamare l'estero. Dopo che si sono parlati è incredulo perché gli confermano che è proprio questa la situazione, ma non riesco a capire se è una conseguenza dei problemi di questi giorni o meno. Mi porta allora ad un altro hotel dove scende, chiedendomi di aspettare in auto. Mi sarebbe comunque impossibile scendere perché cadrei in uno scolo dell'acqua che sembra la Fossa delle Marianne. Niente. Da Maku non si riesce a telefonare all'estero da un luogo pubblico. Mi riporta al mio albergo e si scusa incredibilmente più volte per non essere riuscito a risolvere il mio problema mentre io non smetto di ringraziarlo per la sua immensa gentilezza. Mi porge infine persino il suo cellulare offrendomi di telefonare con quello in Italia. Sono veramente colpito. Chiaramente rifiuto dicendogli che anch'io posso farlo con il mio e che provavo solo a non spendere una cifra molto alta. Ci lasciamo, ma prima vuole un indirizzo da cui poter vedere almeno le mie foto se non leggere gli scritti.
Se il governo non riapre l'accesso ad internet, almeno finché starò a Maku, potrò comunicare solo tramite la mia sim italiana a 6euro/m.
Giorno 14 – 22 Nov 2019
Mappa del viaggio
Maku è una piccola cittadina incastonata in uno scenario che farebbe andare in visibilio John Ford.
Mi dirigo verso la Cappella di Dzor Dzor. L'inizio del mio viaggio in questo paese islamico sarà dedicato ad alcune delle più belle chiese cattoliche armene. Si risale un costone di roccia e dalla cima, in lontananza, si scorge l'Ararat. Dal confine saranno almeno 25-30 chilometri ed ho un paio di tacche di segnale sul cellulare australiano in cui ho inserito la sim turca proprio per fare una prova. Purtroppo non aggancia la connessione dati. Pazienza. La cappella, detta anche della Vergine Maria, si trova in una posizione altamente scenografica, ma la luce è pessima e sono controsole.
In zona non ci sono quasi abitazioni, ho incontrato solo qualche contadino intento a preparare il terreno per la futura semina. Mentre ripercorro a ritroso la solitaria e panoramica strada sterrata che conduce alla chiesa, mi vengono lentamente incontro chiacchierando serenamente due donne del luogo, penso madre e figlia. Quando mi incrociano, dopo avermi salutato, mi fanno capire che possono prepararmi da mangiare e mi invitano a seguirle. Dire che l'offerta mi coglie totalmente impreparato è eufemistico, resto totalmente interdetto e non so che dire. Riesco solo ad affidarmi ad un istinto affinato in decenni di fredda vita occidentale che mi fa scattare un totalmente ingiustificato allarme interno: sai ancora troppo poco di questo mondo, non accettare. Continuando serenamente a chiacchierare proseguono verso la chiesa.
Sulla strada del ritorno, ritrovata la capacità di valutare senza preconcetti, mi pento di non aver accettato il loro invito. Sono qui per questo ed occasioni così non devo lasciarmele scappare. Me ne ricorderò.
Quando nuovamente mi trovo in posizione dominante su Maku e l'orizzonte aperto in direzione del confine, riprovo con la linea turca. Stavolta, dopo qualche minuto, il miracolo già visto varie volte in luoghi assolutamente sperduti nell'outback australiano, si ripete. Le due tacche di linea diventano 4G ed ho finalmente un internet non bloccato. Assolutamente incredibile. Posso comunicare con casa tramite chiamata WhatsApp. Sarà una lunga discussione tranquillizzante.
Il problema è soprattutto la ricerca degli hotel. In Iran, per via dell'embargo, non funziona nessuno dei classici siti di prenotazione come Booking ed inoltre le carte di credito non iraniane non possono essere usate. Io mi sono appoggiato al sito dell'agenzia iraniana 1stquest in cui è possibile prenotare e pagare online con qualunque carta di credito. L'agenzia la consiglio per qualunque tipo di viaggio in Iran. Con la situazione di questi giorni non riesco però né ad accedere al loro sito né a comunicare con WhatsApp o con la mail. Non resta che telefonare. Domani. Ho ancora altre due notti a Maku prenotate dalla Turchia.
Per gli aggiornamenti e per riparlare con casa, penso di tornare qui su domani e provare ad inserirli. Quando sarò andato via da Maku, se la situazione non cambierà, non potrò inventarmi più nulla.
Velocemente ridiscendo e mi sposto a sud-ovest per visitare la Qareh Kalisa o Chiesa di San Taddeo, letteralmente nel nulla. Per arrivarci, dopo esser sceso a 1000 metri, si risale velocemente ai 1800 di un ennesimo immenso altipiano deserto. Le chiese sono da visitare anche solo per godere dei luoghi e nel caso della Qareh Kalisa la strada per arrivarci può già essere lo scopo della visita.
Vado via. L'Ammiraglia avanza senza ostacoli scontrandosi continuamente con le scure macchie delle nuvole che si divertono ad interporsi tra lei e la fine dell'alta piana, come a suggerirle di restare.
All'hotel vedo tre grosse superaccessoriate jeep ed i proprietari chiaramente non iraniani. Sono dei tedeschi che stanno andando nei deserti del centro sud. Chiacchieriamo un po'. Dei luoghi intorno non sanno assolutamente nulla nonostante abbia l'impressione che almeno uno di loro non sia la prima volta che viene in Iran. Molti dei viaggi più o meno lunghi di cui ho letto avevano più la caratteristica di raid, come quelli di gruppo organizzati ad esempio verso la Mongolia. Non ne sono attratto. Mi sembrerebbe non di scoprire o capire, ma solo di utilizzare i luoghi attraversati per scopi che nulla hanno a che vedere con essi. Ma non voglio criticare troppo. Diciamo che la mia filosofia del viaggiare è molto diversa. Già il solo essere qui e conoscere chi non potrà mai fare altrettanto nella sua vita costituisce per me un enorme compromesso.
Mentre parliamo, ad un accenno sulla situazione di questi giorni, uno dei tedeschi dice che lui ha la connessione internet tramite il wifi dell'Hotel. Veloce verifica. Sì. Purtroppo però, dopo indagine accurata, la situazione è migliorata solo di poco. La sim irancell è sempre bloccata e con il wifi posso solo utilizzare qualche app, mentre Google, Youtube e vari motori di ricerca non si caricano. Posso ora parlare con casa dall'Hotel, ma per il resto ancora nulla o quasi.
Giorno 15 – 23 Nov 2019
Mappa del viaggio
Stamattina sono riuscito ad attivare sul computer la VPN sul wifi dell'hotel, mentre con il cellulare non è possibile. Aggiro quindi i blocchi e finalmente accedo a tutto. Sul sito dell'agenzia gli hotel di Tabriz non hanno più camere disponibili. Ok, non mi resta che telefonare e questo posso farlo anche in giro. Vado per la distante Kalisa Darreh Sham o Chiesa di Santo Stefano. Il sito è elegante e funzionale. Sulla ripida salita a piedi che porta alla chiesa ci sono dei bei terrazzamenti alberati ed in pietra con cascatelle d'acqua e persino un piccolo laghetto con pesci ed anatre.
La chiesa è certamente da vedere, ma ancora una volta è il percorso per arrivare che merita una descrizione. Provenendo da nord si costeggia la frontiera con l'Azerbaigian che segue il percorso del fiume Aras. Inizialmente il paesaggio è piatto e stavolta poco piacevole perché trasmette l'idea di abbandonato più che quella di desertico. Quando però il fiume si incunea nella valle omonima, il contrasto fra le selvagge aride pareti e l'acqua del fiume lascia senza parole. La Valle di Aras è un luogo da non perdere.
Sulla sponda opposta l'Azerbaigian ed una interminabile recinzione dove spesso si vedono postazioni militari ormai in disuso. Ho passato due gate vuoti e senza controllo militare, in un altro invece non mi fermano nemmeno. Sono a Jolfa, ma noto qualcosa di anomalo. Accosto e chiedo dove siamo. Azerbaigian. Cavolo, ho passato la frontiera senza accorgermene. Jolfa è una città a metà tra le due nazioni. Se guardate una mappa noterete che qui c'è un pezzetto di Azerbaigian staccato dal resto della nazione. In mezzo c'è l'Armenia. Fino a vent'anni fa qui si combatteva proprio tra Azerbaigian ed Armenia per il possesso di questo territorio. Dietro front. Nel frattempo ho telefonato all'agenzia e chiesto di prenotarmi tre notti a Tabriz. Adesso hanno anche il mio numero iraniano. Nel pomeriggio mi richiamano. Mi hanno trovato posto, hanno prima telefonato al mio hotel a Maku per accertarsi che anche stasera potessi accedere al web, mi telefonano poi dicendomi che mi hanno mandato una mail con il link per vedere l'hotel e quello per pagare online. Dopo aver saldato mi arriva mail di conferma e subito dopo mi telefonano nuovamente per confermare anche a voce. Perfetti. Mi saranno molto d'aiuto.
Giorno 16 – 24 Nov 2019
Mappa del viaggio
Lascio Maku dopo tre giorni in cui ho iniziato a riprogrammare me stesso in funzione dell'Iran e mi dirigo a sud verso il cuore del paese. Un lungo giro mi porta sulle rive del Lago di Orumiyeh, un altro mare interno morente. Probabilmente destinato a scomparire tra deviazioni di affluenti e forte diminuzione delle precipitazioni, entrambe cause umane… cause umane.
Mi chiedo se mai qualcuno ha fatto una riflessione sull'aggettivo umano. Con una arroganza senza confini gli umani hanno dato all'aggettivo umano il significato di buono, compassionevole ecc. ecc. ecc. Tutte le accezioni positive possibili confluiscono nel significato che diamo a questa parola. Mi viene in mente solo la genialità del fantozziano “Ma come è umano lei…” che implicitamente denuncia quella che per me è una delle principali dimostrazioni della protervia dell'umanità. Forse esistono o sono esistite lingue in cui il termine che specifica la specie non sia anche investito di tutti i significati positivi possibili, lo spero. Dovrò indagare.
Meglio che torni al lago. In una giornata non limpida, con una luce che annulla colori e contorni, mi si presenta come una piatta distesa bianca senza confini dentro la quale vedo file di camion che ulteriormente la svuotano della sua ultima ricchezza, il sale.
Dietro una curva ho la visione improvvisa di un panorama quasi extraterrestre. Immediatamente imbocco una breve sterrata che intuisco mi condurrà in alto dove potrò averne una visuale sgombra. Dei giganteschi massi sono come appoggiati in attesa di qualcosa o qualcuno, solitari e frutto di chissà quali cataclismi contrastano con l'immobilità in cui sono immersi.
Un ponte consente di oltrepassare il lago senza costringere ad un lunghissimo aggiramento. Si paga un pedaggio. Proprio in mezzo aspettano alcuni venditori di sale probabilmente abusivi ed uno di loro mi regala un piccolo cristallo di quest'ultima ricchezza del Lago di Orumiyeh.
Mi dirigo verso la mia meta. Tabriz. Fino a questo momento ho rilevato qualcosa di totalmente inaspettato. Ci sono molti meno problemi negli spostamenti rispetto alla Turchia. Al momento non ho incontrato alcun posto di blocco militare e solo un paio di controlli della polizia. Non sono mai stato fermato. Non c'è nemmeno la paranoia dei limiti di velocità e per una buona ragione. Sulle strade ci sono migliaia di dossi artificiali, la maggior parte dei quali è così alta che devi per forza fermarti per poterli oltrepassare. Ovunque ci sia un incrocio, uno svincolo, un villaggio, una caserma, un posto di polizia, un qualunque motivo che comporti il dover procedere a velocità ridotta, ci sono i dossi. Dentro i paesi sono continui e si procede a singhiozzo accelerando e fermandosi davanti ad ognuno. A cosa servono le multe quindi? Se non rispetti i limiti rompi un asse. Molti poi nemmeno si vedono, ma dopo un po' capisci che ci sono sempre. Appena vedi un cartello di limite a 50 km/h sai che ti conviene rallentare. Semplice ed efficace. Non ci sono invece davanti alle strisce pedonali che francamente non capisco perché continuino a dipingere per terra dato che non sono rilevanti per nessuno, nemmeno per i pedoni.
Tabriz è una grande città ed il traffico inizia già ad una quindicina di chilometri dal centro. Ho letto che gli iraniani sono dei pessimi guidatori. Non sono completamente d'accordo. Forse l'unica cosa veramente negativa è la totale assenza del concetto di distanza di sicurezza. Nel traffico gli spostamenti di corsia repentini per sopravanzare gli altri sono esattamente come sul raccordo anulare, solo che qui lo fanno praticamente tutti e sono quindi continui incastri di auto che si rompono e si ricompongono senza sosta. Per guidare così devi essere sveglio e vigile. Un invito a nozze. Mi viene in mente mio padre che, quando ancora non ero in età da patente mi ripeteva spesso, “in una raggiante Catania”, che chi avesse imparato a guidare lì avrebbe potuto guidare in tutto il mondo. Chiaramente non significa che non farai mai incidenti. In ogni caso mi diverto e sorrido spesso vedendo le facce incredule ed interrogative di quelli che vedono un'auto sconosciuta guidata da uno straniero che si muove esattamente come loro.
Una breve uscita già nel buio della sera mi da una immagine positiva di Tabriz. Strade e vetrine moderne e luccicanti inframmezzate da ogni sorta di localini dove mangiare sono una piacevolissima cornice alla mia prima esplorazione. Sono stanco perché stanotte ho dormito poco per scrivere e pubblicare dopo qualche giorno di astinenza forzata, ma mi distacco comunque con difficoltà. Prima però entro in uno di questi minuscoli locali ed ordino degli spiedini di carne ed uno di pomodori che mi vengono cotti alla brace e serviti con ampie strisce di pane arabo. Si poggia tutto sul pane e lo si arrotola, mangiando poi comodamente con le mani. Delizioso.
Giorno 17 – 25 Nov 2019
Mappa del viaggio
Mi sveglio ed apro le tende delle alte vetrate della mia stanza. Si affacciano su un incrocio trafficatissimo e stanotte ho dormito con i tappi, ma non è un problema. Disteso sul letto vedo perfettamente passanti e mezzi che si mischiano in un nuovo inizio di giornata come tanti. Oggi l'Ammiraglia resterà parcheggiata al coperto ed al caldo del parcheggio privato dell'Hotel.
Solo Bazar.
Ho con me la piccola tascabile ormai anziana, ma Leica e se gli scatti soffriranno della poca luce a disposizione, pazienza. La presenza di un qualunque obiettivo è sempre un elemento falsificante della realtà, farò il possibile per non influenzare il luogo a costo di non scattare per niente. Nel vecchio, sporco e poco appetibile zaino che uso in queste circostanze, zaino il cui interno però ho completamente imbottito, poca altra apparecchiatura invadente. Entro nella corrente di questo luogo millenario citato da Marco Polo, come mi suggerisce mia moglie, e mi lascio guidare dal caso. Mi aspetto molto dai suoi ben 24 caravanserragli, piazzette alberate, colori, profumi e rumori di cui ho letto e che sono una caratteristica comune di bazar e mercati non occidentali, ma quello che non mi aspetto è l'eleganza di questo luogo, un tripudio di cotto da far invidia ad un senese.
La ricchezza e la fastosità delle esposizioni non ha eguali nella mia esperienza. Le compravendite continue di ogni sorta di mercanzia nota od ignota non hanno sosta. Sono nel cuore pulsante di questa città, cuore giovane e forte privo di aritmie. Non c'è nemmeno l'ombra di un turista. Con il cappuccio sulla testa per il freddo che si insinua all'interno dei lunghi corridoi, vengo anche poco notato come estraneo. Faccio qualche rispettoso scatto, ma ce ne vorrebbero migliaia. Centinaia di carrelli trainati a mano si intersecano senza sosta, unico mezzo di trasporto possibile in questo labirinto, guidati velocemente nella folla al grido di Jalla! Jalla! Ogni tanto anche una moto cerca di aprirsi un varco. Ci sono centinaia di gatti, ovunque, che vengono tollerati anche quando si infilano dentro i negozi di alimenti in una ricerca, quasi sempre ripagata, di cibo. I restauri che vedo in alcune sezioni probabilmente non hanno mai fine. Molti negozianti hanno il tradizionale cappello di astracan azero, sento casualmente salutare con shalom e vedo vari carretti che trasportano zampe di maiale, sì avete letto bene, di maiale. In albergo mi diranno poi che ci sono anche cristiani. Magari quelli erano gli zamponi per Natale. L'islam in questo inizio di Iran è molto meno visibile che in Turchia. Non ho ancora sentito un solo muezzin nonostante abbia visto anche un paio di Imam aggirarsi tra la folla non interessati però alle mercanzie. Una piccola macina elettrica per il sesamo ne estrae un denso olio che viene immediatamente venduto.
Mi fermo ad osservare un forno a pozzo circolare sulle cui pareti viene attaccata la pasta distesa che in pochi secondi si cuoce.
Le molte piazzette alberate al centro dei caravanserragli sono un ottimo posto per sedersi a riposare continuando ad esplorare con lo sguardo questo mondo mai domo. Oppure si può scegliere una rilassante fumata di narghilè
e se siete degli integralisti potreste desiderarne uno a forma di Kalashnikov.
Ma queste sono solo briciole di questa intensa giornata.
L'atmosfera che si respira può rimandare solo, almeno nella mia esperienza, a quello di Istanbul comunque molto meno elegante ed interessante. Lì il luogo è intriso, in ogni sua espressione, della consapevolezza di un fascino internazionale da cui non è in grado di affrancarsi, qui c'è invece quella di una inestimabile perla che per svelarsi deve essere prima scoperta.
Se non siete mai andati ad Istanbul al Gran Bazar consiglio di farlo prima di decidere di venire a Tabriz, come in una degustazione di formaggi in cui è necessario iniziare da quello meno saporito.
Entro in un bel ristorante per una buona zuppa guarnita con chicchi di Barberry o Crespino, pianta di cui non conoscevo l'esistenza né tantomeno che fosse usata in cucina. Chiedo se posso restare un po' oltre il tempo del pasto e scrivo queste righe mentre sulla grande vetrata di fronte a me, che si affaccia su uno degli innumerevoli corridoi del Bazar, appaiono e scompaiono come dal finestrino di un treno vite, pensieri, problemi ed affari a me ignoti.
Prima dell'Hotel mi reco alla segnalata Moschea del Bazar che ha l'unica caratteristica interessante nella struttura anch'essa in mattoni di cotto. Mi siedo per un po' a leggere al caldo e nel silenzio appena macchiato dalle leggere voci di studenti che probabilmente declamano il corano e salutano con un cenno me, infedele.
Giorno 18 – 26 Nov 2019
Mappa del viaggio
Giornata persa e figlia femmina. Sarebbe nottata persa, ma mi serve così.
Vado a Maraqeh o Maragheh per cercare di vedere delle torri funerarie che la Lonely Planet cita soltanto senza dare indicazioni su come trovarle. Dovrebbero essere Zoroastriane e vado solo perché è un argomento che mi interessa particolarmente. Non le trovo. Inutile chiedere, nessuno mi sa dire nulla. Ci sono anche i resti di un importante osservatorio, ma il sito è in pessimo stato di conservazione, sembra abbandonato a se stesso e non c'è quasi nulla da vedere. Dopo aver fatto molti chilometri in una brutta zona ricca di industrie, chilometri oltretutto poco piacevoli e per niente rilassanti per via dei numerosi tir, torno indietro per Kandovan e come al solito arrivo poco dopo che il sole ha lasciato il luogo. Oggi non ci siamo proprio. Sarà che ho i nervi, sarà che sono stato in Cappadocia, ma Kandovan non mi colpisce. Per arrivarci sono salito a 2200 metri e si sente. Vado via dopo cinque minuti. Rivedendo però l'unica foto fatta, direi che vale la pena venirci se si è a Tabriz. Le formazioni rocciose scavate per farne abitazioni sono suggestive. Una visione panoramica del sito è però quasi impossibile per via di case moderne, pali, alberi, cavi, ripetitori, ed in basso negozietti turistici.
Sta facendo buio. Sono sulla grande superstrada che mi porta in centro, c'è moltissimo traffico. Faccio l'iraniano al volante, anche qualcosina peggio.
Quando sto per accendere le luci mi blocco un secondo, tutti i mezzi intorno a me hanno i fari spenti. Comincio a prestare attenzione alla cosa ed effettivamente nessuno, nemmeno i molti Tir ed autocarri, ha acceso le luci. Qualche giorno fa su una strada solitaria all'incirca alla stessa ora, dopo aver acceso le luci come d'abitudine, da una delle poche auto che mi venivano incontro mi hanno fatto dei segni veementi. Ho controllato se avessi inavvertitamente inserito gli abbaglianti e poi ho anche controllato a sera se avessi i fari alti. Nulla, ed avevo dimenticato l'episodio. Voleva certamente farmi capire di spegnere i fari.
È ormai quasi buio ed alcuni iniziano con le luci di posizione, mentre i primi fari accesi li vedo solo quando diventano indispensabili. Lo spettacolo del traffico caotico all'imbrunire senza luci è così lontano dalle mie, nostre abitudini che per la prima volta mi sento veramente estraneo a ciò che mi circonda. Incredibile, non c'erano riusciti la lingua, il cibo, il panorama, e mille altre caratteristiche certamente più significative. Non riesco nemmeno più a muovermi nel traffico come prima, come loro.
Quella che evidentemente è una norma del loro codice stradale non è del tutto sbagliata. Al crepuscolo si ha la visibilità peggiore della giornata, ed i fari accesi peggiorano effettivamente la situazione per quelli che incrociamo non essendo peraltro affato d'aiuto a noi. Succedeva lo stesso in Australia. Per avvistare meglio eventuali pericolosi attraversamenti di wallabies, non venivano accesi i fari fin quasi al buio completo.
Faccio il pieno per domani. La benzina la pago alla cifra massima cioè 30000 rial al litro, o 3000 toman che è un'altra unità di misura e qualche volta fa confondere. Parliamo di circa 30 centesimi che per me sono una manna, ma un mese fa costava 8 centesimi al litro ed ecco spiegate le veementi proteste. Un aumento del 400 per cento. Per fare rifornimento ognuno ha una tessera nella quale vengono registrati i litri di carburante acquistati perché un certo numero di litri al mese sono scontati a 15 centesimi. Per me straniero la tessera è quella del benzinaio ed il costo è quindi sempre quello massimo.
Sta facendo buio e devo tornare in Hotel per poter pagare online una prenotazione, richiesta all'agenzia, per i prossimi tre giorni. Questo problema di internet bloccato mi da sui nervi, ma oggi è giornata di nervi. Vorrei e dovrei arrivare prima della chiusura dell'agenzia in modo da avere conferma immediata. Ovviamente non accade ed anzi non riesco ad accedere ad internet nemmeno con il wifi. Poi fortunatamente la situazione si sblocca.
Comunque come dicevo, giornata persa e figlia femmina.
Giorno 19 – 27 Nov 2019
Mappa del viaggio
Mi sveglio molto presto, l'aver scritto poco e lavorato una sola foto mi ha permesso di non fare tardi come al solito. Ogni tanto ne avrò bisogno. Il traffico inizia ad impazzire verso le dieci ed i negozi non aprono prima di quest'ora. Mi dirigo verso sud come ieri, ma su una strada diversa, per la prima volta una autostrada. Nessun biglietto d'ingresso, si paga all'uscita, o almeno pagano gli iraniani. Ben quattro dei cinque casellanti con cui ho a che fare, appena vedono che sono straniero, mi fanno proseguire con un sorriso. Se non fosse per l'unico che mi ha fatto pagare penserei a qualcosa di istituzionalizzato, invece evidentemente possono farlo ed è una cortesia verso di me. Uno mi saluta anche con un Welcome in Iran. Magari lo fanno anche con quelli che conoscono…
Sull'autostrada, a differenza delle brutte zone di ieri, non solo non c'è per niente traffico, ma attraverso un territorio senza industrie e pochi centri abitati. Oggi la guida ridiventa un piacere. Resto sempre sugli altipiani che sembrano non avere mai fine, mai sotto quota 1500 metri, spesso sopra 1800. La destinazione finale è Zanjan, ma prima ho intenzione di passare per uno dei più importanti centri spirituali dello zoroastrismo. Devo uscire dall'autostrada e proseguire su una secondaria. Inizialmente non capisco come mai Maps.me mi dia un tempo di percorrenza equivalente ad una velocità media di non più di 50km/h, poi mi rendo conto. La strada si innalza bruscamente.
Supero i 2000 metri e la neve imbianca tutto tranne la striscia d'asfalto che grigia la attraversa. Senza cime vicine più alte il panorama si estende vastissimo davanti a me, non piatto, frastagliato di rilievi che l'Ammiraglia fluidamente supera uno dopo l'altro zigzagando. Si oscilla placidamente, senza strappi, tra i 2200 ed i 2400 metri di quota. Il territorio è isolatissimo, un'auto o un camioncino ogni tanto, quasi nessuna costruzione. Purtroppo devo dire che l'indicatore più affidabile del livello di isolamento è la quantità di immondizia ai lati della strada. Qui è praticamente assente. La guida però non è rilassante come vorrei e devo anche spegnere la musica per concentrarmi di più. L'asfalto non è sempre in buone condizioni interrotto in molti tratti da duri e sassosi sterrati. Quando mancano ancora 80 chilometri alla meta il tempo di percorrenza stimato è di ben 2 ore.
Alla fine di una sassosa discesa, in un piccolo avvallamento, due ragazzi sono seduti in mezzo a molti cani a poca distanza dal loro gregge di pecore dalla lana scura. Mi fermo a chiedere. Si erano anche fatti capire senza, ma con il traduttore ho la conferma che la strada più avanti è bloccata e non posso arrivare a destinazione da qui. Le poche auto che passano sono di un villaggio poco oltre. Devo invertire la rotta, ma mi sta bene così. Questa strada in quota è meravigliosa e sono anzi contento di rifarla all'indietro. Mi tirano quasi fuori dall'auto, non posso andarmene, non più. Neve e freddo, ma i momenti che passo con loro mi scaldano più del fuoco su cui giace l'antica teiera in ghisa da cui mi versano il cay. Resto in maniche di camicia. Questi due giovanissimi pastori dell'Asia, certamente in questa stagione non erranti per dover ricondurre al riparo le greggi, parlano al cellulare mi sembra di capire dell'incontro con me. Hanno un loro mondo e non riesco a capire se sono interessati ad altro, al mio. Le domande sono quelle della cordialità. Altri spesso mettono la testa dentro l'auto per vedere cosa ho con me, pensando di chi sa che tesoro, loro no. C'è in tutto ciò un groviglio di mito e di moderno.
Faccio delle riprese poggiando il cellulare sull'auto e non pensandoci più e due scatti molto veloci in pochi secondi riponendo immediatamente la macchina fotografica in auto. Vorrei essere come un viaggiatore del tempo ed impormi di non modificare nulla che possa variare il futuro di questo luogo. Vorrei che tutto scorresse dopo di me, inconsapevole di me. Per ringraziarli del thè ho loro dato delle barrette di cereali che porto dall'Italia. Le aprono e con un gesto assolutamente naturale, che non palesa dubbi, affidano al vento l'incarto che si perde nella brughiera. Ho fallito.
Vorrebbero che restassi di più, ma devo andare. Mi offrono persino il loro pasto avvolto in due fazzoletti incrociati annodati, come era uso da noi molti decenni fa.
Non è solo il dolce sapore del thè ad accompagnarmi sulla silenziosa strada del ritorno. Ridiscendo a quote non innevate e mi dirigo verso Zanjan. Non ho il tempo di fare oggi il lungo giro a cui sono costretto dall'interrotta strada tra le vette. Rientrato nell'autostrada per i primi 50 chilometri guido incredulo tra formazioni rocciose multiformi e multicolori spettacolari. Non ne ho letto da nessuna parte e la scoperta amplifica le emozioni.
Sono sull'autostrada e tuttavia riesco a passare da un lato all'altro portando l'Ammiraglia su percorsi e sottopassi per greggi. Un villaggio di case di fango che sbordanti travi di legno compattano a sostegno di un tetto, è immerso in uno scenario lunare. Farebbe svenire un tour operator, ma nulla rimanda a contatti invasivi nonostante si trovi a ridosso dell'autostrada. La vita che vedo svolgersi, ad eccezione dei mezzi di trasporto, potrebbe essere la stessa di un secolo fa.
Nonostante non abbia concluso quanto programmato, oggi mi avvio verso una nuova mutevole casa provvisoria ben sazio di conoscenza, ma non di cibo. Non esco però, devo lavorare. Mi faccio dare del pane arabo e ceno con una scatoletta di tonno ed una di lenticchie della fornita dispensa che mi porto dietro. Li metto sulle mattonelle di pane che avvolgo e comodamente addento. Se qualcuno ne sarà sorpreso è solo perché mi immagina in vacanza.
“Non sono mai stato più lontano dallo stare….” …in vacanza.
Giorno 20 – 28 Nov 2019
Mappa del viaggio
Stanotte ha piovuto, poco. C'è freddo. Cielo bianco lattiginoso. Non si è ancora scaldato l'abitacolo che forti strappi mi portano oltre i duemila metri. Panorama spettacolare, ma non regge il confronto con ieri. Le dure salite non sono addolcite da sinuose curve che aumentando i chilometri ne facilitano l'ascesa. La vetta dei ripidi alti monti è raggiunta con strade maschie, dritte, che si impennano e costringono a velocità da funerale. I numerosi tir, che fanno la spola dalle miniere, procedono a passo d'uomo se carichi, sia in salita che in discesa. Spesso sono costretto ai 40 km/h della seconda ed in un caso devo ricorrere alla prima. Mi sembra di essere su una funicolare.
Poco prima del sito archeologico si raggiunge quota 2600 dove mi apro il passaggio tra le goccianti bianche basse nuvole poggiate a protezione dalla luce solare.
Le poche sparse rovine di Takht-e Soleyman, contenute da una crollante e parziale cinta muraria, non mi emozionano come invece l'arrivare fin qui. La conquista di Takht-e Soleyman ha certamente più sapore del premio finale.
All'interno, a parte alcuni bassi edifici dell'amministrazione che potevano essere costruiti da un'altra parte, la cosa certamente più interessante è un piccolo lago, profondo più di cento metri, di acqua sulfurea tiepida che sgorga ancor oggi dal fondo. L'acqua, continuamente rinnovata dalla sorgente perenne, viene incanalata e condotta chissà dove. Lo specchio d'acqua fu certamente il motivo della scelta del luogo.
Stavo per iniziare a scrivere qualcosa sullo Zoroastrismo originario che mi interessa perché unica dottrina, insieme alla tradizione indù, a contenere un concetto del male completamente indipendente dal bene. Poi mi sono fermato perché quello che chiamavo accenno stava necessariamente richiedendo un paio di pagine e non era ancora concluso. Questi argomenti che reputo fondamentali e portanti del mio viaggio, soprattutto in riferimento alla tradizione metafisica indù li inserirò dopo il viaggio nel libro o libri, dipende dalla durata, che certamente seguiranno.
Quindi solo accenni lampo. Fu proprio per il dualismo alla pari bene-male e per il vedere nella loro lotta la fonte di tutto che Nietzsche scelse il profeta Zarathustra come voce dei suoi concetti nel “Così parlò Zarathustra” che fu una mia lettura post adolescenziale… stavo già messo male.
Nel credo zoroastriano il bene è Ahura Mazda che viene adorato semplicemente con buoni pensieri, parole ed azioni, il male è Ahreman ovvero, non ridete, lo Spirito Maleodorante. Gli zoroastriani esistono tuttora anche se alcune comunità hanno modificato l'originale dottrina in vario modo. Centri principali sono Teheran, Mumbai e Londra. In India si chiamano “Parsi”. Zoroastriano era Freddy Mercury e lo è anche Zubin Mehta.
A proposito di Spirito Maleodorante nei prossimi giorni devo cercare una lavanderia.
Tornato a Zanjan vado al Museo Archeologico, chiuso. Sono invece aperti tutti i negozi, c'è una folla di gente in giro e le auto sono parcheggiate anche in terza fila. Una situazione che qui mi attirerebbe anche, ma non riesco a trovare posto e desisto. Tornando all'Hotel individuo, non certo con i cartelli, un lavaggio auto. L'Ammiraglia, con la pioggerella e le sterrate, è diventata letteralmente marrone e dal lunotto posteriore non vedo quasi più nulla. In Australia ho pagato ben 300 dollari per togliere la rossa terra dell'outback dall'auto, record difficilmente superabile, qui stabilisco il record opposto, 1 euro.
Spirito Maleodorante deve essere per il governo iraniano YouTube, e come dargli torto? È l'unico sito a cui continuo a non avere accesso nemmeno con la VPN, o meglio accedo ma non riesco a caricare i video. Peccato perché quello di ieri mi piace. Quando ne avrò la possibilità li inserirò. WhatsApp è stato ripristinato anche sulle sim che però continuano ad essere bloccate per qualunque altra cosa. Per pubblicare devo accedere ad un wifi ed usare la VPN.